Anticipazioni – Fabrizio Bregoli

Pubblicato il 15 gennaio 2018 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa

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Fabrizio Bregoli
Inediti e
Spunti di Politica Poetica
(Testi da “Zero al quoto”, prossima pubblicazione con Puntoacapo Ed.)

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Con un commento di Laura Cantelmo

Nota di poetica
Non esiste poesia che non sia politica, nella accezione più autentica del termine, ossia che non si confronti con l’altro. Il ruolo della parola poetica consiste nel disvelamento del precario equilibrio che ci impone la società delle convenzioni, che distraendoci dal nucleo più autentico della nostra umanità, dalla nostra coscienza autocritica, ci impone verità preconfezionate e consolatorie, facilmente spendibili come impone l’assunto mercantile della contemporaneità. A forza di imporre ruoli, credi, aspirazioni, si è giunti ad una parcellizzazione e progressiva erosione dei valori a cui l’umanità dovrebbe ambire, per progressivi gradi di sottrazione e divisione, fino all’esito estremo in cui rimane solo con la sua bruciante rotondità di uno zero pieno, uno zero al quoto per l’appunto. È da qui che la poesia deve ripartire per poter ricostruire frammenti di possibile, senza poter additare strade certe, a causa della sua fragilità intrinseca, ma risvegliando pulviscoli salutari di dubbio e d’investigazione interiore, inchiodandoci alla nuda realtà di un io sempre più debole, incerto nella deriva di un sé prossimo e distante.

Fabrizio Bregoli

QUESTIONI GIURISDIZIONALI

Scale. Ne sale gli assiti
poco prima sconosciuti, indovina
androni, appartamenti dalle targhe
impolverate d’anni
e se bussa a quelle porte ne esala
a stento dalle serrature un esile
fumaiolo di polvere.
Stagna acqua dalle gronde,
più oltre rade un fruscìo di catene
quel che resta d’un cane in agonia.

A chi mai servisse quel censimento
era liturgia di pochi eletti
apprendere, la dovizia d’appunti
il puntiglio anagrafico
a quali arbitri ambisse, s’era solo
la disossata spunta degli assenti.
Dopo il disastro ai reattori, lo sgombro
i più savi erano migrati a nord
sui pianori, tra i boschi di betulle
grati del contendere arbusti alle alci.

Si dice che chi paghi dazio e assenta
o si lasci estorcere sconfessioni
si aggiudica la nuda proprietà
di queste sue macerie, il privilegio
di smemorare, diritto d’espatrio.
Indugia leggendo anche il suo, di nome
su quelle liste logore,
dubita a doverne certificare
esistenza, ragione o suo perimetro.
Potrebbe evaderne
uscirne illeso per vizio di forma,
tuttavia si vista, si legittima
cede a quel giogo.

Finalmente la vita
si sarebbe accorta di lui.
*
IL CONDOMINIO AZZURRO

Grandeggia un po’ più inquieto tra le spoglie
di casupole sperse alle campagne,
un monolito di cemento grezzo
che non vale la pena verniciare.
Ai piedi calza qualche stinta insegna
Mariani clinica veterinaria
la pizzeria d’asporto, il bar Sabbia
per illudere a non sai quale mare.
E tutto ha un senso asciutto di decoro
che non ammette indugio di colore,
solo le tapparelle sono azzurre
a non negare un angolo di cielo.

Gli striminziti spicchi dei balconi
sono poltrone messe in prima fila
sulle smancerie del Resegone
se si scrolla di dosso troppe nuvole.
Così succede che, per caso o errore,
qualche incomodo sbuchi dalle camere,
una vecchietta che sbanda sui tacchi
una badante russa con la pipa
quattro graziose all’incanto, un bimbetto
che pare scappato dai Martinìtt.
Dettagli che stonano, intrusi od angeli
nella luce sognante d’un Magritte.

Alcuni narrano che dopo l’una
nelle notti che brandiscono vento
– ma non sono da credere quei soliti
scavezzacollo sbronzi perdigiorno –
sulla pelle grinzosa di quei muri
si schiuda una pupilla color tuorlo
e in un trambusto di chincaglierie
il condominio si lucidi a festa,
in uno smalto intatto di maioliche
su tutta la facciata un solo palpito
balugini di quel suo cuore azzurro.
L’istante dove tutto si può assolvere.

Non dura che l’eterno di quell’attimo
che ci si trova già distratti e capita
d’inesorabilmente dover perdere.
Poi scocca un altro giro di lancette
e sgomita nei fianchi un nuovo giorno
uguale agli altri, la sua màcina onnivora.
*
FOSSE POESIA
Fosse poesia potrei indugiare
su qualche vezzo cromatico, un radere
di luce tra capelli e volto, indulgere
a un virtuosismo lirico, un pacato
trasgredire metrico, i trucchi buoni
che lusingano in una lana di fiato
stemperano la voce che s’aggruma.

Ma questa scena è minima, assoluta
non si concede appello, assoluzione.
Lui siede agli scalini, tra i piccioni
le gambe lacerate dalle piaghe
intruso tra quei cenci, qui recluso
in un rettangolo di cicche, di sputi
lo sguardo arrovesciato su detriti
di storie, ciò che ne resta tra le unghie
sudice, un bicchiere, stente monete.
Chiede nuda evidenza del suo esserci.

E non serve una poesia, un altro alibi.
*

ARBITRO DEL MINIMO

Un’altra fila svetta in tangenziale
una a una le auto brave s’inanellano
nella multicolore collanina
che si sciorina lenta lenta al bivio
di questa nuova uscita d’occasione.
Arese, nuovo centro commerciale.
La stessa cricca di marchi seriali
gli Zara, gli Intimissimi, i Mc Donald’s
Kasanova che sfodera padelle
Pandora che rispolvera il suo vaso
per chi non è di casa ai Compro Oro
lo smartphone che fa casta, fa tribù.

E fa invidia la razza sai di chi
rimane a terra, o controsterza con
debita grazia, alligna a bordo campo
ginestra tra asfalto e polvere.
E s’accontenta di remare a margine
nella reduce ritrosia d’indole
d’essere asola ad arbitro
del minimo, di ciò che tutti scansano.
Fa invidia chi desiste, chi s’avvale
del diritto di renitenza al consono.
Quelli che niente ha prezzo, tutto vale
tanto più se è vile. Quelli che pèrdono.

*

Notizia Biobiblio

Fabrizio Bregoli, nato nella bassa bresciana, risiede da vent’anni in Brianza. Laureato con lode in Ingegneria Elettronica, lavora a Seregno come progettista di sistemi di telecomunicazione. Coltiva da sempre la passione per la poesia, sfociata nelle prime pubblicazioni solo in anni recenti. La sua ultima silloge è “Il senso della neve” (Puntoacapo, 2016 – Vincitore del Premio Rodolfo Valentino e del Premio Biennale di Poesia Campagnola di Brugine, Finalista ai Premi Gozzano, Merini e Caput Gauri). Ha inoltre pubblicato per i tipi di Pulcinoelefante la plaquette “Grandi poeti” (2012). Per la poesia inedita gli sono stati assegnati, fra gli altri, i Premi San Domenichino, Giovanni Descalzo, Piemonte Letteratura, Terre di Liguria, Il Giardino di Babuk, il Premio Dante d’Oro dell’Università Bocconi di Milano, il Premio della Stampa al Città di Acqui Terme. Sulla sua poesia hanno scritto, fra gli altri, Tomaso Kemeny, Giuseppe Conte, Ivan Fedeli, Mauro Ferrari, Sebastiano Aglieco, Paolo Gera, Gian Piero Stefanoni.

*
Nota di lettura

In un tempo in cui prevalgono l’orfismo e una divaricazione profonda tra significante e significato, se un poeta afferma che “non esiste poesia che non sia politica, nella accezione più autentica del termine”, chi si propone, come la sottoscritta, di sondarne i testi, si sente quasi piacevolmente allertato. Il richiamo al ruolo politico del poeta presuppone una assunzione di responsabilità tesa a risvegliare nell’Altro “pulviscoli salutari di dubbio e di investigazione interiore” . Nella polis sono i cittadini a costituire il nucleo fondante ed è a loro che il poeta si rivolge per essere inteso. Poco importa qui individuare la tendenza a cui Bregoli va ascritto, ma indagare invece la sua scelta civile e pedagogica di stimolare nell’Altro la critica della graduale devastazione di valori che la cultura occidentale era riuscita fortunosamente a preservare, nonostante tutto.
I testi proposti sono coerenti con la nota di poetica dell’Autore. Si tratta di tematiche che interessano il modo acquiescente e passivo di larga parte della società nel porsi dinnanzi a meccanismi che stravolgono l’identità di ciascuno. In “Questioni giurisdizionali” l’inutilità di uno strumento burocratico come il censimento, che si limita ad essere quasi unicamente “disossata spunta degli assenti” viene riassunta in un distico fortemente sarcastico “Finalmente la vita/ si sarebbe accorta di lui”. L’interesse del Poeta per gli esclusi si concentra nella rappresentazione del degrado dei valori di convivenza e di connotazione identitaria del cittadino in base al suo grado di appartenenza a una “tribù” di consumatori definita dal numero di futili oggetti acquistati.
“Condominio azzurro” è una sorta di mitologia della miseria del quotidiano. Grazie alla figura del sarcasmo il monolito insignificante, sperso nella campagna, si fa oggetto antropomorfico, dotato di piedi: “calza qualche stinta insegna”. Teatro in cui si muove un’umanità misera, muta, in un’atmosfera surreale, di cui “alcuni narrano”: un narrant riecheggiante le gesta raccontate dagli storiografi latini in un contesto totalmente antieroico. A questo punto azzardo un richiamo, non certo inconsapevole da parte di Bregoli, a T.S.Eliot, a quella terra desolata in cui dei ed eroi nel nostro tempo sono “degradati” a dattilografe e fattucchiere, un’umanità adeguata a una realtà deprivata di senso. In “Arbitro del minimo” il segno della decadenza cui Bregoli fa riferimento si focalizza nell’accenno alla leopardiana ginestra, metonimia del “secolo superbo e sciocco”, il nostro, dominato dal centro commerciale, dove l’agone si risolve tra chi corre all’acquisto di merci che “fanno casta” e coloro che, rifiutandone l’umiliante possesso sono “ Quelli che pèrdono”.
“Fosse poesia”, dichiarazione di poetica già dalla prima strofa, prende di mira le convenzioni e i trucchi retorici della poesia e inserisce un fulminante ironico richiamo a un classico termine montaliano, “la voce che s’aggruma” fino a far intendere l’impossibilità di far poesia di fronte all’immagine miseranda di un mendicante cencioso, che chiede solo “evidenza del suo esserci”. Lui, l’escluso da ogni liturgia consumistica. Sorge così evidente il quesito sul senso di far poesia: “un alibi”, un lusso che forse non ci possiamo (più) permettere nella realtà odierna.

Laura Cantelmo

20 comments

  1. Fabrizio Bregoli ha detto:

    Ringrazio la redazione per l’attenzione alla mia poesia e tutti coloro che vorranno leggere questi inediti e scrivere un loro breve commento, una considerazione d’affinità o diversità nella visione del messaggio poetico e del suo ruolo. Questi testi partono dalla volontà di una versificazione dal tono narrativo, esplicito per confrontarsi con l’altro, sollevare discussioni sul nostro tempo. Senza avere paura di dire apertamente, esporsi.

  2. beppe mariano ha detto:

    Poesie politiche, certo; ma non soltanto sul versante del significato giacché la tessitura linguistica si compone di parole che per lo più consuonano aspre, “sgarbate”, secondo la tematica scelta.
    Felice e pregnante è anche la nota di presentazione.

  3. Fabia Ghenzovich ha detto:

    Fabrizio Bregoli ci parla della necessità di esserci, tramite il sovvertimento che la parola e la poesia attua, a smascherare lo zero in cui siamo caduti.Come non accogliere l’invito al confronto sull’umano, sapendo che ogni parola è atto politico a tutto tondo, per chi è pronto all’incontro con l’altro, senza timore di scoprire la propria/altrui fragilità.

  4. Adam ha detto:

    Come si può anche desumere dalla nota di Laura Cantelmo, e come richiama anche Mariano, poesia politica potrebbe anche essere un sintagma superfluo. Ogni espressione è comunque politica, nel senso che o prova a dare testimonianianza di sé nella polis, dando voce a qualche frammento della realtà altra da sé del soggetto che scrive, o facendosi voce del proprio altro, inconscio profondo e muto. Entrambe le realtà interne/esterne possono essere accostate, esaltando il significato che la parte conscia – cioè l’Io – del Soggetto Scrivente elabora. Oppure esaltando il ballo incurante del significato, con segni e suoni che si illudono di essere il significante cui il mondo (Interno/esterno) deve inchinarsi. Due rive: iperdetertminazione del significato e iperdetertminazione del significante. Entrambe avvolte da un mantello di ideologia che taglia alla radice il fare del poièin: la prima (riva) si avvolge in quello della Verità, assoluta e autoritaria da spiegare/rivelare al mondo; la seconda si inebria di sé, avvolta nel mantello della ideologia del testo, credendo che questo sia più importante di tutto il Resto, interno o esterno che sia, credendo nel miraggio lacaniano, che sia la (propria) lingua a creare il mondo, e non il contrario.

    Ora, come disse qualcuno (Jaspers) qualche secolo fa, abbiamo perduto l’ingenuità, e sappiamo che nulla è autonomo o meccanico. Ogni parte è parto del Tutto, meglio ancora, filiazione e materno al tempo stesso, per cui mondo e lingua si creano reciprocamente. In questo processo interminabile, pongo quella che chiamo Terza Riva, che sa i limiti sia delle parole, sia di ciò che chiamiamo Tutto. E sa che, se “la nostra forza è la scissione”, “le relazioni e ragioni interne, che fanno scattare in noi quell’indefinibile salto di fiato che ci fa dire poesia, si collocano su un crinale che continua a (cercare di) riconnettere e sconfessare la frattura tra Io e mondo, al di là di ogni canone formale inventato prima e dopo il ‘900” (vedi “Corpi d’amore”, mio saggio in “La poesia e la carne, La vita felice, 2009). L’unica alternativa è l’interminabile ricerca di adiacenza di senso tra parti e mondo, che si traduce nel soggetto nel coinvolgimento adiacente tra tutte le parti di sé, e nel testo in forme di adiacenza tra suono, immagini e senso, che possano darci lembi di conoscenza dell’Altro dalle parole.

    Purtroppo da molti poetanti questa complessità è semplicemente ignorata, o considerata elucubrazione superflua, per cui gran parte dei testi sono di “similpoesia” (come la chiamava Raboni) e sostano beatamente su l’una o l’altra delle due rive, spesso con protervia incurante e priva di dubbi, mentre oscillano tra aborti e ornamenti ininfluenti. Bregoli si pone invece tra i poeti che operano su questo crinale di Progetto ignoto, privo di sicurezze a priori, “per chi è pronto all’incontro con l’altro, senza timore di scoprire la propria/altrui fragilità” (come dice Fabia), ma entro il quale abbiamo la possibilità di dare vita a qualcosa che ci fa dire, poesia. Che, se tale, è sempre politica. Politica poetica, dunque, su cui è utile soffermarsi, quanto più galleggiano intorno alle suddette due rive, corpi di similpoesie.

    • alfredo rienzi ha detto:

      Ho trovato di estremo interesse i testi (uno, almeno, già mi era noto), la Nota di poetica e quella di lettura (che, su una campionatura significativa, ma comunque ristretta di testi, ha privilegiato il tratteggio tematico dei singoli testi), nonché i commenti. Io che seguo da alcuni anni Fabrizio, non posso che essere favorevolmente colpito da una convergenza che vedo confermarsi: solido oggetto (se vogliamo, mi pare, ancora più focalizzato, “progettuale”) e la preziosa, curatissima tessitura lessicale e versale (amplia e deroga al suo endecasillabo prevalente). Un po’ semplicisticamente mi pare di poter dire che il componimento-narrazione tende a farsi anche, o un po’ di più, componimento-tessera.

    • Fabrizio Bregoli ha detto:

      Lucida analisi quella di Adam in cui non esito a rispecchiarmi. Credo che fare poesia sia proprio ricercare l’anello di congiunzione fra significato e significante, fra Io e inconscio, fra sentimento / percezione e ragione / intelletto, in modo tale che la nostra voce possa concretarsi, farsi parole,

  5. luigi balocchi ha detto:

    Io credo che Fabrizio coniughi a una squisita struttura formale, un lirismo profondo. Lui, è tutt’altro da me. Ma la sua poesia mi piace. La trovo lussuriosa. E al contempo intima. vi ritrovo un sottile, sapiente, gioco di eccessi. E’ una poesia che indica, svela. Fabrizio caro, sei Numinoso….

    • Fabrizio Bregoli ha detto:

      Grazie caro Luigi, la poesia ha sempre in sé il gusto, talvolta lussurioso, che si rivolge alla parola, per scoprirne il ganglio più nascosto.

  6. Sergio Gallo ha detto:

    Ho riletto con piacere queste 4 nuove poesie di Fabrizio. Che ha migliorato ancora nella capacità di costruire versi con il suo stile poetico, metabolizzando sempre meglio linguaggi tecnici moderni e più nobili parole “letterarie”, aggiungendo a ciò una capacità descrittiva più narrativa e “fedeliana” direi. Attendo di leggere la raccolta nuova, sicuro di trovarvi ulteriori sorprese e liriche stimolanti.

    • Fabrizio Bregoli ha detto:

      La scelta di questi testi si impronta ad una poesia con forti coloriture narrative o di poesia-pensiero traendo spunto da occasioni quotidiane. In altre sezioni del nuovo lavoro il lettore troverà invece uno stile di tipo completamente diverso, per finalizzare un messaggio poetico di spaesamento, svuotamento dell’Io che si interroga sulla propria inevitabile debolezza (vedi le sezioni “Amba Alagi” e “Iconoclastie”) traendo spunto da una forte riflessione anche su aspetti della storia recente (vedi la sezione “Memorie -da un futuro-). Insomma, un libro da scoprire. O almeno ci spero…

    • Fabrizio Bregoli ha detto:

      Inoltre la tessitura del nuovo lavoro prevede delle personae (nella accezione originaria del termine) che si introducono trasversalmente attraverso le varie sezioni per portare frammenti di senso o di spaesamento (ad esempio Frau Goebbels, Elena Ceausescu, Laslzo Toth, Leni Riefenstahl, alcune voci anonime che parlano in prima persona) disseminando messaggi / provocazioni funzionali al disegno complessivo (dare evidenza di questa riduzione allo zero).

  7. Adam ha detto:

    Una precisazione/integrazione: se la poesia tende alla totalità della vita, può riguardare ogni suo aspetto, sentire e vedere, quindi anche ciò che possiamo chiamare lussuria. La quale rientra in quella che per me (non a caso ho richiamato nel mio precedente commento il saggio “Corpi d’amore”) è la sua radice più profonda, imprescindibile e vitale, cioè dell’eros, linfa d’amore nel senso più ampio e multiforme che non coinvolge solo la sessualità, senza la quale però L’Altro rimane inerte e la lingua non si accende. E questi testi e scambi ne sono la riprova.

  8. Stefano Baldinu ha detto:

    Dopo il meritatamente pluripremiato libro “Il senso della neve”(ed. Puntoeacapo) anche in queste liriche che anticipano il nuovo lavoro del Bregoli, l’autore non smarrisce la sua necessità di analisi, di entrare fino alle radici delle cose, dei fatti, delle persone. Con estrema precisione Fabrizio Bregoli esamina ciò che gli accade intorno e, come in una lezione di anatomia, seziona ogni minimo particolare perché non sfugga alla sua attenzione, ma ancor più alla nostra. Perché è a noi che si rivolge, è a noi che vuole lanciare un messaggio preciso, quello di non fermarsi a ciò che osserviamo in superficie. Ed è proprio qui che la parola di Bregoli ci prende per mano e ci fa oltrepassare la soglia di questo “zero” al quale ci siamo appiattiti e unificati per tornare a spingerci verso una “quotazione” una elevazione che ci consenta di superare le fragilità per condurci a riscoprire l’unicità di valori veri e autentici. E, secondo il mio punto di vista, a riscoprirci un poco migliori. Di queste liriche conoscevo già “Fosse poesia”, ma anche le altre qui inserite sono state una piacevole scoperta e un altrettanto piacevole lettura.

  9. Gabriele Borgna ha detto:

    Il fare poesia di Fabrizio Bregoli stupisce. Complimenti vivissimi

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