Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Nino Iacovella
Inediti
con una nota di Luigi Cannillo
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Nota dell’autore
Uso la poesia come strumento d’indagine. Più per capire il mondo che mi circonda piuttosto che quello interiore. La mia sensibilità e il mio sguardo sono funzionali, come sonde, per captare la forma emotiva delle cose e degli accadimenti che incrocio nella vita.Non amo la retorica posticcia e il moralismo. Amo invece la realtà e i fenomeni sociali.
Il progetto de “La parte arida della pianura” nasce da due mie ossessioni: la paura per un paesaggio monotono e la paura del blocco della creatività (la pagina bianca, appunto). In un giorno di nebbia, in pianura, è possibile vederle sovrapposte queste fobie. Da questo cortocircuito, poi, mi sono ritrovato a scrivere da tutt’altra parte. D’altronde l’inconscio porta sempre a termine il suo lento lavorio: il discorso si è spostato verso l’epica umana, nel suo lungo e interminabile apprendistato nei territori del dolore.
Nino Iacovella
Da La parte arida della pianura
Il bianco della pagina
Amo il giorno che riesce a vivere
nella sua abitudine di nascere e morire,
l’autunno che affiora da una pagina bianca,
e questo vento, che riempie i vuoti del silenzio,
mentre noi siamo e seguiamo la strada
da Antropia
Al mattino il borgo era avvolto nell’azzurro spietato
Come il braccio di un compasso dal campanile si tracciava un confine:
nel cerchio la parte viva delle case, fuori tutto il resto della pianura
In chiesa apparve il dolore dell’ostia spezzata,
tra le bocche chiuse in prima fila,
nella catena delle mani interrotta dai posti vuoti dei due ragazzi:
e questo è il pane, e questo il vino,
sapido è il sapore di Dio che si scioglie sul palato
Li avevano ritrovati nella notte, l’auto in un piazzale desolato
Due corpi nudi e ancora uniti, come fossero una corolla
dove i petali erano busti, braccia e gambe.
Un’eucarestia dove carne e sangue erano uno sfondo
non una bocca dove rinascere
L’amore che a volte è incomprensibile,
come un discorso tradotto male,
in una lingua indicibile, che non lascia scampo
***
La nebbia spoglia l’autunno dall’incendio delle foglie,
lascia gli alberi nudi come pali piantati a terra,
prima della radura sbarrata da un reticolato
È vero, questo è un posto unico,
ma il recinto non può arginare il freddo presagito,
e la parte arida della pianura si apre a dismisura
nel punto dove termina la strada.
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da Madre della violenza
La donna del lago
La testa snodata, infinita del sogno
che nuota nell’acqua scura del lago
Ci si desta sempre quando lo scenario non coincide,
ma adesso non ci sono risvegli ad attendere
ed è un abisso il fondale delle notti
“L’amore è bello solo se è vero amore” scriveva Gabriella
come se le parole riemergessero a galla,
un colpo di pistola, la testa bucata nel sonno
un corpo alleggerito dalla morte che risale
con il pigiama, le mani legate, i piedi senza scarpe
Il sogno non distingue appieno la natura degli ostacoli
se tronco, pietra, corpi, come un pesce nuota
con occhi divisi e contrapposti
per guardare l’intero spazio, profondo
degli uomini che vanno a morire
Il sogno guarda, sgrana la catena che oscilla
come un’alga sul fondale, un cordone ombelicale
che arriva sino alla donna affiorata sul limbo dell’acqua
Il corpo di lei era avvolto con un telone di plastica bianca,
legato in tre punti con cinghie da tapparella
appesantito da tre blocchi di cemento armato
ai quali il suo uomo l’aveva incatenata
Dicono che i circuiti neurali durante le notti
s’illuminano, arabeschi di luce, fuochi d’artificio
in un giorno di festa,
e qui la pietà è un filo che non si spezza
dalla nuca come un sogno che entra nel sogno,
il proiettile cambia sembianze, non è più un cuneo di piombo,
ma la macchia nera che vediamo quando si guarda in faccia il sole
ed è un attimo, quell’attimo di grazia
che oscura l’esplosione del colpo
e le nasconde l’arrivo della morte
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Nota biografica
Nino Iacovella è nato a Guardiagrele nel ’68. Ha riesordito in poesia nel 2013 con Latitudini delle braccia (deComporre, Gaeta). Del 2015 è la plaquette con i primi testi de “La parte arida della pianura” (Edizioni culturaglobale, Cormons). Ha curato, insieme a Sebastiano Aglieco e Luigi Cannillo, l’antologia “Passione poesia” – Letture di poesia contemporanea 1990-2015, Edizioni CFR/Gianmario Lucini. Suoi testi sono inclusi nel saggio “Di poesia e di psicoanalisi. L’indicibile sottratto al nulla” di Eva Gerace, Città del Sole Edizioni, 2018. È tra i fondatori e redattori del blog di poesia Perigeion. Vive a Milano
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Nota di lettura
Gli inediti di Nino Iacovella sembrano svilupparsi secondo due modalità sostanziali. Innanzitutto l’immagine di un territorio prevalentemente, anche se non solo, orizzontale. La pianura, il lago, la radura, là strada, là dove il territorio non è solo paesaggio, ma rappresentazione metaforica di una linearità nella quale ci si perde, si rischia di smarrirsi e di precipitare nelle voragini che si possono spalancare inaspettatamente. Così la pianura e l’orizzonte, ma anche la superficie della pagina bianca sono legati al silenzio, al timore del blocco della creatività (come creatività “smarrita”), anche nelle concordanze tra vento e verso e tra strada e vita.
Altro elemento che contraddistingue un territorio testuale così stratificato è quello dell’epica umana, i fenomeni e gli avvenimenti che caratterizzano la realtà attraverso le storie e i personaggi della cronaca, come i due ragazzi ritrovati senza vita in un piazzale desolato o la donna del lago vittima di femminicidio. Qui anziché elementi di natura e paesaggio la materia poetica è caratterizzata da una oggettualità da verbale di polizia: cinghie da tapparelle, telone di plastica, corpi abbandonati come tragiche sculture mortuarie.
In questo affiancarsi di materiali diversi la voce dell’autore consiste di più voci alternate, più campi semantici, più caratteri ortografici, più toni: uno più lirico e rarefatto, l’altro più realistico e quotidiano per fatti realmente avvenuti, personaggi realmente esistiti. I versi si distendono fino a doppiare le misure classiche, anche in modalità prosa, o si compattano come nella terzina finale. È quindi “la forma emotiva delle cose”, che comprende sia i circuiti neuronali che la forma del proiettile, a contrastare il vuoto, a popolare la linea dell’orizzonte e il bianco della pagina.
Luigi Cannillo
Ricordo bene l’ultimo testo di questa sequenza: lo avevo letto tempo fa; mi colpisce il modo in cui una dimensione arcana, non commensurabile, faccia capolino dietro la trama realistica delle immagini, tessendo agguati, sacche d’ombra nel quotidiano; la percezione dell’ignoto assume la forma di un “freddo” che giunge quasi inavvertito e avvolge ogni cosa, vanificando il tentativo dell’intelligenza pratica di circoscriverlo, dargli una misura, arginarlo dentro un “reticolato”. Il paesaggio è connotato in senso densamente simbolico; e li spunto narrativo fa da battistrada ad una tensione interrogante che arriva a fissare il sole negli occhi prima di precipitare; ad un climax che si affaccia sull’attimo di abisso che fa da soglia, da sacro limes fra lo sparo del colpo e il suo affondare nel corpo, fra la coscienza della morte e il suo abbattersi.
“Al mattino il borgo era avvolto nell’azzurro spietato
Come il braccio di un compasso dal campanile si tracciava un confine:
nel cerchio la parte viva delle case,
fuori tutto il resto della pianura ”
Bellissimi versi. E non solo questi. Mi piace come si muovono queste poesie, alternando una dimensione lirica a una più quotidiana. Apprezzo moltissimo l’utilizzo della poesia come strumento d’indagine.
Non so però se in tale indagine sia possibile separare il mondo che ci circonda dal mondo interiore.