Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Lina Salvi
Inediti
Con un commento di Laura Cantelmo
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Nota di poetica
La poesia è il sintomo di una rottura, la frantumazione di un equilibrio, la percezione di una distorsione in atto nel mondo. La parola poetica può porsi come anello di congiunzione tra l ‘ io e il mondo, la natura circostante. Credo che la poesia possa rimettere in luce le contraddizioni del mondo reale, della condizione umana, di una umanità terrena. Agire, direi, inseguendo la realtà del mondo che rappresenta, con la sua stessa scansione, recuperandone lo scarto, rifletterne le mancanze, puntare l’obiettivo su ritratti minimi. Prediligo l’osservazione di scene vuote e disadorne, il contrasto che deriva dalla loro frequentazione. Per lasciarmi incantare, molto spesso ferire, dalla loro allucinante bellezza, per poi affondare il un necessario scuro silenzio.
Lina Salvi
Non si può più guardare
Non si può più guardare la vastità
di questo cielo, che bussava
alla porta già da un prima,
sui muri accanto, nei giochi del vicolo
ovunque era riparo.
Il sole infrange lo spazio
cantuccio, mia bevanda strana,
per quella certa necessità del buio
che crudelmente apre,
indugia.
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Nell’imperitura notte
Nell’imperitura notte
nell’incertezza dello sguardo
bisognerà sentire le gambe
tronchi mobili, oppure opachi
ma chi nel fascinoso buio
vedrà un Dio inoperoso
in un mondo altro, parallelo,
non vedrà che un buco nero.
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Muoio,
muoio piano,
per la vita che si calma,
per il nulla che risorge dalla pietra
che schiaccia ogni respiro
che resta contro un muro,
piano, muoio,
in sacra attesa di un approdo
contro ogni primavera
che chiede veglia, assoluzione
un sé bambina.
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Nota Biobiblio
Lina Salvi nasce a Torre Annunziata nel 1960, vive e lavora in provincia di Lecco. In poesia ha pubblicato, oltre che su varie riviste letterarie, rassegne antologiche e siti web: (La Mosca di Milano, Il Segnale, Gradiva, La Clessidra, Il Monte Analogo), in Italia e all’estero, le seguenti raccolte: Negarsi una stella, (Dialogolibri, Olgiate Comasco, 2003, con prefazione di Giampiero Neri), Abitare l’imperfetto, La Vita Felice, Milano, 2007, con prefazione di G. Fantato, Socialità Edizioni d’if, Napoli, 2007), Dialogando con C.S. Edizioni della Meridiana, Firenze 2011, con prefazione di Elio Pecora); Lettere Dal deserto, con un’incisione di F. Giudici, per la collana Fiori di Torchio, curata dal Circolo Seregn De la Memoria, Seregno 2014. La sua ultima raccolta è: Del Deserto (Puntoacapo Editrice, Pasturana, 2017). Più volte finalista, segnalata o menzionata in premi nazionali, tra i quali (2°Premio Città di Umbertide, L. Montano, Città di Como, Acqui Terme, Tra Secchia e Panaro, Mazzacurati Russo, Premio Baghetta, ha vinto il Premio Festival delle Arti, Donna e Poesia 2007, Sandro Penna 2010 e Astrolabio 2017 per l’inedito.
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Nota di Lettura
Un compito difficile, ma profondamente etico, quello che Lina Salvi chiede alla poesia: scavare nelle contraddizioni del reale, più precisamente nelle discrasie del mondo attuale e della natura stessa, compresa quella umana, rendendo il verso un medium capace di focalizzarne la violenza dell’impatto.
In modo icastico – “il tempo è fuori squadra” – Shakespeare aveva individuato come motore della tragedia umana del Principe Amleto la rottura dell’equilibrio di un mondo che si riteneva amico e solidale. Per Salvi la poesia nasce da un punto dolente, il turbamento di una simmetria percepita forse negli anni dell’infanzia, che si è andata sgretolando, definita in altri termini da Freud come “disagio della civiltà”. Le lacerazioni conseguenti alla distanza tra l’Io, o meglio, tra il Sé e il mondo, vengono messe in luce dalla rappresentazione poetica, sorretta dalla riflessione filosofica, sui paradossi e le distorsioni di una “civiltà della colpa” come quella in cui viviamo, con la percezione di essere misteriosamente e dolorosamente puniti per motivi che sfuggono alla ragione. Abbandonati come siamo allo smarrimento, ci troviamo condannati all’impossibilità di” guardare la vastità del cielo” senza un consolante “riparo” dalla luce, un possibile ambito di libertà. “Non si può più guardare” è un testo in cui emerge la denuncia dello strapotere del sole e dell’arroganza delle forze della natura (ma forse anche, in termini metaforici, della res publica) che sottraggono all’essere umano la rassicurante necessità di un riposo, di un agognato spazio di silenziosa penombra – come auspicava Virginia Woolf – tutto per sé.
L’oscurità – il ‘fascinoso buio’- a cui il testo intitolato “Nell’imperitura notte” si riferisce come condizione ambita dall’Autrice, diviene per converso anche spazio di turbamento e di incertezza, aggravato dalla indifferenza divina, se non dalla sua totale assenza. Visione disperata, che Lina Salvi affida a un linguaggio ricco soprattutto di metafore e di simboli. Un dramma vissuto come morte lenta e inesorabile, tragico effetto della logorante fatica di vivere e del ritrovarsi inermi dinnanzi alla “sacra attesa di un approdo”.
Laura Cantelmo
Hai una modalità fortemente lineare, un fare versi al sodo, all’ombra della meraviglia che incanta, in una pacata armonia. Un clavicembalo che struggente suona stupendi assoli. Complimenti!
La poesia di Lina sa essere simbolica, violentemente ellittica, senza però mai cadere nel cliché ermetico: la sua sintassi diretta e lineare trasmette messaggi che, pur trasfigurati, sono di una chiarezza oracolare, asciutti senza per questo apparire aridi. La distillazione della parola è condotta con parsimonia lirica, addensando attorno a un nucleo simbolico centrale il discorso, il che raccoglie l’attenzione del lettore attorno al cuore del pensiero poetico. Mi ha colpito soprattutto il secondo testo in cui mi sembra di rilevare da un lato un tono mistico vicino a Juan de La Cruz per l’idea del viaggio nell’oscurità e dall’altro quell’idea di inanità della persona, ridotta a oggetto o automa, che mi ha fatto ricordare Cavalcanti del sonetto “Tu m’hai sì piena di dolor la mente”. Complimenti a Lina.
Il commento di Fabrizio è profondissimo e ampiamente sottoscrivibile. Aggiungo soltanto che la poesia, secondo me, ha bisogno di riappropriarsi di alcune parole antiche come la pietra:leggere “imperituro”, “fascinoso”, “il nulla che risorge dalla pietra”, pur nella evidente e non scontata modernità del linguaggio dell’autrice, è qualcosa che riconcilia, pacifica e salva. E “il nulla che risorge dalla pietra” è anche un magnifico endecasillabo
Infinite grazie dei Vostri commenti. Parole confortanti le Vostre, che ricevo in segno di dono.
L. S.