Trame di nascita -Rosella Prezzo
TRAME DI NASCITA, di Rosella Prezzo, Moretti e Vitali, 2023
Nota di lettura di Maria Carla Baroni
Libro molto ricco e denso su cui ci sono moltissime cose da dire. Salterò di palo in frasca toccando alcuni punti che mi stanno particolarmente a cuore.
Noi in Occidente siamo figli e figlie della Bibbia e dei miti greci: della Bibbia secondo cui la donna fu creata da una costola del primo uomo; per fortuna esistono altre culture e altri miti. Maria Silvia Codecasa, nel suo libro “I sette serpenti”, Manifestolibri, 1994, dedicato al culto dei serpenti e delle Dee madri in Asia e nel Pacifico, ci parla di un mito dell’isola di Makira o San Cristobal, nell’ arcipelago delle Salomone, secondo cui il creatore plasmò una donna con la creta, poi le sfilò una costola e ne fece il primo uomo.
Diffondiamo questa buona novella.
Una forma di nascita è anche quella operata dal linguaggio: il linguaggio crea, fa nascere alla vita sociale, alla vita collettiva. In questa sede parlare del doppio linguaggio di genere è in un ceto senso scontato, ma lo faccio per quanto riguarda un aspetto: nelle bibliografie e nelle note dei saggi quasi sempre vengono citati autori e autrici con le iniziali del nome e con il cognome. Nella bibliografia di Rosella Prezzo viene citato il nome completo, ma nelle note solo le iniziali. Ci sono autori e autrici ultranoti/e, ma altri/e meno. In questa procedura, di cui non riesco a vedere le ragioni pratiche, che spesso mi hanno detto imposta dagli editori, io vedo solo la volontà maschile di occultare la creatività e il pensiero delle donne.
A proposito di linguaggio, in italiano si dovrebbe dire la madrepatria e non solo la patria: in inglese dicono motherland, la terramadre, la Pachamama, la terra madre dei popoli indigeni latinoamericani.
Desidero dire qualcosa sulla prospettiva dell’utero artificiale o ectogenesi, che ha abbastanza spazio nel libro e che Rosella Prezzo chiama utopia! (pag. 97) Assolutamente no. È una distopia, una distopia terrificante. In primo luogo perché significherebbe sottomettere alla tecnologica capitalistica, sviluppata per aumentare il potere dei pochi che già lo detengono, e quindi sempre più invasiva e opprimente, anche il fatto più naturale, più umano al mondo e cioè il nascere. E poi perché significherebbe la realizzazione della prospettiva maschile di non aver più bisogno delle donne neppure come ricettacolo del loro seme, la prospettiva di eliminare le donne anche come incubatrici…Non mi sarei mai aspettata che una donna – Sulahimi Firestone – potesse proporre, come soluzione all’oppressione del genere maschile su quello femminile e alla maternità come destino imposto (per perpetuare la specie e per trasmettere i beni e i titoli nobiliari), il rifiuto delle donne a fare figli e la procreazione completamente artificiale.
A parte l’impraticabilità su larga scala, è una prospettiva aberrante. Avere figli/e è naturale e non vedo perché mai le donne dovrebbero ribellarsi alla natura, che ci ha attrezzate a fare e ad allevare i figli/e, ad es. dotandoci di una maggiore resistenza immunologica e a disastri come le carestie. È la cultura maschile, la scienza maschile coeva al capitalismo nascente che vuole sottomettere la natura, con i bei risultati che stiamo vedendo. Sul come intendere la natura, basta confrontare il pensiero di Isaac Newton (funzionale appunto al capitalismo nascente) e il ribaltamento, con la critica femminista rivoluzionaria di Carolyn Merchant in “La morte della natura”, Garzanti, 1988.
Essere madri, quando lo si sceglie, è bello, la nascita è potenza; è anche potere, un potere che il genere maschile ci invidia e a causa del quale ci ha sottomesso per millenni, ha sottomesso i nostri corpi e ha valorizzato solo le creazioni, le nascite della mente, che attribuisce solo a se stesso, negando alle donne come genere – in Occidente fino all’inizio del Novecento – la possibilità di istruirsi, di andare a scuola. Tuttora i talebani in Afganistan impediscono alle donne di andare a scuola.
Due considerazioni in campo medico/sanitario, che esula dall’impostazione del libro di Rosella Prezzo, a mio parere utili per sottolineare quanto il potere maschile, sotto forma di potere medico, si sia già impadronito della maternità e della nascita: 1) l’eccesso di medicalizzazione del parto, che si traduce in un abuso di parti cesarei (anche perché questi vengono rimborsati agli ospedali come interventi chirurgici, a differenza dei parti naturali), un eccesso di parti indotti, uso di posizioni obbligate per partorire, episiotomie senza necessità, mancanze di rispetto con parole e comportamenti che configurano talora una vera e propria violenza (detta – impropriamente – violenza ostetrica), separazione dei neonati/e dalla madre dopo il parto; 2) l’accanimento a voler tenere in vita a tutti i costi anche creature che nascono con menomazioni gravi e gravissime e/o con pluripatologie, destinate alla sopravvivenza di pochi giorni o mesi o anni o, peggio ancora, a una sopravvivenza prolungata in cui sono impediti/e dal comunicare, destinati/e a istituzioni totali o a una convivenza straziante per le loro madri.
L’obiettivo delle donne non deve essere liberarsi dalla maternità, ma liberare la maternità scelta e voluta dagli ostacoli che ancora incontra e ottenere – contemporaneamente – il ruolo che si vuole nel mondo del lavoro e nella vita pubblica, politica: le donne delle classi lavoratrici in Italia non sono libere di essere madri tutte le volte che lo vogliono (disoccupazione, lavoro precario e sottopagato, part time spesso imposto, carenza e alto costo di servizi per l’infanzia e per la terza e quarta età) e, anche quando riescono a essere madri, non hanno le condizioni materiali per poter partecipare alla vita pubblica, politica.
Vorrei accennare al tema dell’adozione, a mio parere troppo ignorato dalle donne: un modo per far nascere alla cura e all’amore esseri umani già esistenti; un modo per essere madri che non causa alcun problema alla salute delle donne, come invece fanno i bombardamenti ormonali legati alla fecondazione assistita.
Mi ha molto colpito la critica della vulgata secondo cui noi siamo i “comuni mortali”, mentre esistiamo in quanto siamo “natali” e sono ancor più orgogliosa e felice di essere donna da quando ho letto che alla filosofia di morte di Martin Heidegger (l’essere-nel mondo-attraverso-la- morte) si è contrapposta la filosofia della nascita di Hannah Arendt e di Maria Zambrano. Se non fosse che per questo aspetto è fondamentale leggere il libro di Rosella Prezzo. Ho a casa vari libri che trattano delle filosofe nel mondo e alcuni di questi ignorano totalmente Maria Zambrano. Ovviamente non ho fatto uno studio sistematico in questo senso, ma desidero segnalare un fatto che mi ha colpito negativamente.
Il dato della nascita come fatto meramente biologico di Martin Heidegger aveva trovato la sua estremizzazione in una strofa di Bonvesin de la Riva, intellettuale milanese del XIII secolo, dell’Ordine degli Umiliati, notissimo autore de “Le meraviglie di Milano”, che nella sua opera “Il libro delle tre scritture” aveva scritto: “La nascita dell’uomo è di colore nero / perché egli è generato da schifose interiora / dove il sangue è mischiato con puzza e con sozzura.”
Anche il cattolicesimo – incarnato in una istituzione totalmente maschile – è una ideologia di morte, basata sulla colpa, sul peccato, sulla punizione, anche simboleggiata come è dal Cristo in croce, più o meno sanguinante.
Matriarcato e patriarcato, un tema che mi appassiona, soprattutto in quanto donna che ha dedicato e dedica tuttora la sua vita all’impegno politico nella prospettiva di costruire una società più giusta e solidale, o – che dir si voglia – meno ingiusta, meno violenta, meno individualista ed egoista di quella capitalistica attuale.
Non mi stupisce che per l’uomo maschio Sigmund Freud il patriarcato costituisca un progresso della ragione e del giudizio razionale rispetto al matriarcato. Non condivido però quanto scrive Rosella Prezzo: “Una risposta a tale concezione…non credo però possa venire da un semplice ribaltamento, riconducibile a un “primato” di una società matriarcale su quella patriarcale.”
Le studiose delle società matriarcali – alcune delle quali ancora esistenti in vari continenti esclusa l’Europa – mettono sempre bene in chiaro che matriarcato non è l’opposto di patriarcato, cioè non è l’oppressione del genere femminile su quello maschile; una società matriarcale è una società “venuta prima”, nel Paleolitico, e soprattutto è una società egualitaria, pacifica e solidale, basata sulla proprietà comune e sul ruolo centrale delle madri nell’organizzazione della vita economica e sociale; sulle madri che ricevevano tutti i beni prodotti e li conferivano ai vari componenti del clan secondo il bisogno, indipendentemente dall’apporto dei singoli.
Solo società organizzate con le modalità matriarcali potranno salvare la sopravvivenza del genere umano e della vita in generale sul pianeta.
Milano, 28 marzo 2024
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