Convegno Antonio Porta-Atti

Pubblicato il 8 gennaio 2010 su Eventi Milanocosa da Adam Vaccaro

“L’essere, se lo volete, per me è un fare”:

Lettura di Poemetto con la madre

Maria Pia Quintavalla

Il titolo, preposto all’intervento, “.. perché per me l’essere è un fare” tratto da Yellow, sintetizzava trent’anni di elaborazione, e di letture, altrui,dell’intera ricerca poetica di A.P. L’intensità ritmico- poetica che distingue il testo-epifania del poemetto, nasce fin dal titolo quel con, in luogo di sulla. Rivela la libertà immaginativo-linguistica, avventurosa, che sfida, oltre che il pensiero, la lingua poetica, coraggio, che Porta persegue imperterrito fin dagli inizi, nomade anche nella poetica. Una poesia qui, in presentia, non in absentia, tanto che la madre-occasione può tornarci, nella scrittura, entrare e uscirne, non più metaforizzata dallo slancio visionario che la cancellerà, nell’atto sacrificale ed erotico, di vita-morte-vita della nascita.

Che qui è colta nell’infrazione edipica/antiedipica possibile, una co-attrice, e co-autrice, testimone; poi uccisa, simbolicamente, con l’autore, (non sparita nel testo), che così può ri-nascere. Scardinamento, dicevo, che non impedisce lo scorrimento lirico, antimelodico, fissato in movimenti quasi fermati nel dramma, fino ad un’inedita catarsi che si libera.

Dalla ripetizione mortifera e simbiotica, dal parlato al monologo, da quella “eterna adolescenza infinita” di adiacenza metonimica al corpo femminile, fuoriuscendone uomo e poeta, vivo.

Antonio Porta

Poemetto con la madre

1.

Quanto si è consumata mia madre

come l’ombra cancella ogni

giorno

e più l’ombra la invade e vela

più mi sembra che pensi

la giovinezza

l’estate

di una carnale bruna bellezza

quando nel sogno

il figlio le ha baciato il ventre

aprendo

l’assetata adolescenza infinita.

2.

Ora mi chiedo se è l’ombra che ti cancella

e il tuo profilo più sottile disegna la traccia

della scomparsa imminente

ora mi chiedo se l’ombra cancella.

3.

Lo so da sempre che devi scomparire

ma nel tuo buco d’ombra io non ti seguo

opposto

penetro in un ventre che non è il tuo

eppure ti ricorda e celebra e nutre

il ventre

mio sogno d’iniziazione del mattino,

nel grande letto

della prima comunione.

4.

Isterica, in uno sguardo improvviso folle

sei tu che mi cancelli e sputi

come un rospo

il tramonto

qui sulla pagina fatico a mantenere la distanza

tua forma oscura quando soffi serpenti

dalle narici dilatate.

Lo sai o non lo sai che miri sempre in basso,

mi costringi alla fuga, al precipizio

disperato di mettermi in salvo

mi strozzi con un dubbio e la paura

senza fine dei ritardi,

tempo inabissato

perché tu non mi hai goduto

io arrivato alla fine

della bella adolescenza vuota

tuo amante insuperabile nell’atto

perduto.

5.

Ma ora a poco a poco ti infili nel buco

e di te nell’aria fluttuano i capelli

di un tempo

ora io non so

se tu mi avverti in tempo dicendo:

«Non ho paura, desidero soltanto

salutarvi.

La mia è solo una partenza.»

Lei ne è sicura, mente pietrificata,

che prima o dopo sarà dovere seguirla

e non vi è sicurezza più sicurezza di

questa.

La madre-bambina vuole ancora

giocare senza pudore,

scopertamente farsi polvere, cenere

vuole giocare col figlio

polvere che lietamente ritorna

alla polvere-madre.

6.

Man mano la scena di restare e partire

letale

stupita conclusione fetale

la mia posizione man mano nel sonno

mani richiuse in se stesse

nascoste sotto le ascelle

gli occhi ancora e sempre chiusi

delusi

sono gli stessi, diffusi,

della madre e del figlio.

Altri occhi diversi, ora aperti,

non sono perplessi

e sono altri e più chiari

non vedono non sentono

queste parole spegnersi

in un finale di giovinezza,

occhi della salvezza vanno diritti,

cancellano l’ombra del figlio.

7.

Per questo non illuderti, madre,

di trascinarmi

con te.

Me ne sono andato molto prima di te.

Lontana come la luna vicina

ti guardo sul prato

quadrato, all’imbrunire, nel cortile

devo ancora dire:

io esco.

8.

In quest’ultimo istante che ti guardo in faccia

da foglia calpestata risorgi giovane intatta

solo perché io ti guardo e tu attraversi

bagnata lucida lama la mia vita non dici

né odio né amore, più odio che amore?, soltanto

il ritardo, l’indugio prima che ti raggiunga.

Se ti raggiungo io gelo, come un gatto sbatto

spalanco le palpebre mille volte non capisco:

ti offri in pasto, annichilisco. Stringi

così forte la mano da incosciente, addio

come un principio potente, aperto paradiso.

Pietre tigri le pietre dei tuoi occhi

tintinnano sul pavimento levigato, io scivolo via…

Dalla tua morte, o madre, nasce il mio piacere.

(finito di scrivere: 911.1985)

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