Peter Russell – Vita e Poesia

Pubblicato il 13 ottobre 2021 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Peter Russell – Vita e Poesia
A cura di Wilma Minotti Cerini
Edizioni Il Foglio, Piombino (LI), 2021, pp.871

Adam Vaccaro

È un libro persino delimitante nomarlo così, non solo per le sue dimensioni di quasi 900 pagine, perché è un’opera che è un immenso atto di amore per una poesia sentita e vissuta come inscindibile dalla complessità e totalità della vita. Il che implica una dedizione che coinvolge tutti i sensi, compreso quello del sacro. Wilma Minotti Cerini costruisce in effetti una sorta di altare, nominalmente dedicato a Peter Russel, ma che va ben oltre, verso la pur “piccola famiglia di poeti” – ricorda Giuseppe Conte nella sua nota in aletta – “che hanno una tempesta di contenuti, visioni, e che ambiscono a far passare attraverso la propria poesia una complessa, colta, alta, nobile, combattiva concezione della cultura e del mondo”. Una famiglia di “poeti che ci comunicano vitalità e speranza nella disperazione: come Blake, e Whitman, come Pound e D.H Laurence”.
In questo libro oceanico, rispondente al titolo, di vita e poesia, Wilma ha immesso non solo i testi e le opere di Russell, ma le sue radici culturali alimentate “sia dal mondo classico greco-romano, come dal Vangelo piuttosto che …dagli scritti vedici della Upanishad indiane” e dalle “più svariate forme di civiltà…A tutte era interessato, approfondendo e comparando la storia, la filosofia, la poesia”, lungo la storia dai tempi più lontani a quelli contemporanei, attraversandoli con impegno e partecipazione anche personali, come nell’ultima guerra mondiale. “Peter era assetato di conoscenza”, sintetizza L’Autrice nella sua introduzione, attraverso “la padronanza di varie lingue” (compresi il Parsi musulmano ed Ebraico), viaggi e spostamenti dall’America all’Europa al Medio-Oriente (dove in Persia prima dell’avvento komeinista, insegnò Filosofia all’Accademia Imperiale di Teheran). Ma, aggiungo, al versante umanistico e letterario occorre unire quello scientifico, talché a Russell corrisponde l’immagine dell’Uomo Vitruviano di Leonardo, teso a incarnare la tensione alla totalità di tutte le discipline, che va oltre la superazione tra le due culture e sintetizzata da lui in termini esemplari: “Poesia per me…è la rappresentazione del Tutto in ogni cosa”.
Il suo percorso trova poi il porto finale in Italia, prima a Venezia e poi in Toscana, e direi non a caso. Perché qui riconosce il “Paese (più, ndr) confacente a se stesso”, costruito in tempi e luoghi che avevano generato Virgilio, Dante e Petrarca”, modelli unici e insuperabili. Modelli da cui trae l’apertura al mondo, e che gli consente accenti critici, come in un intervento pubblico del 1990, verso un mondo in cui “il danaro viene prima delle persone”. Accenti conditi di sapienza anche autoironica e sarcastica rispetto alle condizioni sociali in cui opera il poièin, il fare poesia. È uno status, nel quale chi “lavora” con un compito assegnato, vede il poeta come senza professione, per cui è giustificato non retribuirlo dal momento che il suo “oggetto” non ha alcun “valore monetario”. Resoconto rafforzato da “poeti e poesie che non hanno nessun valore”, di “esempi…di egoismo”, o di patetici egotismi, Russell non manca di citare che poi ci “sono altri che hanno un certo seguito, per motivi politici anziché poetici”. Oltre ai molti per i quali “La poesia è diventata un hobby, come il collezionismo o l’allevamento dei canarini”.
. In questo quadro dominato dalla logica del danaro, “Potete pensare che questa è una ingiustizia…nel senso più profondo di Platone”, e “Non ci deve sorprendere…che persino Karl Marx nei Manoscritti economici e politici, 1849, abbia detto la stessa cosa”. Ma, conclude Russell, che chi “deve lavorare otto ore al giorno, nel tempo libero viene inevitabilmente assalito dai poteri ubiqui e irresistibili dei ‘mass-media’, e perciò confonde le vere arti creative con l’intrattenimento o divertimento”, i quali, aggiungo, hanno il compito assegnatogli di cancellare le capacità di pensiero tout-court, e ancor più quello di riflessione critica. Per cui sono pochi coloro che sanno gustare “La vera poesia del sentimento e della consapevolezza intellettuale, cioè spirituale, o – per usare un termine platonico – noetico, cioè mente intuitiva…facoltà sovra personale”
Di questi vitali e culturali attraversamenti, il libro testimonia gli intrecci di amicizie e scambi con i maggiori protagonisti della cultura internazionale, da Pound a Eliot, da Frost a Hemingway, a Pasternak, solo per citarne alcuni. E, per quanto riguarda letterati, poeti e critici italiani, nel libro è ricostituito integralmente il panorama di interventi, contributi e recensioni, di poeti e critici, che vanno da Franco Loi a Francesco De Napoli, al già citato Giuseppe Conte a Giorgio Linguaglossa, solo per citarne anche qui alcuni.
Il libro, dunque, di cui questa mia nota ha il solo obiettivo di stimolare interesse e lettura in chi non avesse ancora avuto occasione di toccare le acque dell’oceano Peter Russell, è stato concepibile e realizzabile solo da un altro oceano di passione quale quello di Wilma Minotti Cerini, autrice a sua volta di vari libri di poesia. La quale, nel corso di qualche decennio ha accumulato testi e testimonianze di un percorso di vita, arte e cultura tra i più straordinari del secolo scorso – dalla nascita a Bristol, nel 1921, alla morte a Pian di Scò (AR), dove è sepolto. Un percorso e una somma di opere che hanno spinto C. Azeglio Ciampi a proporlo per il Nobel. Un libro somma di amore, per il quale possiamo e dobbiamo dire grazie alla sua Autrice.

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A partire da Dante – 5a Tappa Zoom

Pubblicato il 3 ottobre 2021 su Eventi Milanocosa da Adam Vaccaro

Grazie a tutti i partecipanti, autori e pubblico.

E faccio seguire, come con i precedenti incontri, un sintetico resoconto di questa 5a Tappa, che ha confermato approfondimenti tematici, ben oltregrazie a Dante – il letterario. Un Oltre (metafora centrale del suo viaggio) ogni collocazione strumentale, ideologica o teologica, che dona a noi contemporanei sollecitazioni di pensiero critico, oggi penosamente carente entro gli appiattimenti ideologici, identitari e mercantili, interconnessi al capitalismo globalizzato.

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Anticipazioni – Marica Larocchi

Pubblicato il 1 ottobre 2021 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Marica Larocchi
Inediti 2019
Adagio sgusciando dal viaggio
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Nota di lettura di Adam Vaccaro
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Nota di poetica
La poetica di questi ultimi testi rientra nella mia costante ricerca di un linguaggio ‘poetico’ totale, specchio di pensiero e di vita.

Marica Larocchi

1
Di soppiatto esordisce con lente
evoluzioni di sogni che scricchiolando
strizzano pensieri ancora intrisi
d’amnio, se le nubi dei pronostici
si lasciano convincere dal miraggio
fosforescente di un porto. Né sensi
né passioni fanno da scorta alle lunghe
litanie dei litorali: soltanto nastri
di molle bitume segnalano risacche
foriere di ritorni.

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Anticipazioni – Tito Truglia

Pubblicato il 15 settembre 2021 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
Vedi a: https://www.milanocosa.it/recensioni-e-segnalazioni/anticipazioni
Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Tito Truglia
Inediti
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Nota di lettura di Laura Cantelmo

Nota di poetica
Da quando ho iniziato ad interessarmi di poesia con una certa continuità la mia personale cifra “stilistica” è stata quella di un deciso attivismo culturale, un impegno a tutto campo a partire dal nucleo fondativo del fare poetico. Negli ultimi anni devo confessare che la sfiducia verso l’ambiente poetico in generale ha preso il sopravvento. Da alcuni anni mi trovo a centellinare partecipazioni e contatti preferendo il lavoro più oscuro e meticoloso sui testi e sulle letture. Certo come molti pago anch’io il mio tributo di protagonismo ai social, ma, sul piano strettamente poetico, sono, oggi, più attento al lavoro di realizzazione e molto meno alla pubblicazione. Posso dire che la mia produzione ormai viaggia su due binari apparentemente distinti. Da una parte realizzo testi in italiano che, sul piano dei contenuti, uniscono un’esigenza espressiva a una riflessione sul sociale e sulla realtà, a volte declinata con ironia, a volte con uno sguardo cinico, a volte con una intenzione di analisi e comprensione dei fatti e sulle circostanze. Su un altro binario prosegue la mia sperimentazione in dialetto calabrese (la mia lingua d’origine), e su questo versante le linee tematiche ricorrenti uniscono, a una venatura intimistica e personale, una espressività a tratti onirica, che mi piace definire un pastiche di realismo ed ermetismo. La sfiducia che ho sottolineato in apertura, quindi, non coinvolge lo statuto originario del fare poetico, anzi la critica severa su certe forme attuali della cultura poetica in auge, non coinvolge la considerazione (fondativa) dell’importanza dell’utilizzo degli strumenti letterari. La parola poetica non è, per quanto mi riguarda, un dogma rituale da celebrare sempre e comunque, ma resta un’istanza necessaria, sia nel quotidiano, sia per un approfondimento di ricerca che abbia l’obiettivo di dare un segno di miglioramento qualitativo circa le condizioni degli istanti di vita reale dentro cui ci muoviamo concretamente. Buona lettura.

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A partire da Dante – Progetto Bookcity 2021 – 5a Tappa

Pubblicato il 13 settembre 2021 su Eventi Milanocosa da Adam Vaccaro

La Presenza di Dante a 700 anni dalla morte.
Testimonianze di voci contemporanee.

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A partire da Dante

Progetto di Milanocosa per BookCity Milano 2021

Proposto da Rinaldo Caddeo e definito con contributi di:

Claudia Azzola, Rinaldo Caddeo, Laura Cantelmo, Luigi Cannillo,

Gabriella Galzio, Giacomo Graziani, Paolo Quarta,

Fausta Squatriti, Adam Vaccaro

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Realizzazione a cura di Adam Vaccaro

con

Letture e Intermezzi a cura di Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti

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A partire da oggi e fino a ottobre, pubblicheremo post dedicati ai contributi degli Autori partecipanti. A ogni post,

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La scomparsa di Jack Hirschman

Pubblicato il 25 agosto 2021 su Senza categoria da Adam Vaccaro

Un altro grande scrittore e amico ci ha lasciato e voglio ricordarlo con la presentazione che ne feci il 7 novembre 2005 al Teatro dell’Arte di Milano – un evento reading di Jack Hirschman, organizzato da Teatro CRTManifestoMilanocosa e Casa della Poesia di Baronissi. In quella occasione gli dedicai l’intervista che segue, e che fu poi pubblicata anche dalla Rivista Il Segnale

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Altre ragioni – su Hirschman e oltre

Adam Vaccaro

Siamo in una situazione culturale affollata, deprimente e ininfluente rispetto al potere in atto, che usa armi sempre più potenti, oltre che di distruzione, di distrazione di massa, per una produzione di consenso sempre più beotizzante. È una situazione in cui, tra i Nomi più noti, ben pochi hanno speso la propria visibilità su guerre, scandalosi andamenti delle vicende politiche, occasioni di recupero di memoria o di uscita da punti di vista chiusi nel pantano italiano – vedi i casi del trentennale della morte di Pasolini o del recente tour italiano di Jack Hirschman.

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Spazi di Poesia a Bonefro

Pubblicato il 15 agosto 2021 su Resoconti Esperienze da Adam Vaccaro

Spazi di Poesia a Bonefro

Il progetto Spazi di Poesia, che ho ideato e organizzato per Bonefro, mio paese di origine, e che è stato molto ben esposto in un Articolo (che riallego) di Rosalba Le Favi per la Voce di Mantova, sintetizza il mio percorso di ricerca di una poesia intesa come linguaggio totale, fondato su due termini: Identità e Adiacenza. Poesia cui non basta dare forma a giardini di suoni e immagini (ricordando anche la lezione di Antonio Porta) chiusi e appagati di sé, ma aprirsi a scambi vivificanti con l’Altro e l’Oltre il Sé, che pure è la casa del senso cercato. Sono nuclei di senso, che l’attuale fase di sviluppo del capitalismo globalizzato tende a negare alla radice, e implicanti quindi ricerca di visione altra e pensiero critico. Non a caso ho scelto e coinvolto al mio fianco voci di critica come John Picchione (da decenni fonte di scambi vivificanti) e di poesia (come Gabriella Galzio e Tiziana Antonilli), nonché autrici di immagini, in foto e pittura (come Carmen Lalli e Mirella Sotgiu), al fine di comporre un caleidoscopio di linguaggi multimediali.

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La morte di Gino Strada

Pubblicato il 14 agosto 2021 su Senza categoria da Adam Vaccaro

Con la morte di Gino Strada, fondatore e instancabile animatore di Emergency, se ne va uno degli uomini migliori del nostro tempo. Sta a noi comprendere e raccogliere la sua eredità. Il difficile è costruire insieme un paese veramente democratico, civile, pacifico, capace di trovare dialetticamente e politicamente sintesi ragionevoli sulle grandi questioni che agitano e dividono la collettività.
Libertà, dignità, rispetto siano valori veri, non un vuoto esercizio retorico.
Adam Vaccaro

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“Spazi di Poesia” da Bonefro a Mantova

Pubblicato il 9 agosto 2021 su Eventi Milanocosa da Adam Vaccaro

“Spazi di Poesia” da Bonefro a Mantova
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in un ampio articolo-intervista del 3 agosto 2021 di Rosalba Le Favi, nella Rubrica Mantova Poesia de “La Voce di Mantova”
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L’evento multimediale, Spazi di Poesia, ideato e organizzato con Milanocosa da Adam Vaccaro, con la collaborazione e il Patrocinio del Comune di Bonefro, richiamato con rilievo a Mantova.

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Giuseppe Cinà – ‘A macchia e ‘U Jardinu

Pubblicato il 23 luglio 2021 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

TRA CUNTU E CANTU
Giuseppe Cinà, A MACCHIA E U JARDINU, Manni Editori, 2020

di Gabriella Galzio

Nello scandagliare i testi di questo libro mi sono avvalsa principalmente della traduzione, lasciando all’Autore di restituirci la voce della poesia e la poesia della lingua. Seguiamolo dunque nella sua nota conclusiva e addentriamoci nel suo mondo: “L’opera mette in scena una visione del mondo focalizzata su un ristretto territorio rurale denominato Sparauli, posto all’interno della Riserva naturale dello Zingaro, presso Castellammare del Golfo. Essa si sviluppa con riferimento a un luogo, un tempo e un nucleo valoriale osservati sul filo di una svolta epocale venuta a compimento nell’arco delle due ultime generazioni.” E “a queste due ultime generazioni che si sono avvicendate a Sparauli – prosegue l’Autore – corrispondono le due voci narranti delle due sezioni in cui è divisa l’opera. La prima è quella dell’Autore che tratteggia l’ammaliante spettacolo del mondo /_…_/ La seconda è quella di una vecchia contadina che, cresciuta all’interno di Sparauli, ne rievoca alcuni momenti memorabili e fondativi.” Bene, fin qui la nota dell’Autore.
All’interno di questa “architettura del racconto”, in parte ricercata, ma “emersa naturalmente”, rintracciamo due più intime polarità entro le quali il libro si tiene, ossia u cuntu e u cantu, il racconto e il canto – come la stessa poesia “Na vuci surgiva” ci dice – dove “i sentori di terra bagnata /_…_/ si perdono dentro il racconto (u cuntu)” ma anche risuona “una voce sorgiva – un canto di vento -”. Da questa poesia ho tratto alcuni versi, sospesi tra contemplazione ammaliata nel silenzio assoluto e sentimento panico di sentirsi “lapa supra n’alastra (ape su una ginestra)”: “Mmenzu a silenzi assoluti mi fermu/ ammaliatu. Ma a mmia mi piaci puru iri,/ si na vuci surgiva – un cantu ri ventu –/ ri ssutta a timpa m’assàia e mi carrìa/ pi fratta ri spina bianca a tiggnitè,/ a sintìrimi lapa supra n’alastra/ o ragnu ca nnuccenti sempri trama (Tra silenzi assoluti mi fermo/ ammaliato. Ma a me piace anche andare,/ se una voce sorgiva – un canto di vento -/ da sotto la falesia mi assale e mi porta/ per frasche di cardo bianco senza fine, / a sentirmi ape su una ginestra/ o ragno innocente che sempre trama…)”.
Sensibile in questi versi la dimensione lirica che si sprigiona da una macchia aspra e selvatica cui fa da controcanto la memoria sempre viva del padre come nella poesia “Uomini e alberi”: ”Ah, padre mio, se potessi rivederti una volta…/ come antica luce che tremola/ tra il fitto fogliame/ di questi alberi ancora vivi…” In questa poesia la scelta fin dai primi versi di un lessico sacro – parole come santuario, destino, oracoli – non è casuale, a significare il bisogno di eternare padre e giardino, che “sei sempre stato qui, nel giardino/ a vivere e morire insieme a lui …”. In questa narrazione dell’opera dell’uomo nel giardino-santuario di aranci e mandarini, la ciclicità di un continuo morire e rinascere azzera tempo lineare e distinzione di specie, e ci vuole tutti qui compresenti “vivi e morti, uomini e alberi”. In questa visione solare mediterranea la poesia di Cinà è carica di energia vitale poiché la natura, che sia macchia spontanea o giardino coltivato, è ancora intrisa di sacralità, dove spiriti oziosi – quasi tangibili – “mi talìanu (mi osservano)”….”e tutto si accorda, come semplici versi/ di un cantico pastorale, al mare/ e al cielo che lontano si abbracciano/_…_/ e mi raccontano un mondo/ dove tutti siamo re” …come u zu Ninu, “Re e pastore/ che valoroso torna a casa.” In questa armonia cosmica affiora così quasi un’epica pastorale dove gli umili “avanza[no] a testa alta” e si sentono Re. Rientra in questo inno alla natura solare mediterranea la visione ammaliata di creature vivide e animate – “Svirgolando vanno/ una barcata d’acciughe/ per fondali, scogli e a pelo d’acqua/ lanciando bagliori.” …”e scialano la vita così,/ nell’acqua impastata di sale e di sole.” Spesso in queste poesie si condensa nei due versi finali quella semplice saggezza popolare che ci viene dalla natura, come nel caso dei colombacci “[ch]e dal loro paradiso/ ci dicono l’arte di vivere” e infine “tornano” – nel distico finale – “storditi di blu,/ messaggeri di un infinito nostrano”: racchiusa così in questo ossimoro una finitezza nostrana che si apre all’infinito.
In un mondo in cui l’uomo crede di soggiogare la natura, la voce dell’Autore non ha dubbi da che parte stare. In “Lecci in viaggio” gli alberi quasi si ergono antropomorfi a sbaragliare gli uomini: “Ma sono già in viaggio, armati/ d’uno stendardo di poche foglie smeraldo,/ per vincere l’uomo e i suoi mali fantasmi/ e tornare arbusti/ al comando della macchia.” Per questo Autore la natura è un mistero che ancora desta stupore: “E si resta ammaliati a osservare/ in questo perfetto ingranaggio/ il mistero svelato della Natura.” Fin qui la I sezione dove la voce ru cuntu e ru cantu è quella dell’Autore.
Za Rosa è la voce narrante della seconda sezione più incline a u cuntu, al racconto realistico, alla rievocazione di un mondo di usi e costumi destinati ormai all’estinzione, uno spaccato di antropologia che ricapitola il rapporto tra macchia e giardino come è raccontato nella poesia “Era un giardino”: “Quando mio padre comprò la terra di Sparauli/ comprò montagna./ Non c’era niente, pietra e macchia,/ ma quando poi fui grandicella/ c’era l’uno di tutto. Era un giardino.” Un’antropologia contadina in cui la fatica dell’anno agricolo era ripagato da grandi feste – “c’erano tante angustie, sì,/ ma c’era anche tanta festa” -, in cui ogni raccolto veniva festeggiato con gioia, fino a quello delle specie tardive come i fichi che maturavano a novembre ed erano una delizia per la festa dei morti! Esemplare la rievocazione della festa processionale della Madonna del 21 agosto e del coinvolgimento dionisiaco fino alla stanchezza di adulti e bambini: “Ma intanto tra giochi, dolci e tamburini,/ con le luminarie che facevano brillare gli occhi,/ io ero eccitata e esagitata.// Alla fine, a mezzanotte o giù di lì,/ stanchi come eravamo, mulo, giumenta/ [e] scappavamo a Sparauli./ Con la luce a mezza luna e il fresco di agosto/ io mi addormentavo subito, attaccata/ con una corda al petto di mio padre.” E quella bimba attaccata al padre con una corda ritrae un legame d’amore rude essenziale ma carico di poesia.
Anche in queste rievocazioni il sentimento di festa è esteso all’intero cosmo contadino che non fa distinzioni tra umani, animali e acque che insieme scorrono in armonia: “Vicino al pozzo grande costruì/ un lavatoio di cemento/ per lavare i panni/ proprio sotto un albero di gelso/ e a una pergola/ che facevano frutto e ombra.// E là sotto si radunava/ il festino degli uccelli/ ed era una delizia/ tutto questo cantare e volare/ e l’acqua a terra che mormorava/ in mezzo alla verdura.” Ai tanti momenti estasiati non mancano però gli squarci di un mondo feroce che coniuga con la stessa naturalezza amore e morte: “E a sera /_…_/ maschi e femmine che si cercano nella notte./ Ogni tanto urla strazianti di animali scannati.” Anche in questa seconda sezione gli animali sono protagonisti e portatori di sapienza. “Gli animali per me sono stati scuola e compagnia – dice za Rosa e, riferendosi al padre, – /_…_/ lui mi portava ad esempio gli animali.” E così conclude: “…se uno capiva/ che animali e cristiani siamo un poco parenti /_…_/ pure con gli alberi di olivo avrei preso a parlare.”
Così questi versi della seconda sezione richiamano i versi della prima di “Uomini e alberi”, dando ragione all’Autore quando nella sua nota afferma che in riferimento alla prima e alla seconda sezione si pongono a confronto “due racconti della stessa realtà, quello dell’abitante nativa (della seconda sezione) che ne descrive i tesori con forma e contenuto popolare, e quello (nella prima sezione) del nuovo abitante, siciliano ma forestiero, che gli stessi tesori descrive con differente cifra interpretativa. Le due voci narranti s’incontrano in un comune innamoramento.” (p. 103) Che tra le due sezioni ci siano evidenti richiami interni è stato ravvisato anche da Luigi Cannillo (in una precedente presentazione) quando ha indicato nella poesia “La trattativa” un racconto che stilisticamente anticipa la seconda sezione. E a mio avviso l’anticipa anche nella visione non esattamente ottimistica che informa il finale amaro, tanto del racconto “La trattativa”, con un finale a bruciapelo – “ci spararu (gli spararono)” -, quanto dell’intera seconda sezione, che si conclude con un devastante incendio doloso. Nel testo conclusivo “Gente selvaggia”, infatti, è narrata la vicenda paradigmatica del padre che invano “S’ammazzò la vita a spietrare la montagna” perché “Poi il mondo cambiò…” vanificando d’un tratto decenni o secoli di sapienza del coltivare che il padre aveva inutilmente trasmesso ai figli: “questi li pianto per voi perché il loro frutto/ io non me lo potrò godere”. Za Rosa è l’ultima testimone indignata di un mondo che sta sparendo: “penso alle cose brutte/ che succedono oggi…Ma io dico, santo Dio perché incendiano/ la montagna, perché?/
Sono gente selvaggia, vigliacchi!” Così il termine selvaggio che attraverso tutto il libro connota positivamente la macchia, viene qui rovesciato nel suo negativo, nel senso della barbarie, antagonista di quella selvatichezza primigenia della natura, che Cinà intende “come comunità di viventi, nel continuo confronto tra selvaggio e domestico che ha ispirato il titolo, ossia tra l’originaria Macchia mediterranea e il Giardino dell’uliveto e dei mille frutti.” Cinà, architetto e urbanista, è consapevole del paradosso che “quelle divenute ‘protette’ sono diventate le aree più esposte alla calamità degli incendi dolosi” e ai vuoti lasciati da una società c.d. civilizzata. Il libro è infatti testimonianza di quanto, venuta meno l’economia contadina di sussistenza, sia venuto meno anche il presidio e il nutrimento quotidiano del territorio. “Dietro la storia di Sparauli – dichiara nella prefazione Giuseppe Traina – c’è la risentita, indignata percezione di come in Sicilia si sia affermato un modello di sviluppo senza progresso che gli intellettuali, da Pasolini in poi, continuano a denunciare.
Ma questo libro ha voluto salvare, consegnandolo alla memoria, un mondo condannato alla sparizione. E veniamo al dialetto, limitandoci a qualche cenno. Nella summenzionata presentazione del libro, Sebastiano Aglieco ha ricordato che la Sicilia consta di almeno tre aree linguistiche dialettali, laddove la lingua di Cinà rientra nell’area settentrionale dell’isola. In questo libro va detto inoltre che il dialetto di Cinà si diversifica ulteriormente a seconda delle sezioni: nella prima prende voce la parlata palermitana, usata dall’Autore sin da piccolo, nella seconda ricorre la parlata castellammarese più fedele alla sensibilità nativa di Za Rosa che l’Autore ha voluto fare oggetto di recupero; tale scarto ha così “permesso di meglio connotare la diversa coscienza esperienziale delle due voci narranti”. Ma comune a entrambe è la tensione a raggiungere una koinè siciliana che va studiata anche in rapporto all’uso del dialetto nella poesia siciliana dei secoli XX e XXI così come in relazione alle problematiche della neodialettalità nella dimensione sincronica del linguaggio.
È dunque una lingua dialettale permeabile, aperta a contaminazioni espressive della lingua colta e di quella popolare, così come alle influenze delle molteplici lingue e culture dei tanti popoli che hanno abitato la Sicilia. Una lingua che l’Autore in sintesi definisce ‘siciliano di koiné’. Cinà, consapevole della situazione residuale del dialetto nel parlato quotidiano, si avvale della lingua dialettale per “parlare per frammenti forse”, che tuttavia siano “pezzi di vita ancora portatori di un discorso corale e capaci di illuminare il nostro cammino”.
Un’ultima notazione vorrei riservarla al dialetto in quanto lingua madre per eccellenza, evidenziando che in questi versi ho colto come un’eco materna per es. nel doppio degli avverbi “modda modda” …”ruci ruci”… “araciu araciu”…fino al modo di dire “catàmmari catàmmari e a taci maci” che quasi sconfina nella cadenza ipnotica della formula magica…il ricorrente “ammaliare”, del resto, non viene anch’esso da più antica malìa?

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