A. Vaccaro

La poesia Resistente di Adam Vaccaro – Fabio Dainotti

Pubblicato il 11 febbraio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Un articolo del poeta Fabio Dainotti, sulla Rivista scientifica siciliana Il Convivio, dedicato alla ricerca poetica di Adam Vaccaro, che richiama ultimi libri e testi inediti della prossima raccolta, Restituzioni.

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LA POESIA RESISTENTE DI ADAM VACCARO

Lettura dalle ultime raccolte e dalla raccolta inedita, Restituzioni

 Fabio Dainotti

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Kolektivne NSEAE – Ivan Pozzoni

Pubblicato il 7 febbraio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

FURIE E FUGHE
In
KOLEKTIVNE NSEAE di Ivan Pozzoni

La malattia del «disinteresse» del lettore e l’ontologia estetica moderna della ipersoggettivizzazione
La terapia come eredità non-ontologica del Kolektivne NSEAE: la neoN-avanguardia
Adam Vaccaro

È un orizzonte di furie e fughe, diverse e innervate nella complessità contemporanea, che emerge da questo libro di Ivan Pozzoni, in un quadro di analisi che le designa e lucida entrambe a cera, cantate e accarezzate con una spazzola d’acciaio. Che scorre dalla groppa al deretano sul pelame arruffato di una gatta in calore. Un animale dall’anima multipla che miagola, ringhia e si veste da tigre, che forse non ti sbranerà, ma ti copre gli occhi di una patina, rosa o nera, su cui pianta unghie che li rendono ciechi, liberi di urlare, impotenti ma tendenti ad ammantarsi della pretesa di sapere, come il cieco che guida un cieco, della parabola poi soggetto del quadro di Pieter Bruegel.
Tiresia è stato ucciso e Diogene è senza lampada. E non c’è salvezza, né con me, né contro di me, pare avvertano i versi di Ivan Pozzoni. Ma se l’io/noi è/siamo col sedere per terra, è il momento dell’ora di ricreazione e del gioco o dell’ira e di tornare sul banco a scrivere a lettere cubitali sulla lavagna o su pezzetti di carta salvati dal tritatutto, i bisogni che cercano altro e oltre gli stracci ermetici e paleontologici, oltre le parole incazzate, i deliri egotici, fino alle molliche raccolte sotto un tavolo di lordi lardosi, che guidano la trottola del comando di radere a zero ogni residuo di senso, in ogni caso, in ogni casa? L’identità non esiste, al pari della società, dixit l’idiota bicefalo, impotente e onnipotente! Dopo di che, l’eccidio e la distruzione della polis, sono le matrici matrigne delle egolalie masturbatorie in tutti i campi, compresa la poesia.
Intanto il Dottor Stranamore fabbrica e dispensa milioni di bombe, predica pace e ride a crepapelle, idiota criminale che pensa di salvarsi su Marte, volando sulle sue Aquile libere nell’iperuranio sopra il cielo di piombo. Mentre Colombe libere e ammassate sotto tonnellate di putridume sospeso, sono ammazzate come mosche cieche, inferocite e rintontite da un subisso di immagini, estasi drogate e parole di niente, creatrici di rostri, che diventano mostri di una fame infinita di libertà dal destino di una progenie antropofaga.
Poi c’è l’altra fuga, nell’ovatta della culla di un iperurarnio di parole innamorate di sé, di quella malattia che ho chiamato iperdeterminazione del significante, connivente della distruzione del senso. Poi c’è l’illusione di contrapporvisi con l’iperdeterminazione del significato, convinta di poter spiegare tutto, uccidendo la complessità di un dire che vuole dare nome alla complessità del mondo.
La prima malattia è diventata pandemia lungo il crinale parnassiano di significati rarefatti, persi nella nebbia di dire tutto e niente, che riducono il pubblico – come diceva Berardinelli, citato anche da Pozzoni – a rasentare lo zero, agli altri scriventi versi, in un circuito grottesco, inutile e autoreferenziale. In cui sguazzano felici, fino a teorizzare che l’arte, la poesia, devono essere inutili. Ma utilissime a vati desideranti e immaginari, affollati e ininfluenti, e perciò inesistenti nel corpo di una società già negata e disgregata, che urla affamata di voci che sognino e incarnino il bisogno di ricrearla.
Prova a rispondere Pozzoni a questo panorama di molecole gassose che si dibattono tra le pareti stagne di un bagno di stitici:
“LA TERAPIA COME EREDITÀ NON-ONTOLOGICA DEL KOLEKTIVNE NSEAE: LA NEON-AVANGUARDIA Il Kolektivne NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica) ha un’eredità non-ontologica derivata dalle neo-avanguardie millennials, lontanissima dalla ontologia estetica moderna. La NeoN-Avanguardia, da me fondata, cede – come ogni altra avanguardia – all’«ἀντίφράσις», all’«ironia» (Jacques Derrida), al «citazionismo», allo «straniamento» (Viktor Borisovič Šklovskij), alla «carnevalizzazione» (Michail Bachtin), al «mistilinguismo», al «dédoublement» e «vertigine che sfocia nella follia» (Paul De Man), alla grammatica generativa (Noam Chomsky), alla «sovversione/eversione» (anarco-individualismo stirneriano e della Post-Left Anarchy), all’«invettiva» (triade Villon/Brassens/De André) e all’estremo «impegno sociale» movimentista a tutela dei deboli e dei diseredati, con opposizione allo star system dei dominanti e dell’arte.” [p.13]
È dunque un libro-manifesto di guerra subita e di pace sognata, piena di lacrime asciutte e irrisioni clownesche, anche se non placano alcunché. Ma è già utile porre il problema, anche se è un chiodo ribattuto, come sopra accennato, da ormai parecchi decenni. Sia da Berardinelli, sia in modi diversi da costole lucide e critiche da certi estremismi della Neoavanguardia, quali, ad esempio, Antonio Porta. Pozzoni si pone lungo la stessa direttrice di ricerca:
“Preso atto della conclusione della krisis e della transizione dall’evo moderno al nuovo evo tardomoderno, ho riconosciuto l’urgenza del discorso sul cambiamento di «paradigma» storico ed estetico, dovuto al venire meno del senso teoretico dell’ontologia estetica moderna, e ammessa l’anacronisticità della NeoN-Avanguardia, movimento di krisis, ho deciso di fondare uno nuovo movimento non ontologico, il Kolektivne NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica), aperto a tutti i mille movimentisti neon-avanguardisti e a nuove menti in grado di captare il cambiamento di «paradigma» sociale ed estetico.” [p.13]

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Trasmutazioni3 – Adam Vccaro

Pubblicato il 3 febbraio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Trasmutazioni – Alchimie in Caoslandia, di Adam Vaccaro,

puntoacapo, 2024

Lettura critica di Luigi Cannillo

Gli elementi del titolo e del sottotitolo della più recente raccolta di poesia di Adam Vaccaro formano l’immagine di un triangolo equilatero: al vertice con Trasmutazioni l’elemento della trasformazione e del mutamento. Nei due angoli alla base le Alchimie, il procedimento di manipolazione della materia, e Caoslandia, il contesto sempre più diffuso di confusione e mistificazione che ci vede sempre più disorientati e sgomenti nell’assistere all’interagire di molteplici elementi contraddittori della realtà.
Davanti a questo intrecciarsi di fenomeni, alla poesia spetta il compito di dare voce alla complessità e sviluppare, in quanto energia di pensiero al lavoro, forme di pensiero critico. E impone di immergersi nei tanti linguaggi che costituiscono la totalità, rispecchiarli e restituirli.
Lo stesso Vaccaro nella nota finale esplicita la creazione di “forme resistenti all’entropia del vivente, nell’incrocio di scambi antropologici di condivisione e moltiplicazione di sensi.”. Il triangolo di cui sopra potrebbe assumere allora la forma e la funzione di un cuneo/cuore che scava nella complessità e la approfondisce nella coscienza e nel linguaggio.
Si può intendere la trasmutazione anche come estensione e rimescolamento delle tematiche della raccolta precedente, Google – Il nome di Dio, puntoacapo, 2021. E in un certo senso, con accezione critica e negativa, anche come il cinico trasformismo agito dai poteri in gioco. Anche a questo potremmo riferire la citazione di Primo Levi che apre, insieme ad altre, la raccolta più recente: “Ogni tempo ha il suo fascismo”, nello spirito di irriducibilità dell’intero percorso di Vaccaro.
La foto in copertina, dell’autore stesso, riunisce nel medesimo paesaggio radici e terra, origine e materia, con valore plurivalente: la memoria contadina dell’autore in quella convivenza/complessità di elementi diversi così mescolati. Ad essa si può riferire la conclusione della poesia Bianco re”: “[…] mia radice viva/ che resiste e batte ancora qui/ intatta.”. Come afferma John Picchione nella sua approfondita nota di lettura: “la poesia di Vaccaro non esibisce mai un soggetto poetico ripiegato su una narcisistica contemplazione di sé, ma evoca un pathos che avvolge la negatività sofferta dal singolo nella sfera del collettivo. Si tratta di un atto poetico che nasce dalla convinzione che solo a partire dalla ricognizione stoica delle patologie radicate nel sociale e nel politico siano ravvisabili forme di cura in grado di aprire passaggi verso azioni di mutamento.”
La struttura del libro si articola in quattro sezioni, che si concludono tutte con una poesia flash dal titolo propiziatorio Auguri! Questi sigilli conclusivi confermano una caratteristica della scrittura di Vaccaro, che si può rilevare anche in raccolte precedenti: a una parte critica e destruens se ne affianca un’altra dove vengono tracciate anche traiettorie di futuro più favorevoli. Le sezioni di Trasmutazioni però non sono da interpretare come compartimenti stagni, bensì piuttosto come affondi o approfondimenti di linee tematiche che si intrecciano e riemergono carsicamente e metamorficamente.
Così la prima sezione, “Frane quotidiane – Cosa senza Nome” si riferisce frequentemente alla denuncia della sete di potere ma anche all’attesa della “Cosa senza nome” che inseguiamo come utopia o tentativo irriducibile, anche a confronto con nuove forme di sfruttamento, nuovi individualismi e illusioni quotidiane:
“Ora che, anima mia fratella, questi/ miei versi di urla dolore e rabbia/ non baciano più la tua pelle re/ legati fuori dalla tua carne al gelo/ che ti spezza le ossa senza più ri/ fare la Cosa che carezza e consola/ la tua parte angela assetata e fragile/ non incolpare me ma senti questa// polvere nera che cade cade e non/ riusciamo a renderla pioggia di/ quella Cosa ancora senza nome che/ aspettiamo aspettiamo come quel godot rimasto irridente nel nulla/ chiuso e perdente nel suo mai”.
La seconda sezione, “Pietre senza luna – Nel Macero della Storia” – si articola nel rapporto tra globalizzazione e conflitto, spaziando tra Europa e Palestina, USA e Africa, ricordando le migrazioni recenti ma anche i tabarri e i frantoi del centro-sud Italia:
“La claudicante ruota si staglia/ e ci stritola come olive sotto/ il torchio – e piano piano/ tra ragionevoli follie ci sfoglia/ fino a ridurci a/ poltiglia// Mentre cola l’olio santo/ dal becco smunto del trappeto/ che pressa e ammassa l’asciutta/ sua scura conchiglia da bruciare/ in omaggio al dio immane/ dalla mano benedicente/ l’oro liquido e sacro/ che gli appartiene”.
La terza sezione, “Sassi volanti – (Davide senza Golia)”, accentua lo spirito ironico-critico contro le tante “Armi di distrazione” con testi spesso brevi e caustici: “Carta-forbice-sasso – è anche una ruota di irrisione/ a ogni illusione di onnipotenza e vittoria definitiva”.
Infine, la quarta sezione “Pietre Miliari – (Memorie e Visioni)” trova felici sintesi in storie ed immagini che sottolineano la differenza tra realtà e narrazione, ma anche momenti di memoria di luoghi e personaggi e possibili vie e figure di salvezza: “Arrivano come perle parole che non sai/ se scendono o salgono lucide come/ attesi sapienti inascoltati nel loro/ canto – che intanto tutti/ gli altri piangono/ vinti dal male invisibile/ che dilaga in una pioggia infusa/ a salse d’ansia asservite e chiuse alle/ invisibili attese perle sapienti di salvezza”.
All’interno degli intrecci dinamici tra una sezione e l’altra, alcuni testi sono riedizioni di poesie esistenti in precedenti raccolte, che qui assumono più che valore di citazione, quello di nuova valenza nel contesto del progetto poetico più recente.
Un elemento tematico centrale significativo è quello rappresentato nella pietra: le pietre del letto del fiume o che costituiscono un paese di sassi, ma anche frammiste come detriti tra muschi e sterpi: pietre da costruzione ma anche frananti. Con un effetto fortemente evocativo come nel distico La mano e il sasso: “nel volo di un sasso cogli la mano e/ nel suo brillio la memoria dell’acqua”.
Simbolo quindi di opposti, proprio a partire dalla sua matericità. Come osserva Gabriella Galzio nella postfazione, “quelle di Vaccaro non sono semplici trasformazioni dell’esistente, ma vere e proprie trasmutazioni, ovvero mutamenti di sostanza, di natura, che in quanto tali ricorrono alla via della trasmutazione alchemica o al registro biologico del bruco che muta in farfalla […] Ma, in quanto umane, le trasmutazioni di Vaccaro sono colte nella loro ambivalenza, ora regressiva ora evolutiva […]”
Altre tematiche, spesso trasversali, riguardano gli eroi quotidiani, momenti di socializzazione e incontro, di comunità, in un panorama che si forma tra un selfie e l’altro, elementi della contemporaneità e della storia più recente (il green pass, la guerra in Ucraina e in Palestina insieme alle figure della propria origine o dell’infanzia, quella del padre o dei prodotti della terra (le mele verginelle, l’origano).
D’altra parte l’uso dell’immagine come metafora è frequente in Vaccaro: i criceti alla ruota, la macina, l’odore di sedere del potere, il gioco carta-forbice-sasso, le parole come perle, insieme alle sinestesie (acqua di luce) o alle similitudini (come formiche, come un tapiro). Altre forme di slittamento dal linguaggio convenzionale sono rappresentate dall’uso di neologismi (fratella, dindare) o vocaboli attinti dal linguaggio centromeridionale dell’area d’origine dell’autore (trappeto, tabarra, tina) o accostamenti di parole polivalenti (mostro Stato).
Molto variegata, insieme all’uso delle figure e del lessico, è la struttura dei testi, anche graficamente diversificati tra strutture lineari e altre in diagonale, a bandiera, in calando/crescendo o articolati attorno a un punto di snodo, o allineati al centro, in blocchi prosastici, o con utilizzo del verso lungo, in sonetto o in sole terzine. Ricorrendo anche alla figura della tmesi, come tipico della scrittura di Vaccaro: re/legati, ri/fare farfuglia/menti, pro/cesso, uni/versi, co/stanza, in/tenta. Diversificato appare anche l’uso della rima, fino all’interno dello stesso verso (“calura che dura”) o in immediata successione (sasso passo) o sdoppiamenti (lamento Mento) con assonanze (Soros cuore d’oro), anche giocose, con scambi di consonanti come anagrammi (l’alibi di abili) o cambi di vocale.
L’arco e lo slancio creati dalla raccolta sono ben rappresentati da due estremi, personificati in due figure: quella di Vilma, staffetta della Resistenza partigiana e prima donna giornalista della Rai (suocera di Vaccaro): (“[…] a voi spetta il tempo di inventare un vento/ capace di liberare l’aria e i vostri cuori spersi […]), e Chiara, la nipotina del poeta: “Soffia Chiara iride sospese bolle di/ sapone ignote a chi non vede i mondi/ dei clausi fiori nel tuo nome – tondi/ come i tuoi occhi – pianeti ricolmi di te/ […]”.
Al Poeta il compito etico, creativo, di farsi traghettatore, oltre che di senso, di rivendicazioni e sogni, di speranze e realizzazioni tra mondi e generazioni. Nel compito/impegno della poesia.
3 febbraio 2025

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Scarti Alfabetici – Paolo Gera e Alessandra Gasparini

Pubblicato il 20 gennaio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

L’Enigma e il Gioco
Adam Vaccaro

Paolo Gera, Scarti alfabetici, con Abbeccedario di Alessandra Gasparini, Terra d’ulivi Ed. 2024

I libri di poesia – come nell’esempio offerto da questi Scarti alfabetici di Paolo Gera, con opere di Alessandra Gasparini – si muovono su due binari di senso: bisogno di aiuto e piacere del gioco. La forma, la titolazione e la veste tipografica della copertina ricordano un album scolastico, con colori vivaci consoni a fantasie infantili, giocose ma a tratti angosciose, quali quelle che strutturano ogni fiaba, che oscilla sempre tra rosa e nero, tra fiduciosa attesa e minacce, che implicano richieste di consolazione e aiuto.
Aggiungo che i due linguaggi, verbale e figurativo, si compenetrano in questa pubblicazione d’arte, con disegni che traducono in modi autonomi ma adiacenti gli echi dei versi, lungo il percorso espressivo di Paolo Gera, che qui sviluppa le tematiche del libro precedente, Ricerche poetiche. Nella sua Introduzione, Paolo sintetizza il complesso intreccio cercato, partendo da una citazione del filosofo Giorgio Colli, in cui “l’enigma sorride” anche se “interviene sullo sfondo il presentimento della ferocia…di una violenza spietata”.
Disegno che in me genera l’immagine di un toboga che scivola nell’indefinito, nell’Autore produce l’ossimoro di uno “schiaffo allegro”, su una “altalena” incessante e senza soluzioni definitive, tra “Il sì e il no”. Ne deriva che se la poesia si misura con la complessità della vita, trova forme nelle quali “La poesia è gioco ed enigma”. Bipolarità irrisolta persino ne “La dolcezza della madre”, che non cancella “la sua violenza, i suoi pensieri imperscrutabili”, mentre “mi afferrava i polsi e mi faceva dondolare” senza poter eliminare il timore di battere “la testa con violenza contro il pavimento”. È un illuminante scorcio di memorie infantili, nucleo epifanico della poetica dell’Autore, di voler “trasformare un gioco linguistico in poesia”. (pp. 5-6).
Un gioco, che se in Ricerche poetiche va dalla lallazione primaria all’articolazione di parole di senso e denominazione compiuti, qui ci offre il percorso opposto, che ricava da una parola scarti verbali, dopo aver eliminato via via, lettere e sillabe. Ne deriva un gioco serio, ricco di stimoli, con i quali Gera mostra l’enigma custodito da ogni parola, dietro l’apparente chiarezza del suo nome. Evidenziando con ciò che ogni parola non è un termine, ma un inizio. Un abbrivio, tuttavia, di libera impotenza, senza punti di arrivo solutori.
L’enigma non si scioglie, e le 21parole scelte, “una parola per ogni lettera dell’alfabeto italiano dall’A alla Z” sono sbucciate come cipolle e, strato dopo strato, diventano metafore di vuoto terminale e di scarti nel nulla. Detto altrimenti, ogni parola è una somma di bamboline nascoste in una matrioska, che apre, invita, illude e allude, a una esplicazione molteplice e sospesa, che perviene a scarti privi di senso. E tuttavia, il percorso del libro non ripiega su un pessimismo nichilistico, perché fa brillare l’energia di una scossa amorosa tra violenza e sorriso, sintetizzata in uno schiaffo allegro, che “cerca di capirci qualcosa, di quest’epoca di parole incerte, spezzate, violate” ma “resistenti”, come ribadisce nella sua nota, Alessandra Gasparini.
Talché, ogni testo ci immette in un pozzo dei desideri, senza uscita, ma ci regala ali di risalita, rispondendo così a suo modo al sottotesto, di richiesta di aiuto del poièin. Che qui, in ogni poesia sprigiona scintille di invenzioni, di cui ci limitiamo a citare pochi brani tratti dalla prima e dall’ultima, riferite alle lettere A e Z.
E non a caso ho utilizzato la metafora dell’ala, suggerita dal primo testo, che si snoda a partire dalla A di Alea: ALEA-ALE-AL-A:
“L’alea ha prodotto/ questo entanglement/ di lettere e parole/ l’alea è rischio/ il dado che tira/ il crocicchio a cui si ferma Edipo/ l’azione del destino e la destinazione/ dove la linea diventa verticale/ l’abisso classico, lo sprofondo grave”. E in tale sprofondo “Appare ale”, co-autrice “compagna d’impresa” del libro, con un lampo autoironico finale; “Rimane a, la prima/ di questa impresa assurda/ termine iniziale e finale.” (pp.9-10).
L’ultima poesia, dedicata alla Z di Zero, titola: ZERO-ERO-ER-R:
“Quanto doveva il gioco è durato./ via dal tavoliere le pedine e i dadi, le carte coi valori e gli imprevisti,/ proprietà dei poetici nomi./ Questo mio gioco senza meraviglia/ io do all’incanto./…/ e zero è solo zero./ Se guardo indietro ero una dea africana/ una bestia feroce accanto al focolare/ un gruppo di scrittori sovversivi./ Ero una bimba saltata su una bomba,/…/ Una r alla giugulare, arrotata al punto giusto” (pp. 57-58).
Confido, anche solo con queste limitate citazioni, di riuscire a sollecitare la lettura, e aggiungo quanto ribadito da Paolo Gera in chiusura della sua Introduzione: “Le mie 21 parole piene di altre, corrispondono ai 21 Arcani Maggiori, più il numero zero, che nei tarocchi come nel mio mazzo corrisponde al matto, alla libertà finale che non ammette freni.”. Una rivendicazione che nel libro, come spero di avere mostrato, è svolta in un controcanto critico di ogni delirio di onnipotenza, quale declinato dall’ideologia dei poteri in atto.
20 gennaio 2025

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Le cose del mondo – Paolo Ruffilli

Pubblicato il 7 gennaio 2025 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

LA PAROLA PER ESSERE NEL MONDO

Adam Vaccaro

Paolo Ruffilli, LE COSE DEL MONDO, Mondadori, Lo Specchio, 2020

Questo libro di Paolo Ruffilli rientra appieno nel sogno e bisogno da me sempre coltivati, di versi capaci di parlare di sé parlando dell’Altro, in un continuo entresci teso a dare forma alla molteplicità del Sé. Detto altrimenti, ne deriva un disegno poematico di passi nell’ignoto dell’autopoiesi, che man mano dischiude l’intreccio di una prassi che decostruisce materia, corpi, pensieri ed emozioni, cancellando i nomi ricevuti per ricostruirli e ridargli nuova vita. Ne deriva una narrazione di gesti del daimon socratico, che esiste e resiste, nel percorso diacronico del Soggetto Storicoreale (SSR), solo generando punti di attimi d’infinito del sincronico stato modificato di coscienza del Soggetto Scrivente (SS), in cui si rinnova la vita, anche attraverso il fulgore e l’illusione dell’arte primigenia di dare nomi nuovi alle cose del mondo.

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Marcio d’Occidente – Piergiorgio Odifreddi

Pubblicato il 22 dicembre 2024 su Saggi Società da Adam Vaccaro

Reificazione e deificazione neoliberista del capitalismo globalizzato
Adam Vaccaro

Nel libro di Piergiorgio Odifreddi, C’è del marcio in Occidente, Raffaello Cortina Editore, 2024, p. 261
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Una prima versione di questo saggio è sulla Rivista “Odissea” del 22 dicembre 20024
https://libertariam.blogspot.com/2024/12/ce-del-marcio-in-occidente-di-adam.html

I-1
Questo libro di Piergiorgio Odifreddi regala un vento benefico che irrompe in una atmosfera soffocata da smog sempre più irrespirabile, e ci aiuta a spazzarla via.
È un vento di irrisione di ogni falsità spacciata come verità, dai poteri in atto, in Occidente, ma non solo, nel presente, ma non solo. E per farlo somma una impressionante dotazione di conoscenze pluridisciplinari, dalla filosofia, alla storia, alla letteratura, all’economia, ma non solo. Perché, se si vogliono smascherare i crimini e le menzogne del potere, o meglio, dei poteri storicamente articolati in Occidente, occorre dotarsi di adeguate ricchezze di conoscenze delle sovrastrutture portanti la realtà complessa in cui viviamo. La quale ci riversa verità apodittiche e ideologiche, attraverso un esercito mai così vasto di propaganda massmediatica, con la quale ci raccontano di essere i più liberi e i migliori custodi della Verità e del Mondo secolarizzati. Ne deriva un pensiero unico e assoluto, consono alla radice patriarcale di un fondamentalismo religioso su cui è cresciuto, che ha sempre ucciso socialmente e fisicamente, ogni obiezione critica, o visione altra.
Odifreddi è un esempio, tra i pochissimi, di superamento della divisione tra le due culture – umanistica e scientifica – fonte di impoverimento delle nostre possibilità di conoscenza, e conseguentemente di libertà concreta rispetto alle falsità spacciate e necessarie alla gestione di ogni potere. Tale indirizzo è seguito dall’Autore con passione, coraggio e un lavoro incessante di acquisizione di strumenti di analisi nel corso dei suoi decenni di vita, che questo libro sintetizza con efficacia, non solo di argomentazioni, ma di esposizione chiara e divulgativa, che rende la lettura delle sue 260 pagine, un attraversamento benefico dei temi e problemi intricati con cui, qui e ora, ogni persona dalla mente minimamente viva si confronta quotidianamente.
Tuttavia, la sua apertura di ricerca, non penalizza una critica serrata rivolta a pressoché tutti i pilastri millenari della nostra identità culturale, a cominciare da quella umanistica “Gli umanisti… dall’Ottocento in avanti hanno rimosso le vere origini dei Greci, inventando il mito di un popolo unico che arrivava dal nulla, e di un sapere unico che non si basava sui nulla… di una razza pura e di un pensiero puro, senza contaminazioni biologiche e culturali. Un mito colonialista, razzista e protonazista durato quasi due secoli, che ha cominciato a essere smantellato soltanto negli anni Ottanta del secolo scorso” (pag. 141-143). È stato in effetti un frutto malsano de Le Origini rimosse, analizzate dal libro di “Martin Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica (Il Saggiatore, 2011)”.
È un tema enorme di cui mi limito qui a citare qualche spunto, con la finalità di sollecitare la lettura del libro e ulteriori approfondimenti, su questo come sul corollario di problemi complessi sollecitati da un testo spoglio di ogni connotato ideologico, motivato dalla conoscenza di un sistema di potere invisibile e presente in cielo in terra e in ogni luogo, al pari del Dio inventato dai suoi figli prediletti.
Ma mentre quel Dio è silente o parla solo a chi è acceso dalla sua fede, il dio dell’impero odierno continua a parlare e assordarci, raccomandano di mai disconnetterci, perché solo così diventiamo, piccoli atomi del suo corpo, alimento e merci di un circuito incessante di suoi e nostri deliri. È il più potente dio mai creato, perché è dentro di noi, anche non credenti, fatto di cose, succhiate come ostie, senza bisogno di un ministro e una messa. Perché di ministri ne ha un numero immenso e la messa non è solo la domenica, ché è di ogni giorno e notte, senza interruzioni. Una messa officiata da cori di voci trasmutate in meccaniche, fonti di una realtà virtuale, rispetto alla quale è difficile resistere e non farsi ridurre a illusi senzienti senza realtà:
“Oggi viviamo infatti in un rintontimento collettivo in cui non contano i fatti, ma solo le fantasie. E non tanto quelle istituzionalizzate come la religione, la metafisica e la letteratura… Quanto piuttosto quelle… del divertimento immediato e mediatico: film, serie televisive, programmi spazzatura, talk show, videogiochi, giochi di ruolo e parchi di divertimento…Oltre al Grande Fratello televisivo, che paradossalmente ha tutto di huxleyiano e niente di orweliano” (p211).
È una giostra di illusioni e divertimento, di cui è perno l’industria della pubblicità, il più parassitario, redditizio e fiorente settore economico di questa decantata era della libertà, canestro di chiacchiere, falsità e idiozie che producono soggetti omologhi, quali definiti dalle analisi del meme, delle nuove scienze: la mente fatta anche di neuroni-specchio, che la sua anima bambina, affamata spugna di immagini e suoni, trasmuta attraverso i cinque sensi del ‘cervello bagnato’ (come chiamato da Rita Levi Montalcini) in pandolce da succhiare, prima di verificare se è un panettone inondato dalla muffa.
“Questo spiega la vera e propria epidemia di stupidità che ‘per l’universo penetra e risplende’… prodotto di veri e propri virus della mente”, messi in scena “dal gran circo dei media” e “che si diffonde non perché meriti… ma perché più adatto a farlo”, che “non significa affatto ‘migliore’, e confondere le due cose può causare guai… significa soltanto ‘più contagioso’, e spesso ‘letale’” (pp. 56-57)
Se la letteratura, la poesia e la musica erano condimenti della pietanza della vita, che comunque aiutavano a sentirne il sapore e quindi a conoscerne la sostanza, tanto da poter dire che la poesia in ogni forma era ciò che dava nome alle cose, nel circo mediatico dello spettacolo contemporaneo, ogni funzione di conoscenza della realtà è polvere drogata di emozioni che – con diluvi di cartoons, serial killer, fantasy, soap opera, supereroi ecc. – devono infarcire la capacità di pensare, scodellando un polpettone che diventa la vera realtà mentale. La civiltà dello spettacolo e dell’immagine è un traghetto delizioso di arma di distrazione di massa, che senza una visione critica, castra la capacità di elaborazione conoscitiva della complessità di sé e dell’altro. Il che diventa una vera festa per il dio al potere, se “i nostri occhi sono perennemente puntati su uno schermo, del cellulare, del computer, della televisione, del cinema o dei videogiochi. Raramente interagiamo con altri esseri umani o con il mondo esterno.” (p. 211).
Il risultato è una massa alienata e passiva di atomi singoli senza identità e comunità, che realizzano il sogno neoliberista di E. Thatcher: “non esiste la società, esistono solo gli individui”. L’essere sociale è cancellato e nel suo vuoto regnano libere le catene invisibili del dio che decide vita o morte di miliardi di esseri viventi (umani e no) con dei clic. Il libro di Odifreddi è, all’opposto, corpo di testo che riafferma come il processo autopoietico dell’identità individuale è alienato, perduto e impossibile, senza l’interazione con l’Altro, costruita entro una complessità e molteplicità sociale e culturale. Per cui una identità individuale o è propaggine di una collettività, o non è. Ed è solo il misticismo che fa della propria potenza di immaginazione un illusorio colloquio e cammino con e nella Totalità personificata nell’Altro, nell’alto dei cieli.
Delle tante interazioni di cui il libro si fa scrigno di ricchezze, c’è quella con lo scrittore portoghese Josè Saramago, del quale si ricorda che “il suo Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) fu censurato in Portogallo, andò a vivere in volontario esilio nelle isole Canarie, fino alla morte. E dopo uno dei periodici eccessi di difesa perpetrati da Israele nei confronti dei Palestinesi, fu accusato di antisemitismo per aver dichiarato: Mi chiedo se quegli ebrei che morirono nei campi nazisti non proverebbero vergogna per gli atti infami che i loro discendenti stanno commettendo. (p.215). E, a tale proposito, Odifreddi ricorda che “Per difendersi dal disdegno nei confronti delle disumane azioni israeliane, soprattutto quelle dei governi di ispirazione nazifascista del Likud di Begin, Sharon e Netanyahu, gli ebrei hanno iniziato a confondere ad arte “l’antisionismo contro la politica israeliana e l’antisemitismo contro il popolo ebraico” (p.120)
Il pensiero critico di Saramago evidenzia come la democrazia politica, diventi illusione democratica entro una struttura con un “unico indiscutibile potere: la finanza mondiale”. Per cui concludeva: se la “democrazia economica ha ceduto il passo a un mercato oscenamente trionfante” e la “democrazia culturale” rientra anch’essa tra i prodotti sussunti dalla “massificazione industriale” della giostra dello spettacolo, rischia di aggiungersi ai fiori di arredamento di una sovrastruttura priva di capacità dialettica di incidere sulla realtà dell’invisibile potere dominate, talché “Noi non stiamo progredendo, ma regredendo” (pp.216-217)

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Appello Poeti per la Pace a Gaza

Pubblicato il 20 dicembre 2024 su Senza categoria da Adam Vaccaro

Don’t Kill, Let’s Talk

Poets’ appeal for dialogue

With the conviction that every act of violence must be condemned, but also the absurd continuous massacre of civilians in GAZA only fuels incurable injustice and hatred and is configured as a ferocious and inhumane act, we firmly ask for the initiation of a credible and authentic DIALOGUE that leads to the concrete settlement of disagreements with the PERMANENT CEASEFIRE, THE RELEASE OF HOSTAGES ON BOTH SIDES, THE END OF APARTHEID. As writers of poetry, we strongly believe in the effectiveness of the word, the only one capable of profoundly clarifying every friction and arriving at a just recomposition without inhuman outcomes and massacres of innocents. Building a new humanism is possible if we accept the fundamental principles of the dignity and freedom of every people and person for a coexistence based on respect for human rights and every identity, without prevarications: the only fertile ground for ensuring a future of peace and well-being for the new generations. As poets, we defend the freedom to think, dream, and express ourselves, and we use poetry to continue to put out every fire.

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Anticipazioni – Ivan Pozzoni

Pubblicato il 29 novembre 2024 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Ivan Pozzoni
Inediti

Con nota di lettura di Adam Vaccaro
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Nota di poetica
Il poeta/sophos e l’estetico come frammento filosofico: una philosophical explanation
I miei riot-texts, mera raccolta di testi/documento, verbali d’assemblee d’arte, rivolte alla concretizzazione dell’ideale estetico normativo della democrazia lirica e simbolo di resistenza, o sovversione, contro i valori nomadi delle élites dominanti fondano, tecnicamente, sull’«invettiva» (triade Villon/Brassens/De André), moderata dall’«ironie» (Derrida), dal «citazionismo», dallo «straniamento» (Šklovskij), dalla «carnevalizzazione» (Bachtin), dai «mistilinguismo» e «dédoublement» (De Man), dalla grammatica generativa (Chomsky), dalla «sovversione/eversione» (anarco-individualismo della Post-Left Anarchy) e dall’estremo «impegno sociale» movimentista a tutela dei deboli e dei diseredati, con opposizione allo star system dei dominanti e dell’arte.

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TRASMUTAZIONI – Alchimie in Caoslandia – Genova

Pubblicato il 15 novembre 2024 su Eventi Suggeriti da Maurizio Baldini

Giovedi 28 Novembre ore 17,00

Biblioteca Universitaria di Genova
Via Balbi 40

PRESENTAZIONE

Adam Vaccaro

TRASMUTAZIONI

Alchimie in Caoslandia

 Dialogano con  L’Autore
Gabriella Galzio
Paolo Gera

Scarica la locandina 

Info:  Associazione Culturale Milanocosa – www.milanocosa.it – info@milanocosa.it – T. 3477104584

Blackout – Anna Lombardo

Pubblicato il 9 novembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Il deserto della verità e l’Oltre
Adam Vaccaro

Anna Lombardo, Blackout, El martillo press, 2024, pp. 178

Questa raccolta bilingue di Anna Lombardo è traduzione sulla pagina della costante instancabile azione che l’Autrice conduce tra Venezia e le Americhe, organizzando continue iniziative con Palabra en el Mundo, di connessione tra voci che non smettono di dare testimonianze di resistenza vitale nella pervicace tempesta di sabbia prodotta dai poteri economici, politici e socio-tecnologici contemporanei. Un contesto innervato nelle logiche ideologiche, costitutive e contraddittorie, di due teste e forme dei domini in atto: da una lato una globalizzazione che spaccia illusioni di Eden di libertà senza limiti, di persone e merci, dall’altro un orizzonte asfissiato da guerre senza fine, imposte dalla testa dell’espansionismo imperialistico.
Nelle varie aree di influenza dei livelli di interesse e potere hanno agito nel corso degli ultimi decenni logiche particolarmente pervasive e tese, per un verso a disgregare senso di comunità, dall’altro ad accecare la capacità di pensiero autonomo e critico. La risultante, per essere efficace, deve innervarsi in una orchestrazione di mezzi di comunicazione di massa, storicamente mai così vasta e onnipotente come quella contemporanea. I mass-media sono oggi fonti essenziali di dominio, in primo luogo culturale, che martellano 24 ore su 24 una Verità (tra)vestita da pensiero unico falsificante e fondamentalista. Al tempo stesso, l’orchestra deve assordare e ottundere attenzioni emotive e mentali con una incessante trasmissione di forme del cosiddetto intrattenimento. Ne scaturisce una guerra di distrazione di massa in cui, al pari di quella con bombe e missili, “La verità è la prima vittima di guerra” (p.156), titolo e oggetto di un testo, dedicato a Julian Assange.
Ecco, di questo articolato processo di erosione antropologica, questo libro di Anna Lombardo si fa voce di denuncia lucida, appassionata e al tempo stesso fredda, alla ricerca di oasi in cui ricostruire e salvare il bisogno prioritario di relazioni sociali non alienate, denunciando il buio epocale, le ferite e il dolore di degradi, imbarbarimenti e desertificazioni umane crescenti, come in questi versi: “mani salivano amore, lenzuola intrecciate/ come pergole sui giardini sognati dell’Eden/ piantati in libri osannanti città bruciate,/ lingue storpiate, per diritto divino di primigenie// Sirene intrappolate dall’abbondanza mescolano/ il giusto e il vero, dai balconi della borghesia diamanti,/ sangue e foreste ammassate su navi guerriere”(p.76).
Pochi versi capaci di raggrumare l’intruglio di dominio globale che falsifica e disumanizza, in cui tuttavia si riafferma il bisogno di un Oltre e Altro di amore, utopico quanto necessario. E ogni pagina di questo libro replica tale verso e musica: “nel silenzio di vuoti modelli di stato/…costante testimone è il cielo assente/ ed il fiume scorre da altro lato. Dove/ non c’è solo l’andare verso la corrente?” (p.52). L’imperativo categorico, etico ed epico, è cercare un altro verso, che coniughi e congiunga vita e poesia, se la poesia non è intesa solo come segno trascritto sulla pagina, ma voce di bisogni ancorché qui e ora non contemplati. Perché “Le cose non dette ristagnano: nel cuore gonfiano rabbiose le vene/ vegetano nel vivere segreto di colpe/ ignote a vigilare risvegli, moti/ o speranze di ritrovamento/…/ nell’angolo più buio del pianeta/ come fossi veramente tu il pirata” (p. 38). Scrittura densa di serena passione, critica e autocritica, capace anche di graffi ironici, mentre “L’umanità schiacciata la si può cogliere” (p.22), al pari di “Quel lamento di conchiglia – strappata al mare/ che accorcia il tempo dei tempi, sa anche/…/ in attesa di proiettili calibrati/…/ di dirci della nostra vita (p. 26), che “tra case, alberi e canali, quella dell’umano/ è la forma più precisa su cui sparare” (p.22).
Questo libro (con copertina di un’opera dell’artista neozelandese Kaye Cederman) è una sorta di anello di totalità della vita, dalla biologica alla intimità psichica, in cui l’umano “appare goffo manichino”, sconnesso al Resto, per cui esplode la pena per l’anima che “si acquatta là al suolo/ senza neppure la dignità di blatta,/ formica o verme…/…latrato di cane, nitrito di cavallo/ o il cincillare di uccelli in volo” (p.22).
Da queste citazioni emerge la musica poematica del testo, tra sguardo lucido, pietas e non arresa speranza di riscatto umano, un canto resistente che nelle tre sezioni del libro (Blackout, Con candide mani / With candid hands, Tracce / Traces) sviluppa un percorso dal buio alla resistente ricerca di luce, un moto laico e dantesco, svolto in lampi d’amore di memorie personali e collettive, per cui: “Quando la Speranza sembra andata – e il dolore della vita è alto// è allora che ritorno/ a cercare scintille dentro”, che fanno “Ricordare la dolcezza del tuo sguardo/…/ Ricordare la soffice luce del giorno e della notte”, che rigenera energie e fa sentire che “La natura è con me ogni volta che la faccio entrare” (p.172).
8 novembre 2024

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