E. Sancino

Elisabetta Sancino – Collezione privata

Pubblicato il 17 luglio 2021 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Elisabetta Sancino, Collezione privata
Puntoacapo Editrice, 2021

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Adam Vaccaro

Il viaggio offerto da questo libro si svolge attraverso sale espositive in cui l’Autrice ha accumulato memorie culturali ed emotive (anche) con la sua attività di “promozione della cultura e dell’arte”, come cita la notizia biografica. Ne è derivata una collezione privata di opere, che costituiscono il pre-testo e una sequenza lungo secoli e temi, da cui è nato il testo.
Chi è il primo beneficiario/destinatario di questa operazione di scambi creativi tra verbale e visivo? Sono certo operazioni con lunga tradizione, come ricorda nella prefazione Cinzia Demi, che opportunamente rileva l’intento, altro dal “descrivere le opere”. È infatti evidente la sollecitazione primaria della propria interiorità – in primo luogo della parte inconscia, normalmente muta e come sappiamo, la più sedotta da colori e immagini.
Ne derivano forme di un tamburo visivo, teso a far dire all’Altro in sé “parole che vedo nella mente e non riesco a scrivere” (p.20). È l’approccio ri-creativo e il programma di ricerca espressiva, che opere informali (come quelle di Giulio Turcato o di Piero Dorazio), con flussi di colori al limite di carte da parati, sono ovviamente pungoli e spilli metamorfici di gambi e steli “lungo l’argine/…dentro me stessa…nella traversata per raggiungere casa”, “amori tornati in vita” (p.18) “lungo la curva odorosa della terra/ la sua pazzia” (p.19). Argini lungo “canali irrigui/ come Ofelia, ma senza l’argento delle sue vesti/ la sua dolce follia”, “con quello strappo necessario/ per trapiantarsi altrove” (p.21).
Parlare dunque con l’Altro è il fine primario, per andare oltre l’hortus conclusus della propria casa, se intesa come reggia dell’Io. Dov’è allora la casa cercata, quella con stanze inconcluse, dove si nasconde “la mia anima…la sua traboccante dolcezza”? Che, se rincorsa “con un ferro arrugginito”, della ragione supponente, nessuno potrà “mai raggiungerla” senza “La dilatazione del corpo/…una luce viva/ oltraggiosa quanto può esserlo una mano/ quando scava nell’intimo delle cose/ che non hanno parole” (p.45), Di qui il progetto di generarle da immagini e colori, facendo di questi un tam tam para-sciamanico scenografico, su cui attaccare come post-it, fiori e chiodi emersi dal sogno e dalla memoria.
Le sei sale del libro si snodano in tempi e forme, da aure mistiche riviste in echi laici, fino ad aloni di eros e d’amore, denudati e innervati in una visionarietà necessaria agli inesausti sensi complessi cercati. I quali rilucono, come in un taglio di Fontana, nella chiusura aperta dell’ultimo testo, “Il poeta che dorme (Marc Chagall, 1933)”, col suo invito a svegliare il poeta che “non scrive dorme/ non urla sogna”, mentre “la parola/ non scritta vola” (p.84), tra i cento piani e colori del suo universo. E nemmeno Ulisse-nessuno sa se troverà un punto, una punta, di esserci, di pace.

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