Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Alessandra Paganardi
“MONOGRAMMA” – SILLOGE INEDITA (parte della raccolta inedita Il resto della vita)
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Con un commento di Laura Cantelmo
Nota illustrativa
Fernando Pessoa scriveva all’incirca queste parole nel Libro dell’inquietudine: “Un paesaggio di campagna mi fa stare solo bene. Ma un paesaggio di città mi fa stare bene e male. Per questo lo preferisco.”
Dopo aver ricordato le intense parole di Pessoa, ho ben poco da aggiungere sulla mia scelta in merito a questi testi inediti. Fanno parte di un gruppo di poesie ispirate alla percezione che della città (e in particolare di due zone specifiche di Milano e immediati dintorni, il Corvetto e Chiaravalle) aveva la mia amata poetessa Antonia Pozzi. Ho già avuto occasione di ricordare in un incontro al MUDEC le circostanze che ispirarono la Pozzi nell’ultima metà degli anni Trenta e fino alla sua morte, avvenuta nel 1938: erano piccole trasferte di scoperta, d’amore e di solidarietà condivise con Dino Formaggio e dedicate agli ultimi, ai reietti della Casa degli sfrattati di via dei Cinquecento.
Questi testi sono nati lentamente, ma tutti di seguito (come ultimamente mi accade) e sono stati rifiniti più e più volte. Sarebbero tredici, ne propongo otto – il numero che mi è stato suggerito. Sono anche una riflessione sul compito, la fatica e il senso di fare poesia. Volentieri li presento al progetto “Anticipazioni”, ringraziando Milanocosa per l’attenzione e l’ospitalità.
Alessandra Paganardi
Monogramma
Ma pezzo muto di carne io ti seguo
e ho paura
pezzo di carne che la primavera percorre
con ridenti dolori.
(Antonia Pozzi)
Il tempo firma il bianco della fronte
come il morso di un angelo
spaventa la radice dei capelli
si appende nella gola
da piccola inseguivo le parole
erano loro a correre sul foglio
– gli occhi stavano fermi
granuli azzurri scappati dal cielo –
la chimica testarda del carbonio
non si stancava di rifare mondi
dove non ero stata mai prevista
li ritrovavo tutti in quel quaderno
tra la fronte e le dita – sempre nuovi
ibridati
*
parole mi fermentano in bocca
sono cristalli d’argento nel fango
bisognerà aspettare
che scappino dall’alto come fuochi
di San Lorenzo – aspettarle pazienti
con stupore d’amante che sorveglia
la gioia di una donna
sospendere la mano sopra il foglio
solo un attimo prima
perché ogni sillaba vi nasca viva
interrogare dal fondo del nero
la scena muta dell’alba
*
Lentamente il suo volto
scardina il mio pudore
è una conquista d’occhi
randagi fissi altrove
la gioia mi cammina sulle labbra
lo guardo mentre dorme
ha braccia di granito e di palude
l’odore dei suoi sogni
riempie di terra i solchi fra le nuvole
e le stagioni passano
mentre il cielo s’inclina
Il cemento corteggia la campagna
la rincorre affamato d’amore
entra nelle sue ossa
invade il fresco delle risorgive
il parto è qui
un prodigio di secoli immobili
un canto fatto pietra
le tombe fuori campo
degli annegati eretici
e dei benefattori inconfessabili
provo pena per questo dio di marmo
ci attira in una trappola di gioia
ci dissecca come binari morti
invidioso di noi
*
In ogni istante dorme la sua ombra
il doppio fondo scuro
bello soltanto da dimenticare
amo le tazze sbrecciate
le loro crepe familiari
dicono la fatica incandescente
dei tramonti nel chiuso di un solstizio
bevo a sorsi la luce prigioniera
giro attorno alla scheggia d’argilla
come quando sul secco del torrente
ripetevo il mio sogno d’autunno –
e passava la mente come un volo
*
Il baco fa più bella la sua mela
gonfia le vene di carne inattesa
dal ramo non sospetti la ferita
poi tocchi il frutto e lo senti più grave
più fragile come per troppa vita
e già ti viene tolto
quello stare sospeso dentro un niente
tra l’arco e la sua freccia
hai nostalgia della nota perfetta
l’attimo prima del suono
*
La tua schiena mentre t’allontani
è un trapezio di marmo
che conserva i pensieri
nella forma intangibile del cerchio
e la felicità vista di spalle
mare rinchiuso sul naufragio
si rimargina come una ferita
non potrà più far male
ho fermato il tuo passo nello scatto
prima che l’acqua e la pietra
diventino la voce del saluto
*
Ma tu stammi attraverso parola
nell’orbita da geco dei risvegli
senza riparo
stammi non vista alle spalle
abbraccio per la mente che rovina
nell’implacabile ora prima
restami spalancata nella bocca
dello stupore dell’amore della cena
buona di quando si è bambini
restami libro amico
rifugio caldo di ogni carta da gioco
scompaginata
confìcca dentro il fianco la parola
come dopo una corsa
si fa stella il dolore
rimani non più io non più voce
non più corpo invadente
che per essere sempre
vuole essere solo
*
Notizia Biobibliografica
Alessandra Paganardi, nata a Milano nel 1963, vive, insegna e scrive a Milano. Raccolte di poesie: La pazienza dell’inverno, Puntoacapo 2013 (premio Operauno), Tempo reale, Joker 2008 (premio San Domenichino 2009); Ospite che verrai, 2005 (ristampa 2007). Plaquette: Frontiere apparenti, Puntoacapo 2009; Vedute, Ibiskos Ulivieri, 2008; Binario provvisorio, Seregno 2006; Potevamo dire l’assenza, Crimeni, 2005; Espansioni, Il club degli autori, 1998. Saggi critici, aforismi e narrativa: Breviario ,Joker 2012 (menzione speciale “Torino in sintesi” sez. inediti, 2010); La magnolia contro le persiane, in AAVV, “Milano per le strade: racconti”, Azimut, Roma 2009; Lo sguardo dello stupore: lettura di cinque poeti contemporanei, Viennepierre 2005, (finalista “Nabokov” 2008). Ha ottenuto riconoscimenti in numerosi concorsi per editi e inediti, fra cui i primi premi: “Europa in versi” (2016); “Alda Merini” (2013), “Astrolabio” (2009), “San Domenichino” (2009 e 2007), “G. Gozzano” (2007), “D’Annunzio e la Versilia” (2007), “Dialogo” (2003). Ha pubblicato testi su vari blog e riviste, partecipato a rassegne ed eventi, svolto diverse collaborazioni editoriali. È presente nella redazione della rivista letteraria internazionale “Gradiva”.
*
Nota di lettura
Citando Pessoa, Alessandra Paganardi ci introduce alla silloge “Monogramma” scegliendo come campo di ispirazione, tra città e campagna, la prima, in quanto luogo che “la fa stare bene e male” al tempo stesso. Con l’orecchio teso al canto della sua amata poetessa, Antonia Pozzi, che nella periferia milanese coltivava attivamente l’amore per gli ultimi, nonostante il suo profondo legame con la natura, Paganardi intraprende un viaggio nell’indicibile. Tale è la fatica di esplorare la scrittura, la sua poesia stessa per individuarne l’origine, la nascita dell’ispirazione, “la fatica e il senso del fare poesia”.
Città e campagna si ritrovano intrecciate in immagini che percorrono la storia della dedizione allo scrivere. Al centro, sempre, la gioia della creazione, un’esperienza di amore fisico, che nasce nella giovane età come germinazione spontanea, quasi precedendo il pensiero, per poi giungere, col tempo, a una consapevolezza che frena l’impulso della parola “perché ogni sillaba vi nasca viva”, attingendo la luce dell’alba dal fondo dell’inconscio. In controluce balugina l’ombra di Antonia Pozzi, in un’alternanza di dolcezza e di rigore, nella scelta delle immagini che vanno dalla pietra (la durezza del marmo, del granito, delle tombe, la ceramica sbrecciata) alla varietà dei paesaggi dove l’acqua è ora statica palude, ora gorgogliante risorgiva: “il parto è qui”. Anch’esso esperienza liquida, che dà vita a un canto che ha l’eternità della pietra.
Una scrittura, quella che si dispiega in questa silloge, che si muove spesso in una profonda oscurità, tra classici endecasillabi, settenari e versi più liberi, dove paiono accendersi le luci del significato nella trama di immagini che si muovono dalla staticità melmosa della palude alla gioia impetuosa del torrente. Ed è in tale movimento che nasce questa poesia.
Laura Cantelmo
Ringrazio Laura Cantelmo per aver colto, in pochi sensibili tocchi, quel bisogno di coniugare divergenza e rigore che ci fa scegliere maestri in cui riconoscerci. Amici distanti, direbbe Blanchot, e proprio nella distanza si dà la profondità della relazione. Grazie!
Una prova provata, questa di Alessandra Paganardi, della tenuta della poesia che ancora fa leva tenace sul significante e riesce a comunicare con lessico incisivo e potenza metaforica ogni inquietudine dell’oggi. Echi e suggestioni dalla quotidianità si intrecciano sapientemente con il dolore delle ferite urbane da emarginazione, presenti nel testo seppure non circostanziate, evocando una salvezza possibile solo attraverso la parola; la parola come quella di Antonia Pozzi qui riecheggiata, quella detta e scritta con umanità e amore.
restami libro amico
rifugio caldo di ogni carta da gioco
scompaginata
confìcca dentro il fianco la parola
come dopo una corsa
si fa stella il dolore
Annamaria Ferramosca
Grazie Annamaria…so che anche la tua parola poetica è particolarmente sensibile alle solitudini e alle enmarginazioni di cui spesso non ci rendiamo conto!Credo che ogni poeta sia, a modo suo, prossimo al dolore.