Convegno Antonio Porta-Atti

Pubblicato il 2 febbraio 2010 su Eventi Milanocosa da Maurizio Baldini

Seguono i brani del poemetto Airone, letti con grande adeguata, da Patrizia Valduga al Convegno Il giardiniere contro il becchino – Memoria e (ri)scoperta di Antonio Porta, (Biblioteca Sormani, Milano 9/12/ 2009). In calce ai testi una nota scritta in proposito nel 1998 da Giovanni Roboni, all’uscita delle Poesie 1956 – 1988 di A. P. negli Oscar Mondadori, a cura di Niva Lorenzini.

A.V.

Airone

1. (27.7. 79, premessa, a lei)

come se il mio ventre covasse una bomba

il sentimento, il terrore della perdita

allora spalanco la finestra, comincio a gridare

tu invece: hai il senso della conquista

tu invece; hai attraversato la frontiera

la pianura sconfinata

io invece: caduto in una buca

tu a tirarmi su

e io a viverti attaccato

una seconda pelle

ma interna

allora è questo il desiderio; spalancarti

e uscire e voltarmi a guardarti

a chiederti di continuo senza urlare

e inseguirti

inseguito dai primi passi che muovi

per non perderci

2. (26.7.80)

ti saluto ti canto, airone

ritornato a infilare le zampe

nelle risaie lombarde

canto la mia liberazione

appena uscito dalla prigione

disceso nelle acque

dove il seme va maturando

ancora una volta hai reciso

le sbarre invisibili ma sicure

alzate tra me e il mondo

di nuovo fai delle parole

i tramiti cantabili

tra me e il mondo separato dal letargo d’inverno

tu preparavi il ritorno

io dormivo chiuso in una parete di ghiaccio naturale

e artificiale interminabile inverno del Nord

gli occhi fatti opachi

dai cristalli del gelo

(ci sono sette tipi di gelo

io stavo chiuso nell’ottavo

quello prodotto dal silenzio

muto come ogni lingua

divien gelando muta)

airone, suono del contatto, dell’unione

le mani battono nell’aria

insieme alle tue ali

subito mi fisso immobile al suolo

rimango come te zampe nell’acqua

come fossi ancora cieco e sordo

e non lo sono più

fisso a guardare dove il sole scende

in attesa di sentirlo risalire alle spalle

avverto il sobollire nello scroto

il sesso comincia a distendersi

prepara la sua lievitazione

teso come il tuo becco nella palude

tu come tutti gli aironi

arrivi qui nelle acque tiepide per fecondarti

(gli altri, gli scomparsi

nel vuoto del ritorno

fanno lo stesso

nella memoria della specie

compiono gli stessi tuoi movimenti)

così tu mostri

ciò che devo fare anch’io

il mio sapere

formi con un’immagine disegnata

nitida nella sua umana perfezione

come quelle osservate nel volo

(consolazione degli uomini

sopra la terra attenti,

gli altri scendono

nel buio di prima, di dopo)

ma disegnate, costruite immagini

da uomini ancora più attenti

al corpo della terra

che arano, nutrono, profumano

anticipando le acacie

misurando i filari delle viti nuove

avendo cura delle antiche

preparando le arnie

(eccetera, eccetera, eccetera

quanti uomini nutrono gli altri

come ai tempi dei tempi…)

non so se folli o disperati,

questo mi chiedo, come un folle

o disperato, io

che sento così necessaria quell’opera

o invece sono semplicemente

come tu sei, airone,

allora tengono a distanza la montagna dei rifliuti

delle immondizie fatte eterne

si battono con le frane, i crolli improvvisi

le malattie sconosciute, la fatica mortale

la morte stessa cintura la città

confinano la lebbra

piantati come te

i piedi nell’acqua

bruciano al vento

obbediscono al sole e alla luna

ma non sono soltanto questo

sono cuori intatti

resistono sulle rive dei fiumi a difesa

del padre antico avvelenato

ancora vivo per poco

non è solo teatro dell’antico

non solo Arcadia sovvenzionata

ma uomo attore consapevole

non troppo uomo non troppo animale

così simile all’airone

quando muove le zampe

sui primi passi della danza amorosa

nel principio del corteggiamento

forma i suoi cerchi, i suoi quadrati

intorno a un sesso di piume fa sua quella danza

e allora l’uomo diventa l’umile

dio del corpo…

(ma agli scomparsi voglio ritornare

affrontare la morte)

……………………..

16. (14.8.81)

l’alba filtra dalle cerniere della notte senza numero

con il pulviscolo dell’alba

salgon0o e scendono senza soffi

le piume dell’airone

poi più in alto gelano, all’alba

quando l’airone si alza come un falco

quando poi picchia giù io scompaio

il vento si fa leggero

non c’è più nessuno qui intorno

la mia penna si mette a scrivere da sola

senza occhi che la sorvegliano

il petto dell’airone è il foglio candido

ne ascolto il palpito sul morbido guanciale dell’alba

lievitante relitto della notte il mio letto

ora mi sta alle spalle disfatto

(lo stellato mi ha attraversato senza dolore

ora sono albero, ora bottiglia)

17. (20.1.85)

Ancora una volta non l’ultima volta

volando osservando dall’alto i capricci

delle acque, a mordere il più molle,

a curvarsi su di sé, a sbocciare i ciuffi, i riccioli

in cresta di onda, sotto rimane nascosta

la placenta che tutto contiene,

cunicoli di dove la vita risale veloce

e non vi è traccia di maschio sulla terra,

conserva gli invisibili geni per la madre e la madre

risucchia tutto e tutto restituisce

in forma di albero, di foglie, di erbe, di muschio,

di licheni, di anellini, di bacche odorose, la mia bocca

si apre per accoglierla, la lingua della terra,

stringerla tutta dentro di sé.

18. (21.3.85)

A questo punto, Airone

mi frughi nel ventre

e trovi umida sabbia e

piccole uova di rettile,

il tempo, il poema finisce

in punta di lingua.

Qui in casa dormono tutti, un’ondata

improvvisa mi rigetta sulla spiaggia

a incontrare il tuo becco

(Finito di scrivere: settembre 1987)

Su L’airone

Antonio Porta, in volo con la poesia oltre l’avanguardia. Presentando le Poesie 1956 – 1988 di Antonio Porta uscite negli Oscar Mondadori, per l’ottima cura di Niva Lorenzini, a quasi dieci anni dalla prematura scomparsa dell’autore, Maurizio Cucchi ricorda che nel 1968, dopo aver sentito Porta leggere i suoi versi, Pasolini gli disse: “La tua poesia non ha niente a che fare con l’avanguardia”.

Riferisco a mia volta l’episodio per due ragioni a prima vista inconciliabili. La prima è che fino a pochi giorni fa avrei sottoscritto senza riserve il giudizio di Pasolini. La seconda è che dopo aver ripercorso, nella scelta della Lorenzini, l’intera opera poetica di Porta, mi sono convinto dell’opposto, ossia che essa costituisce quanto di meglio e di più tipico abbia prodotto l’avanguardia (sto parlando, è chiaro, della cosiddetta neoavanguardia italiana: Novissimi, Gruppo 63 ecc.) in questo ambito specifico.

A confronto con la drammatica radicalità dei versi scritti da Porta tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, la contemporanea produzione dei suoi compagni di strada mostra oggi inesorabilmente i segni della saccenteria accademica o, nella migliore delle ipotesi, di un’ammiccante bonarietà goliardica; solo nell’atroce fisicità della sua pronuncia il conclamato rifiuto dell’io lirico esce dal limbo delle intenzioni per inverarsi in un’autentica realtà espressiva.

Ma proprio per questo – proprio perché non si trattava, per lui, di un teorema letterario da dimostrare, bensì della sua stessa vita – Porta non si e’ fermato lì, è andato avanti, si è lasciato alle spalle il dover essere tragico della giovinezza per affrontare quella che lui stesso ha chiamato la scommessa della comunicazione e che era anche, o prima ancora, una scommessa adulta e rischiosa di condivisione, di pienezza amorosa, di felicità. Non a caso una delle sue ultime poesie, Airone, è il diario di un disperato, gioioso corpo a corpo allegorico con il più antico, forse, dei desideri umani: quello di volare. Ed è stato a questo punto, credo, che colleghi avanguardisti e teorici dell’avanguardia l’hanno perso definitivamente di vista.

ANTONIO PORTA Poesie 1956 – 1988 Mondadori editore Pagg. VIII – 195, lire 12.000

Giovanni Raboni

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