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Sono stati completati i lavori di ristrutturazione del nuovo sito-blog di Milanocosa.
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Tre incontri di voci e ricerche al CAM Garibaldi
6th ART ACTION FESTIVAL
HARTA PERFORMING MONZA
International Performance Art Festival 2008
(Performance Art e Poetiche Interdisciplinari)
Sala Convegni – Teatrino della Villa Reale di Monza – 29-30-31 maggio 2008
(ingresso libero)
a cura di: Associazione CulturaleHarta Performing Monza –direzione artistica Nicola Frangione
nicola.frangione@tin.itwww.hartaperformingmonza.itwww.nicolafrangione.it
In questi ultimi trent’anni la “Action Art” ha individuato fertili ambiti di confluenza tra la sperimentazione visivo-gestuale e la drammaturgia poetico-visuale e sonora. Un ampio spazio della ricerca è stato caratterizzato dal collegamento tra la Performance Art e le poetiche della “poesia totale” attraverso l’atteggiamento nomade del performer che si sposta incessantemente da un territorio linguistico ad un altro, con la stessa facilità con cui si muove nei territori geografici e nei più vari ambiti socio-culturali.
Dove sta il cuore degli scrittori?
Su un articolo di Claudio Magris (*)
Di Laura Cantelmo
L’articolo di Magris in risposta all’affermazione critica dello scrittore turco Pamuk sulla politicizzazione dell’arte pone, fin dal titolo, alcune questioni di sostanza relative alla produzione letteraria.
Il titolo stesso,riferito al “cuore freddo degli scrittori”, implica un giudizio già formulato sull’autenticità del coinvolgimento dell’A. con quanto va scrivendo. Trattandosi di temi specificamente politici, nel senso di adesione a una causa che riguarda la polis intesa come comunità umana, la posizione dello scrittore negli ultimi decenni si è fatta difficile. In particolare ciò accadde dopo la fase storica iniziata negli anni ’60 e culminata nel decennio successivo, in cui dominava l’interesse per le tematiche civili – i diritti dei “dannati della terra” sia del terzo mondo che del nostro – e per imeccanismi del potere di cui si è occupato in modoapprofondito il pensiero filosofico soprattutto francese.
L’infanzia vista da qui
Francesco Tomada
Sottomondo Editore, 2005, pp 90, Єnon indicato
La prova assoluta che la buona poesia c’è è che non esiste in libreria: infatti di norma la si trova quasi clandestinamente per edizioni che le librerie poco vedono se non nulla. Sembra un paradosso eppure….
Uno dei casi è lo splendido L’infanzia vista da qui pubblicato per la prima volta nel 2005 e ristampato nel 2006 (ma seguiranno altre ristampe a venire) da Sottomondo di Gorizia (www.sottomondogorizia.it) che oltre a pubblicare italiani è attenta alla vicina produzione slovena. Tralasciando la splendida grafica di copertina,L’infanzia vista da qui (con prefazione di Francesco Mattiuzza) è il sunto di una voce sincera, quella di Francesco Tomada, classe 1966 che cerca di colmare le lacune con la parola, che combatte con la sola osservazione delle cose e se ne fa ferire, ne conserva memoria. E chiede scusa quasi, di questa osservazione mentre ci lascia confissi a osservare, noi stessi e con altri occhi.
Per sempre
Edoardo Nesi
Bompiani, 2007, pp 154, Є 14,00
Dì la verità, Edoardo: eri costretto a pubblicare per contratto e la scadenza era vicina. Per questo hai dato alle stampe questa vaccata di libro.
Dove sono le costruzioni/capolavoro di L’età dell’oro, Figli delle stelle, Rebecca, Ride con gli angeli , persino la bellezza di Fughe da fermo?
Dove hai dimenticato i dialoghi ferocissimi e veri, i personaggi totali, puri, credibili, dove? Dove la Prato delle aziende tessili decadute, dove i night dove industrialotti e disgraziati affogano la solitudine, dove la crisi delle relazioni, dove la crisi di mezza età, dove il tuo raffinato cinismo, dove gli eroi del nostro tempo?
L’impronta del tempo
Petr Halmay
Il Foglio Clandestino, 2007, pp 110, Є 8,00
Ha la più bella veste grafica che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni (vorrei potervi pubblicare io!!) questo L’impronta del tempo del poeta ceco Petr Halmay tradotto per la prima volta in Italia da Antonio Parente.
Non solo: l’edizione è con testo a fronte, cosi è possibile – per chi può – leggere anche l’originale.
In più: la pubblicazione partecipa alla campagna “Scrittori per le foreste” lanciata da Greenpeace.
L’origine perduta
Matilde Asensi
Sonzogno Editore, 2006, pp 502, Є 19,00
Terzo romanzo dell’autrice di Tutto sotto il cielo e Iacobus, tre “best seller” dalla vendita considerevole. Lo fosse anche la scrittura…
In questa terza pubblicazione, L’origine perduta, la trama prevede che a Barcellona l’etnologo Daniel Cornwall cada in catalessi dopo aver annotato una misteriosa scritta in una lingua sconosciuta. La catalessi, viene diagnosticato in ospedale, è causata da due diverse malattie: Agnosi e Illusione di Cotard (in breve, chi ne è affetto crede di essere morto e non risponde ad alcuno stimolo). La moglie di Daniel avverte il fratello di quest’ultimo, tale Arnau, ricchissimo e fricchettone, hacker per divertimento (assieme ai due collaboratori/amici Jabba e Proxi)nonchè creatore della Ker-Central, azienda che si occupa di new technology e web. Questi, dall’alto della sua incommensurabile ignoranza in materia di etnologia, ripercorrerà efficacemente e in breve tempo gli studi del fratello (che invece ha impiegato mesi per arrivare ad abbozzi e tracce) e grazie all’aiuto di personaggi aggiunti (che lascio a voi scoprire nella lettura) si recherà in Bolivia, fra le antiche rovine della città di Tiahuanaco, sulle tracce dei mitologici aymara, predecessori degli Inca. Se la catalessi del fratello è dovuta a questa misteriosa frase in una lingua sconosciuta, una lingua primigenia, assoluta e perfetta, la lingua “di Adamo” e di cui nessuna sa nulla, allora la soluzione dovrà trovarsi proprio dove questo popolo ha avuto origine. Complici mappe dettagliatissime disegnate molto prima della scoperta dell’America (altro mistero), il penetrare nella piramide Inca dove è custodito Il Viaggiatore (e ci riescono nel giro di 3 giorni, in barba a tutti gli scavi archeologici precedenti), ecco svelarsi l’enigma degli aymari (ma è davvero tutto svelato?)…
Il pittore di battaglie
Arturo Pérez-Reverte
I narratori Tropea, 2007, pp284, Є 15,00
Tralasciamo la copertina che è scialba e decisamente malfatta. La nuova prova di Pérez-Reverte è invece una piacevole sorpresa. Lo si conosceva per diverse e ottime prove precedenti, ma qui è quanto accennato con Territorio comanche nel 1999 che ritorna poderoso: l’orrore della guerra. L’autore – ricordiamo – è stato inviato per giornali, radio e televisioni, inviato di guerra, sino al 1994 quando ha lasciato per dedicarsi interamente alla scrittura. Se in Territorio comanche la storia era in presa diretta (un giornalista inviato, appunto, in guerra che racconta l’orrore, lo sperdimento e la disillusione) in Il pittore di battaglie è un fotografo di guerra (che così tanto ricorda James Natchway, personaggio reale nonché uno dei migliori fotoreporter viventi) che lascia il mestiere nonostante le tante pubblicazioni ed i premi per dedicarsi invece alla pittura. E lo farà rifugiandosi all’interno di un’antica torre di guardia a forma di cilindro appoggiata sulle rive del mediterraneo, lo farà in solitudine, dipingendone l’interno e mischiando tutte le battaglie, moderne ed antiche, sommando gli orrori assoluti e perenni della guerra in un unico immane affresco. Perché? Forse per desiderio di redenzione, forse per cercare di capire, forse per trovare l’immagine perfetta che mai è riuscito a cogliere perchè la guerra non è un singolo fotogramma né può essere un riassunto al caos del mondo. Forse per ossessione. Forse per chiedere scusa a quanti sono morti inutilmente e per i quali il suo passato di fotografo nulla ha apportato direttamente: la fotografia – sembra dirci – non è servita a niente.
La lingua muta delle tracce
Francesco Marotta
C’è un’intera sezione, nella pregevole opera di esordio di Daniele De Angelis (cfr. Diario di un altro, Ascoli Piceno, Otium Edizioni, 2007), quella intitolata “Sul volto”, con particolare riferimento ai testi III e IV, nella quale è possibile ravvisare, più che in altri luoghi notevoli di quel libro, la radice prima degli inediti che qui si presentano, nella loro non indifferente novità, anche stilisticamente marcata. Complessivamente, pagine di versi che prefigurano una possibile partitura per coro muto, quasi reticoli di labbra, in attesa di aria e suono, che si espandono “senza indice di fine”: un sostanziale taglio sospensivo, di sguardo e di respiro, che si presenta, contemporaneamente, nella duplicità di un corpo, anche sotto il profilo segnico, che guarda se stesso dai margini, mentre il suo calco solare si abbandona e si appartiene all’ombra.
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