Parola e performance della voce
Memoria e presente
Seguono alcune citazioni e prese di posizione, utili a riflettere, sulla nostra storia e sui segni gravi del declino in corso. Sulla responsabilità di tutti che, come sempre, riguarda il che fare
A.V.
“Carattere del popolo italiano che si può chiamare “apoliticismo”. Questo carattere, naturalmente, è delle masse popolari, cioè delle classi subalterne. Negli strati superiori e dominanti vi corrisponde un modo di pensare che si può dire “corporativo”, economico, di categoria, e che del resto è stato registrato nella nomenclatura politica italiana col termine di “consorteria”, una variazione italiana della “cricca” francese e della camarilla spagnuola (..). Una varietà di questo “apoliticismo” popolare è il “pressappoco” della fisionomia dei partiti tradizionali, il pressappoco dei programmi e delle ideologie. Perciò anche in Italia c’è stato un “settarismo” particolare, non di tipo giacobino alla francese o alla russa (..). Il settarismo negli elementi popolari corrisponde allo spirito di consorteria nelle classi dominanti, non si basa su principi, ma su passioni anche basse e ignobili e finisce coll’avvicinarsi al “punto di onore” della malavita e all’omertà della mafia e della camorra. […] Il “sovversivismo” popolare è correlativo al “sovversivismo” dall’alto, cioè al non essere mai esistito un “dominio della legge”, ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo.”
Antonio Porta e la capacità “presentativa” della poesia
Niva Lorenzini
La citazione da cui ho tratto il titolo per il mio intervento appartiene a una lettera scritta da Alfredo Giuliani al giovanissimo Leo Paolazzi, a tutt’oggi inedita e conservata presso il Centro Apice di Milano. La lettera è del 10 maggio 1959. Già in una lettera precedente del 18 febbraio ’59, commentando alcune tra le prime poesie inviategli da Leo e destinate a confluire nel 1966 nei Rapporti, in particolare Europa cavalca un toro nero e Vegetali, animali, Giuliani, oltre a consigliargli letture che ritiene utili per la sua formazione (Pound, Villon, intanto, e Robbe-Grillet) si appuntava un elemento che resta a tutt’oggi fondamentale per la comprensione della poesia di Antonio Porta. Con il fiuto del critico di razza Giuliani coglieva infatti in quei testi, in particolare in Europa cavalca un toro nero, una singolare “energia di immagini” e una “volontà schietta di rappresentare e narrare l’inferno della cronaca”, una volontà, scriveva, che faceva ricorso a un “montaggio violento e spesso illuminante”. E parlava ancora di “violenta espressività” del vedere, seppure ancora presente “allo stato brado” (questa la riserva che avanzava, di fronte a quei primissimi testi).
Lampi di memoria
Gilberto Finzi
Ho voluto cheil titolo di questa breve comunicazione fosse “Lampi di Memoria”: come quei fulminei ritratti che compaiono fuori dal sogno, o come quelle rapide scene evocate da un movimento, da una figura, da un’inezia di cui la memoria subito s’impadronisce riportando alla superficie quello che era rimasto lungamente nel profondo.
“Le radici dell’erba dipinta”
Porta e Spatola, due testualità, una lettura *
Gio Ferri
Il piacere e il dramma delle neoavanguardie poetiche del secondo dopoguerra consistono essenzialmente nella coscienza critica del fare. Di una parola che vuole spezzare apertamente le barriere di un significato univoco, tanto banale quanto oppressivo, per rivolgersi – tra felicità ludiche, amorose, pericoli, abissi insoluzioni autodistruttive – ai territori del significante come segno polivalente e metamorfico. In cui la comunicazione si faccia comunione, carnalità e sensitività testuale, materialità biologica. Una propensione che viene anche da lontano, dal secolo XIX, ma che trova anche oggi nella crisi totale (cioè nella poesia come crisi) la prova inequivocabile di una disincantata coscienza e di una programmatica autocritica. E’ sull’abîme che la poesia delle neoavanguardie, e, oltre le neoavanguardie, la poesia attuale (quando sia poesia! E solo i singoli testi ce lo possono dire…) cercano la loro plausibilità.
Dopo i funerali di Alda Merini
Seguono alcuni commenti e notizie su Alda Merini, come persona e poetessa, di amici poeti e operatori culturali – Franco Romanò, Attilio Mangano, Gabriela Fantato, Pietro Pancamo – che, dopo i suoi funerali, fanno rilievi da me totalmente condivisi. È stata un’occasione per ricordare che fare poesia dovrebbe essere scevro dalle modalità spesso meschine – tra invidie, rincorse di visibilità o piccoli poteri – riscontrabili nell’ambito di chi se ne occupa. Si dirà che i poeti sono persone come le altre. E che questa fase di perdita di valori e orizzonti di mutamento esalta ancor più comportamenti centrati sull’interesse personale e sui narcisismi.
L’esperienza di Dio non è monopolio delle religioni
Patrizia Gioia
Partendo da questo illuminante pensiero di Raimon Panikkar, potremo, se davvero ci fermiamo a pensare con la testa ed il cuore, rispondere personalmente, prima di tutto a noi stessi,a questa domanda che ha scatenato drammatiche battaglie da più parti: che ne facciamo del Crocefisso?
Da anni “coltivo”, dentro me e fuori di me, questa difficilissima terra dove il dialogo interculturale e interreligioso è sempre più necessario e dove il pensiero di Panikkar è di vitale guida per il mio cammino. Il punto più difficile da accettare è quello di non temere di smarrirci nell’altro, perché è solo perdendo la nostra identità e, se serve anche la nostra fede, che davvero incontreremo l’altro da noi e noi stessi più in profondità. È la paura che ci rende aggrappati a sterili certezze, certezze che non esistono e che, sciogliendole, ci aprono alla meraviglia della differenza. Riconoscere che non ci sono universali culturali, anche se ci sono invarianti umane è il passo che ci apre all’incontro e non allo scontro.
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