Convegno Antonio Porta-Atti

Pubblicato il 22 dicembre 2009 su Eventi Milanocosa da Adam Vaccaro

Testimonianza di una traduzione : Yellow di Antonio Porta

Francis Catalano

Desidererei innanzitutto ringraziare il Signor Massimiliano Finazzer Flory, assessore alla cultura di Milano, insieme agli organizzatori di Milanocosa e al suo presidente Adam Vaccaro, di avermi invitato a questo incontro dedicato a Antonio Porta per parlare della mia esperienza di traduttore della sua opera postuma Yellow. Sono veramente felice e onorato di essere qui tra voi questa sera. I miei ringraziamenti vanno inoltre al Conseil des Arts et des Lettres du Québec, il cui contributo ha consentito la mia partecipazione a questo convegno. Grazie anche a Rosemary-Ann Liedl Porta, che mi ha sempre incoraggiato nel corso del mio lavoro di traduzione e che in qualche modo mi ha trasmesso la sua passione per l’opera di suo marito fornendomi dei documenti autografi di Porta e vari commenti critici. Grazie Rosemary per aver reso possibile la mia presenza qui a Milano. Vorrei inoltre salutare brevemente il poeta e amico Valerio Magrelli che mi ha dato il recapito di Rosemary nel 2004 affinché io le esprimessi il desiderio di tradurre Yellow. Dei ringraziamenti particolari vanno al Professor John Picchione dell’Università York di Toronto, per aver arricchito questo volume di traduzione di una postfazione che fa chiara luce sulla vita e l’opera del poeta. Infine grazie a Antonella D’Agostino, che ha riletto le mie traduzioni, e a Paul Bélanger, direttore de Les Éditions du Noroît di Montreal, che ha creduto a questo progetto sin dall’inizio.

Prima di entrare nel vivo del mio intervento, vorrei fare un’osservazione che non ha un legame diretto con Yellow ma bensí un rapporto lontano. È una considerazione di tipo spaziale, geografico, che riguarda le città di Milano, dove siamo adesso, e quella di Montreal, da dove sono partito e in cui sono nato e lavoro. Ciò che mi affascina e mi ha sempre affascinato di Montreal e di Milano è il fatto che queste due città si trovino quasi esattamente alla stessa latitudine nord sul globo terrestre. Quando osserviamo un mappamondo, il parallelo è evidente. Sono andato a verificare. Milano ha una latitudine di 45 gradi, 27 minuti, 51 secondi nord mentre Montreal è situata a 45 gradi, 28 minuti nord. Con riferimento a questa traduzione, mi piace immaginare che Milano corrisponda al testo di partenza, quello di Porta, e Montreal al testo di arrivo, cioè al testo della traduzione francese. In tal modo, le due città si vengono a trovare, se si può dire, alla stessa altezza, come in un faccia a faccia tra il mittente e il destinatario dello schema della comunicazione di Jakobson, facendo pensare a una specie di vaso comunicante. Mi piace l’idea che sia Milano che Montreal, sia il testo originale di Yellow che il testo della sua traduzione francese, si ritrovino per questo motivo sulla stessa lunghezza d’onda. A prescindere da queste considerazioni d’ordine spaziale, avanzo l’ipotesi che pur non essendo perfetta (non lo è e non potrà mai esserlo), la mia traduzione differisce dal testo originale di soli 9 secondi, di 9 piccoli gradi. Nei momenti di incertezza, mi basta pensare che alla mia versione di Yellow mancano solo 9 piccoli secondi per elevarla al rango di traduzione ideale e questo è per me un grande sollievo.

E adesso apro qui una parentesi. Ci siamo mai chiesti dove va a finire il tempo che sfugge tra le maglie dei fusi orari ? Nel cambiamento di fuso orario il tempo perduto o guadagnato si annulla o si accumula ? Questo tempo, che di fatto è un « non tempo » – tema che d’altronde è presente in maniera ossessiva nella suite La posizione fetale di Porta – questo « non tempo », a mio avviso, si può paragonare alla pratica della traduzione. Tradurre è collocarsi in rapporto a un testo di partenza, è saper trovare il grado giusto per poter parlare al suo posto. A ragione, come nella posizione fetale, tradurre un poema è ritrovare la posizione che precede la nascita del poema scritto dall’autore, è collocarsi in quell’istante di contrazione, di tensione che precede la nascita. Chiudo la parentesi e proseguo con altre considerazioni più terra terra.

Un modo alquanto terra terra di parlare della mia traduzione di Yellow è quello di risalire all’origine del progetto di traduzione facendo più o meno il percorso inverso che mi ha condotto fin qui, fare cioè la cronaca di una traduzione annunciata spiegando il perché, il quando originario, il come della traduzione di Yellow.

L’avventura ebbe inizio nell’estate del 2004 al ritorno dalle mie vacanze a Ischia. Disponendo di due giorni a Roma prima di rientrare a Montreal, ne ho approfittato come sempre per visitare le librerie della capitale. È nell’allora libreria Rinascita alle Botteghe Oscure che mi sono imbattuto in questo libro dalla copertina color giallo limone, intitolato Yellow, di un autore, Antonio Porta, di cui avevo sentito parlare (ricordo un’intervista con Pasquale Verdicchio pubblicata nella rivista di Montreal Vice-Versa agli inizi degli anni 80) ma del quale non conoscevo l’opera. Di questo libro dal colore eccentrico, che acquistai insieme a Dottrina dell’estremo principiante di Mario Luzi e Meteo di Andrea Zanzotto, feci una prima lettura in volo sul Boeing 747 Roma-Montreal. È a 10 000 metri di altitudine che ebbi dunque un primo contatto con questo libro particolare che mostrava tutti i segni di un’opera incompiuta. Il fatto stesso della sua incompiutezza faceva si che la scrittura sprigionasse una grande forza, una potente pulsione nel suo significato immediato, una poesia desiderosa di affrancarsi dal corpo della lingua di cui tuttavia è l’incarnazione. Quindi questo poema che inizia con una « lingua aerea che non vuol darsi un corpo » oppure la suite Poemetto con la madre dovetti leggerli, avvertirne le scosse, da qualche parte sopra il Mare del Nord, sopra le nuvole, 10 000 metri più vicino al sole e più lontano dalla terra, con i raggi obliqui che penetrando dall’oblò facevano risaltare e scintillare il giallo della copertina. Non riesco a separare questa prima lettura di Yellow dallo choc iniziale che provocò in me al rientro di vacanza. E ricordo bene di aver per la prima volta espresso, in quel Boeing che viaggiava tra due destinazioni quasi alla velocità del suono, il desiderio di tradurre questi versi al contempo leggeri e pesanti, oscuri e luminosi, questi testi che tanto venivano a cercarmi dentro.

Sono felice e onorato di aver avuto la fortuna di tradurre questo libro, di aver forse potuto aprire una nuova fonte di interesse per la francofonia, dato che, per quanto ne sappia, si tratta della prima opera di Porta tradotta in lingua francese. Nel mio caso, non si trattava di fare una traduzione « alimentare », termine con il quale alcuni traduttori sono soliti definire la parte del loro lavoro svolta più per necessità che per piacere. No. Si trattava di un vero colpo di fulmine. Prima di venire qui a Milano ho letto un libro molto interessante di un traduttore francese, Pierre Leyris, che ha trascorso la vita traducendo, e non solo per « bisogno alimentare », poeti inglesi e americani quali Shakespeare, Scott, Keats, T.S. Eliot ma anche Michelangelo. Questo per dire che traducendo i testi di Yellow ho tentato di rendere in lingua francese lo choc che avevo avvertito leggendo il libro in italiano. Come Leyris afferma riferendosi alla sua traduzione dei Sonetti di Shakespeare, traducendo i testi di Yellow mi sono messo nei panni di Antonio Porta che scrive in francese, facendo in modo che il poema scorresse in questa lingua. Ma non si ha diritto di agire come Porta se non si è autenticamente impregnati di quello che egli stesso ha pensato e sentito in italiano. È lo choc stesso che se ne riceve e non un altro quello che si deve cercare di trasmettere. Si tratta ogni volta di ricreare il miracolo di una nascita unica in una lingua di partenza.

La scrittura di Porta per il lettore non specialista ma speciale quale io sono, a causa della posizione critica conferitami dalla funzione di poeta-traduttore, è una scrittura che scuote, che da colpi, degli choc, dei « pizzichi » direi. Dei pizzichi che spesso ci fanno sobbalzare a causa della violenza delle immagini, come in questo poema che unisce la crudeltà di Artaud al genio di Rimbaud :

Con questa lingua aerea

che non vuol farsi corpo

che non diventa dura abbastanza

per penetrarti come meriti,

puttanapoesia,

per farti inginocchiare

e dire la verità

che per essere veramente poeti

occorre un’intelligenza sovrumana

O ancora quest’altro, il cui incipit è degno dei Chants de Maldoror :

Il feto che porto sul piatto

una bambina lunga 20 centimetri

abortita a 24 settimane

con cosmiche energie sta lottando per vivere

È una scrittura portatrice di choc più lievi, se posso dire più soft, come questi versi tratti dal poema « Aprire » :

Affondo in fitte vegetazioni, ricoperto

di formiche e foglie. mastico piume,

è quasi la conoscenza

Mi sono concentrato su queste scosse, questi sussulti che provoca la scrittura di Porta per trasporli in qualche modo in lingua francese. Ho tentato, con le mie antenne di poeta volte verso il turbine incessante di una genesi impossibile, di ritrovare la posizione fetale di prima della nascita del poema, la stessa posizione che devono assumere i passeggeri di un aereo nell’eventualità di un atterraggio o di un ammaraggio d’emergenza.

Di Yellow che, come si sa, è un work in progress, un progetto di scrittura in corso, non ho tradotto tutto. Ai diversi frammenti, ho preferito le suites di poemi quali La voce degli antenati, La posizione fetale, Eden e Poemetto con la madre. Nel caso di Nuovo diario ho fatto una scelta tra i poemi o dagli appunti per un progetto futuro per alla fine selezionare ciò che ritengo più importante, ad esempio, sul piano della storia letteraria. Penso in questo caso al poema dedicato a Sanguineti : « Se anche sapessi, e forse no, che il destino nostro è niente .. » E più oltre : « Al gioco del massacro non ci sto .. », dove Porta sembra fare i conti con la pars destruens della poesia. E a questo poema dedicato a Zanzotto “Prego che la poesia”, che è un poema sul poema e che io e il mio editore abbiamo scelto per la quarta di copertina del libro in francese.

La storiella della mia traduzione non è sempre scorsa come un lungo fiume tranquillo. Almeno in un’occasione mi sono ritrovato dinanzi a un impasse. Nel poema già citato dedicato a Sanguineti, Porta termina il verso così : «do per scontato il male e cerco il bene, disperata-mente. » Scritto in due parole, senza trattino, ciò significa anche “esprit désespéré” oppure, invertendo i termini, “mente disperata”. Di fronte a un gioco di parole di questo tipo, risulta impossibile tradurre. In traduzione si tratta di una perdita assoluta. Per rimediarvi ho dovuto ricorrere all’ultima ratio, all’ultima chance, cioè alla nota del traduttore. In cambio, la traduzione può a volte regalarci delle perle. Penso a questo breve testo tratto dal Nuovo diario, sotto forma di nota, dove si legge agli ultimi versi : « Verità e menzogna. I sogni della menzogna contro i sogni della verità. » Tradotto da : « Vérité et mensonge. Les songes du mensonge contre les songes de la vérité. » In francese, questo pensiero scorre naturalmente come se fosse stato formulato direttamente nella lingua d’arrivo.

Novalis scrisse da qualche parte : « Il traduttore è il poeta dei poeti ». Senz’altro voleva significare che solo i poeti possono apprezzare il lavoro dei traduttori di poesia. In una traduzione si possono trovare delle perle, ma la loro caratteristica è appunto quella di essere nascoste. Quando le perle si rivelano alla luce del sole, si possono allora veder volare i nibbi … Sono rimasto sorpreso di apprendere nel poema no. 5 de La voce degli antenati, che il « nibbio » italiano, questo uccello rapace comune in Europa, è il « milan » francese. Tramite il nome di un uccello, la città dove Porta ha vissuto e lavorato, Milano per l’appunto, riemerge nel testo tradotto : « Chant d’agonie du merle comprimé entre les serres du milan/à peine audible adressé à lui-même/se libère des viscères désormais rigides. » È alquanto sorprendente, non vi pare ? È forse ciò che Porta voleva dire quando scrisse nel Nuovo diario : « Parole come scatola vuota o come pinza che pizzica la realtà. » Se dovessi ricominciare dall’inizio, tradurrei « nibbio » con « milan royal », un altro nome che si da a questo volatile e « Montreal », « Mont-Royal », riapparirebbe alla stessa altezza di Milano, faccia a faccia, le due città unite e separate al contempo da un mare linguistico. Per ritrovarsi ancora di più sulla stessa lunghezza d’onda.

Francis Catalano

Montréal, dicembre 2009

Traduzione di Antonella D’Agostino

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