Google – il nome di Dio, alla Calusca – Milano
Google – Il nome di Dio – Presentazione a Trezzano S/N
Comune di Trezzano S/N
Biblioteca Comunale Ostilio Bego
Rassegna TREZZANO SCRIVE
28 OTTOBRE – ORE 18,30
Google – il nome di Dio
di Adam Vaccaro,
(puntoacapo Editrice)
Viaggio con la poesia di Adam Vaccaro
alla ricerca di senso sotto il sole del pensiero unico
Centro Socio Culturale C.A. Dalla Chiesa – Via Manzoni 12
Roberto Caracci dialoga con L’Autore
Letture di Mariella Parravicini
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a seguire rinfresco
L’Assessore alla Cultura Beatrice Ventacoli Il Sindaco Fabio Bottero
Area servizi sociali, culturali, sportivi – Biblioteca Comunale O.Bego
Google – il nome di Dio. Presentazione a Pescara
LIBRERIA PRIMO MORONI
PESCARA – VIA DEI PELIGNI 93
22 OTTOBRE ORE 17,30
Adam Vaccaro, Google – il nome di Dio
(puntoacapo Editrice)
Viaggio con la poesia di Adam Vaccaro
In quattro quarti di cuore
alla ricerca di senso sotto il sole del pensiero unico
A colloquio con L’Autore
Daniela D’Alimonte e Giancarlo Giuliani
Coordina
Massimo Pamio
Info:
Associazione Culturale Milanocosa – www.milanocosa.it – info@milanocosa.it – T. 3477104584
Angela Passarello – Poema Rupe
Rupe daimon di Girgenti
Adam Vaccaro
Angela Passarello, Poema Rupe, New Press Ed., 2022
In questo libro è come scalpellato sulla pietra, con caratteri lapidari e icastici, un affamato e inesausto, vorace daimon che incarna quel chiodo su cui poi la nostra vita ruoterà e che Claudio Magris chiama primogiardino. È il luogo reale e immaginario, l’orizzonte geografico e umano in cui la nostra identità comincia a interagire col mondo, disegnandone primi tratti, con paralleli e meridiani del visibile, ma anche sprofondi nell’oltre invisibile, dentro e fuori di noi.
Memoria e presente, orrori e gioia di vita, infimo e immenso diventano fuoco vivo che inventa una lingua viva e rinnovata da un intreccio inestricabile, erotico e doloroso con l’Altro. Ne nascono corpi e accrocchi di segni, sensi e suoni, tesi a una immagine animale della totalità, simbolizzata dalla Rupe – utero di rinascita e creatività di questo poièin, che oscilla tra noto e ignoto custodito nelle mani di quel daimon che ci tiene, ci appartiene e ci sfugge, tra umano e divino, quale era inteso dai Greci, radice culturale cui il testo è profondamente innervato. Opportunamente Angelo Lumelli ne ricorda nella Prefazione i dibattiti sulla costruzione di una forma, poetica e no, tra accenti contrapposti, analogici e rivendicazioni della anomalia di ogni diversità, di cui la lingua si fa testo a fronte, contro ogni noto e consueto.
La espressività di Angela Passarello, non solo in questo Poema, ruota intorno a tale chiodo, cui lei dà nome di Rupe, icona del suo primogiardino, sempre presente e sempre passato nel suo venire e stare nel mondo. Tale immagine dà nome al testo e diverta nucleo atomico esplodente di detto e non detto, di dicibile e indicibile, crinale epifanico di poesia, con invenzioni verbali che accorpano termini e ci proiettano sia nel cuore della Rupe, sia sul nostro universo, denso di domande e ben poche risposte.
La Rupe assume perciò qui quasi il nome di un’astronave umana o un ufo, che affascina e spaventa, concreta e al tempo stesso onirica, piena di buchi in cui a tratti rimane in gola la nostra fame di significati e di senso. E tuttavia, la prima Sezione del libro, con lo stesso titolo del libro, in una sequenza di anelli vocativi- invocativi, con molecole apparentemente slegate, man mano costruiscono tessere di un mosaico e una catena di sensi, ricchi di magnetismo comunicante.
Anticipazioni – Franz Krauspenhaar
Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Franz Krauspenhaar
Inediti 2022
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Nota di lettura di Luigi Cannillo
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Nota di poetica
Questi sono versi del patire e del riderne, dentro e fuori. Alcuni formano minerali, piante; altri, pensieri che sono grattacieli, e addirittura nuvole alte nel cielo. Senso di se’ e materia, mai pianto ma accettazione che non si spezza nella rassegnazione. Dove c’è lotta, le parole seguono.
Google – il nome di Dio, all’Arci Bellezza
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Arci Bellezza
Via Giovanni Bellezza 16/a – 20136 Milano
Lunedì 26 settembre – ore 18,30
puntoacapo Editrice
in collaborazione con
Associazione Culturale Milanocosa
Presentano
Google – Il nome di Dio
In quattro quarti di cuore
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Viaggio con la poesia di Adam Vaccaro
Alla ricerca di senso sotto il sole del pensiero unico
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Dialogano con l’Autore
Luigi Cannillo e Mauro Ferrari
Google – Il nome di Dio – Letture 10
Google, fallace divinità virtuale
Claudio Zanini
Adam Vaccaro, Google – il nome di dio, puntoacapo Ed., Pasturana (AL), 2021, pp. 101
Vedi anche su https://libertariam.blogspot.com/p/arca.html
Tra i molti versi dell’intenso libro di Adam Vaccaro, Google – il nome di dio, mi hanno colpito quelli dedicati al novello oracolo postmoderno: Alexa (anch’io ne ho un esemplare). La si interroga, dunque, questa novella Sibilla aspettando la risposta. Pausa ansiosa, quindi, s’ode quel languido risuonar vocale che par rivolgersi esclusivamente all’intimo tuo, segreto. Voce di simulacro incorporeo che allude alle strabilianti cose che potrebbe dirti, inducendoti a immaginarle in favolosi sogni, non a percepire l’esiziale inganno che t’irretisce. (Nota: nel film Her, (2013) di Spike Onze, uno scrittore s’innamora di una virtuale ma suadente voce femminile. Finirà amaramente disilluso quando Her gli dice che ha un paio di milioni d’amanti come lui.) Il poeta, però, non si lascia sedurre, anzi svela, con crudele sarcasmo il raggiro. Lo smaschera: Alexa, “piccola madonnina sul comodino” d’apparenza innocua è tremenda creatura dell’orrore plasticato. Voce, “che non puoi vedere né sentire” d’algoritmico nitore, perfetta nel suo vuoto suadente e nell’assenza di corpo e anima; “madonna-universo di miliardi di stelle, stelline madonnine” (27). Insieme ad altri sofisticati marchingegni, Alexa è generata dal potente dio Google, che chiede al fedele di affidarsi totalmente a lui: “venite a me, fanciulli (…) credete in me, solo in me”,(24). Divinità virtuale e in ogni luogo che, sebbene prometta un universo di merci, non riesce a concedere neanche “un po’ di pio pane di pace” (28) a un diseredato in fila al “Pane quotidiano” e dispensa soltanto illusioni e speranze fallaci.
Antonio Spagnuolo – Proiezioni al crepuscolo
Contrappunti e fughe interminate di poesia
Adam Vaccaro
Antonio Spagnuolo, Proiezioni al crepuscolo, Le stelle di Macabor 8, giugno 2022
Dovrei richiamare quello che scrissi nel 2019 a proposito di due libri precedenti di Antonio Spagnuolo – ISTANTI O FRENESIE, puntoacapo, 2018, e POLVERI NELL’OMBRA, Oèdipus, 2019 – vedi in https://www.milanocosa.it/eventi-milanocosa/mauro-macario-e-antonio-spagnuolo. In esso parlai di Sinfonie d’Autunno e di musica resistente agli schiaffi e alle dure leggi della vita. Con questo libro l’Autore continua a dare forma alla sua musica, che non solo resiste, ma entra nel nontempo, irridendo ogni inevitabile punto di arrivo del nostro limite umano.
È una musica che parte magari dalle perdite e insolenze dell’esperienza, ma trova poi modi di fuga per non piegarsi ad esse, facendo di questo moto fonte di invenzioni di onde sonore, interminate e interminabili di aria e libertà. Le singole molecole verbali – che i linguisti chiamano microtesti – diventano anelli di rifrangenze di uno spirito lucido incarnato in figure che ci conducono oltre le angustie di spazio e materie da cui incidentalmente partono.
Come nelle precedenti opere, Antonio Spagnuolo inanella platoniani attimi d’infinito, che la poesia autentica sa far brillare e risuonare tra corpo e sacralità, oltre il proprio giardino, vincendo la scommessa di non rimanere solo fascinose formiche di carta, ma lascito di sapori di vita.
I suoi sono moti di toccata e fuga che ci riconducono a quella musica inventata da un gigante del Barocco, quale è stato Johann Sebastian Bach. E la connessione tra le forme bachiane e la poesia di Antonio Spagnuolo spinge a un pur rapido richiamo di un arco storico in cui il Barocco divenne, in tutte le arti, la forma di un’epoca che va dalla fine del 16° secolo alla metà del 17°. Forme che a mio parere non sono sconnesse da un clima socioculturale di repressione di un pensiero unico dominante, articolato tra Chiesa romana, Tribunali dell’Inquisizone, Indice dei libri proibiti, monarchie assolute in Europa, con immense povertà di popolo, pestilenze e indifferenti, ignare sfarzosità nobiliari. Un contesto in cui maturavano, invisibili, le uscite rivoluzionarie successive.
Il Barocco diede forma a suo modo ai bisogni di andare oltre staticità apollinee, e Bach elaborò in Musica una architettura sonora che prende anche noi moderni col suo fascino, perché irride porti chiusi continuando a condurci lungo un flusso di domande di un oltre, che non è mistico ma terreno, quanto più è capace di trasmettere godimento nel tempo e nello spazio del presente.
Tutto questo, da un lato rende modernissima l’arte sublime dei contrappunti dinamici costruiti dalla musica di Bach, dall’altro ci fa capire perché essa continua ad affascinarci, nel contesto attuale, ugualmente ricco di insolenze che al momento ci appaiono senza uscite. Al tempo stesso, danno conto del perché, parlando e leggendo i versi di Antonio Spagnuolo, sia giustificato il richiamo della musica di Bach. E credo che anche solo pochi versi possano riuscire a darne un’eco:
“Era tempo di luci, a volte morbide, / attorno al tuo profilo delicato dei colori,/ tra le semplici velature di foschie/ lungo le strade del destino”, e mentre si “precipita a ritroso/ dove tutto si piega terribilmente/ nell’altrove.” (Prigioniera, p.7); “Attesa è oscuro filtro, un singhiozzo/…/ pronto al delirio di semplici dolcezze/…/ Prendo il foglio bianco a penetrare/ geometrie incredibili socchiuse alle ceneri/…nel rinnovare sorrisi ed utopie/ corrose.” (Attese, p.38); “Come una conchiglia sulla spiaggia/…tra sabbia e alghe lussureggianti/…Sento il piombo della morte sulla pelle/ nessuna promessa da offrire,/ soltanto narrare una storia/…rotolando nei sogni.” (Conchiglia, p.76).
E sia pure solo per confermare il filo ininterrotto delle fughe di Antonio, cito da ISTANTI O FRENESIE alcuni versi: “Era la storia che spezzava gli anni/ tra le mie parole,/ la paura del flauto ferito/ da quel dio insolito…/ sgualcendo cattedrali”.
8 settembre 2022
Evgenij A. Evtušenko, Se tutti i danesi fossero ebrei
In nome di una Cultura del coraggio
Evgenij A. Evtušenko, Se tutti i danesi fossero ebrei, a cura di Lorenzo Gafforini, con un saggio di Francesco De Napoli, Prima traduzione italiana di Evelina Pascucci. Lamantica Edizioni, Brescia 2022, p. 243.
Va segnalato il rilievo culturale di questa edizione di Evgenij A. Evtušenko, Se tutti i danesi fossero ebrei, opera teatrale curata da Lorenzo Gafforini e arricchita da un saggio di Francesco De Napoli, che con passione e un magistero derivante da decenni di studio dedicati al poeta russo, ne mette in rilievo i nuclei fondanti della sua poetica: la funzione di impronta pasoliniana, secondo la comune matrice gramsciana, di “una cultura coraggiosa, libera e controcorrente”.
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