Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Stevka Šmitran
ELEGIE
– Inedite –
con una nota di Luigi Cannillo
Nota di poetica
Queste liriche di cose perdute, danno vita all’“esperienza delle parole”. Quando l’Alfa e l’Omega si congiungono sai subito che non è opportuno porsi la domanda del perché è accaduto il tragico incidente stradale. Tanta vita e una sola morte che si attraversano, nel dolore, che è nella veglia e nel sonno, nel respiro e nel pensiero, adesso, e sarà anche dopo. Mi interrogo sul mistero del “destino ereditato”: la data è il 21 – l’inizio e la fine dell’Amore, alternando sentimenti di tenerezza e di razionalità. Perché il dolore non si subisce, il dolore si tiene. Te ne sei andato senza salutare e mi hai dato ciò che hai potuto, la tristezza di queste elegie.
Stevka Šmitran
I
Mi facevo trascinare
dal tuo fare e dal tuo dire.
Chi fu testimone del nostro incontro
se non la superna giovinezza
ripenso alle parole di Niobe:
“Sempre felice sarò”,
scandisco le mie parole:
“Mai più felice sarò.”
II
La mia anima si spegneva –
il buio della notte sprigionava i ricordi
nel deserto dissacrato da sconosciuti,
frantumata aurora nascondeva
il giorno
delle erbe velenose e delle locuste
le nostre abitudini sono rimaste ferme
come le partenze per destinazioni ignote.
Ha senso benedire le parole
del vivere vecchio?
III
Spiegare perché il canto
degli uccelli fa felice l’albero
è una necessità dell’eterno che
invade il presente
che si obnubila di sé
e resta invariato
come le candele che
illuminano il cimitero
sul finire del giorno
in una vita che ha visto
il volto del dolore
che se si spiegasse
sarebbe una lattina presa a calci
una mattanza in terra di paccottiglie
di umane manchevolezze
più di sempre –
nella nostra vuota camera
recito la “preghiera del tramonto”.
Tutti sono destinati a finire
in un imbuto,
in tempi diversi,
fermi sul ciglio della strada –
ogni volta che nomino
il “vino delle nozze di Cana”
divento esperta degli addii,
un intenso profumo d’incenso
poi i ricordi –
e una voce bisbigliante ininterrotta
nel verso dello sciame conserva
il mio glossario
che ha fatto camminare
gli angeli nella rugiada.
IV
E se alla vista
viene celata
anche la luna
chi cercherà
le risposte
e chi farà
le domande.
E tu dimmi
se le stanze
si chiudono
da sole
e all’improvviso,
non ho preteso
di essere altro
che me stessa
nemmeno quando
il Velo della luce
ti hanno “strappato” –
tacere la Verità –
comprata a buon mercato
come possono?
V
Il nostro libro era letto da quelli che ci amavano
rime e metafore già a vent’anni scritte da noi
che sapevamo incoronare anche i pagliacci
quando le nuvole adombrarono l’autostrada
dell’ultimo attimo –
i tuoi cammini fermi sull’asfalto e sui cuscini di pietre
i fiori recisi col tuo soffio nell’attimo del Tempo –
dell’adesso e del mai più
non ci riconoscevo e in lontananza l’eco del mondo –
le suppliche di aiuto ai più degni,
le suppliche dell’ “amore antico”
e nello scheletro delle notizie
una consolazione poteva darmi chiunque
ho creduto a ciò che si era avverato
invocare Dio nel silenzio supremo –
quando s’è asciugato5! il tuo odore
sulla putrida strada dove ti ho perso,
chiedo alla vita imprigionata nel dubbio
di svelare le passate certezze.
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Notizia Biobiblio
Stevka Šmitran, poetessa, traduttrice, saggista e docente universitaria, è nata a Bosanska Gradiška (Bosnia-Erzegovina). Dopo la laurea presso la Facoltà di Filologia all’Università di Belgrado, si trasferisce in Italia. Completa gli studi di Master e di dottorato, si dedica alla cultura italiana e collabora con la testata regionale della RAI. E’ autore di oltre cento pubblicazioni, tra volumi, saggi, traduzioni, introduzioni sulla letteratura slava (serba, croata, russa, macedone) e ha curato in prima traduzione italiana le opere poetiche di Ivo Andrić, Miodrag Pavlović e di altri autori. Per l’Antologia della poesia dell’ex Jugoslavia ha vinto il premio “Calliope” per la traduzione. Ha scritto le seguenti raccolte di poesia:Slavica (2000), Le mie cose (Moje stvari) (2003), Italica e oltre (2004), Dall’impero (2007), Le ciglia d’Oriente (2013). Ha pubblicato il libro di storia Gli uscocchi. Pirati, ribelli, guerrieri tra gli imperi ottomano e asburgico e la Repubblica di Venezia (2009). La sua poesia è presente in numerose antologie e tradotta in portoghese, spagnolo, turco, romeno, bulgaro, inglese e ha ricevuto diversi premi. E’segretario del premio internazionale “NordSud” di Letteratura e Scienze presso la Fondazione Pescarabruzzo.Nel 2007 ha ottenuto il riconoscimento Great Women of the 21st Century dall’American Biographical Institute.
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Nota di lettura
La scelta esplicita da parte di Stevka Šmitran dell’elegia come forma di componimento letterario ci introduce in un’universo evocato dalla memoria, a una accorata meditazione sulla perdita, un tono improntato di rammarico e malinconia. Una scelta alla quale non devono essere estranei la nascita, la formazione e gli studi sulla letteratura slava d’origine.
Nei versi dell’autrice affiora e si sviluppa il “destino ereditato”, il “tragico incidente stradale” che ha causato la perdita e la sofferenza. Come afferma la stessa Šmitran nella sua nota ”il dolore non si subisce, il dolore si tiene”. La poesia è dunque in questo caso un modo per evocare il dolore trattenuto e conservato, ma allo stesso tempo per esprimerlo e condividerlo. È in questo senso, al di là delle intenzioni di chi scrive, che la risposta alla domanda “Ha senso benedire le parole/ del vivere vecchio?” è affermativa. La pronuncia della parola è essenziale per la definizione dei fatti e dei sentimenti. E nei versi si alternano i momenti della felicità perduta e quelli del dolore, l’evocazione dell’evento tragico e la custodia delle memorie. Figure mitologiche e bibliche si intrecciano ad attimi del quotidiano, in un Tempo che centrifuga sapienza antica insieme a dubbi esistenziali.
I momenti che formano il tempo dell’addio trovano talvolta un ritmo veloce e incalzante, come nel testo IV, altre volte una versificazione più lunga e lineare come nel successivo testo V. Ma in poesia anche chi abbiamo perduto ritrova una dimensione: sia nell’esserci stato che nel non esserci più. Rappresenta il mistero della vita e l’interrogazione sulla morte, sta a nutrire il ricordo delle “passate certezze” e a meditare sulle “necessità dell’eterno”.
Luigi Cannillo
una struggente poesia da “amore lontano” e un Cannillo sempre pronto a coglierne l’urgenza.
Poesie che si misurano col tema della perdita con nitore e necessità di non farne solo motivo di lamento, ma di pur difficile nodo di ripresa di forza per proseguire. Poesia dunque non prona o arresa sul crinale del dolore, ma di rielaborazione anche su di esso di una forma di elegia vitale.