Marcio d’Occidente – Piergiorgio Odifreddi
Reificazione e deificazione neoliberista del capitalismo globalizzato
Adam Vaccaro
Nel libro di Piergiorgio Odifreddi, C’è del marcio in Occidente, Raffaello Cortina Editore, 2024, p. 261
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Una prima versione di questo saggio è sulla Rivista “Odissea” del 22 dicembre 20024
https://libertariam.blogspot.com/2024/12/ce-del-marcio-in-occidente-di-adam.html
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Questo libro di Piergiorgio Odifreddi regala un vento benefico che irrompe in una atmosfera soffocata da smog sempre più irrespirabile, e ci aiuta a spazzarla via.
È un vento di irrisione di ogni falsità spacciata come verità, dai poteri in atto, in Occidente, ma non solo, nel presente, ma non solo. E per farlo somma una impressionante dotazione di conoscenze pluridisciplinari, dalla filosofia, alla storia, alla letteratura, all’economia, ma non solo. Perché, se si vogliono smascherare i crimini e le menzogne del potere, o meglio, dei poteri storicamente articolati in Occidente, occorre dotarsi di adeguate ricchezze di conoscenze delle sovrastrutture portanti la realtà complessa in cui viviamo. La quale ci riversa verità apodittiche e ideologiche, attraverso un esercito mai così vasto di propaganda massmediatica, con la quale ci raccontano di essere i più liberi e i migliori custodi della Verità e del Mondo secolarizzati. Ne deriva un pensiero unico e assoluto, consono alla radice patriarcale di un fondamentalismo religioso su cui è cresciuto, che ha sempre ucciso socialmente e fisicamente, ogni obiezione critica, o visione altra.
Odifreddi è un esempio, tra i pochissimi, di superamento della divisione tra le due culture – umanistica e scientifica – fonte di impoverimento delle nostre possibilità di conoscenza, e conseguentemente di libertà concreta rispetto alle falsità spacciate e necessarie alla gestione di ogni potere. Tale indirizzo è seguito dall’Autore con passione, coraggio e un lavoro incessante di acquisizione di strumenti di analisi nel corso dei suoi decenni di vita, che questo libro sintetizza con efficacia, non solo di argomentazioni, ma di esposizione chiara e divulgativa, che rende la lettura delle sue 260 pagine, un attraversamento benefico dei temi e problemi intricati con cui, qui e ora, ogni persona dalla mente minimamente viva si confronta quotidianamente.
Tuttavia, la sua apertura di ricerca, non penalizza una critica serrata rivolta a pressoché tutti i pilastri millenari della nostra identità culturale, a cominciare da quella umanistica “Gli umanisti… dall’Ottocento in avanti hanno rimosso le vere origini dei Greci, inventando il mito di un popolo unico che arrivava dal nulla, e di un sapere unico che non si basava sui nulla… di una razza pura e di un pensiero puro, senza contaminazioni biologiche e culturali. Un mito colonialista, razzista e protonazista durato quasi due secoli, che ha cominciato a essere smantellato soltanto negli anni Ottanta del secolo scorso” (pag. 141-143). È stato in effetti un frutto malsano de Le Origini rimosse, analizzate dal libro di “Martin Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica (Il Saggiatore, 2011)”.
È un tema enorme di cui mi limito qui a citare qualche spunto, con la finalità di sollecitare la lettura del libro e ulteriori approfondimenti, su questo come sul corollario di problemi complessi sollecitati da un testo spoglio di ogni connotato ideologico, motivato dalla conoscenza di un sistema di potere invisibile e presente in cielo in terra e in ogni luogo, al pari del Dio inventato dai suoi figli prediletti.
Ma mentre quel Dio è silente o parla solo a chi è acceso dalla sua fede, il dio dell’impero odierno continua a parlare e assordarci, raccomandano di mai disconnetterci, perché solo così diventiamo, piccoli atomi del suo corpo, alimento e merci di un circuito incessante di suoi e nostri deliri. È il più potente dio mai creato, perché è dentro di noi, anche non credenti, fatto di cose, succhiate come ostie, senza bisogno di un ministro e una messa. Perché di ministri ne ha un numero immenso e la messa non è solo la domenica, ché è di ogni giorno e notte, senza interruzioni. Una messa officiata da cori di voci trasmutate in meccaniche, fonti di una realtà virtuale, rispetto alla quale è difficile resistere e non farsi ridurre a illusi senzienti senza realtà:
“Oggi viviamo infatti in un rintontimento collettivo in cui non contano i fatti, ma solo le fantasie. E non tanto quelle istituzionalizzate come la religione, la metafisica e la letteratura… Quanto piuttosto quelle… del divertimento immediato e mediatico: film, serie televisive, programmi spazzatura, talk show, videogiochi, giochi di ruolo e parchi di divertimento…Oltre al Grande Fratello televisivo, che paradossalmente ha tutto di huxleyiano e niente di orweliano” (p211).
È una giostra di illusioni e divertimento, di cui è perno l’industria della pubblicità, il più parassitario, redditizio e fiorente settore economico di questa decantata era della libertà, canestro di chiacchiere, falsità e idiozie che producono soggetti omologhi, quali definiti dalle analisi del meme, delle nuove scienze: la mente fatta anche di neuroni-specchio, che la sua anima bambina, affamata spugna di immagini e suoni, trasmuta attraverso i cinque sensi del ‘cervello bagnato’ (come chiamato da Rita Levi Montalcini) in pandolce da succhiare, prima di verificare se è un panettone inondato dalla muffa.
“Questo spiega la vera e propria epidemia di stupidità che ‘per l’universo penetra e risplende’… prodotto di veri e propri virus della mente”, messi in scena “dal gran circo dei media” e “che si diffonde non perché meriti… ma perché più adatto a farlo”, che “non significa affatto ‘migliore’, e confondere le due cose può causare guai… significa soltanto ‘più contagioso’, e spesso ‘letale’” (pp. 56-57)
Se la letteratura, la poesia e la musica erano condimenti della pietanza della vita, che comunque aiutavano a sentirne il sapore e quindi a conoscerne la sostanza, tanto da poter dire che la poesia in ogni forma era ciò che dava nome alle cose, nel circo mediatico dello spettacolo contemporaneo, ogni funzione di conoscenza della realtà è polvere drogata di emozioni che – con diluvi di cartoons, serial killer, fantasy, soap opera, supereroi ecc. – devono infarcire la capacità di pensare, scodellando un polpettone che diventa la vera realtà mentale. La civiltà dello spettacolo e dell’immagine è un traghetto delizioso di arma di distrazione di massa, che senza una visione critica, castra la capacità di elaborazione conoscitiva della complessità di sé e dell’altro. Il che diventa una vera festa per il dio al potere, se “i nostri occhi sono perennemente puntati su uno schermo, del cellulare, del computer, della televisione, del cinema o dei videogiochi. Raramente interagiamo con altri esseri umani o con il mondo esterno.” (p. 211).
Il risultato è una massa alienata e passiva di atomi singoli senza identità e comunità, che realizzano il sogno neoliberista di E. Thatcher: “non esiste la società, esistono solo gli individui”. L’essere sociale è cancellato e nel suo vuoto regnano libere le catene invisibili del dio che decide vita o morte di miliardi di esseri viventi (umani e no) con dei clic. Il libro di Odifreddi è, all’opposto, corpo di testo che riafferma come il processo autopoietico dell’identità individuale è alienato, perduto e impossibile, senza l’interazione con l’Altro, costruita entro una complessità e molteplicità sociale e culturale. Per cui una identità individuale o è propaggine di una collettività, o non è. Ed è solo il misticismo che fa della propria potenza di immaginazione un illusorio colloquio e cammino con e nella Totalità personificata nell’Altro, nell’alto dei cieli.
Delle tante interazioni di cui il libro si fa scrigno di ricchezze, c’è quella con lo scrittore portoghese Josè Saramago, del quale si ricorda che “il suo Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) fu censurato in Portogallo, andò a vivere in volontario esilio nelle isole Canarie, fino alla morte. E dopo uno dei periodici eccessi di difesa perpetrati da Israele nei confronti dei Palestinesi, fu accusato di antisemitismo per aver dichiarato: Mi chiedo se quegli ebrei che morirono nei campi nazisti non proverebbero vergogna per gli atti infami che i loro discendenti stanno commettendo. (p.215). E, a tale proposito, Odifreddi ricorda che “Per difendersi dal disdegno nei confronti delle disumane azioni israeliane, soprattutto quelle dei governi di ispirazione nazifascista del Likud di Begin, Sharon e Netanyahu, gli ebrei hanno iniziato a confondere ad arte “l’antisionismo contro la politica israeliana e l’antisemitismo contro il popolo ebraico” (p.120)
Il pensiero critico di Saramago evidenzia come la democrazia politica, diventi illusione democratica entro una struttura con un “unico indiscutibile potere: la finanza mondiale”. Per cui concludeva: se la “democrazia economica ha ceduto il passo a un mercato oscenamente trionfante” e la “democrazia culturale” rientra anch’essa tra i prodotti sussunti dalla “massificazione industriale” della giostra dello spettacolo, rischia di aggiungersi ai fiori di arredamento di una sovrastruttura priva di capacità dialettica di incidere sulla realtà dell’invisibile potere dominate, talché “Noi non stiamo progredendo, ma regredendo” (pp.216-217)
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