Anticipazioni – Guido Oldani

Pubblicato il 1 dicembre 2017 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa

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Guido Oldani

PER I REALISTI TERMINALI
Tre inediti
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Con un commento di Adam Vaccaro

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Nota di poetica – Che cos’è il Realismo Terminale: s’incentra sulla similitudine rovesciata. Es. : La poesia odierna è un coltello senza lama.

Guido Oldani

Spiaccicato

il temporale in corso si è svenato,
sono finiti tutti i suoi rumori
ci lascia troppa roba da asciugare.
il sole pomodoro stramaturo
è spiaccicato come sotto un piede
e gronda quale un phon giù il suo calore,
che, per contrasto fa rabbrividire
quindi il black out e il ladro ha le sue mire.

William Blake

la croce, con il crocefisso sopra,
sono di terra identica alla fossa
ed anche il fango è fatto della stessa.
ma con un soffio dai polmoni santi,
il dio di william blake gli fa la vita,
sarà un’umanità pur sciagurata
ma il falegname ai suoi dà l’orticaria
e a tutti quanti salva la partita.

Le coltellate

come saracinesca orizzontale,
sopra di noi avanza per coprirci
il maltempo previsto dal giornale.
cielo che pare un campo in aratura
di un aratro ma è un aereo in volo
che semina la pioggia fatta a pezzi,
tra coltellate lucide dei lampi
e i crampi viabilistici dei mezzi.

*
BIOBLIOGRAFIA

Guido Oldani è l’ideatore del Realismo Terminale; nasce nel 1947 a Melegnano (Mi), dove vive. Ha pubblicato sulle principali riviste letterarie del secondo 900: da Alfabeta a Paragone a Kamen. È dell’85 la raccolta Stilnostro (ed CENS), con l’introduzione di Giovanni Raboni. Seguono: Sapone (2001 rivista Kamen), La betoniera (LietoColle 2005), Il cielo di lardo (2008 Mursia), Il Realismo Terminale (2010 Mursia). È presente in diverse antologie, tra cui: Il pensiero dominante (2001 Garzanti), Tutto l’amore che c’è (2003 Einaudi), Almanacco dello specchio (2008 Mondadori), Antologia di poeti contemporanei (2016 Mursia), Poesia d’oggi un’antologia italiana (2016 Elliot), Novecento non più (2016, La Vita Felice), Luci di posizione (2017 Mursia), Poesie italiane 2016 (2017 Elliot). Dirige la Collana di poesia Argani, ed Mursia. Collabora ai quotidiani Avvenire e Affaritaliani.

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Nota di lettura

In questi tre testi inediti di Guido Oldani, le immagini prevalenti disegnano un tempo nuvolo e carico di pioggia, tra fulmini in cielo, fango in terra e “sole pomodoro stramaturo…spiaccicato” sotto i piedi. Sono visioni che riflettono il clima della realtà epocale vissuta dai più, e che l’arco complessivo della poesia di Oldani tende a cogliere con uno sguardo e uno stile, di fredda e a tratti livida ironia, con un tasso di speranza terrena minimo, se non assente.
Tuttavia, non c’è resa cinica, perché resiste il senso di una sorta di viatico doloroso o una forma di espiazione delle colpe che gli esseri umani accumulano nel loro percorso storico e umano. È un arco con immagini, nodi e sbocchi che producono un atteggiamento critico originale, frutto di un incrocio tra radici terragne e disincantate della Bassa Milanese, e di un altrettanto profondo sentire di un cattolicesimo in salsa contadina. Una cultura dunque che ha poca fiducia e speranza nella capacità umana di sollevarsi e affrancarsi dal “fango”, con cui fu impastato il progenitore Adamo.
Ne conseguono sia il bisogno salvifico di un oltre ultraterreno, sia la (ir)resistibile e tendenziale caduta di quell’arco verso quello che l’Autore chiama “Realismo terminale”. Il primo termine ci dice che la passione prevalente rimane la conoscenza della realtà, il bisogno di articolare forme e versi che ci dicano, o ci aiutino a dire, dove siamo, evitando esercizi letterari chiusi in sé e disossati, o privi di una visione di idee.
Guai a sostituire Dio col dio del Testo, come spesso capita a chi si innamora delle proprie parole e viene sopraffatto dai deliri di onnipotenza che questo amore può favorire.
I testi e la poesia di Oldani ci dicono che la realtà, la dura realtà, è l‘oggetto oscuro e inarrivabile che abbiamo di fronte, vicinissimo e irraggiungibile, al pari di quel Dio sospeso, amorevole e un po’ sordo di questo Autore. Un Dio che ci lascia liberi e può aiutare poco qui e ora, se è fatto “di terra identica” degli uomini. Un dio che l’incrocio suddetto cattocontadino reinventa e ritrova fraterno più che paterno, se ha anche lui più anime, e non è solo trino ma molteplice come tutti noi. Se, inoltre, ha bisogno di “un soffio dai polmoni santi” di un altro dio, quale quello apparentemente blasfemo e inconciliabile di un visionario cantore delle passioni terrene e umane quale William Blake, cosicché “il dio di william blake gli fa la vita”.

Adam Vaccaro

2 comments

  1. duridorecchio ha detto:

    Al “realismo terminale” e, se ho ben capito, all’oggetto che diventa soggetto, è strettamente correlata la tematica della condanna all'”eterno presente” e all’angoscia che ne deriva.
    del realismo terminale, pertanto, isolo – arbitrariamente e mi scuserà Oldani – l’oggetto divenuto soggetto; oggetto che non sostituisce il soggetto umano ma lo la lascia in vita, asservendolo. dunque, l’oggetto elettronico – lo smartphone, ma non solo – che costringe l’umano a essere sempre “on line”.
    l’eterna connessione alla rete, laddove la disconnessione è vissuta come una colpa, ci impedisce di avere il tempo di esercitare la nostra memoria umana, le nostre origini, impegnati come siamo a rispondere IN TEMPO REALE a molteplici sollecitazioni. il binomio connessioneh24-presente è vita reale, non più virtuale (si è ormai passato quel guado).
    L'”eterno presente” è condanna, ma soprattutto angoscia. sentimento non frutto dello stress “da connessione” ma più profondo, pericoloso. l’uomo che non può far altro che rispondere a uno stimolo senza soluzione di continuità e su di esso basa le proprie azioni, non ha più memoria delle sue radici e, dunque, anche la sua umana capacità di prospettare il futuro si affievolisce. Più che di angoscia, tuttavia, sarebbe corretto parlare di stordimento, nel senso che il singolo non ne conosce l’origine e non può intervenire.
    ecco che, allora, “l'”eterno presente” ha la sua radice nel “realismo terminale”, ne è una conseguenza, uno sviluppo atteso.
    atteso. perché, è appena il caso di ricordare, che l’oggetto non si crea da solo, ma è creato.
    l’”eterno presente” va a braccetto con il “realismo terminale”.

    duridorecchio

  2. Adam Vaccaro ha detto:

    Grazie a Paolo Quarta, tutt’altro che “durodorecchio”, col suo commento stimolante.

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