Anticipazioni – Alberto Bertoni

Pubblicato il 1 febbraio 2017 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni

Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni

Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa

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Dopo una diecina di Autori coinvolti in questa sorta di operazione antologica, quale è Anticipazioni, credo si possa rilevare tra le forme poetiche pur molto diverse selezionate, una tensione di senso comune, che mette al centro la (o parte dalla) propria esperienza e/o identità, quale immagine mobile intrecciata al divenire della storia umana condivisa. Il poìèin, se posto su tale crinale del singolo e di una comunità, può esaltare il suo fare metamorfico. Che vuole comunicare (col senso di mettere in comune, come inteso da Antonio Porta) e non chiudersi in un cerchio intimistico e autoreferenziale (come molta poesia odierna), dentro la tensione originaria del suo ramo più ricco e dantesco, di contribuire all’interminabile percorso di seguir virtude e conoscenza.

E di tale ricerca sono un esempio anche i versi che seguono

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Alberto Bertoni

Testi dalla raccolta inedita “Fischi d’inizio

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Con un commento di Adam Vaccaro

Nota di poetica

La poesia per me è un fare mentre la faccio, però prima di tutto è un fare quando riesco a leggerla nel modo giusto, facendo silenzio dentro di me ed eseguendo la sequenza verbale che la compone come se fosse una partitura musicale, vale a dire un impareggiabile impasto di ritmo, tono, timbro e senso logico delle parole. La poesia come decisivo, irrinunciabile meccanismo comunicativo, nel quale pesco anche un senso   della mia interiorità più profonda. Fare oggi affermazioni del genere può esporre anche al ludibrio dell’anacronismo e dello snobismo. E la cosa, con l’autoironia dovuta, non mi dispiace poi troppo.

Quando scrivo poesia entro davvero nella dimensione di forgiare il linguaggio che mi affiora prima alla mente e poi alla bocca, coinvolgendo: idealità, sistema di valori e livello inconscio; un’esperienza molto più vicina di quanto si pensi a quella del gioco, che produce un senso moltiplicato, fatto di significati, di suoni che non smettono di risuonarti tra lingua e orecchio.

Alberto Bertoni

Fischi d’inizio

Partita d’inverno

Questi sedici gradi di scirocco

pieno febbraio come quando

appassionati partivamo per lo stadio

seppelliti di sciarpa e di cappotto

massaggiandoci il naso congelato

l’attimo strano prima del fischio

ogni nostro conto arrotondato

a un eterno zero a zero

il mondo puro resto

in lentissimo adagio

Per l’ultima volta in città

il centrattacco e il marinaio

sono la favola, il fuoco del dettaglio

nel cervello sgominato di questo

scivolarsi via di lato

Baci

Le lumache le ostriche le rane

non ti piacciono tanto

anzi le odi

e dei Baci al cioccolato bianco

neanche parlarne

ma l’immagine diletta tornando a rimirare

nasce l’amore

annuncia quello che per sbaglio

un giorno piovoso e lontano

hai scartato

e che al tuo posto ho divorato

in un unico morso senza sguardo

mentre tu volavi a scuola

col solito minuto di ritardo

ma soprattutto senza di me, caduto intanto

nell’eterno mutismo di mia madre

curva da anni e da anni implorante

di non morire sapendomi solo

Di te, però

l’improntitudine e lo slancio

aveva amato

l’inizio e la fine del discorso

Una visita a Venezia

Nel buio dei Carmini fuggiamo

dal sole già durissimo di maggio

senza sapere che Carmelitano

era perfino sant’Alberto

ormai da qualche secolo sdraiato

nel quadro a destra dell’ingresso

Dopo poco ci cacciano

perché nulla, se c’è Messa, possiamo

tanto da ritrovarci in mezzo al Campo

Lotto anche lui negato

mentre tu se non altro ci hai provato

a buttarti in ginocchio

per ingannare il cerbero

che impugna un cartellino rosso

non troppo immaginario

davanti al disincanto di me

Alberto modenese odierno

ma tutto fuor che santo

Laico, disancorato, vuoto

di argini e confini, topo

in crisi d’equilibri,

sul canale

Cose

Una volta, in epoche lontane

ho scelto il mio divorzio dalle cose

Le compro, mi cadono, ne rompo

gli involucri di base

o appena posso le butto

negli antri del pattume

e se non posso volentieri le accompagno

a un trasloco di senso e di ruolo,

quando mi sento l’uomo

più adatto a conquistare

l’assoluto non essere che sono

Ma come sanno vendicarsi, loro!

E un inciampo improvviso del tono

mi scioglie in questo roco

sprofondo della voce

parla al mio posto

dall’angolo di fiordo più remoto

Un altro giorno è andato

Per fare una qualunque cosa,

tipo: compiere un gesto,

leggere un testo

e neanche pensare a uno scherzo,

nel mondo tecnologico, glocale

e molto burocratico di oggi,

antefatti e postfatti bisogna

prima soppesare e valutare,

organizzazioni domestiche, finalità

o sistema economico nel quale

quel gesto quella qualunque frase

s’incastrino e dimostrino obbligati, per esempio

il tuo recarti ogni mattina presto

a comprare due giornali, berti

il primo caffè leggero, fatto da cinesi

perché il cuore non acceleri di colpo…

O leggere ore dopo Dylan Thomas

si dimostri e senza tema di smentita accerti

che non reca nocumento alcuno

al nucleo familiare, al ruolo

che ricopri nel mondo e insomma

al mansionario da cui viene regolato

ogni passaggio in totale accordo

con le norme più sicure di volo

Ma soprattutto che non sia tu stesso

col tuo sogno fuori tempo e luogo

a bloccare le valvole, lo sfogo

Epifania

Tu, proprio tu che mi scandisci dritto

Gilberto! nell’orecchio sinistro

col tono misto di apprensione e di fastidio

destinato da sempre al tuo uomo

e molto più di rado anche a me stesso

Tu che vuoi togliermi dal poco,

stentato sonno del rovente pomeriggio

e costringermi a un salto in corridoio

per metterti meglio a fuoco

in una luce di passato

le scarpe a mezzo tacco

il prendisole chiaro

E per guardare cosa fa Gilberto

magari un po’ distratto

dall’appartamento dove abito adesso

così diverso dal nostro di quel tempo

tanto più povero e più sciatto

Gilberto detto Gil,

lontano un passo

dall’addio con tanto

di bacio e

travolgente abbraccio

che mai e poi mai avresti sopportato

Invece, nessun profilo,

ombra di persona

senza dar segno la gatta curiosa

che sia filtrato un alito

un tremito di vento

dalla fessura che ferisce il buio

scacco matto del sole al pavimento

Gente di Modena

Il cielo sembra incerto, oggi

non azzurro ma nemmeno brutto

e in piazza Grande divampa il chiacchiericcio

delle Madri Teste Grigie in conflitto

col vuoto integrale di persone,

alberi e cose

Frettoloso, refrattario

non so più come salvarmi

né da quale

forma diversa di solitudine

nel mattino opaco

e breve come un polline

all’ombra biancastra della torre

quell’attimo che pende

sul selciato

Giocare oltre l’umano

vendere, comprare

e mai, mai finire di sperare

noi cani sciolti alla canicola

mentre rimbalzano le sfere

vicinissime al chiodo di questa

ora contraria e fuga

Gente così di Modena

Metamorfosi

Una delle prime cose che farò

quando tutt’e due saremo alberi

sarà dimenticarti

ma senza whisky e senza psicoanalisi

No, saprò dimenticarti

donando le foglie più casuali,

ribelli, irregolari

alle schiere di passeri sui rami

e – vedrai – saprò dimenticarti

come ho già dimenticato

gli immani soffi atlantici

le diastoli e le sistoli del mare

che si tende o si apre

di sei ore in sei ore

così che ogni giorno quattro volte

avanza e si ritira

Io e te con le facce come

cortecce di rughe,

buchi da sembrare tane

e radici del buio più profonde

io e te saremo entrambi bravi

a dirci come siamo stati

portatori nel complesso sani

d’abbandoni e resistenze

E così, rimanendo tali e quali,

fruste di salici, ali

potremo all’infinito ricordarci

***

Notizia biobibliografica

Alberto Bertoni è nato a Modena nel 1955 e insegna Letteratura italiana contemporanea e Prosa e generi narrativi del Novecento nell’Università di Bologna. In poesia, dopo una serie di opuscoli, libretti, plaquettes inaugurata nel 1981, ha esordito con il volume Lettere stagionali (Book Editore, Castel Maggiore (BO) 1996, nota di Giovanni Giudici), a inaugurare una sequenza di sette libri, conclusa fino a oggi da Traversate (SEF, Firenze 2014, prefazione di Paolo Valesio).

Le sue principali tradNotizia Biobibliografica autore inoltre delle antologie Poesia della traduzione (ivi, 2003, in collaborazione con Alberto Cappi); e Trent’anni di Novecento. Libri italiani di poesia e dintorni 1971-2000 (Book Editore, Castel Maggiore (BO) 2005). Con il poeta Enrico Trebbi e con il saxofonista e autore jazz Ivan Valentini, ha partecipato ai CD La casa azzurra (Mobydick, Faenza 1997) e Viaggi (Arxcollana & Book Editore, Castel Maggiore (BO) 2001). Con lo stesso Valentini e col pianista jazz Michele Francesconi ha infine inciso, nel 2012 per Mobydick di Faenza, I giorni assenti.

Per Book Editore dirige le collane di poesia contemporanea “Fuoricasa” e “Quaderni di Fuoricasa”; per il Corsiero Editore la collana “Strumenti umani”. Suoi testi sono stati tradotti in russo, inglese, francese, ceco, ungherese e romeno. Una sua antologia poetica è stata tradotta e pubblicata in lingua spagnola: El guardian del lugàr, Biblioteca fip, Granada 2010.

Sul versante critico, è autore di diversi articoli, interventi militanti, saggi e volumi di argomento novecentesco. In particolare, si devono ricordare i libri curati per le edizioni del Mulino, dai Taccuini 1915-21 di Filippo Tommaso Marinetti (1987) al lavoro metrico Dai simbolisti al Novecento. Le origini del verso libero italiano (1995), fino al “manuale” La poesia. Come si legge e come si scrive (2006) e a La poesia contemporanea (2012), cui si possono aggiungere Montale, in conclusione (2014) e Scrittori da un ducato in fiamme (2016).

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Nota di lettura

Tendo a sintetizzare con canti del disincanto la ricerca espressiva di Alberto Bertoni, offerta anche con questi inediti. Entro tale ossimoro vengono sapientemente svolti, snodati, denudati, punti e appunti del percorso oltre la pagina del soggetto storicoreale. Il quale sa donare al soggetto scrivente distacco e intime confessioni, ironia e autoironia, solitudine e condivisioni. Tutto impastato in un’aura densa di saudade emiliana. Il singolo, se chiuso in sé, è frutto e causa di una società decantata dell’ideologia dominante solo come somma di individui. In cui viene ridotto “ogni nostro conto arrotondato/ a un eterno zero a zero”. È un conto fatto da una postazione “davanti al disincanto di me” di “Alberto modenese odierno”, “Laico, disancorato, vuoto/ di argini e confini, topo/ in crisi d’equilibri”

E se pure “Una volta…/ ho scelto il mio divorzio dalle cose/…lo sprofondo della voce/ parla al mio posto/ …nel mondo tecnologico, glocale/ e molto burocratico di oggi”, “col vuoto integrale di persone, alberi e cose”, “forma diversa di solitudine/ nel mattino opaco/…all’ombra biancastra della torre”. La distanza dalle “cose” (in particolare dalla fascinazione/sudditanza psicologica delle cose tecnologiche, per cui tradurrei qui “autonomia”) favorisce adiacenza al respiro profondo, alla Cosa che intreccia singolo e collettivo, visibile e invisibile, verità e falsificazione, fuori e dentro la poesia.

Versi limpidi e caleidoscopici che riguardano chi scrive e la comunità vicina-distante – “Gente di Modena” – in cui vive. E allora, in questa solitudine scelta/respinta, “Giocare oltre l’umano” attuale del “vendere, comprare/ e mai, mai finire di sperare/ noi cani sciolti alla canicola/ mentre rimbalzano le sfere/ vicinissime al chiodo di questa/ ora contraria e fuga”, noi “portatori nel complesso sani/ d’abbandoni e resistenze”.

Versi di un Io che, ridotto da es-plosioni del bisogno di rottura degli scudi e di dire, crea così un’adiacenza sospesa, che brilla più nella polvere acre della strada che in quella di una stanza. Versi che, senza gridare o piangere, parlano ben oltre il cerchio di una provincia, parlano di tutte le identità trafitte e tradite dal pensiero unico neoliberista, che non è un cloud, una nuvola sospesa, ma terribile ideologia sulle gambe di coloro che sono al suo servizio.

Versi di un gesto di ricerca di bellezza, non in cielo ma qui e ora, in re, avvolti e travolti dal moto immobile in cui respiriamo e ci riconosciamo, mentre diciamo: Un altro giorno è andato. Mi vengono in mente i versi di Nelo Risi: “Il nonrisolto il circoscritto/ anni gracili un’aria senza moto/ con tutto il freddo addosso” (“Né il giorno né l’ora”).

Adam Vaccaro

One comment

  1. adam ha detto:

    Riporto di seguito due commenti di Alberto Bertoni con una risposta da parte mia, postati sulla pagina FB di Milanocosa. Credo siano meritevoli di interesse per i lettori che non si collegano in FB – saranno pochi, ma ci sono ancora.
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    Ti ringrazio di cuore, Adam, hai fatto un lavoro editoriale e soprattutto critico a mio parere bellissimo, Alberto
    1 · 2 febbraio alle ore 16:20

    Caro Alberto, sono felice del tuo riscontro alla mia lettura, fatta come sempre – come sai – in autonomia e onestà, o per usare mie categorie, con adiacenza di testa-pancia-cuore
    Commento di Adam Vaccaro · 3 febbraio alle ore 16:28

    ————————
    Caro Adam, ribadisco il mio grazie di cuore e naturalmente ho condiviso il post su fb, per i miei circa 4800 amici. un abbraccio, Alberto

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