Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Alberto Bertoni
Poesie inedite
(da un work in progress al momento intitolato
Semplici abbandoni)
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Nota di lettura di Adam Vaccaro
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Dichiarazione di poetica
Confesso di non amare molto le dichiarazioni di poetica, anche perché per alcuni decenni mi sono scisso in due: il critico-docente e l’estensore di testi versificati. Le mie due parti non sempre sono andate d’accordo e spesso ho proprio tenuto lontani i due campi di attività, non fino al punto di scrivere su tavoli diversi, ma dedicandomi a queste per me contrapposte forme di scrittura in tempi e stati d’animo differenziati.
Certo, a parte Montale, i miei punti di riferimento più saldi nella tradizione novecentesca sono Sereni e Giudici, ma sulla mia scrittura hanno influito anche libri come Il disperso di Cucchi, Somiglianze di De Angelis, Postkarten di Sanguineti e Passi passaggi di Porta, oltre a poeti americani come Simic e Wright. E poi ho ammirato e tuttora ammiro il lavoro di coetanei di gran classe: Magrelli e Anedda, Frasca e Pusterla.
Dunque non posso parlare di una poetica troppo coerente e univoca. Aggiungo che – a partire dagli anni ’90 – ho goduto molto di un ambiente vivo come quello bolognese e ho cominciato presto a imparare dalla poesia di autori più giovani, in particolare Giancarlo Sissa, Vito Bonito e Francesca Serragnoli. A quest’ultima riconosco per esempio di avere pubblicato di recente un libro di poesia davvero molto notevole, il più bello a mio gusto di questo tremendo 2020. E mi piace concludere questa nota con una frase tratta di lì, nella quale mi identifico in toto, soprattutto per il punto interrogativo finale: “Ogni vita ha la sua pioggia. Ogni vita ha un volto solo. Fra io-tu c’è un abisso e una stretta di mano, mai mischiare le vite. Allora il vecchio dilemma: a che serve leggere la vita degli altri?”
Alberto Bertoni
Roma Anno Zero
per Gloria Bellezza
Come un vero rabdomante
fiuto nebbia nell’aria
anche se l’alba è già segnata
da una pennellata larga
di cotto e di ceramica
fra le ombrelle dei pini, le palme, i saliscendi
e alla fine i neon di Termini
Secca, improvvisa
ed eccola, la nebbia
appena passato il cimitero acattolico
e il Verano dopo Tiburtina
con tutti quei corpi rattrappiti
e i mucchietti di ossa e di vestiti
cui sono ridotti oggi
Gadda, Gramsci, Pasolini
Una nebbia come quella dell’entrata
degli eroi nell’ade
la nebbia che basta e avanza
a perdere la strada
e ad arredare tutto di ceneri e canzoni
melodrammatiche, soffi, spasmi, ricordi
o litanie di gesti per toccare
le spalle vuote d’aria
di quei morti
Niente esperienze né contatti
con ciò che straripa del presente
le cronache mondane, le ansie meteorologiche
e un manipolo fascista a Macerata
dove hanno paura di chi
ai neri non spara
Pure scommesse a perdere
il niente dei discorsi, tutti i nostri
possibili racconti, gli eroi
che ogni volta un po’ più labili
abitano con noi
i ricordi
*
Dalla lontananza
Il punto di mondo che ti accoglie,
questo taglio di luce, la venatura
verde delle foglie
davanti a casa, nel minuscolo giardino
e le persone
in cui t’imbatti quelle rare volte
che esci a fare spesa
col tuo cane verso sera
o forse di mattina presto
quando il popolo è disperso
nell’odore e nel gesto
del giorno che s’annuncia
senza il minimo senso
Ecco dove
vorrei convergere, trovare ritmo e sguardo,
abbandonarmi al corpo a corpo
col tempo che è passato
da un altrove all’altro
ma soprattutto con te
nonostante il freddo di questo
primo brivido d’inverno
Tutto scomparso. E tu vedi
che nel punto preciso che ti ha accolto
per me non c’è stato posto
Quel mai detto del volto
*
Weekend
Sotto un sole che inganna
e che incendia anche tutti
i rifiuti di luce
gli scarti le feritoie cosmiche
dove casuali, disarmoniche scintille
saltellano fra i riflessi delle buie
stelle già morte
di cui appendi il bagliore
al chiodo delle voglie più assurde
specchiate nelle nuvole
che t’incombono addosso
da pochissimo piovute
dov’è tardi
troppo tardi per le tue
scampagnate vuote
*
Da una scritta su un muro di Milano, autunno 2020
On n’y va plus en voyage
mi ripeto appena sveglio
ma non so perché in francese
lingua in cui non penso
Spero non sia per il pessimo
noir che ho letto
un attimo prima del sonno
o per le madeleines
che per uno nato a Modena
sono salamino non troppo stagionato
e un bicchiere di lambrusco
Però il monito è vero,
di viaggi sarà impossibile parlare
almeno per il prossimo biennio
ma tu sta’ calma, non voglio che soffri
e come a Milano oggi
recita un muro
Passa al lato oscuro,
abbiamo i biscotti!
*
Notizia biobibliografica
Alberto Bertoni è nato a Modena nel 1955 e insegna Letteratura italiana contemporanea e Poesia del Novecento nell’Università di Bologna. In poesia, dopo una serie di opuscoli, libretti, plaquettes inaugurata nel 1981, ha esordito con il volume Lettere stagionali (Book Editore, 1996, con una nota di Giovanni Giudici), a inaugurare una sequenza di sette libri, conclusa fino a oggi da Traversate (SEF, Firenze 2014, prefazione di Paolo Valesio), dalla silloge Poesie 1980-2014, Nino Aragno Editore, Torino 2018, dal libro in dialetto modenese Zàndri, Book Editore, Riva di Po (FE) 2018 e dalle traduzioni di Irlandesi, Corsiero Editore, Reggio Emilia 2020. Per riscontro critico e diffusione, spiccano tra loro le tre edizioni di Ricordi di Alzheimer (2008, 2012, 2016), pubblicate da Book Editore e accompagnate da una poesia in versi pavanesi di Francesco Guccini oltre che da una nota critica di Milo De Angelis. Suoi testi sono stati tradotti in russo, inglese, francese, ceco, ungherese, arabo e romeno (Amintiri din Alzheimer. O poveste, Eikon, Bucuresti 2017, traduzione e cura di Eliza Macadan). Una sua antologia poetica è stata tradotta e pubblicata in lingua spagnola: El guardian del lugàr, Biblioteca fip, Granada 2010 (traduzione e cura di Raquel Lanseros e Fernando Valverde). Per Book Editore dirige le collane di poesia contemporanea “Fuoricasa” e “Quaderni di Fuoricasa”; per il Corsiero Editore la collana “Strumenti umani”.
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Nota di Lettura
Di queste Anticipazioni di Alberto Bertoni (presente in alcune importanti iniziative di Milanocosa) voglio sottolineare, in primo luogo, il lavoro in progress, il fatto di essere introdotti nel laboratorio dell’Autore. Un dono certo collaterale alla lettura dei testi, ma che, in poesia, comporta ricerca e sapienza di comporre, dopo il là del primo impulso (quel primo verso da alcuni assegnato a qualche voce divina), di lavorio artigianale.
È una sorta di nastro-pedana, da cui trarre slancio per inventare/sviluppare il proprio percorso. Una base concreta suggerita anche dalla serie di nomi/numi, che compongono un Exemplum e paradigma molteplice per le proprie forme sui binari di maestria e umiltà, costitutivi del lavorio suddetto.
E sin dai primi versi, troviamo conferme di tale atteggiamento generale o nucleo generante del Soggetto Scrivente, di una ricerca di forme e senso a mani nude di fronte all’incessante nuovo della vita. Che, qui e ora, si presenta come un’alba nebbiosa, cui la sete di virtude e conoscenza impone umiltà e appigli affidabili: ”Come un vero rabdomante/ fiuto nebbia nell’aria” di un’alba romana disegnata tra pini, palme e luci fredde della Stazione Termini, nome tutt’altro che casuale. Le pennellate e il viaggio proseguono infatti tra le “ombre” che l’Autore richiama con le immagini di “quei corpi rattrappiti/ e i mucchietti di ossa e di vestiti/ cui sono ridotti oggi/ Gadda, Gramsci, Pasolini”.
La “nebbia” dello scenario è “come quella dell’entrata/ degli eroi nell’ade”, “eroi/ che ogni volta un po’ più labili/ abitano con noi/ i ricordi”. Il distillato, emozionale e razionale, è Dolore e Resistenza della totalità del Soggetto e del suo disegno di “Anno Zero”. Un “punto di mondo”, di spazio-tempo “del giorno che s’annuncia/ senza il minimo senso”. È questa la nebbia-veste del dolore, lucida presa di coscienza, che però non diventa resa nichilistica davanti alla percezione di “lontananza” tra io e Altro, di denuncia del collasso antropologico in essere, alla radice del pensiero unico imperante.
Tonnellate di chiacchiere sul’Altro, ma pochi testi e autori si misurano col suo “dilemma”. L’altro e l’oltre è sì un abisso insuperabile, guai a illusioni fusionali, ma l’Altro è fonte-territorio di etica, bellezza, senso e sacro (di credenti e non credenti), splendidamente rappresentati dalle due dita della Cappella Sistina. Tuttavia, “nonostante il freddo di questo/ primo brivido d’inverno”, resiste la necessità di “trovare ritmo e sguardo”, cui questi testi danno forme, anche se pare “nel punto preciso che ti ha accolto”, “non c’è stato posto”.
“On n’y va plus en voyage“, scritta su un muro a Milano diventa così un “monito” per un ben altro viaggio. Ma resiste la vita che trae energie, in “uno nato a Modena”, anche da un “salamino non troppo stagionato/ e un bicchiere di lambrusco”. Lampi che intrecciano ironia, sapienza e umiltà terragne, oggi quanto mai necessarie e perdute stelle, nella nebbia storica della crisi, economica e culturale, in cui ci dibattiamo.
Adam Vaccaro
testi molto concentrati e tesi in una visionarietà permeata del quotidiano, l’ironia fa da filtro nella decostruzione dei fantasmi. Grazie!
Ricevo per email da Paolo Valesio, con richiesta di pubblicazione, questo commento che con piacere aggiungo. Adam
“Ritrovo in questi versi il tono umano e stilistico dell’amico Alberto, congiunto a un ulteriore approfondimento nell’l’esplorazione del suo mondo. Ringrazio per l’occasione”
Mille grazie, e auguri per tutto da
Paolo Valesio
In data 8/2 ho ricevuto questa email di Alberto Bertoni:
“Molto bello, ti sono davvero grato.”
Alberto