“L’essere, se lo volete, per me è un fare”:
Lettura di Poemetto con la madre
Maria Pia Quintavalla
Il titolo, preposto all’intervento, “.. perché per me l’essere è un fare” tratto da Yellow, sintetizzava trent’anni di elaborazione, e di letture, altrui,dell’intera ricerca poetica di A.P. L’intensità ritmico- poetica che distingue il testo-epifania del poemetto, nasce fin dal titolo quel con, in luogo di sulla. Rivela la libertà immaginativo-linguistica, avventurosa, che sfida, oltre che il pensiero, la lingua poetica, coraggio, che Porta persegue imperterrito fin dagli inizi, nomade anche nella poetica. Una poesia qui, in presentia, non in absentia, tanto che la madre-occasione può tornarci, nella scrittura, entrare e uscirne, non più metaforizzata dallo slancio visionario che la cancellerà, nell’atto sacrificale ed erotico, di vita-morte-vita della nascita.
Che qui è colta nell’infrazione edipica/antiedipica possibile, una co-attrice, e co-autrice, testimone; poi uccisa, simbolicamente, con l’autore, (non sparita nel testo), che così può ri-nascere. Scardinamento, dicevo, che non impedisce lo scorrimento lirico, antimelodico, fissato in movimenti quasi fermati nel dramma, fino ad un’inedita catarsi che si libera.
Dalla ripetizione mortifera e simbiotica, dal parlato al monologo, da quella “eterna adolescenza infinita” di adiacenza metonimica al corpo femminile, fuoriuscendone uomo e poeta, vivo.
Antonio Porta
Poemetto con la madre
1.
Quanto si è consumata mia madre
come l’ombra cancella ogni
giorno
e più l’ombra la invade e vela
più mi sembra che pensi
la giovinezza
l’estate
di una carnale bruna bellezza
quando nel sogno
il figlio le ha baciato il ventre
aprendo
l’assetata adolescenza infinita.
2.
Ora mi chiedo se è l’ombra che ti cancella
e il tuo profilo più sottile disegna la traccia
della scomparsa imminente
ora mi chiedo se l’ombra cancella.
3.
Lo so da sempre che devi scomparire
ma nel tuo buco d’ombra io non ti seguo
opposto
penetro in un ventre che non è il tuo
eppure ti ricorda e celebra e nutre
il ventre
mio sogno d’iniziazione del mattino,
nel grande letto
della prima comunione.
4.
Isterica, in uno sguardo improvviso folle
sei tu che mi cancelli e sputi
come un rospo
il tramonto
qui sulla pagina fatico a mantenere la distanza
tua forma oscura quando soffi serpenti
dalle narici dilatate.
Lo sai o non lo sai che miri sempre in basso,
mi costringi alla fuga, al precipizio
disperato di mettermi in salvo
mi strozzi con un dubbio e la paura
senza fine dei ritardi,
tempo inabissato
perché tu non mi hai goduto
io arrivato alla fine
della bella adolescenza vuota
tuo amante insuperabile nell’atto
perduto.
5.
Ma ora a poco a poco ti infili nel buco
e di te nell’aria fluttuano i capelli
di un tempo
ora io non so
se tu mi avverti in tempo dicendo:
«Non ho paura, desidero soltanto
salutarvi.
La mia è solo una partenza.»
Lei ne è sicura, mente pietrificata,
che prima o dopo sarà dovere seguirla
e non vi è sicurezza più sicurezza di
questa.
La madre-bambina vuole ancora
giocare senza pudore,
scopertamente farsi polvere, cenere
vuole giocare col figlio
polvere che lietamente ritorna
alla polvere-madre.
6.
Man mano la scena di restare e partire
letale
stupita conclusione fetale
la mia posizione man mano nel sonno
mani richiuse in se stesse
nascoste sotto le ascelle
gli occhi ancora e sempre chiusi
delusi
sono gli stessi, diffusi,
della madre e del figlio.
Altri occhi diversi, ora aperti,
non sono perplessi
e sono altri e più chiari
non vedono non sentono
queste parole spegnersi
in un finale di giovinezza,
occhi della salvezza vanno diritti,
cancellano l’ombra del figlio.
7.
Per questo non illuderti, madre,
di trascinarmi
con te.
Me ne sono andato molto prima di te.
Lontana come la luna vicina
ti guardo sul prato
quadrato, all’imbrunire, nel cortile
devo ancora dire:
io esco.
8.
In quest’ultimo istante che ti guardo in faccia
da foglia calpestata risorgi giovane intatta
solo perché io ti guardo e tu attraversi
bagnata lucida lama la mia vita non dici
né odio né amore, più odio che amore?, soltanto
il ritardo, l’indugio prima che ti raggiunga.
Se ti raggiungo io gelo, come un gatto sbatto
spalanco le palpebre mille volte non capisco:
ti offri in pasto, annichilisco. Stringi
così forte la mano da incosciente, addio
come un principio potente, aperto paradiso.
Pietre tigri le pietre dei tuoi occhi
tintinnano sul pavimento levigato, io scivolo via…
Dalla tua morte, o madre, nasce il mio piacere.
(finito di scrivere: 911.1985)