Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Federico Rossignoli
Inediti
Con commento di Laura Cantelmo
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Nota di poetica
Questi tre testi fanno parte di una corona di sonetti scritta secondo la forma tradizionale. Anche se gli esempi contemporanei non mancano, può sembrare anacronistico o addirittura pretestuoso scrivere in forma chiusa (soprattutto quando è così tanto chiusa!). Io provo a farlo per diverse ragioni: prima di tutto per il desiderio di confrontarmi con qualcosa di più grande, con un Passato che continua a respirare e ad essere costitutivo del Presente, cortocircuitando fecondamente con esso. In qualche modo, ciò fa sentire meno soli. Poi perché la forma è il contenuto. Certo questa affermazione non è esclusivo appannaggio del mestiere di musicista (quale io sono), ma forse ne siamo più sensibili e, diciamolo pure, costretti. Eppure è una beata costrizione muoversi all’interno di un limite (del resto, cosa c’è di più umano dell’essere limitati?), poiché da queste tensioni, da questo obbligare la mente a ragionare e strisciare in stretti cunicoli, possono scaturire risultati fecondi e inattesi, paesaggi ampi e luminosi.
Federico Rossignoli
Di cose fatte e poi lasciate andare
sono sazio. Alcune restano attorno
al letto a fissarmi sino al buongiorno
o meno, e non si vogliono scansare
mentre carico la moka. Le guardo
come cinquecentocinquantasette
anni or sono: faceva molto caldo
a luglio, arsi come adesso ardo
a fissare il cielo, dipinto saldo
sopra l’altare. Linee d’oro strette
tracciano, sui lapislazzuli rotti,
le stelle. Ti ricordi quante prove
andate a vuoto? Quante vuote notti?
Qui starò bene. Il cielo volge altrove.
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Qui starò bene. Il cielo volge altrove,
come il fiore del pero in boccio a maggio
non si accorge di noi. Dammi un assaggio
di che voglia dire avere le prove
del tempo che passa e diventa un frutto
da cogliere. Il serpente lo sapeva.
Non mi basterebbe mangiarlo tutto
per capirne il sapore. Certo Eva
non disse tutto ad Adamo, qualcosa
la tenne per sé, quando gli fu sposa
fuori dal giardino. Forse era il siero
che dissolve lo sguardo veritiero,
quello che di pensarsi tale ha voglia:
lo sguardo che ogni cosa rende spoglia.
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Lo sguardo che ogni cosa rende spoglia
è pulito come appena spezzato,
o non l’avesse mano mai toccato
prima. Sugli alberi ciascuna foglia
veste di rosso, le braccia scoperte
in sprezzo della stagione s’arrosano[1],
con tutta la forza che puoi riposano
sul collo e più stringi più sono aperte.
Ma ogni dolcezza è debito: l’anno
si spegne tra le palpebre, l’abbraccio
che mi stringi spinge il cuore all’addiaccio
tra l’uva secca e i pettirossi. Vanno
sotto un firmamento di stelle nuove,
tanto grande da non avere un dove.
1 Bagnarsi di rugiada
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Federico Rossignoli vive a Trieste. Musicista, si occupa di prassi esecutiva rinascimentale su copie di strumenti antichi (liuto e affini). Ha pubblicato alcuni libri con Samuele Editore, l’ultimo dei quali è Spolia vol. II (finalista premio San Vito 2019).
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Nota di lettura
Non stupisca la sfida che Rossignoli pone a sé stesso, quella di misurarsi in una autonoma tenzone componendo sonetti. Molto si deve alla sua professione di musicista, e ciò parrebbe ovvio, ma la sfida non si esaurisce nell’esercizio ritmico e nella regolarità del verso o nel rigoroso rispetto della tradizionale forma chiusa che, nata in Sicilia nel 1200 alla corte di Federico II, ha trovato proseliti in tutto l’Occidente, pur con necessarie varianti, a seconda dell’idioma in cui veniva utilizzata.
Il rigore imposto dalla composizione musicale ha sicuramente formato l’orecchio dell’Autore al ritmo e alla regolarità, specie nelle partiture di epoca rinascimentale eseguite da strumenti d’epoca come il liuto, a cui egli si dedica, ma certamente il confronto con la lingua e non con le note del pentagramma rappresenta una estensione della propria disciplina, forgiando il discorso poetico entro una forma chiusa legata a una consolidata tradizione letteraria.
In ciò l’Autore mette in atto il meccanismo che solitamente si produce nella scrittura in versi, cioè l’esercizio in cui la poesia crea sé stessa nella ricerca della parola che combini il ritmo con il significato, trascinando con sé suoni e lemmi fino ad ottenere un effetto che spesso risulta sorprendente al poeta stesso.
Naturalmente quello che può parere un gioco, non lo è affatto, neppure nel caso di Rossignoli, poiché il linguaggio umano ha anche una finalità comunicativa, anche se di tipo diverso rispetto alla musica.
Entro la “beata costrizione” della forma sonetto Rossignoli inevitabilmente esprime un’idea del poiein, cioè del forgiare un pensiero, che è una dichiarazione dell’umano limite, cioè il rifiuto di quella Hybris da cui spesso chi scrive viene coinvolto e al contempo diviene una palestra di umiltà e insieme di rigore che in questi sonetti emerge in varie sfaccettature: ”Ti ricordi quante prove/ andate a vuoto? Quante notti?”.
I sonetti sono inanellati in una “corona” nella quale l’ultimo verso di ciascun componimento viene ripreso in quello successivo, costruendone l’unità non solo retorica, ma anche di senso. Ad esempio nel tema del tempo che passa ”e diventa un frutto da cogliere” si percepisce il mistero la cui completa conoscenza è negata dal tradimento compiuto da Adamo su istigazione del serpente che “sapeva”, proprio come Eva che ne era al corrente. Così la composizione procede in un intreccio di immagini naturali, nel quadro dell’Eden dipinto dalla descrizione bucolica del giardino, fino alla aforistica asserzione “Ma ogni dolcezza è debito”: semi di riflessioni intorno a un nuovo tema che si dissolve poi nell’indeterminatezza e nella sospensione. In questi esercizi di stile si ravvisa un che di barocco e al tempo stesso il desiderio e il piacere di sottoporsi a una disciplina attraverso la quale un illustre passato viene richiamato in vita. In fondo “la forma è il contenuto”, come sostiene Rossignoli, è una affermazione che echeggia una fase letteraria apparentemente superata benché resti latente e pulsante nel panorama della poesia attuale e in quanto tale è rappresentazione della libertà stilistica a cui oggi siamo addivenuti.
Laura Cantelmo
Conosco la poesia di Federico Rossignoli da diversi anni e apprezzo molto il rigore con cui porta avanti la sua ricerca insieme stilistica e formale, legata alla sua stessa attività di musicista e ricercatore del patrimonio musicale rinascimentale. Adeguare a una sensibilità contemporanea le tracce consistenti del passato, rivificarle dall’interno è insieme disciplina e creatività, quindi arte. In una concezione non effimera ma di percorso che dura nel tempo.
Saluto volentieri la poesie di Federico Rossignoli che ho avuto il piacere di conoscere e ascoltare spesso negli appuntamenti estivi delle Residenze a Duino.
E’ un poesia che appare lieve e leggebile, ma nel contempo non nasconde una ricercatezza piacevole, dove la citazione di poeti importanti, che vennero ben prima di noi, è spunto e traccia importante, ma mai sfoggio fine a sé stesso.
Si ripercorrono quei versi noti con il senso dell’oggi e questo moto da qui all’allora arricchisce.