Linguaglossa

Saggio sulla poesia di Alfredo de Palchi

Pubblicato il 16 marzo 2017 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Giorgio Linguaglossa, La poesia di Alfredo de Palchi – Quando la biografia diventa mito (L’anello mancante del secondo Novecento)

Edizioni Progetto Cultura, 20127 – 141 pag., 12 €

È un libro di sicuro interesse per ogni appassionato di Poesia. Perché l’autore ci offre, attraverso l’esame della poesia di de Palchi, un percorso di riflessione critica sulle diramazioni espressive che hanno caratterizzato la scrittura poetica dell’ultimo mezzo secolo. Dalle sponde dell’Ermetismo al Neorealismo, dagli sperimentalismi e ideologismi della Neoavanguardia alle varie forme di Minimalismo. Dall’esaltazione del segno-lingua a quella del soggetto-io (mentre si decantava ideologicamente la sua riduzione) e degli oggetti. Rispetto a questa serie di teorizzazioni e formalizzazioni, Linguaglossa fa risaltare l’anomalia e, anzi, “l’estraneità” di de Palchi, “senz’altro il più asintomatico del secondo Novecento”, “una individualità esasperata, un tragitto destinale che diventa il percorso della parola poetica”.

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Roma, anni Sessanta – Una poesia di Giorgio Linguaglossa

Pubblicato il 6 ottobre 2016 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Roma, anni Sessanta – Una poesia di Giorgio Linguaglossa – Commento di Mariella Colonna Filippone

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Il tedio di Dio

Roma. Anni Sessanta.

[…]

Roma. Anni Sessanta. Piazza Winckelmann.

Una buffa giostra. Aiuole di ghiaia.

Panchine di legno verniciate in verde.

La scuola media dove ho fatto il professore.

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L’Erba di Stonehenge – Mario M. Gabriele

Pubblicato il 8 settembre 2016 su Recensioni e Segnalazioni da Maurizio Baldini

TRE POESIE Mario M. Gabriele da L’Erba di Stonehenge (Progetto Cultura, 2016) pp. 90 € 10 Questi suoi versi, a dir poco stranianti e sovversivi, tesi a smantellare tutto l’apparato sensistico-sentimentale, biografico-intimistico, allusivo-simbolico post-novecentesco”; “Il mondo della globalizzazione, cloaca immensa di merci e rifiuti non riciclabili, si nega alla possibilità di una narrazione/rappresentazione totalizzante ma si offre, inerte, allo sguardo feticistico del collezionista” (cit. di Letizia Leone)

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Sorsi di saggezza

Pubblicato il 1 settembre 2016 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Sorsi di saggezza

La filosofia del tè di Giorgio Linguaglossa, Ed. Ensemble, Roma, 2015

Per una riflessione a tutto campo sul pensiero e la condizione umana si può effettuare una forma di spostamento, un’invenzione concettuale e creativa che ci dislochi  in un luogo e un tempo immaginario nel quale situare avvenimenti e figure. Questa è la strada che compie efficacemente Giorgio Linguaglossa nel suo La filosofia del tè, una serie di testi che, narrando, percorrono come sentieri diversi campi del pensiero attraverso la relazione maestro/discepolo, cioè il nucleo essenziale della trasmissione della conoscenza.

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Ricordando Umberto Eco

Pubblicato il 21 febbraio 2016 su Senza categoria da Adam Vaccaro

RICORDANDO UMBERTO ECO: Il Gruppo 63, quarant’anni dopo  [Prolusione tenuta a Bologna per il Quarantennale del Gruppo 63, 8.5..2003. 1 Eco Gruppo 63, 2003] da www.umbertoeco.it

by giorgio linguaglossa

umberto eco4

Crediamo che il miglior modo per onorare la personalità umana e intellettuale di Umberto Eco, scomparso il 19 febbraio 2016, sia quello di dargli la parola:

Riunirsi non vent’anni ma quarant’anni dopo può avere due funzioni, o profili. Una è la riunione dei nostalgici di una monarchia, che si ritrovano perché vorrebbero che il tempo tornasse indietro. L’altro è la riunione dei vecchi compagni della terza A, nel corso della quale è bello rievocare il tempo perduto proprio perché si sa che non ritornerà più: nessuno pensa che si voglia tornare indietro, semplicemente si sta recitando il proprio longtemps je me suis couché de bonne heure, e ciascuno assapora nei discorsi degli altri la propria madeleine inzuppata nell’infuso di tiglio.

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Nella fantasmagorica voliera di G. Linguaglossa

Pubblicato il 7 novembre 2015 su Saggi Poesia da Adam Vaccaro

Bird watching. Lo sguardo e il varco

di Annamaria De Pietro

Leggendo Giorgio Linguaglossa, Three Stills in the Frame. Selected poems, 1986-2014. Traslated by Steven Grieco, Chelsea Editions, New York 2015

Parla il Poeta

Ho una grande fantasmagorica voliera

che riempio d’ogni sorta di uccelli.

Là esiste il giallo canarino, il merlo sagace,

il pavido passero, il pappagallo filosofo,

l’ibis regale, il cuculo notturno.

Là insiste la mia esistenza.

Terza parte del Trialogo sull’Albero (pagina 152), in Paradiso, questi versi potrebbero sintetizzare la scrittura di Giorgio Linguaglossa, la scrittura di questa antologia che spazia in una lunga sequenza di anni. Fantasmagoria di astanze che, nell’arco del differenziale fra esistere ed insistere, cantano e volano come poesie, rigettando sistema e commento così come il loro eretico contrario.

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Dialoghi con l’altro mondo

Pubblicato il 6 luglio 2013 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

ESEMPI DI POESIA DELLA STAGNAZIONE

Pubblicato il 4 maggio 2012 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

ESEMPI DI POESIA DELLA STAGNAZIONE

Luca Grancini Dialogo con Dio La Vita Felice, Milano, 2012

Daniela Muti La bellezza del nero La Vita Felice, Milano, 2012

Salvatore Malizia Allodole e specchi La Vita Felice, Milano, 2010

Salvatore Malizia Intravista per caso La Vita Felice, Milano, 2011

Giorgio Linguaglossa

«Per parlare bisogna essere in due», scriveva agli inizi degli anni Venti Vasìlij Ròzanov.* Non è una boutade ma una constatazione di fatto e, del resto, sempre lo stesso scrittore scrive che «per chi è solo non esiste interesse perché per averne, bisogna essere in due».

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Poesia contemporanea: Francesco Dalessandro

Pubblicato il 16 gennaio 2012 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Francesco Dalessandro, L’Osservatorio, Moretti & Vitali, Bergamo, 2011

L’Osservatorio di Francesco Dalessandro fu pubblicato, per la prima volta in plaquette,  nel 1989 presso le edizioni Il Labirinto di Roma, e poi nel 1999 dalle edizioni Caramanica. Questa nuova versione ci consegna l’pera più significativa e cospicua del romano Francesco Dalessandro, appartenente alla generazione degli anni Ottanta,  che aveva il suo fortilizio nella rivista «Arsenale» con Gianfranco Palmery e altri valenti collaboratori. Cosa dire?, a distanza di più di due decenni l’opera di Dalessandro sembra acquistare smalto e consistenza proprio a causa della sua impoliticità di fondo: per quella poesia che sembra accarezzare il «paesaggio» e gli oggetti che fanno parte di quel paesaggio. Ecco, credo che oggi quello che risalta è l’impoliticità di fondo di quest’opera; altro aspetto che qui vorrei mettere in evidenza è che il paesaggio è quello visto dall’autore ogni giorno durante il suo viaggio di andata e ritorno dal luogo di lavoro. Ovviamente, è un viaggio privo di avventura e di scoperte. In una brevissima recensione del 1989 ricordo ancora chiaramente che scrivevo di «posizione estatica» di Dalessandro cercando di salvaguardarne l’immagine di poeta non necessariamente contemplativo pur nell’ambito di una categoria heideggeriana.
Certo, il libro rispecchia quelle che erano allora le linee della tarda poesia bertolucciana, il ritorno ad una poesia che si rivolgesse di più alla scatola acustica e meno alla temperie impegnata, civica o politica; era una poesia che sembrava aver messo nel ripostiglio dell’oblio le proposte di poetica che non provenissero dall’assunto di un indiscusso primato del Politico e da un rigorosissimo e severo controllo dell’organo della vista. Tuttavia, l’organo della vista (o meglio della visione) sembra dilagare ed effondersi in questa poesia quasi per prestare alle cose l’aura che le cose non hanno più o che la poesia sembra non essere più in grado di replicare in sé.
Ma la poesia di Dalessandro non vuole essere soltanto poesia di visione (pur se visione ad occhi aperti), né una poesia di veggenza; il moto lento e ondulatorio della visione dell’occhio segue docilmente l’andirivieni dei versi che si susseguono e si rimandano l’un l’altro senza soluzione di continuità, in un inseguimento incessante (quasi mai interrotto da segni di punteggiatura) non del senso ma dei sensi plurimi nei quali si cristallizza il senso delle visioni. Non una poesia a pendenza elegiaca (anche se l’elegia è la spia dominante di questo genere), non poesia del paesaggio quotidiano, anche se il quotidiano sembra trapelare un po’ dappertutto, non poesia di colori della città, anche se Roma è la protagonista assoluta di questa poesia.
Quello che allora, sul finire degli anni Ottanta appariva chiaro, è adesso agli inizi degli anni Dieci alquanto oscuro. La cornice degli eventi è cambiata e con essa è cambiata anche la cornice di lettura di un libro, è questo l’aspetto più interessante, credo.
Con gli anni Novanta apparirà chiaro l’infausto destino della poesia contemporanea: quello di essere costretta a muoversi all’interno di una scrittura tellurizzata, decentrata, bucherellata, spezzettata, psicosomatica, idiosincratica, persoanalitica, una sorta di periferia dei linguaggi peristaltici, mobili, dis-metrici, dis-tassici che nuotano in una geografia-topografia di rovine (lessematiche, semantiche, significazioniste). Allora, invece, si credeva ancora possibile ricostituire una parola politica, o meglio che fosse possibile riformularla secondo un linguaggio poetico che riuscisse a conciliare l’aspetto lessematico e quello fonosimbolico, tonosimbolico.  Ma tutto ciò non sembra scalfire  gli intenti di Francesco Dalessandro, né i suoi progetti per una poesia che riunisse la leggibilità con un ritorno alla tradizione. Gli anni Ottanta sono anni di riflusso ma possono contare su una cospicua serie di poeti di sicura qualità rispetto a questi nostri confusissimi anni di stagnazione economica, politica e spirituale, in cui è davvero difficile mantenere un orientamento. A quell’epoca c’era ancora un dibattito sulle sorti ultime e progressive. C’erano ancora i generi letterari con la sicurezza delle loro divisioni.

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DUE ESITI DEL MINIMALISMO

Pubblicato il 21 ottobre 2011 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

GIAN MARIO VILLALTA E PAOLO RUFFILLI: I DUE ESITI DEL MINIMALISMO

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