Il Ventilabro di Francesco De Napoli

Pubblicato il 12 novembre 2019 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Francesco De Napoli, VENTILABRO-Scotellariana

Graphisoft Edizioni, Roma 2019

Questo libro di Francesco De Napoli è un denso poemetto che prova a tradurre in versi la terra desolata, esteriore e interiore, focalizzata da un punto di sguardo posto nel Sud. Ne deriva una forma di lucida dolorosa denuncia civile interconnessa a una mancata paideia – nome e stella polare della Rivista e del Centro Culturale di Cassino, che l’Autore dirige da decenni – che purtuttavia è valore di una funzione formativa imprescindibile, assegnato all’esercizio letterario in genere, e al poiein in particolare. È il valore centrale che diventa fonte di forma, esplicitata da titolo e sottotitolo.
Ventilabro era la pala di legno usata dai contadini per ventilare il grano e separarlo dai residui superflui – metafora e simbolo dunque della capacità umana di distinguere valore e disvalore, trasmessa dall’esperienza della coltura della terra, radice di una cultura che con tutti i suoi limiti riusciva a tradursi in una koinonia antropologica, non arresa alle folate distruttive del vento della storia. È una concezione nel solco dei maggiori poeti moderni – da Leopardi a Eliot –, alieni da purezze parnassiane e intimismi spirituali, che coltivano una forte connessione con l’interesse collettivo degli ultimi, da cui possono derivare tensione a mettere in comune entro, appunto, la visione di una funzione formatrice.
Il sottotitolo richiama Rocco Scotellaro, modello espressivo radicato nel territorio di cui si fa voce e pensiero critico tutt’affatto localistico. De Napoli ne trae magistero e linfa per aprirsi a una riaffermazione dei più alti valori antropologici, attraverso una lunga serie di Voci rimaste pressoché inascoltate, qui evocate e incastonate nei versi con cognome e nome – Fortunato Giustino, Martino Antonio, Levi Carlo, De Martino Ernesto, Silone Ignazio, e Popia Antonio, Sinisgalli Leonardo ecc., per citarne alcuni – a imitazione delle elencazioni burocratiche e della relativa lingua ingessata. Che però dal testo viene denegata e ribaltata in sensi opposti, rovesciandone i moduli come una clessidra.
È un filamento delle scelte di stile di questo testo, che punta il dito sul linguaggio formalistico di chi ha gestito in modi ignobili la vicenda storicosociale italiana negli ultimi decenni. E articola una trama che conduce alle devastazioni di cui il testo fa come un inventario-rendiconto di quella che opportunamente è stata qualificata una catastrofe antropologica. Uno sbocco che non è piovuto casualmente dal cielo, ma ha padri e madri terreni, eroi del trionfo ideologico e finanziario del modello globale neoliberista.
Riuscire a dare forma di canto a temi che abitano poli come quelli suddetti è la scommessa difficile, su cui si è misurato Francesco De Napoli con questo poemetto – ma anche, peraltro, in tutto il suo percorso espressivo, Estraiamone qui alcuni stralci esemplificativi:
“La terra noi consumiamo da protervia/ infame appagati, indegni e vili mietitori,// dissipatori incauti di memorie e valori/ senza espiazione né remissione”. Sono i primi quattro versi, che danno il là alla tessitura testuale, tutta in distici” (p.11).
“Difficile riconoscere/ / la mala pianta che ammorbati letarghi/ intacca d’innocenti votati alla mattanza/ … sui fianchi franosi del Vulture ferrigno”. “”Poesia inesauribile dei castighi e delle fughe,/ ogni traguardo pare inibito alla speranza” (pp.12-13).
Ma con “la mia brilla e languida lamentazione…/ Scoprii disfatte ma ostili le antiche radici” (p.15) a “le trame del potere e le spire della piovra” (p.22), “tra i pidocchi rumorosi/ del capitale,,, Rocco,/ prova tu a pronunciare il tuo nome” (p.23), in “rime/ d’un arcaico rivoluzionario sentire” (p.24).
Si dipana, insomma, e declama un cantico dei conti e del vento di un autunno avverso, che non può tacere e lancia appelli per una disperata ricerca di salvezza umana. Sia pure nella coscienza del proprio “inutile, pletorico e patetico…querelare gramo”, contro il “risolino ebete dei santocchi annoiati,/ l’ironia condita d’un perbenismo ricercato” (p.19).
Dunque, benché senza illusioni il poeta risponde, tra accenti di umiltà autoironica, alla necessità di testimoniare la propria resistenza e il suo rifiuto: “L’incoscienza del poeta non avanza né arretra” (p.23), alimentata anche dallo sguardo fascinato dalla sua terra di origine; “A strapiombo sul mondo sono i picchi e i dirupi/ del lucano Appennino: lassù davvero ti cinge// dell’universo il mistero. Avvinto fissi luna e stelle/ sinistre e confidenti, castigate e incombenti” (p.38).

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Cenacolo S. Eustorgio: Poeti ricordano Poeti

Pubblicato il 5 novembre 2019 su Eventi Suggeriti da Maurizio Baldini

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Anticipazioni – Alberto Figliolia

Pubblicato il 1 novembre 2019 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Alberto Figliolia
Inediti
Con una nota di Laura Cantelmo
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Nota dell’autore
Poetica? Che cos’è la poetica? E che dire della mia poesia? Per quanto mi riguarda mi accontento di fare poesia: scriverla e divulgarla. Che poeta sono? Sono un poeta? Preferisco che rispondano gli altri: coloro che mi leggono, odono o seguono. Per quanto mi riguarda mi accontento di sperimentare viaggiando nei giorni, esplorandone le arduità, le luminosità e gli oscuri anfratti.
Ecco, la poesia si annida dove meno te l’aspetti. Occorre scovarla, occorre scavare dentro di sé e osservare il mondo con eterno stupore e fiducia e amore. La poesia è nel cuore di ciascuno; la poesia è negli occhi degli ultimi. In questo io credo fermamente.

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BookCity 2019: Progetto Teatro-Poesia

Pubblicato il 30 ottobre 2019 su Eventi Milanocosa da Maurizio Baldini

17 novembre 2019 – ore 11

SIAM – Società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri
Aula Magna – Via Santa Marta 18, Milano
L’Associazione Culturale Milanocosa
Presenta
A cura di
Adam Vaccaro
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AttraversaMenti


“Il peso della memoria” di Giancarlo Montelli
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Echi di Teatro
Voci di Poesia

Da una idea di Gabriella Galzio, elaborata con Milanocosa, sono messi in relazione testi poetici e
opere teatrali ritenute consonanti. Dunque una azione ri-creativa tra coppie di Autori,
che nella sua realizzazione affiancherà recitazione di attori e letture poetiche.
Con
Shakespeare (Romeo e Giulietta) e Gabriella Galzio, Shakespeare (Amleto) e Rinaldo Caddeo,
Calderon de la Barca e Giacomo Graziani, Yasmina Reza e Paolo Quarta,
Euripide e Laura Cantelmo, Eduardo De Filippo e Luigi Cannillo,
Bertolt Brecht e Adam Vaccaro, Alfred Jarry e Claudia Azzola
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E contributi di Musica e Danza su testi di Roberto Sanesi
con Federico Sanesi, voce e percussione – Nuria Sala, danza
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Progettazione e elaborazione grafica a cura di Marcello Montedoro
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Regia e letture sceniche a cura di Giacomo Guidetti e Barbara Gabotto
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Entrata libera

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BookCity 2019: Tra Lampi e Corti – Adam Vaccaro

Pubblicato il 29 ottobre 2019 su Eventi Milanocosa da Maurizio Baldini

Casa delle Arti – Spazio Alda Merini
Via Magolfa 32, 20143 Milano

16 novembre 2019 – H 14.00


Associazione Culturale Milanocosa
E
Marco Saya Edizioni
presentano

Tra Lampi e Corti

di Adam Vaccaro
poesie tra fotografia e cinema
La ricerca di Adam Vaccaro focalizza con questo libro due forme espressive che caratterizzano l’epoca moderna, traendone per la propria poesia comunicazione e pensiero critico, attraverso lampi di immagini e brevi narrazioni dell’epica del quotidiano ignoto.

Dialogano con l’autore
Eleonora Fiorani, Gabriella Galzio e Vincenzo Guarracino

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Emilio Zucchi – Transazione eseguita

Pubblicato il 27 ottobre 2019 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Emilio Zucchi, Transazione eseguita,
postfazione di Giuseppe Conte, Passigli Editori srl., Magno a Ripoli – Firenze 2019, pp.50

Il lettore deve essere grato a Emilio Zucchi per aver pubblicato la raccolta in parola, che nel panorama della poesia contemporanea offre ai predetti e agli artigiani del verso poetico un urlo: la poesia è un lacerto di voce che vola – o si dissolve – nelle obliquità sottili di una rete, unica agorà, che tutto raccoglie, cataloga, disperde. Il lettore, fin dai versi iniziali, percepisce un inferno rarefatto, notturno, anche se il lume è acceso. Un’immagine kafkiana diventerà la bussola del viaggio nella contemporaneità: un’esistenza orba – ammonisce il poeta – della società umana che si consuma, assorbendo frammenti di parole, di “luce dissonante/ sull’acqua lacrimosa”, mentre il pensiero rincorre i capitoli di un catalogo di spensieratezza sgargiante.
Il poeta parmigiano offre in queste sue liriche brevi – ad eccezione per una catalogazione storica di tragedie consumate – squarci di vita, che individuano anime e cose naufragate in una fanghiglia paludosa. I versi rincorrono il desiderio di ricordare, con l’auspicio di essere dimenticato, per poi confondersi tra pietrisco e calcinacci … umili materiali inerti mescolati “in fondo a un terrapieno/ ferroviario locale”; il lettore, nel silenzio della mente, condivide il bisogno della dimenticanza, perché essa si addice ai Poeti!
La dimenticanza è urlo senza voce che grida ciò che si è perduto nel trascorrere della storia e della cronaca. In queste liriche scarne non manca il dondolio armonico della follia che s’incarna nelle parole per concludersi con la banalità di una Transazione eseguita.
La raccolta poetica di Zucchi regala versi simili a frammenti di riprese cinematografiche, montate e poi smontate che narrano spasmi e sussulti, che si contrappongono, s’ignorano e si mescolano, confusamente: insonnia, mutuo, riduzione d’orario… Kiss and fly, Sharm el-Sheikh, selfie… Low cost e botox. Parole contratte, striminzite, senza respiro – forse – progetti di vita. Tra queste pagliuzze errabonde traspare il tradimento, forse un debito per una colpa, una moneta in cui le due facce sono l’eco l’una dell’altra, mentre tutto si consuma.
Nel pensiero, appaiono così le ombre bianche, in un vortice senza fine; baratri che si chiudono, che ingurgitano il tradimento e le lacrime.
La poesia, in questo grido, illustra e medita sopra un presente, che è vittima del delirio immobile che attraversa luoghi che cancellano la propria identità per seguire cartoline illustrate che dissimulano il vuoto riempito di nulla. Il mostro è vivo. La circolarità sembra non aver fine.
Edmondo Busani

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Il Breviario di Gabriella Galzio

Pubblicato il 17 ottobre 2019 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Il velo la veste e le risposte di Gabriella Galzio
In Breviario delle stagioni, Agorà &Co Ed, 2019
Adam Vaccaro

Viene detto abitualmente, nel circuito ristretto degli addetti e appassionati di poesia, che ad essa non compete dare risposte ma solo, o soprattutto, fare domande. Col suo ultimo libro Gabriella Galzio conferma invece anche su questo la sua specificità anomala, perché offre con testi poetici e notazioni collaterali, sia domande aperte, che personali stimolanti risposte.
È un atteggiamento generale di responsabilità della scrittura, che va oltre la propria soggettività, e ricerca forme che riescano a mettere in comune (caro non solo ad Antonio Porta) riflessioni e percezioni, disagi e gioie del nostro vivere qui e ora. È ricerca di una poesia che non sia gesto appartato e appagato di sé, ma lingua condivisa “che finalmente possa parlare a un comune lettore…insperato dono della poesia, che pure mantiene i suoi segreti di tèchne” (p.117). È dunque un esercizio tutt’altro che naif, ma di elevata coscienza della complessità costitutiva del poièin e del suo farsi:
“Oggi ho mangiato pane e neve/ viola e violino…/ nella bianca fontana…nella madia di Vesta, nel quieto velo” (p.12); sogno una poesia/…candore di pane” (p.13); sono i primi versi del libro, in forme di lampi e musica lenta, frammenti e briciole, di un Pollicino che vuole ritrovarsi e farsi ritrovare in un velo che qui è forma e sostanza di poesia. È un candore-tensione di apertura e ricerca di calore e nutrimento, con immagini di neve congiunte a pane (ricordiamo la sentenza contadina, sotto la neve pane), primo alimento che sa beffarsi della morte mentre muore in bocca, perché sa che solo morendo può (ri)farsi corpo vivo.
È dunque l’innesco di un piano di complessità metamorfica, interminabile, di clessidra che continua a rovesciarsi. Di un tempo fuori da ogni delirio di tempo lineare. E il biancore donato da neve-pane non è qui immagine retorica, tantomeno maschera, ma velo adiacente, distinto ma non distante, dalla carne e dall’anima di chi scrive.
Sono sequenze strettamente connesse tra corpo operante (relazioni, emozioni, gesti della prassi vitale) e gesto scrivente, che pur sapendo di elaborare altro dal corpo, fa cantare e vincere la gioia di farne corpo ulteriore del proprio corpo. La poetica adiacente di Gabriella è lucidamente esposta e concentrata in luminose sintesi: “stai nella forma, stai nel grande velo”, “nel cuore il velo”, quindi è poesia in cui carne e carta tendono a essere con-fuse, perché sa che solo così ricrea gioia e conoscenza, meglio, gioia della conoscenza: “sii al velo grato, sii beato” (p.16).

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Anticipazioni – Rita Pacilio

Pubblicato il 15 ottobre 2019 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Rita Pacilio
Inediti

Con nota di lettura di Luigi Cannillo

Nota dell’autrice
Attraverso la poesia mi educo e incoraggio a non temere la debolezza, ma, anzi, a farne una forza per rifondare la comunità dei viventi. Mi interrogo incessantemente sul tempo, sull’assenza, sulla compassione, sul perdono, sull’amore e sul dolore. Diverse, dunque, le tematiche sottese tra scienza e coscienza: la solitudine e la frustrazione dell’ammalato, l’indifferenza sociale, l’incuria, la dimenticanza e, inoltre, l’amore, in tutte le sue forme, come unica motivazione di vita: testamento simbolico e intimo per l’umanità intera. L’urlo civile ed etico nasce dalla mia formazione di Sociologo e dallo studio della musica, del teatro, della letteratura e della religione. Venendo a contatto con la musica ho seguito il percorso del suono metrico che intona la recitazione, la passione, il dramma, il canto e la parola annunciata (Sprechstimme, dal tedesco: tecnica del parlato/intonato/recitato). Obiettivo della mia poetica è la verifica, la connessione e la diagnosi della stratificazione della realtà in correlazione con la valutazione del vissuto emozionale, con cui è in stretta sintesi. Potrei dire che sono sempre di fronte a una parola in movimento. Concludendo, per me la poesia è un atto maturo e responsabile di continua esplorazione del micro/macrocosmo e di riscontro delle proprie tensioni verso gli altri. La poesia, nella ricerca della verità, è sempre stato un luogo di esperienza, di incontro, di elaborazioni e modificazioni scaturite dalla fede e dalla speranza.

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Arthur Rimbaud e La Scapigliatura Milanese

Pubblicato il 11 ottobre 2019 su Eventi Milanocosa da Maurizio Baldini

Via Laghetto 2 – Milano
L’Associazione Culturale Milanocosa
Presenta

28 ottobre 2019 – ore 17,30

Attraverso Milano

Staffette letterarie e artistiche
Idea-Progetto e coordinamento di Luigi Cannillo
Elaborazione e definizione con Laura Cantelmo e Adam Vaccaro
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Tra letterati e artisti che sono passati per Milano, o vi hanno soggiornato per periodi brevi, e altri, che invece vi hanno vissuto gran parte della loro vita, si possono creare relazioni creative anche tramite luoghi della città. Come ideali staffette che attraversano Milano nel tempo e nello spazio.
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La poesia di Mauro Macario e Antonio Spagnuolo

Pubblicato il 8 ottobre 2019 su Eventi Milanocosa da Maurizio Baldini

Via Laghetto 2 – Milano

23 ottobre 2019 – h. 17,30

 

Associazione Culturale Milanocosa

in collaborazione con puntoacapo Editrice

 

presenta

a cura di Adam Vaccaro

 

Mauro Macario e Antonio Spagnuolo

Il peso della poesia italiana di peso

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In dialogo con gli Autori

Mauro Ferrari e Adam Vaccaro

 


Entrata libera

 

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Sinfonie d’Autunno

La musica resistente di Antonio Spagnuolo

In ISTANTI O FRENESIE, puntoacapo, nov. 2018 – POLVERI NELL’OMBRA, Oèdipus, lug. 2019

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