Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Matteo Rusconi
Poesie inedite
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Nota di lettura di Adam Vaccaro
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DICHIARAZIONE DI POETICA
Credo che, la poesia, oltre a essere una ricerca continua della propria voce, debba avere a che fare con il vissuto di chi la scrive, come se fosse una sorta di testimonianza diretta della vita. In questo modo, prendendo spunto dai cosiddetti poeti operai (Di Ruscio e Brugnaro su tutti), ho iniziato a scrivere di ciò che accade nella mia vita, ovvero: alzarmi tutti i giorni all’alba e recarmi al lavoro in fabbrica. Nei miei versi sono dunque apparsi torni, trucioli, chiavi inglesi, pezzi di metallo grezzo, sudore, fatica, turni di lavoro.
Non volendo che le mie parole restassero solo stampate su di un pezzo di carta, ho deciso di leggere questi versi in pubblico, forte della convinzione che la poesia debba essere uno strumento di denuncia e di sensibilizzazione riguardo ad alcune condizioni lavorative che, troppo spesso, purtroppo, rimangono inascoltate.
Matteo Rusconi
Varcata la cancellata
siamo legionari che si conquistano il pane.
Le antinfortunistiche sono scudo
la chiave a brugola è gladio
la lima a denti grossi il pugnale dell’affondo.
Le nostre vite restano fuori
come cani fedeli
come l’amante che aspetta il suo turno.
Passiamo alla storia
con il nome inghiottito dall’azienda.
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Le luci del mattino non sono fatte di alba
sono led fluorescenti che investono la via
e la fanno sembrare viva.
La produzione già mi aspetta con i suoi cancelli aperti
e con le finestre degli edifici che sembrano sguardi assatanati.
Le ante dei portoni mi ricordano fauci spalancate.
Le macchine all’interno sono diavoli che non dormono
attendono la mia carne per pungerla e squamarla
sotto vivide luci da sala operatoria.
La fabbrica è una bestia che nera non riposa,
ha denti d’acciaio cariati di polietilene
con cui mi morde polpastrelli e palpebre
e la strada tortuosa è la sua lingua che viscida mi cattura.
La fabbrica è una bestia che mi insegue giorno e sera
reclamando la mia schiena
perché mi vuole possedere con i suoi meccanismi
mentre le luci del mattino
rimangono tremori di stanchezza che non passa
e io sono stanco, tanto stanco di scappare.
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FIORE DI CARTA
Dieci ore al chiuso
tra le mura di una fabbrica
mi costringono a dimenticare
di cosa sia fatta l’aria.
Quello che mi riempie fino ai polsi oramai
in gran parte non è più ossigeno,
è acqua che cola marcia
dal rubinetto del cassone del ferro.
I peli del mio naso
sono fili di ruggine e truciolo
e i calli mi parlano
di un padrone lucido e freddo, una lamina
di acciaio temprato.
Dieci ore di lavoro
chiuso in una latta di olio esausto
mi aiutano a forgiare
la tempra di questo foglio
mentre lungo i finestroni di cemento e vetro
cerco l’ultimo respiro buono.
Domani, sotto l’ombra di un fiore di carta
sarò un petalo di cellulosa esplosa
domani, all’ombra di un campo di frumento
riposerò per non essere più corrotto
dall’umidità del metallo.
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Per un difetto impercettibile
della gamba sinistra
avanzava lento, oscillando.
I più giovani ridacchiavano
al suo passaggio,
i colleghi di una vita
manco più se ne accorgevano.
A me ha sempre ricordato
una barca in mezzo al mare.
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NOTIZIA BIOGRAFICA
Matteo Rusconi, conosciuto anche come Roskaccio, nasce a Lodi nel 1979. Poeta e operaio, esordisce nel 2015 con l’album di poesie sonore ROSKACCIO e nel 2017 pubblica la sua prima silloge intitolata SIGARETTE – Venti Poesie Per Smettere Domani (Ed. ilmilibro.it). Alcune sue poesie sono apparse in varie antologie, tra le quali: “NOvecento Non Più“ (2016, Ed. La Vita Felice) e “La Nostra Classe Sepolta. Cronache Poetiche Dai Mondi Del Lavoro” (2019, Pietre Vive Editore). Inoltre, cura il blog PAROLE & CARRIOLE.
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Nota di lettura
Forte rivendicazione del diritto di dire e dare voce alla propria condizione sociale di operaio, che non interessa i mille media votati a distrarre e a offrire megafoni allo storytelling dei poteri, più che politici, di quelli finanziari che manovrano la giostra. Si dirà che è poesia improntata e declinazioni ideologiche, a sfoghi viscerali. Insomma non poesia, ma parole della fatica di vivere in un girone quotidiano di Lavorare stanca.
Ma la sfida è tutt’altro che ideologica. Perché è tesa a testimoniare condizioni di vita sociale, ignorate anche da una poesia letteraria, di carta, per riaffermare una poesia in cui pulsi la carne e il sangue di chi scrive. La voce non vuole però essere solo quella di un ego solitario, ma dei molti di una classe sociale, disgregata e tradita da chi dovrebbe rappresentarla. Matteo Rusconi raccoglie questa difficile sfida, ramo della linea dantesca di ricerca di forme utili a seguir virtude e conoscenza. La tensione è oltre, la carta e la luce fatua di fascinosi jeux de mots, vedi il richiamo di esempi contemporanei, quali Luigi Di Ruscio e Ferruccio Brugnaro.
Ne scaturisce una sorta di epica del quotidiano ignoto, in cui oggetti e corpo si intrecciano e creano monumenti, volutamente ignorati dal caravanserraglio dominante, dello sfruttamento. Un punto di partenza che vuole diventare corpo di lingua, capace di coinvolgere e travolgere chi legge o ascolta. In caso contrario, rimane corpo inerte e scommessa persa. È qui che si misura il limite di versi e voci che vogliono essere poesia, se superano il poetese (come diceva Raboni) trionfo e rarefatto di tanta poesia odierna, o il minimalismo quotidiano, o fredde vette di visionarietà ideologiche. Esempi di varie forme di ideologia: del Testo, della Verità o del Valore.
Tutto si gioca alla fine nella lingua, se è una lingua complessa e triforcuta, che coinvolge testa, pancia e cuore. E questi versi di Rusconi tendono a farlo con ritmi e sequenze serrate. Bastano pochi esempi:
“siamo legionari che si conquistano il pane./ Le antinfortunistiche sono scudo/ la chiave a brugola è gladio/ la lima a denti grossi il pugnale dell’affondo”. Le immagini evocano miti eroici che lottano contro le “fauci spalancate” dei “i portoni della fabbrica”, ventre di macchine “diavoli che non dormono/ attendono la mia carne per pungerla e squamarla/ sotto vivide luci da sala operatoria./ La fabbrica è una bestia che nera non riposa”, che “mi insegue giorno e sera/…/ e io sono stanco, tanto stanco di scappare.”. Ma “Dieci ore al chiuso/ tra le mura di una fabbrica/…/ di un padrone lucido e freddo”, “mi aiutano a forgiare/ la tempra di questo foglio”. E con “un fiore di carta/ sarò un petalo di cellulosa esplosa”.
Poesia in cerca di una forma che sia pugnale per l’affondo, non generato da un pensiero astratto o libresco, ma dalla vita. Forse per gli edulcoratori della realtà sono inaccettabili vetero residui del secolo scorso. A me fanno ricordare la rivendicazione dell’odio verso i nemici della vita, di cui parlava Edoardo Sanguineti. In un tempo in cui era ancora possibile un pensiero critico.
Adam Vaccaro
Un ringraziamento di cuore a tutta la redazione per avermi ospitato, in particolare ad Adam per la gradita nota critica.
Un abbraccio a Luigi per la segnalazione.