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I legislatori del futuro

Pubblicato il 28 dicembre 2013 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro

I legislatori del futuro

Barbara Spinelli

sulla Repubblica di martedi 24 dicembre 2013

(e su “PAGINE ON LINE” n.192 di venerdi 27 dicembre)

SEI anni sono passati dall’inizio della crisi, e tre sono gli stati d’animo di chi in Europa governa lo squasso o lo patisce. C’è chi si complimenta con se stesso, convinto che il peggio sia alle spalle: nei Paesi debitori le bilance di pagamento tornano in pareggio, l’intervento lobotomizzatore è riuscito, anche se il paziente intanto è stramazzato. Ci sono i catastrofisti, che ritengono euro e Unione un fiasco.

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Progetti della finanza e progetti sociali

Pubblicato il 12 dicembre 2013 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro

NUOVA FINANZA PUBBLICA

Per una Grande Trasformazione Sociale

Vittorio Lovera (Attac Italia) sul Manifesto di venerdi 6 dicembre 2013

Da quando è iniziata la crisi sentiamo ogni anno ripetere come, a partire dall’anno successivo, si potrà intravedere una ripresa e l’uscita dal tunnel. Naturalmente a patto che seguiamo, come soldatini obbedienti e rassegnati, o le politiche di ferrea austerità che, dalla Troika fino ai governi nazionali, continuano ad essere applicate a dispetto di ogni evidenza sui fallimentari risultati, o quelle più sfrenatamente monetaristiche del «quantitative easing» che hanno condotto gli Usa sull’orlo di un default per ora solo temporaneamente differito.
Su questa grande Crisi, generata proprio dall’applicazione sfrenata delle politiche neoliberiste, i poteri forti, lobbies finanziarie e ceto politico, rilanciano una nuova diabolica fase, la «finanziarizzazione 2.0»: restringimento degli spazi democratici, premierati forti e grandi intese, ma soprattutto privatizzazione selvaggia di tutti gli assets da cui estrarre ulteriore ricchezza (acqua e beni comuni, trasporti, sanità, welfare, scuola, patrimonio immobiliare pubblico, ambiente).
A partire dalla grande esperienza del movimento dell’acqua (27 milioni di cittadini che bocciano sonoramente le privatizzazioni di acqua, trasporti e rifiuti), ai recenti momenti di piazza per la difesa della Costituzione, del lavoro, per il diritto all’abitare e contro le grandi opere, per la tutela della salute e dell’ambiente fino allo spontaneo ammutinamento di Genova, si palesa l’esistenza di una maggioranza culturale del Paese che si oppone a qualunque ulteriore progetto di finanziarizzazione.
Il nesso netto e radicale tra tutte queste vertenze può proprio risultare un progetto forte e condiviso di «nuova finanza pubblica e sociale», possibile medium coeli per tutti i beni comuni.
«Come si esce dalla Crisi – per una nuova finanza pubblica e sociale» Edizione Alegre è il manifesto collettivo, costruito dal basso e frutto di oltre due anni di assemblee pubbliche in tutta Italia, che permette ora di elaborare/concordare una prima fase operativa per un percorso comune di trasformazione e di riappropriazione sociale, che sappia unire e ridare speranza ad intere generazioni, consentendo di invertire la rotta e di uscire dalla Crisi, andando a ragione ben oltre Keynes.
Sfogliando le pagine di questo libro ci si accorgerà di come le cose non siano mai state come ce le hanno raccontate: quarant’anni di fondamentalismo neoliberista hanno generato il massimo delle diseguaglianze sociali e la crisi profonda del capitalismo ha squadernato tutti i suoi errori sistemici in campo economico, finanziario, sociale, ambientale e climatico, rendendola difficilmente reversibile.
Gli Autori (Bertorello, Corradi, Lovera, Baranes, Risso, Errico, Malabarba, Viale, Gesualdi, Tricarico, Bersani, Millet e Toussaint) smontano le teorie del debito pubblico, propongono l’auditoria del debito quale controllo partecipativo popolare, definiscono una nuova equità fiscale che parta dalla tassazione reale della finanza speculativa per giungere alla lotta senza quartiere ai paradisi fiscali e alla «finanza ombra», prendono a utile modello le buone pratiche dell’Altra Economia e della Finanza Etica, propongono una completa e radicale rivisitazione di scopi e finalità del sistema bancario, ragionano su nuove pratiche auto-organizzate di lavoro e di riconversione ecologica della società. Infine propongono un’innovativa forma di finanza pubblica e sociale che, con la socializzazione della Cassa Depositi e Prestiti, garantisca la possibilità di finanziare gli enti locali e di strutturare piani per nuove forme di economia sociale territoriale, di tutela dei beni comuni e di un modello sociale alternativo per il Paese. Si esce dalla crisi solo uniti, decisi, e radicalmente innovativi, motori mobili di una Grande Trasformazione Sociale.

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Europa attuale e cleptocrazie

Pubblicato il 7 novembre 2013 su Saggi Società da Adam Vaccaro

L’Europa attuale sta ripercorrendo analoghe derive – inappellabili per le armate ideologiche e finanziarie neoliberiste – che condussero negli anni ’30 agli sbocchi tragici del nazifascismo e della guerra. E’ una forma di Europa dominata da poteri istituiti senza alcuna legittimazione democratica e di cui l’economia tedesca è con crescente evidenza il perno centrale. Sono poteri avvolti da pletoriche istituzioni elettive che diventano sovrastrutture supine, cui è concesso l’arricchimento lecito e illecito, quale compenso della loro funzione di copertura. Tale Europa non combatte caste e corruzioni (di cui l’Italia è prototipo apicale), non unisce ma accentua disgregazioni e divisioni nazionalistiche che, senza radicali cambiamenti, non potranno che portare a crescenti disparità tra aree, nazioni e classi sociali, con ignobili impoverimenti dei più e presupposti di barbarie di ogni tipo.

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Falsità e impotenze del governo Letta

Pubblicato il 7 novembre 2013 su Temi e Riflessioni da Adam Vaccaro

LE IPOCRISIE DI UNA MANOVRA FANTASMA

Tito Boeri sul Fatto del 2 novembre

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Anche se San Giuda ci ha solo sfiorato, i tanto decantati germogli di ripresa hanno smesso di crescere. A ottobre gli indici di fiducia di consumatori e imprese sono tornati a diminuire. Calano i prezzi, ma anche i consumi, perché il mercato del lavoro va di male in peggio: il nuovo picco dei disoccupati è a 3 milioni e 200 mila. Il rischio che si innesti una spirale deflattiva, in cui i consumatori rimandano piani di acquisto perché pensano che i prezzi possano calare e le imprese tagliano i salari perché calano gli ordini è tutt’altro che remoto. Gli ordini per le imprese che producono solo per il mercato interno sono diminuiti di un ulteriore 10 per cento da inizio anno e difficilmente si riprenderanno in assenza di misure di sostegno della domanda. Purtroppo la legge di stabilità non ne prevede. Si discute ora su come riscriverla nel passaggio parlamentare e la ridda di voci sui contenuti della manovra non si è arrestata neanche dopo la presentazione di un testo in Parlamento.

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Il Sud Europa farà la fine della Ddr?

Pubblicato il 14 ottobre 2013 su Saggi Società da Adam Vaccaro

Il Sud Europa farà la fine della Ddr?

Fonte: Micromega Newsletter del 9 ottobre 2013 . Ancora oggi, a quasi 25 anni dal crollo del Muro, la distanza economica e sociale tra le due parti della Germania non accenna a diminuire, nonostante massicci trasferimenti di denaro pubblico dalle casse del governo federale tedesco e da quelle dell’Unione Europea. Sulla base di una ricerca scrupolosa, condotta attraverso i dati ufficiali e le testimonianze dei protagonisti, Vladimiro Giacché mostra come la riunificazione delle due Germanie abbia significato la quasi completa deindustrializzazione dell’ex Germania Est, la perdita di milioni di posti di lavoro e un’emigrazione di massa verso Ovest che perdura tuttora, spopolando intere città. La storia di questa “unione che divide” è una storia che parla direttamente al nostro presente. Essa comincia infatti con la decisione di attuare subito l’unione monetaria tra le due Germanie, prima di aver attuato la necessaria convergenza tra le economie dell’Ovest e dell’Est. L’unione monetaria ha accelerato i tempi dell’unione politica, ma al prezzo del collasso economico dell’ex Germania Est. Allo stesso modo la moneta unica europea, introdotta in assenza di una sufficiente convergenza tra le economie e di una politica economica comune, è tutt’altro che estranea alla crisi che sta investendo i paesi cosiddetti “periferici” dell’Unione Europea. Il libro di Giacché si conclude quindi con un esame approfondito delle lezioni che l’Europa di oggi può trarre dalle vicende tedesche degli anni Novanta.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo alcuni estratti dal libro “Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa” (Imprimatur editore, 2013 (pp. 261-267 e 276-277), in libreria dal 9 ottobre.

di Vladimiro Giacché

Dall’unità monetaria tedesca all’unità monetaria europea

La configurazione attuale del capitalismo europeo e dei rapporti di forza interni a esso è semplicemente impensabile senza l’annessione della Repubblica Democratica Tedesca. Per diversi motivi.
Il primo motivo è che grazie all’incorporazione dell’ex-RDT la Germania ha riconquistato la centralità geopolitica (e geoeconomica) nel continente europeo che aveva perduto nel 1945 con l’esito catastrofico della guerra di Hitler. E questa riconquista ha alterato gli equilibri in Europa.

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Il dissenso necessario

Pubblicato il 27 settembre 2013 su Resoconti Esperienze da Adam Vaccaro

Vattimo: «rispettare il dissenso»

Intervista di Roberto Ciccarelli sul Manifesto di giovedi 26 settembre 2013

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I veri terroristi

Pubblicato il 27 settembre 2013 su Resoconti da Adam Vaccaro

“IMMEDIATAMENTE”

Pubblicato il 12 settembre 2013 su Senza categoria da Adam Vaccaro
“IMMEDIATAMENTE”, senatore Stefàno, immediatamente! Paolo Flores d’Arcais su “Micromega on line” di mercoledi 11 settembre 2013

Il senatore Dario Stefàno, presidente della Giunta che deve dichiarare decaduto dal suo scranno il delinquente Silvio Berlusconi (tale perché ormai condannato in via definitiva), conosce il significato della parola italiana IMMEDIATAMENTE? Si direbbe di no. Tale parola ricorre infatti nel comma 2 dell’articolo 3 della legge Severino per qualificare i tempi con i quali il Parlamento deve deliberare la decadenza del parlamentare.

Perché allora il senatore Stefàno anziché attenersi a quel tassativo IMMEDIATAMENTE accoglie le manovre dilatorie pretese dai nominati del delinquente Berlusconi? Il senatore Stefàno è stato eletto dal movimento Sel capeggiato da Vendola, e forse tale movimento ha qualche – per me misterioso e incomprensibile – interesse a piegarsi alle tergiversazioni contra legem imposte dai fedeli del delinquente di Arcore, ma come presidente della Giunta Stefàno dovrebbe prescindere da ogni interesse di partito a far applicare semplicemente la legge.

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Per chi è senza rappresentanza

Pubblicato il 5 settembre 2013 su Senza categoria da Adam Vaccaro

L’unità necessaria

Alberto Burgio sul Manifesto di martedi 3 settembre 2013

Lo si potrebbe definire come il paradosso della confusione. In questa fase, seguita alla caduta del governo Berlusconi nel novembre 2011, la confusione è massima. Le «larghe intese» ne sono un paradigma. Eppure il quadro dei conflitti è netto e si chiarisce ogni giorno di più. La faccenda dell’Imu e quel che le va dietro è un ottimo esempio. Sul piano politico è una vittoria limpida del Pdl e del suo capo, la dimostrazione della sua capacità di rappresentare e proteggere gli interessi della propria base elettorale contro ogni principio di equità e ragione economica.
Ed è per questo una massiccia dose di tritolo scaricata sul governo, con buona pace del presidente del Consiglio (il quale non per caso si è affrettato a prendere distanza dal suo stesso ruolo). Quel che le larghe intese mascherano, l’Imu (e l’Iva) svela. Concordi nel considerare inevitabile l’austerità – cioè la riduzione della spesa pubblica sociale – i due pilastri del governo si fanno la guerra in vista delle prossime elezioni, che la condanna di Berlusconi sembra avvicinare. La destra incalza. Di fronte al rischio personale del Cavaliere è pronta anche all’autodafé. Di contro, il Pd in stato confusionale indietreggia. Strabico, guarda con un occhio al Quirinale, temendone le ire, con l’altro al proprio interno, dove divampano lotte intestine. Di fronte allo scontro tra interessi non c’è grande coalizione che tenga. E qui, con buona pace della retorica, di interessi si tratta.
Difatti un conflitto sempre più duro scuote sottotraccia anche la società, umiliata da questa ennesima «riforma» che regala due miliardi e mezzo ai più ricchi e sparge sale sulle ferite di chi stenta a campare. Un conflitto sociale al calor bianco, a malapena dissimulato dalle perorazioni patriottiche dei governanti.
Mai, da cinquant’anni a questa parte, la forbice della ricchezza è stata così aperta. Mai è apparso tanto chiaro e mortificante il divario tra garantiti e precari, tra privilegiati e umiliati. Non è una guerra di posizione, ma di movimento. Che, sotto l’ombrello mediatico della crisi, radicalizza le ineguaglianze decretando una mutazione genetica del modello sociale. La società italiana (come quella europea) si americanizza, assume i tratti di una oligarchia, traduce in termini castali le appartenenze di classe. Non è un fatto inedito. La presenza di una borghesia gaglioffa e predatoria («rurale» diceva Gramsci) è un dato cronico nell’Italia moderna. Solo che oggi non c’è nessuno a ostacolarla nella sua corsa ad arraffare per tesaurizzare. L’Imu, si diceva, è un ottimo esempio, materiale e simbolico. Ma si pensi anche alla vicenda, che sarebbe sconcertante se non fosse invece coerente con il tutto, del gigantesco regalo fiscale agli impresari del gioco d’azzardo. 98 miliardi di euro evasi dalle slot machine, ridotti a una micro-contravvenzione di 650 milioni. Come se si trattasse di benefattori e non di mafie. Come se non si contassero a centinaia di migliaia le famiglie italiane distrutte dalle ludopatie e dai cravattari. Come se non vivessimo nella culla dell’evasione fiscale, dove lo Stato con una mano squarta chi non ha vie di fuga e con l’altra alliscia il pelo a chi gli nega il dovuto. Vale la pena di parlarne ancora?
Dunque il quadro è chiaro. Le ragioni della politica e quelle della morale (della giustizia sociale, della democrazia costituzionale) divergono. L’una costruisce consenso a spese dell’altra. La ripresa autunnale sarà durissima, anche se alle parole dei vertici sindacali – finalmente, da ultimo, concordi nell’attacco alle scelte del governo – non dovessero malauguratamente seguire fatti. Sarà durissima anche sul piano internazionale, coi venti di guerra che tornano a sconvolgere il Medio Oriente scatenando lo spettro di un conflitto globale.
Di fronte a questo quadro qual è il nostro problema? Nostro, del mondo del lavoro subordinato (salariato o eterodiretto), precarizzato in massa e rapinato sistematicamente (10 punti di Pil, 160 miliardi, nei soli ultimi dieci anni). Nostro, dei senza lavoro (tre milioni e mezzo di cittadini degradati a paria, soprattutto giovani, soprattutto nel Sud). Nostro, dell’Italia democratica che non si rassegna allo scempio della Costituzione repubblicana e alla degenerazione civile e morale di questo paese. Nostro, di chi assiste sgomento da un quarto di secolo alla devastazione delle istituzioni e del territorio e della stessa civiltà nelle relazioni personali. Berlusconi non nasce dal nulla né per caso: è l’interprete e il simbolo di un’Italietta volgare e prepotente, prima che il figlio del suicidio pianificato della parte politica che sino agli anni ’80 aveva, bene o male, tenuto fede all’eredità della Resistenza antifascista.
Il nostro è evidentemente né più né meno che un problema, drammatico, di non-rappresentanza. O, se si preferisce, di non-voce. Siamo tanti a non riuscire a parlare più, da anni, sulla scena politica, e a vedere negate le nostre ragioni sul terreno sociale. Almeno il 15% del Paese. Potenzialmente il doppio (quanti voti grillini vengono dai settori sociali massacrati dal neoliberismo postdemocratico?). Forse la maggioranza assoluta degli italiani. Ma siamo ciò nonostante – forse proprio per questo – dispersi e senza interpreti. Ridotti a un pulviscolo impotente, il che retroagisce sul sistema politico, azzerandone credito e legittimità.
Abbiamo riflettuto più volte su questa condizione e chiamato in causa gli errori e le responsabilità dei nostri gruppi dirigenti. Errori gravi, responsabilità storiche, poiché nulla imponeva che le cose seguissero questo corso, nulla impediva che la fine della «prima repubblica» vedesse sorgere una sinistra forte e unita (forte perché unita) capace di tenere le posizioni conquistate e di trasmettere all’Europa una domanda pressante di giustizia e di partecipazione democratica. Sta di fatto che siamo più che mai, qui e ora, mentre la crisi politica si avvita su se stessa, prigionieri di una micidiale impotenza.
Se questo è vero, com’è vero, è il momento di alzare la testa, se non vogliamo che una condizione di estrema difficoltà si trasformi nella morte della speranza. L’8 settembre – data fatidica – si avvicina, e con esso l’appuntamento dell’assemblea generale della sinistra convocata da Maurizio Landini e Stefano Rodotà. Il loro appello, rivolto a quanti intendono riempire un desolante vuoto politico e sociale, dev’essere ascoltato e raccolto senza indugi, senza tentennamenti. Raccolto e rilanciato con la ferma determinazione a lavorare finalmente per l’unità della sinistra italiana, del mondo del lavoro, del popolo della Costituzione, della partecipazione e della pace.
Sappiamo da dove viene il pericolo. Conosciamo le riserve di chi aspira a proteggere la propria piccola riserva, traducendo la partita politica a misura dei propri destini personali o di consorteria. Ma confidiamo in un sussulto di intelligenza politica e morale. Non è chi non veda quanto alta sia la posta in gioco in questi mesi, in queste settimane. Non si tratta di suonare la campana apocalittica per suscitare qualche emozione. Se anche la prossima legislatura vedesse la sinistra relegata al rango di comprimario ininfluente, è molto probabile che anche in Italia il discorso si chiuda per sempre come nelle «grandi democrazie» occidentali, in cui l’opposizione sociale non è rappresentata e scade a semplice virtualità.
Questa volta ci giochiamo molto, forse tutto. Ritroveremo una speranza se sapremo vedere il molto che ci unisce, al di là di appartenenze ormai obsolete. Se invece prevarranno ancora spinte corporative avremo mancato un’occasione preziosa. E ci saremo anche noi aggregati – consapevoli o no – al seguito dei fautori delle larghe intese.

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La ripresa inventata

Pubblicato il 24 agosto 2013 su Resoconti da Adam Vaccaro