Pubblicato il 5 giugno 2012 su Resoconti da Adam Vaccaro
PAPA RATZINGER A MILANO
E’ appena terminato il “settimo Incontro mondiale delle famiglie”, evento semi internazionale organizzato alla grande, come al solito, dalla chiesa cattolica a Milano. Con fortissimo impatto mediatico e pagato in gran parte con soldi pubblici. Solo il Comune di Milano ha stanziato oltre tre milioni di euro a cui si devono sommare i soldi della Regione Lombardia e le spese dello stato per la mobilitazione massiccia di polizia, carabinieri, vigili del fuoco, servizi di sicurezza, protezione civile, elicotteri in volo, ecc. Si parla di circa 13 milioni che con la crisi in atto e con il terremoto in Emilia sarebbe stato utile avere in cassa.
A cosa è servito tutto questo? A sostenere la famiglia, a celebrarla, si dice. Ma quale famiglia? Di quale famiglia papa Ratzinger, senza maggiordomo e con i corvi in casa, è venuto a parlarci? Non quella dei musulmani o degli ebrei o degli atei. Non quella delle coppie di fatto o delle coppie omosessuali. Non quella fatta da persone che sono catalogate come cattoliche ma che in realtà non praticano neanche sporadicamente i riti della chiesa cattolica, come per esempio andare a messa alla domenica, e che quando ci vanno lo fanno solo per conformismo sociale. Le statistiche infatti ci dicono che nel nostro paese i credenti sono solo una minoranza. La famigia di cui la rock star Ratzinger è venuto a parlarci è la famiglia con timbro di garanzia della chiesa, una costruzione ideologica più che una realtà sociale importante. Se poi consideriamo anche che moltissime sono le persone che vivono da sole e non hanno nessuna intenzione di farsi una famiglia, possiamo dire tranquillamente che il papa ha parlato alla minoranza della popolazione italiana.
Ma poi, vediamola un po’ più da vicino questa famiglia idilliaca, da mulino bianco, immaginata da una casta di religiosi che ne parlano senza averla mai vissuta. La famiglia che tutti vorremmo è il luogo dell’amore fra i genitori e dei genitori con i figli, il luogo della condivisione, della responsabilità reciproca e del reciproco rispetto. Ma è sempre proprio così? Perché in questa tre giorni catto ciellina non c’è stato spazio per denunciare le violenze contro le donne che avvengono quotidianamene e soprattutto in famiglia? Chi picchia, chi stupra, chi uccide è quasi sempre il marito, il fratello, il fidanzato, il partner. Con la progressiva distruzione dello stato sociale e l’aggravarsi della crisi, entrano in crisi anche le famiglie, nelle famiglie entrano la precarietà e la disoccupazione, si va avanti senza prospettive, senza speranza, ed è nella famiglia che il carico dei servizi sociali perduti e il lavoro domestico e di cura si accumula sempre più e soprattutto sulle spalle delle donne, che ne vengono sfinite, fisicamente ed emotivamente. E se la donna cerca di ribellarsi, nasce la violenza contro di essa, elemento debole, vero o presunto, della famiglia.
La sequenza impressionante di donne uccise in famiglia in questi mesi ci dice che tutte queste donne sono accomunate dal fatto di essere state uccise “in quanto donne”, per avere trasgredito il ruolo ideale di donna a loro assegnato dall’uomo, dentro la famiglia e fuori, per essersi prese la libertà di decidere cosa fare della propria vita, per essersi sottratte al potere, al controllo e al “possesso” del proprio padre, partner, compagno, amante. Per la loro autodeterminazione vengono punite con la violenza e, spesso, con la morte.
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