Crediamo che il miglior modo per onorare la personalità umana e intellettuale di Umberto Eco, scomparso il 19 febbraio 2016, sia quello di dargli la parola:
Riunirsi non vent’anni ma quarant’anni dopo può avere due funzioni, o profili. Una è la riunione dei nostalgici di una monarchia, che si ritrovano perché vorrebbero che il tempo tornasse indietro. L’altro è la riunione dei vecchi compagni della terza A, nel corso della quale è bello rievocare il tempo perduto proprio perché si sa che non ritornerà più: nessuno pensa che si voglia tornare indietro, semplicemente si sta recitando il proprio longtemps je me suis couché de bonne heure, e ciascuno assapora nei discorsi degli altri la propria madeleine inzuppata nell’infuso di tiglio. Continua a leggere »
Pubblicato il 7 novembre 2015 su Saggi Poesia da Adam Vaccaro
Bird watching. Lo sguardo e il varco
di Annamaria De Pietro
Leggendo Giorgio Linguaglossa, Three Stills in the Frame. Selected poems, 1986-2014. Traslated by Steven Grieco, Chelsea Editions, New York 2015
Parla il Poeta
Ho una grande fantasmagorica voliera
che riempio d’ogni sorta di uccelli.
Là esiste il giallo canarino, il merlo sagace,
il pavido passero, il pappagallo filosofo,
l’ibis regale, il cuculo notturno.
Là insiste la mia esistenza.
Terza parte del Trialogo sull’Albero (pagina 152), in Paradiso, questi versi potrebbero sintetizzare la scrittura di Giorgio Linguaglossa, la scrittura di questa antologia che spazia in una lunga sequenza di anni. Fantasmagoria di astanze che, nell’arco del differenziale fra esistere ed insistere, cantano e volano come poesie, rigettando sistema e commento così come il loro eretico contrario. Continua a leggere »
Pubblicato il 6 luglio 2013 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro
Pubblicato il 4 maggio 2012 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro
ESEMPI DI POESIA DELLA STAGNAZIONE
Luca Grancini Dialogo con Dio La Vita Felice, Milano, 2012
Daniela Muti La bellezza del nero La Vita Felice, Milano, 2012
Salvatore Malizia Allodole e specchi La Vita Felice, Milano, 2010
Salvatore Malizia Intravista per caso La Vita Felice, Milano, 2011
Giorgio Linguaglossa
«Per parlare bisogna essere in due», scriveva agli inizi degli anni Venti Vasìlij Ròzanov.* Non è una boutade ma una constatazione di fatto e, del resto, sempre lo stesso scrittore scrive che «per chi è solo non esiste interesse perché per averne, bisogna essere in due». Continua a leggere »
Pubblicato il 16 gennaio 2012 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro
Francesco Dalessandro, L’Osservatorio, Moretti & Vitali, Bergamo, 2011
L’Osservatorio di Francesco Dalessandro fu pubblicato, per la prima volta in plaquette, nel 1989 presso le edizioni Il Labirinto di Roma, e poi nel 1999 dalle edizioni Caramanica. Questa nuova versione ci consegna l’pera più significativa e cospicua del romano Francesco Dalessandro, appartenente alla generazione degli anni Ottanta, che aveva il suo fortilizio nella rivista «Arsenale» con Gianfranco Palmery e altri valenti collaboratori. Cosa dire?, a distanza di più di due decenni l’opera di Dalessandro sembra acquistare smalto e consistenza proprio a causa della sua impoliticità di fondo: per quella poesia che sembra accarezzare il «paesaggio» e gli oggetti che fanno parte di quel paesaggio. Ecco, credo che oggi quello che risalta è l’impoliticità di fondo di quest’opera; altro aspetto che qui vorrei mettere in evidenza è che il paesaggio è quello visto dall’autore ogni giorno durante il suo viaggio di andata e ritorno dal luogo di lavoro. Ovviamente, è un viaggio privo di avventura e di scoperte. In una brevissima recensione del 1989 ricordo ancora chiaramente che scrivevo di «posizione estatica» di Dalessandro cercando di salvaguardarne l’immagine di poeta non necessariamente contemplativo pur nell’ambito di una categoria heideggeriana.
Certo, il libro rispecchia quelle che erano allora le linee della tarda poesia bertolucciana, il ritorno ad una poesia che si rivolgesse di più alla scatola acustica e meno alla temperie impegnata, civica o politica; era una poesia che sembrava aver messo nel ripostiglio dell’oblio le proposte di poetica che non provenissero dall’assunto di un indiscusso primato del Politico e da un rigorosissimo e severo controllo dell’organo della vista. Tuttavia, l’organo della vista (o meglio della visione) sembra dilagare ed effondersi in questa poesia quasi per prestare alle cose l’aura che le cose non hanno più o che la poesia sembra non essere più in grado di replicare in sé.
Ma la poesia di Dalessandro non vuole essere soltanto poesia di visione (pur se visione ad occhi aperti), né una poesia di veggenza; il moto lento e ondulatorio della visione dell’occhio segue docilmente l’andirivieni dei versi che si susseguono e si rimandano l’un l’altro senza soluzione di continuità, in un inseguimento incessante (quasi mai interrotto da segni di punteggiatura) non del senso ma dei sensi plurimi nei quali si cristallizza il senso delle visioni. Non una poesia a pendenza elegiaca (anche se l’elegia è la spia dominante di questo genere), non poesia del paesaggio quotidiano, anche se il quotidiano sembra trapelare un po’ dappertutto, non poesia di colori della città, anche se Roma è la protagonista assoluta di questa poesia.
Quello che allora, sul finire degli anni Ottanta appariva chiaro, è adesso agli inizi degli anni Dieci alquanto oscuro. La cornice degli eventi è cambiata e con essa è cambiata anche la cornice di lettura di un libro, è questo l’aspetto più interessante, credo.
Con gli anni Novanta apparirà chiaro l’infausto destino della poesia contemporanea: quello di essere costretta a muoversi all’interno di una scrittura tellurizzata, decentrata, bucherellata, spezzettata, psicosomatica, idiosincratica, persoanalitica, una sorta di periferia dei linguaggi peristaltici, mobili, dis-metrici, dis-tassici che nuotano in una geografia-topografia di rovine (lessematiche, semantiche, significazioniste). Allora, invece, si credeva ancora possibile ricostituire una parola politica, o meglio che fosse possibile riformularla secondo un linguaggio poetico che riuscisse a conciliare l’aspetto lessematico e quello fonosimbolico, tonosimbolico. Ma tutto ciò non sembra scalfire gli intenti di Francesco Dalessandro, né i suoi progetti per una poesia che riunisse la leggibilità con un ritorno alla tradizione. Gli anni Ottanta sono anni di riflusso ma possono contare su una cospicua serie di poeti di sicura qualità rispetto a questi nostri confusissimi anni di stagnazione economica, politica e spirituale, in cui è davvero difficile mantenere un orientamento. A quell’epoca c’era ancora un dibattito sulle sorti ultime e progressive. C’erano ancora i generi letterari con la sicurezza delle loro divisioni. Continua a leggere »
Pubblicato il 21 ottobre 2011 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro
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