Maria Pia Quintavalla
Maria Pia Quintavalla, socia di Milanocosa dal 2004, è nata a Parma, ma vive a Milano.
Il suo primo libro Cantare semplice esce nel 1984 per le edizioni Tam Tam Geiger (nota di Nadia Campana). Nel 1985 inizia a curare la rassegna biennale nazionale Donne in poesia, da cui è nata l’omonima antologia, (Comune di Milano, 1988, ristampa Campanotto 1991). In quegli anni ha ideato anche il convegno nazionale: Bambini in rima / la poesia nella scuola dell’obbligo (Ass.to Comune di Milano, 1985 – Atti su Alfabeta 1986) frutto di un’altra passione: la pedagogia della poesia.
Lettere giovani è il secondo libro (introduzione di M. Cucchi), 1990, Campanotto editore; nel 1991 ristampa integralmente Il Cantare sempre con Campanotto. Nel 1996 esce Le Moradas , per i tipi di Empiria (introduzione di G. Majorino) e, nel gennaio 2000, Estranea (canzone) per Piero Manni editore, saggio di Andrea Zanzotto).
Nel 2002 è uscita la raccolta di fiabe, prose e poesie brevi Corpus solum per le edizioni Archivi del ‘900 (nota di G. Neri). Recentemente sono state pubblicate le plaquettes Canzone, Una poesia, (Pulcinoelefante, 2002 e 2005) Napoletana (Copertine di M.me Webb, 2003) Le nubi sopra Parma, Battei, 2004, Album feriale, Archinto editore 2005 (introduzione di F. Loi). Compare nella antologia Biblioteca parmigiana del Novecento, Racconti parmigiani, MUP 2003, e Coglierò per te l’ultima rosa del giardino, MUP 2005, Album feriale (Archinto 2005). Ancora, tra le recenti antologie in: La donna, gli amori a cura di G. Sobrino, Loggia de’ Lanzi editore 2001, Io sempre a te ritorno, a cura di M.G. Maioli, Crocetti editore, Poeti per Milano, a cura di A. Gaccione – Viennepierre editore 2002, Le parole esposte, a cura di N. Lorenzini, Crocetti editore 2002 e in Quaderni Rosa – Scrittrici Italiane dell’Ultimo Novecento, a cura di N. De Giovanni e G. Rech – Presidenza del Consiglio dei Ministri editore, 2003, e in Trent’anni di Novecento, a cura di Alberto Bertoni, Book editore 2005.
Premi : Tropea 1990, Cittadella 1991, Città S.Vito 1991 e Nosside videopoesia (regia di G. Longo) 1991 per Lettere giovani; prima rosa al Premio Viareggio e finalista ai premi Montano e Piombino del 1996 per Le Moradas; Alghero Donna 2000, Marazza Borgomanero 2000 e Nosside “Gold winners” 2000 per Estranea (canzone) finalista in cinquina al Viareggio 2000, ai premi Dario Bellezza e Lorenzo Montano 2001.
Cura seminari di lettura del testo poetico presso diverse istituzioni:
da Stoicheia, con il Comune di Milano; al Premio Marina Incerti, Istituto Pier Paolo Pasolini, Milano. Nelle scuole secondarie di Parma,
Poesia del novecento/Incontri con gli autori. Più recenti collaborazioni: Università Statale di Milano, laboratori sull’italiano scritto; presso l I.S.U. con il laboratorio di scrittura creativa Viaggio intorno al testo letterario;
con la libera Università delle Donne, con lo studio di autrici del novecento, da Donne in poesia italiane, e il ciclo Il presente/passato della poesia, laboratori, interviste. Con Archivi del ‘900 i seminari:
POETICHE: Muse, Autori, Resurrezioni.Suoi testi tradotti in tedesco, ed. Skema, Università di Tubinga; spagnolo, rivista Certa, Barcelona; in anglo americano presso la Yale Italian Poetry, e Gradiva edizioni,
N.Y.; in croato, Third International Poetry Festival, ed DHK, Zagreb 2004.
Hanno scritto di lei:
Domenico Adriano, Valentina Annau, Daniela Attanasio, Donatella Bisutti, Ida Boni, Marisa Bulgheroni, Rinaldo Caddeo, Nadia Campana, Alberto Cappi, Marosia Castaldi, Cesare Cavalleri, Anna Maria Crispino, Maurizio Cucchi, Nelvia De Monte, Bruna Dell’Agnese, Gabriela Fantato, Giò Ferri, Gilberto Finzi, Bianca Maria Frabotta, Bianca Garavelli, Nicola Gardini, Paolo Lagazzi, Marica Larocchi, Stefano Lecchini, Francesco Leonetti, Franco Loi, Niva Lorenzini, Giorgio Luzzi, Giancarlo Majorino, Sergio Montaldo, Giuliano Manacorda, Franco Manzoni, Giuseppe Marchetti, Mario Merlin, Giampiero Neri, Daniele Piccini, Giancarlo Pontiggia, Antonio Porta, Paolo Rabissi, Davide Rondoni, Paolo Ruffilli, Mario Santagostini, Lisabetta Serra, Adam Vaccaro, Marco Vitale, Andrea Zanzotto.
La piantina
I)
Sono in pericolo, da anni invece della cerca della luce,
clorofilla e verdi sali vedo una pianticella da c u r a r e
il cui veleno proviene dal suo centro, dalla terra
un buco invalicabile e profondo – che
non dà spazio ad altro. Lo stesso buco alimenta
come acqua un pozzo – e spinge
radici povere che reggono la pianta,
io mi chino e ne bevo, la curo genufletto e
inculco suoi rituali – soli che si addicono alla pianta.
Essa prende me, lei non va via. Un male oscuro che
ghermisce inesplicabile ed io chinata, guardo e amo,
le dico: con oggi prenderemo un’altra medicina.
Lei è sepolta, ma con me alla luce rivivrà sicura!
E lei beve, beve non è stanca mai.
Mi riaddormento a sera con minor fiducia.
Che sia lei o io, la più ammalata non mi curo:
so che il mio posto è di guardiana del malato e lei
l’ho già incontrata (e scruto) quante foglie fiori
o foglie saprebbe germogliare. Ignara,
ignoro non vi sia più vita e mi procura un crampo
stanco e duro, dolore al polso e poi, silenzio ma
le voci che invento, le canzoni o i bassi
assicurano parole e un bel giardino.
II)
La pianta guarda sogna, a volte sembra assorta:
finestre che riflettono un suo cielo senza stelle mani
la carezzano vorrebbero donarle un nome un volto, e
voce – amica. (Ma la pianta avvizzisce e piano si
protende verso il basso, il fusto grigio e secco
come un vento che non ha respiro).A volte
migra, noi riposiamo là vicino
a lei che più non vedo. Il cielo annotta
tuona ma non può far nulla,
solo mani amorevoli le mie
intendono prestarle volto – e suoni
si azzittiscono, il mio viso già assopito
s o g n a di accendere una per una
la fiamma con cui bruciate dita riscaldano –
ed illuminano.
III)
La pianta tace sopra tutto il suo segreto
che è l’assenza di centro e sterno
vuoto al mondo da mostrare. Divide e intrica
con la sua secchezza il cielo ma
scruta dentro l’anima, vorace. E tace.
Tace di suoi algoritmi e voci che nel fondo
pre natali alla vita al tempo, al vivere
del mondo avevano attizzato fuochi lì
nel cuore, e morso l’aria
giacimenti interi e intanto voci –
anche di bambini – che dall’erba
suggeriscono preghiere,
e le dicono lascia, lascia tuo padre-
madre, e tuo fratello in terra
di sepoltura antica, tu foriera
di indiane corse di colori nuovi che
dal cielo fumano –
il suo Sole.
E’ là nel corso amico della storia
che vorrei tornare,
precipitare in corsa prender quota – camminare.
C’è un paese amico che mi segue e chiama,
mi protegge ha nome: amicizia affetto
figlia e poi, animali.
La piantina che sente si stupisce
di queste orecchie gravide del mondo,
non capisce. Coglie che
qualcuno è in movimento già nei piedi –
prato di un cammino. Lo trattiene,
non vorrebbe tutto quel chiasso
– e il fiato non udire; preferisce
tenere a sé le mani strette nelle
sue più forti di
quel mistico morire.
IV)
Intanto mille insetti avanti gli occhi
le offuscano la vista la tormentano
le dicono in segreto, Corri non correre,
non scappare.
Oppure, puoi restare.
La vita del guardiano è come questa di
un santo un angelo che guida
le sorti e annuncia al mondo, ai suoi bambini.
E tu, la guida! il suo Virgilio – noi l’inferno
giusto del vivere, resta – rimani
nella già sera ad aspettare che
non più vita ghermisca noi, né tu
cadendo addormentata più
dolore alcuno senta.
Potendo, urla piangi non
in tuo aiuto tornerò a sentirti dunque
arresta i pensieri, preghiere rumorose
al cielo arrovesciate – le mani aperte
che gridano, venite!
Venite a prenderci su un fosso
dove solo un bene
che fa vivere felici riesca a quietare
addormentarci – nel nome della figlia.
Non puoi fuggire più lontano tu, ché
un figlio veglia su di te e promulga
un canto. Che, morte dopo morte,
ricrea catene
fino al nulla dell’essere mai nati
e nel pensiero va lontano.
Intanto cresce l’erba piano
intorno a noi che più non vediamo
margherite e ranuncoli che restano
intrecciati, destini omofoni al morire
dove nel v u o t o nuovi legami
si t r a s m u t a n o
in viticci stecchi – e allentano, non legano
più bene quel s e n t i r e.
Bellissime poesia la piantina metafora di un mondo vuoto arido e il parallelo con un essere umano f4agile c9me lei che vuole aiutarla che vede in lei mondi lontani in cui c era sole, verde, arm9nia, amore. Garbo, silenzio e poi speranza , rassegnazione