Anticipazioni – Francesco Sassetto

Pubblicato il 16 dicembre 2020 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa

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Francesco Sassetto

Inediti – Con nome di donna

Con commento di Luigi Cannillo
***

Nota di poetica
Nei testi qui presentati – estrapolati da una silloge in fieri – ho voluto proporre temi e momenti della società contemporanea che mi sembrano significativi nel mettere a fuoco un quadro desolato e dolente del tempo in cui viviamo. Una poesia cosiddetta “civile” (che pratico con convinzione da tempo) che muove dalla volontà di denudare le offese, le ferite, il dolore che segna – spesso annientandole – le esistenze dei più deboli, vittime di sopraffazioni e violenze. Con nome di donna vuole sottolineare un’attenzione privilegiata alle vicende vissute da donne che, nel corso del tempo, ho incontrato e conosciuto, alle loro vite che hanno attraversato sofferenze, abbandoni, solitudini, nel desiderio di “commuovere” – nel senso etimologico – il lettore, risvegliarne una pietas, una capacità di comprensione e partecipazione troppo spesso assopita e distratta.
Versi che vogliono essere anche “racconto”, adottando per questo un andamento narrativo e descrittivo, insieme, sul piano linguistico-stilistico, ad una sorta di “scivolamento” dell’italiano nel dialetto veneziano e viceversa, a rendere con più efficacia e concretezza fatti ed ambienti (quasi sempre veneziani o veneti), un sermo humilis in grado – mi auguro – di evitare il rischio, sempre in agguato quando si affrontano queste realtà, di cadere nella retorica, nell’enfasi o nel pericolo della “lacrima facile”, per restituire, con voce nitida e robusta, l’asprezza di vicende intrise di umiliazioni e dolori.

Francesco Sassetto

Con nome di donna
quattro poesie in italiano e in veneziano

Silvia
La lettura al Bistrot de Venise, le mie poesie di granchi
e laguna, i tuoi occhi mi passavano dentro e poi fuori
insieme quasi notte, della tua storia mi hai detto
ogni granchio ha la sua luna e la tua fu luna scura
luna da acqua alta.

Dieci anni prima il Dottorato, la poesia di Pagliarani,
ricercatrice di raro talento ti aveva detto più volte
il Maestro, l’Accademico illustre
nel suo studio accogliente.

La porta chiusa ad un tratto e quel Signore della filologia
si fa animale che sbrana i tuoi sogni e la vita, si slaccia
la cintura, la testa sbattuta sulla scrivania, fruga
con le dita, penetra ansimante, le spinte sempre
più forti, queste – te l’aveva detto – le regole del gioco,
il patto non scritto, il suo sperma ti cola sulle gambe.

Ha riaperto la porta il tuo ammirato Gerione guida ed amico,
benevolo padre, ti ha accompagnata fino alla fine del corridoio,
il vuoto dentro e davanti la tromba delle scale,
ti ha detto di tornare a casa, non dire niente,
hai pensato un istante di saltare.

La tua luna, Silvia, la tua luna sbagliata e l’acqua
che ancora ti annega ogni giorno risale.

*
Jessica

col tatuaggio sul braccio libera di scegliere,
drìo al bancón del bar al cantón in salizàda
“Duri i banchi” , hai scelto Ruggero,
un armadio d’uomo forte e gentile,
un bar insieme, in due quattro figli.

Parli e ridi con tutti, bella coi tuoi capelli neri,
la pelle d’ambra, la maglietta scollata che stringe
– tuti ghe buta l’ocio – i tuoi seni pieni, lo sai
e sorridi e sei felice, sono distanti gli anni
dei pugni di tuo marito bestia demente di gelosia
e di vino, le corse di notte al pronto soccorso,
i poliziotti scrivevano tutto
e non facevano niente.
E i rimproveri di tua madre
no ghe piase che te varda tuti le tette co le bave,
no ti dovaréssi farte vardàr cussì,
te lo go za dito mi”.

Da tre anni Ruggero, un amore vero, di risate
e bicchieri di vino, di sguardi dietro al bancone
un amore che ti sorride
e ti sa guardare.

[v.8: – tutti guardano di soppiatto -]
[vv. 13-16: …”sei troppo bella e a lui / non piace che ti guardino tutti il seno perdendo le bave,/ non dovresti farti guardare così, / te l’ho già detto”]

*

Cettina

Venuta dalle scogliere del sole di Capo d’Orlando
che odorano di fichidindia e di sale, rivàda qua zo
a ’sta tera de fabriche, vilète e Suv nel caìgo
de San Donà de Piave.

’Na camera pianotera bagno e cusìna, do balconi che varda
su tre metri quadri d’erba smorta e semento
par qualche suplénsa ogni tanto, un mese sì uno no,
se va ben un ano intièro, megio de gnente, megio
che star là a spetàr ’na ciamàda che no riva.

I tuoi capelli neri, Cettina, un poco imbiancati,
gli occhi miracolosamente capaci di sorridere
ancora, la tua giovinezza perduta in carte da bollo
e domande e quella telefonata da attendere sempre.

Ti guardo in stazione seduta sulla stessa panchina
scrostata aspettare il solito treno, mi saluti
mi dici “a domani”.

Ti guardo e conosco sul tuo volto un’antica ferita
un dolore nascosto
una lunga storia di treni e valigie
da fare e rifare
una storia sbagliata
che non è ancora finita.

[vv. 2-4: …arrivata quaggiù / a questa terra di fabbriche, villette e Suv nella nebbia / di san Donà di Piave.]
[vv. 5-9: Una camera a pianterreno bagno e cucina, due finestre che guardano / su tre metri quadrati d’erba stenta e cemento / per qualche supplenza ogni tanto, un mese sì uno no, / s eva bene per un anno intero, meglio di niente, meglio / che rimanere laggiù ad aspettare una telefonata che non arriva.]

*
Giovanna

Quarant’ani e passa e desso un putèo da créssar
da sola – lu xe scampà via a Cuba – ti camini
col picenìn par ’sto paese de fumo e caìgo
a nordest, tra righe de case tute compagne
e i binari rùzeni del regionàl che sfrìse e ’l sol
d’istà xe sófego e suór, vode le strade de sera.

La gente te varda de scondón fra le sfése
de i balcóni, i ciàcola pian de ti fra de lori.

Ti te spèci ne le foto de la festa a l’asìo
massa scarna e tiràda e ti pensi che no ti geri
cussì, ti lo sa anca ti che la giovinessa
xe ’ndada, ti zoghi de sera col lego
e le machinéte, co quel fià de soriso che ancora
te vansa ne i oci segnài
che nissùn te caressa.

[Giovanna. Quarant’anni e passa e adesso un figlio da crescere / da sola – lui è scappato a Cuba – cammini / col bambino in questo paese di fumo e nebbia / a nordest, tra file di case tutte uguali / e i binari arrugginiti del regionale che stride e il sole / d’estate è afa e sudore, vuote le strade di sera. // La gente ti spia di nascosto tra le fessure / delle finestre, borbottano piano di te fra loro. / Ti specchi nelle foto della festa all’asilo /troppo magra e tirata e pensi che non eri / così, lo sai anche tu che la giovinezza / è andata, giochi di sera col lego / e le macchinette, con quel po’ di sorriso che ancora / ti avanza negli occhi segnati / che nessuno accarezza.”]

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Notizia biobliografica
Francesco Sassetto risiede a Venezia, dove è nato nel 1961. Si è laureato in Lettere presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia con una tesi sul commento trecentesco di Francesco da Buti alla Commedia dantesca, pubblicata nel 1993 dall’editore Il Cardo di Venezia con il titolo La biblioteca di Francesco da Buti interprete di Dante.
Ha collaborato in qualità di cultore della materia alla cattedra di Filologia Dantesca, con attività didattica e di ricerca ed ha conseguito nel 1998 il titolo di dottore di ricerca in “Filologia e Tecniche dell’Interpretazione”. Insegna Lettere presso il Cpia di Venezia (Centro per l’istruzione in età adulta), nella Sede associata di Mestre.
Scrive componimenti in lingua e in dialetto veneziano che hanno ricevuto premi e segnalazioni. Suoi testi sono presenti in antologie e riviste ed ha pubblicato cinque raccolte di poesia: Ad un casello impreciso (Padova, Valentina Editrice, 2010) con prefazione di Stefano Valentini, Background (Milano, Dot.com Press-Le Voci della Luna, 2012) con prefazione di Fabio Franzin, Stranieri (Padova, Valentina Editrice, 2017) con prefazione di Stefano Valentini, Xe sta trovarse, in dialetto veneziano (Samuele Editrice, Fanna, 2017), con prefazione di Alessandro Canzian, Il cielo sta fuori (Arcipelago Itaca 2020), comprendente testi inediti ed alcune poesie gìà edite e “rivisitate”, con un saggio di Stefano Valentini,.
Numerose sillogi di poesie e prose poetiche in veneziano e in italiano sono stati ospitati su rivista e in volumi antologici o antologie online.

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Nota di Lettura

Il contemporaneo, il contesto in cui viviamo, ci offre continue occasioni di poesia nei momenti di condivisione, di contatto con le persone che ci circondano. Tutto sta nel saper uscire da se stessi osservando il mondo che condividiamo, percepirne le figure. Questo sembra essere il presupposto, il fondamento poetico per Francesco Sassetto. Nei suoi versi ricorre lo sguardo, la percezione rivelatrice delle persone e delle loro storie: “i tuoi occhi mi passavano dentro e poi fuori/ insieme quasi notte ”; ma anche come interrelazione: “E i rimproveri di tua madre/ no ghe piase che te varda tuti le tette co le bave,/ no ti dovaréssi farte vardàr cussì.” E proprio dallo sguardo si esprime il segno della rinascita: “e bicchieri di vino, di sguardi dietro al bancone/ un amore che ti sorride/ e ti sa guardare”. C’è anche lo sguardo che esprime il giudizio e la disapprovazione sociale, ”La gente te varda de scondón”, e perfino un doppio sguardo, quello raddoppiato riflesso dallo specchio.
Questo osservare gli altri è il primo passo verso l’ascoltare storie e poterle raccontare. Le protagoniste di questi inediti sono donne, chiamate per nome: Silvia, “ricercatrice di raro talento”, che viene violentata dall’Accademico suo Mentore ed amico, Jessica, che vive una nuova unione d’amore dopo i maltrattamenti subiti dal marito geloso, Cettina, emigrata dalla Sicilia e precaria della scuola, e infine Giovanna, che cresce da sola un figlio dopo essere stata abbandonata dal compagno. Sono storie amare nelle quali però coesiste una energia di vita che resiste alle difficoltà, il sorriso anche negli occhi “che nissùn te caressa”, l’attesa speranzosa nonostante il dolore nascosto, e “Duri i banchi”, il tener duro anche davanti alla memoria del sopruso. L’attenzione verso queste vicende, come si propone l’autore nella sua Nota, muove la nostra capacità di lettori a comprendere quelle storie e a parteciparvi empaticamente. La voce “nitida e robusta” di Sassetto evita il rischio di una facile retorica, così come di un piatto realismo, in diversi modi: ricorrendo a immagini con valore simbolico come quella della luna scura e dell’acqua alta, o a slittamenti temporali, o a una inquadratura cinematografica come quella di Cettina seduta alla stazione, oppure all’uso del dialetto.
Lo “scivolamento” dall’italiano al dialetto infatti è un valore specifico e centrale nella sequenza di queste poesie: il primo testo è tutto in italiano, nel secondo le parti in dialetto veneziano riguardano la lingua parlata, sia nei modi di dire che nella citazione delle parole della madre di Jessica. Poi, nella terza poesia, Cettina, il dialetto costituisce un blocco compatto che entra nel testo nel momento del trasferimento da Capo d’Orlando al paesaggio nebbioso dell’entroterra veneziano nella sua nuova vita di supplente. L’ultima poesia è scritta integralmente in dialetto, simmetricamente alla prima in italiano. Il linguaggio è allora il compimento della storia, l’humus dal quale il poeta ci trasmette la voce delle protagoniste e coglie i nodi di instabilità delle loro vite. Diventa sermo humilis, linguaggio basso nella riflessione intima o nei flash di parlato, corrisponde alla vicinanza degli eventi nei particolari che vengono messi in rilievo oppure alla loro lontananza nel rarefarsi di alcuni contorni e dello sfondo. Anche il dialetto rappresenta una variabile delle vite così precarie, tra continuità, aspettative e cambiamento.

Luigi Cannillo

5 comments

  1. massimo pamio ha detto:

    Molto ma molto belle le poesie di Sassetto, l’ibridazione dell’italiano con il veneto è splendida, poi vince il dialetto, è più forte, più aderente alla vita, alla sostanza limegosa fluviale e canalizzante del Veneto. Congratulazioni, viva la poesia che non concede nulla all’ipocrisia, a costo di diventare ostica, spigolosa, rude, cruda.
    massimo.pamio@libero.it

  2. francesco sassetto ha detto:

    Grazie di cuore Massimo! E’ di grande conforto sapere che queste poesie – che toccano temi sempre “pericolosi”, facile cadere nella retirca o, peggio, nell’ideologico – abbiano riscosso la tua approvazione, come pure tu abbia trovato efficace l’ibridazione lingua-dialetto. E’ per me un’indicazione importante, che mi sostiene nel continuare su questa strada. Grazie ancora davvero. Francesco

  3. Adam Vaccaro ha detto:

    Grazie a Massimo, fratello che sa quanto sia importante nella mia ricerca la lingua dell’origine, spesso solo orale, musica fondante del nostro primogiardino mentale-emozionale. Grazie a Sassetto che intreccia suoni e sensi nella sua lingua originaria, in modi che attraversano anche chi ne ha un’altra. E grazie a Cannillo che l’ha proposto e me lo ha fatto conoscere. E’ questo l’obietivo, di conoscenze e riconoscenze, di Anticipazioni.

  4. Grazia Di Lisio ha detto:

    “Mondo” è il palcoscenico virtuale del poeta, un “Teatro” variegato immerso nella laguna veneta come metafora dell’esistenza: passano immagini di fabbriche di periferia avvolte dalla nebbia, solitudini peregrinanti in “calle e callette”, slendore di ragazze color di malva e crisi di personaggi femminili specchiate nel cupo dei canali, ma è la lingua con le sue inflessioni dialettali a rendere leggero il peso del tempo, l’inreparabile tempus (la giovinesa ’ndada – campo semantico caro al poeta) restituendo armonia al lettore. Il poeta dipinge egregiamente in versi il flusso mutevole e l’impermanenza attraverso emozioni e colori lagunari.
    Grazia Di Lisio

  5. Leila Falà ha detto:

    Una parola secca; tutto deve essere detto, apparentemente senza pietà. Ma è proprio questa secchezza che si impone e ci tiene lontani da pietismi e da effetti retorici mezzo compassionevoli, che non servono se non, in fondo, a consolare chi legge e a mitigare, dove invece non c’è nulla che si debba ancora e piu lungamente nascondere.
    Un buon modo per usare bene la parola e la responsabilità che abbiamo nell’usarla.
    Bravo, Francesco Sassetto.
    Leila Falà

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