Kemeny

KEMENY – BOOMERANG

Pubblicato il 7 ottobre 2018 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Tomaso Kemeny
BOOMERANG
Edizioni del Verri, Milano 2018
pp.67, 15,00 e.

È bipartita, divisa com’è in due parti, tematicamente e stilisticamente, ma soprattutto moralmente, la più recente raccolta poetica di Tomaso Kemeny, Boomerang: con la prima, Ghost poems, che chiama in scena, nel “notturno abbaglio” del “cuore del silenzio”, la letteratura, sotto le spoglie dei “fantasmi” di oltre una ventina di poeti della contemporaneità novecentesca, tutti italiani tranne uno (Dylan Thomas), da Bertolucci, a Montale, da Luciano Erba, a Sanguineti, a Dino Campana, a Fortini, e giù giù fino a Zeichen e ad Amelia Rosselli, “poeti inquieti” evocati quasi a mo’ di sfida al lettore, fissati ognuno in un detto o in un vezzo memorabile; con la seconda, invece, Voci, che chiama in causa un “caos” di “voci ineguali del mondo” animate solo dalla “forza del sogno”, una gran folla (meglio, un Coro) insomma di personaggi che, come si dice nel primo testo introduttivo, reclamano il diritto di parlare in virtù dell’”energia della loro immaginazione” che si sprigiona dalla loro vita e dai loro versi, riverberandosi come “corrente di energia” sulla vita dei loro fruitori al di là del breve tempo della loro esistenza.
Letteratura e vita, dunque, quello che Kemeny nel suo dittico con la forza espressiva che gli è consueta propone definendo in nome di un’esigenza di memoria un sistema valoriale estremamente variegato a riprova di quanto entrambe reciprocamente si giovino e incidano nel processo di avanzamento della civiltà, sul teatro dell’eterna lotta tra Bruttezza e Bellezza, tra Costrizione e Libertà: come dire, un tributo da un lato alla letteratura, dall’altro alla speranza, a un sogno “impossibile” di crescita culturale e morale costruito attraverso la poesia.
Così nel primo dei due elementi, nei Ghost poems, è sorprendente come la presenza metabolizzata ed evocata di poeti anche molto distanti e caratterialmente eterogenei (si pensi, ad esempio, a Fortini e Sanguineti, ma anche a Pasolini) funzionino, sotto il segno della “différence”, come emblemi di una concezione in cui “tout se tient”, di un tutto armonico in cui pensiero e linguaggio, sogno e realtà, si integrano e collaborano ognuno per la propria parte.
Nel secondo, invece, quel che si compone per lacerti e bagliori è una sorta di nerudiano “Canto generale”, un canto di “eroi” che strappati brutalmente dalla vita (come Radnoti Miklos e Garcia Lorca) si rivelano oggi e sempre in grado di alimentare ancora “sogni e speranze degli uomini giusti” e di indirizzare “l’eterna lotta / contro l’ingiustizia” e la “disorganizzazione morale del mondo”. E’ questo, una sorta di Spoon River, che troviamo qui, nel poemetto Voci, dal grande empito civile, fissata in figure di grande forza suggestiva (esemplari, Camus, Rosa Parks, Luther King), che hanno sventolato il loro vessillo in nome di una umanità nuova, fondata sui valori della fratellanza universale.
Un’immagine, essenziale ma emblematica, per concludere, l’apparizione di Gabriele D’Annunzio, a riprova della poetica del Kemeny, espressivamente e moralmente votato alla poesia come “azione”: “I miti forgiati di terra / d’aria, di acqua e di fuoco / e di furente passione / trasformino la vita delle genti / seguendo la corrente d’energia / metamorfica che dal presente / muove verso l’ignoto / chiamato futuro”.

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