Auguri 2025
Auguri 2025
di nuova luce
. . .Milanocosa
Mentre oscilli nell’angolo avaro di questo tempo scuro
Continua incessante nel suo cerchio
L’esplosione e la magia di tutta l’altra luce che cerchi!
Adam Vaccaro
Auguri 2025
di nuova luce
. . .Milanocosa
Mentre oscilli nell’angolo avaro di questo tempo scuro
Continua incessante nel suo cerchio
L’esplosione e la magia di tutta l’altra luce che cerchi!
Adam Vaccaro
Con auguri nonostante per l’estate
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Lo Stato in atto e l’Oltre irrinunciabile
Adam Vaccaro
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Vedi anche su Odissea del 7 luglio 2024
https://libertariam.blogspot.com/2024/07/lo-stato-in-atto-e-loltre.html
Solitudine, paura, impotenza. Se si produce un orizzonte emotivo generato da tale triade, si innesca un processo di chiusure regressive anziché di aperture e crescita, quali quelle che Spinoza chiamava passioni gioiose, tese all’incontro e alla conoscenza. Sono passioni che non si coltivano proni e seduti nello stato di caverna passiva immaginata dalla visione platonica.
Sono passioni di un fare, un poièin, che non è solo della poesia delle righe spezzate. Perché può essere generato da ogni fare – artistico o meno – come affermava Gian Battista Vico.
Un fare che si oppone alle risposte offerte dai poteri in atto, i quali tendono a disunire, disgregare, a disegnare orizzonti costellati da pericoli e nemici, diffusi dai massmedia, in canali di falsificazioni e distrazioni di massa, anziché di informazioni reali. Il risultato è uno stato emotivo infantile, di chi si sente abbandonato, spaventato e indifeso, pronto per questo a recepire risposte illusorie di sicurezza fornite da un pensiero di Verità assoluta, incurante della scienza moderna che ne ha sgretolato i fondamenti, e che tende a essere ridotta a scientismo, strumentale quanto dogma indiscutibile – vedi, come esempio, i deliri ideologici e repressivi messi in atto con il Covid.
Il cuore e la storia resistenti di Milano
Adam Vaccaro
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Vedi anche su Rivista “Odissea”: Adam Vaccaro. Il cuore e la storia “Odissea”:
https://libertariam.blogspot.com/2024/02/il-cuore-e-la-storia-di-adam-vaccaro.html
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Angelo Gaccione, La mia Milano, Meravigli Ed. 2023, pp. 222, € 17.
Bisogna avere un grande cuore, al pari di quello che si vuole aprire e riaccendere, per poterlo raccontare e farne corpo di questo libro di Angelo Gaccione. Cuore, beninteso, non come melassa sentimentale, ma come centro vitale di intelligenza che sa andare in profondità, per risalire col sorriso trionfante di un sub con in mano una perla che brilla nelle sue mani. Un frutto di lavorio lungo, attraverso il tempo e lo spazio, immagine di bellezza, perché sintesi di quella nostra illusione di prendere nelle mani la totalità della vita, che solo le oasi d’amore ci regalano, dopo lunghi attraversamenti di sabbie aride.
Stiamo percorrendo un tratto di storia, che disegna orizzonti illusoriamente aperti tra dune desertiche, che ci accecano e ci seccano le labbra, tradendo promesse risolutive delle somme di ansie, pericoli, ignominie e orrori che costellano sempre più le linee del contesto. Questo libro di Angelo Gaccione diventa così una sorprendente, salutare macchia verde dei rari ristori cercati e trovati.
E che questa oasi abbia il nome di Milano è un regalo inatteso, vivendo e respirando nella sua crescente foresta di problemi irrisolti e cemento. Ma è l’amore che sa scovare tutte le ragioni per glorificare e fare Luogo di un orizzonte che tende a esaltare connotati di un nonluogo metropolitano.
La carrellata nel tempo e nello spazio, che Angelo inanella va a caccia di tutte le tracce ed evidenze, non solo architettoniche, che resistono e smentiscono tali tendenze, come testimoni testardi presenti ai delitti commessi, ma che riaffermano ragioni di un passato che ostinatamente vuole essere pedana di un salto verso un futuro disegnato entro un’altra prospettiva.
È una sfida che sfama il nostro bisogno di coniugare bellezza, quale incrocio antropologico di dignità operosa ed etica, che fece meritare a Milano l’appellativo di Capitale morale, prima di vederlo rovesciare in morale del capitale, con il trionfo, a partire dagli anni ’80, del neoliberismo globalizzato e del dominio finanziario su tutte le attività umane.
Gaccione racconta la sua vicenda personale, quando arrivò a Milano dalla Calabria alla fine degli anni ’60, col sogno di una nuova vita in quella che allora era ancora una città, nemmeno tanto grande, col suo Monumento di marmo al centro di un fervore di vita e una Madonnina d’oro in cima. I terroni che arrivavano vi trovavano sensi di comunità unita a una sacralità della vita, seppure con nomi e forme diverse da quelle delle proprie origini. Chi vi arrivava (anch’io ne feci approdo dal Molise, dieci anni prima) trovava modi di rinascere dopo il trauma del trapianto, perché Milano – come tutte le altre realtà urbane, piccole e grandi, era ancora una realtà-città, che proiettava nell’animo di chi vi viveva una sua identità, con segni di storia, memoria, arte e civitas, trasmessa da evidenze di luoghi del sacro e luoghi amministrativi, quali segni-simboli che componevano. una immagine finita dell’infinito.
Patriarcato e Oltre
Adam Vaccaro
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Vedi anche sulla Rivista Odissea
https://libertariam.blogspot.com/2024/02/patriarcato-e-oltre-di-adam-vaccaro.html
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Patriarcato è nome e anima di una originaria struttura sociale che prese forma millenni fa, sollecitata anche da interessi alimentari. Il bisogno e il piacere onnivoro di proteine animali spinse a divisioni di compiti tra l’ambito femminile e quello maschile, affidando prevalentemente al primo la gestione stanziale e al secondo la ricerca di altri alimenti.
Da un lato, le cure sia di fonti alimentari vegetali, sia del gruppo sociale più statico – minori e anziani –, basilari anche nelle strutture matriarcali, dall’altro, la ricerca di prede animali, sviluppò una componente sociale, soprattutto maschile, più dinamica e con caratteri aggressivi, sia per l’esercizio della caccia di tali prede – anche non facili o pericolose –, sia verso altri gruppi sociali, mossi dagli stessi bisogni.
Ma queste divisioni di ruoli generarono caratteri di aggressività leonina tesa a dominare anche verso l’interno del proprio gruppo. Ne derivarono spinte a una organizzazione sociale opposta a quella orizzontale, del precedente regime matriarcale, in un moto verticale di selezione tendente a creare un dominio piramidale, concentrato su un vertice, spinto ad allargare la base dominata sottostante.
Voci di Pace 4
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Milanocosa cura questa rassegna di Voci che vogliono testimoniare, senza retorica e schieramenti di tifoserie acritiche, il bisogno di creare un’altra prospettiva umana rispetto alle derive sempre più gravi dell’orizzonte internazionale, in cui appare senza alternative uno stato di guerra assoluta (come definita da Cacciari), di distruzione totale dell’avversario, con logiche imperiali e sbocchi di terza guerra mondiale, che rendono patetico il sogno e bisogno umano di relegare nel macero della Storia la cultura di guerra per la cultura di Pace di una Fenice Resistente.
Voci di Pace 3
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Milanocosa cura questa rassegna di Voci che vogliono testimoniare, senza retorica e schieramenti di tifoserie acritiche, il bisogno di creare un’altra prospettiva umana rispetto alle derive sempre più gravi dell’orizzonte internazionale, in cui appare senza alternative uno stato di guerra assoluta (come definita da Cacciari), di distruzione totale dell’avversario, con logiche imperiali e sbocchi di terza guerra mondiale, che rendono patetico il sogno e bisogno umano di relegare nel macero della Storia la cultura di guerra per la cultura di Pace di una Fenice Resistente.
XII Edizione BookCity Milano
Teatro Franco Parenti – Café Rouge
Via Pier Lombardo 14 – Milano
18 novembre 2023 – H 14,00
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Progetto di Milanocosa
A cura di Adam Vaccaro
Evento teatralizzato di poesia e musica
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Progetto che dà voce a testimonianze ed energie di rinascita che, a partire da silenzi interiori o sociali, sollecita coscienza critica
della complessità in cui viviamo, nel suo intreccio di ingiustizie, tragedie e resistenze vitali.
https://libertariam.blogspot.com/2023/01/la-ricerca-inesausta-di-pamio-diadam.html
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La ricerca inesausta di Massimo Pamio
In anonimie (Poesie 2010–2020), Edizioni Mondo Nuovo, Pescara, gennaio 2023, pp. 272
Adam Vaccaro
Un libro che si impone con cadenze e intrecci che sono, per chi ha seguito le evoluzioni creative di Massimo Pamio, costitutive della sua inarresa misura con i temi più profondi del nostro esistere. Ma se forma e stile definiscono un Autore, qui ritroviamo confermato – pur nell’impegno richiesto dall’alveo tematico – il rigetto di ogni seriosità supponente, a favore dei panni variegati e dinamici sintetizzati dal Cantimbanco, sintagma e invenzione di uno dei primi testi poetici di questa raccolta antologica che abbraccia un decennio. Una raccolta che è corredata – a sottolinearne il rilievo espressivo – da una ricca Antologia critica, con contributi di Giovanni D’Alessandro, Rossano De Laurentiis, Erica Gazzoldi, Daniela Forni, Renato Minore, Elio Pecora, oltre a una lettera di Gabriella Sica (alcuni dei quali, con fraterne condivisioni del processo decennale di editing, riportano anche le interessanti varianti, precedenti il testo definitivo).
I temi affrontati coinvolgono la totalità di pensiero ed emozioni del Soggetto Scrivente, ma come detto il moto testuale tende a svolgersi nella leggerezza del Cantimbanco, termine che è “un calco di saltimbanco” (come rileva Erica Gazzoldi), e insieme “termine medievale per indicare il cantastorie” (lo ricorda Daniela Forni, che incastona lo stile dell’Autore in giullare del mistero), alias, il cantore, il poeta, che rifugge dal “prendersi troppo sul serio – a mo’ di Aldo Palazzeschi, che si definiva il saltimbanco dell’anima.”
Il Cantimbanco, vola e svolazza (ridacchiando anche sul Volo romanziere popolare) con le sue poesie volte a una Teomantica, prima parte della raccolta, e un altro dei molti termini inventati e necessari alla interminabile ricerca interrogante di cui si nutre (e ci nutre) il libro. “La ‘teomantica’ unisce il dio (teo-) all’arte della divinazione (–mantica). È dunque ispirazione divina, che fa vedere in profondità” (Gazzoldi), coniugando continuamente opposti, paradossi e ossimori, alimenti verbali che qui non sono Jeu de mots autoappaganti, ma segni di una insaziabile fame di canoscenza. È la prima comunicazione complessa che questa poesia e questo libro trasmettono.
“Mio Dio che sei l’unica parola/ che avrei voluto dire e pensare/ echeggiare nel silenzio e nell’anima/ mio Dio che sei tutto ciò che non so/ che sei il più lontano dei miei no”
Dio è parola di ricerca nel mistero, esteriore ed interiore del giullare. Un esteriore che tra i grani del suo rosario, declina ignominie di violenze e guerre di dominio, unite a autodistruzioni di ogni equilibrio della “Madre Terra”. Non meraviglia perciò lo sbocco nell’invettiva: “scaglia gli ignoranti / che vivono sul tuo volto dolcissimo”. Mentre il singolo diventa collettivo: “Schiaffeggiati dal guanto del mondo,/ pretendiamo ragione”, e si fa profetico, tra gli estremi frutti velenosi delle logiche in atto, di “grande freddo” o “riscaldamento globale” e “desertificazione del futuro”. Che nella campitura mistica, domanda: “che sia questo del Maligno” il disegno? Domanda rivolta anche al qui-ora e al noi: “C’è una persona in noi o c’è uno spiraglio del vero del mondo…un segnale del divino che ci avvisa ogni volta del nostro misterioso ingannarci?” Domande che non salvano lo stesso cantimbanco: “inguaribile egocentrico” e “fingitore”, quale denudato da Fernando Pessoa? “Narciso trasformista” che rimane chiuso in sé, o Autore di sé, che sa uscire dai deliri di essere Fattore del Mondo e Castello di Dio, facendone uscio di un senso D’Io?
Domande, interrogazioni e ribaltamenti di sensi compongono la struttura retorica portante del testo: “L’uomo, misura di tutte le cose che non sono,/ di tutte le assenze in sé cumulate, come di quelle/ neanche immaginate. Precluse, tutte, all’interiorità/ come all’esteriorità: escluse da ogni mondo, per amore”.
Pochi versi che incidono il nucleo portante del libro, sintetizzato nel titolo, anonimie. Le minuscole evidenziano il senso di cancellazione di una soggettività che si afferma, Io o Sé che sia. Ma quel “non sono” non ha qui – come ben sottolinea Giovanni D’Alessandro – il significato storicizzato montaliano, di “ciò che non siamo… non vogliamo” – ma di un soggetto singolo-collettivo che si sente smarrito, annullato, non da un gioco autoreferenziale di pensiero, ma dalla immensità dell’esperienza dell’universo, presente e per lui intangibile, come rileva Elio Pecora.
Ma questo vuoto, questo zero, non sono ripiegamento piangente, perché si fa pedana di ripresa del “cammino verso la conoscenza del sé” (D’Alessandro). Siamo dunque alle origini della Sofia, dell’essere conscio della propria infima e insignificante essenza e presenza di fronte a un universo dal significante e significato ignoti. Ribaltati però a fondamento di moto verso domande inesauste, di ricerca che può essere solo del senso dell’Altro e dell’Oltre, ma ricongiunte a specchio nel proprio sconosciuto Sé. Il vuoto diventa così fonte e utero di conoscenza, coscienza dell’interminabile circuito di nascita e rinascita, senza il quale il tutto rimane nulla.
Il gioco e la sfida di Pamio vanno perciò al di là del moderno e di qualunque suo post. Se in tali fasi storiche siamo stati folgorati e sommersi da forme di hybris, deliri di onnipotenza di incrollabili certezze di “magnifiche sorti e progressive” (La Ginestra, Leopardi), Pamio declina e ci sconvolge con versi: “l’incanto/ della fissità d’un bambino mai nato/ il poeta che io sono, mai avuto/ da nessuna madre, da nessun uovo”. Versi che sanno coniugare umiltà e ripresa di sé, nel volo di rinascita di una Fenice-Poesia.
Rinascere alla vita, nonostante i suoi orrori è l’imperativo categorico che ci dona l’astro (come è chiamato dall’Autore) della sua poesia. Davanti al Tutto che parla ed è muto, nasce lo stupore, lo smarrimento, la sofia e la poesia, che danno anche il nome di Dio a tutte le domande interminabili, cui l’atteggiamento mistico risponde col fervore della fede, e l’atteggiamento agnostico, con diversa umiltà lascia sospese.
Ma il Sacro è campo aperto per entrambi, imprescindibile fondamento del senso del limite e dell’etica, il cammino umano negli impervi ed esaltanti passi del pensiero moderno ha piantato lapidi con su scritto “Dio è morto”. Ma l’uomo è vivo? Pamio su questo crinale riparte dalla lapide della morte dell’uomo, eredità di un processo antropologico, senza il quale siamo nulla. In tale alveo, le domande riguardano anche la teomantica e il campo pieno di croci e orrori consegnato dalla storia. Pamio ci invita a ripartire davanti a un immane fallimento che, se è di Dio, è in primo luogo del suo presunto vertice o specie eletta della Creazione.
Nel circuito vitale misterioso, che continua e non ci appartiene, la morte e la vita sono due facce dello stesso Tutto, congiunte in un punto che è Amore, con mille nomi e forme al pari di ogni altro ramo e nucleo della Cosa che chiamiamo Vita. È il nome del mistero che ci dona e domina con la sua petite mort – geniale dicto-scintilla, verbale, materiale e spirituale – di nuova vita. È il campo aperto di infinite anonimie, che attendono da noi di riavere la dignità di un nome.
Può il poièin morire e rinascere in questo campo di croci offrendo il suo canto straziato di corpi senza nomi? È la domanda aperta, senza pace ma affamata di gioia, che questo libro ci lascia. Un libro che si libra in precario equilibrio, di un soggetto che dopo aver inscritto lapidario “Fugge da me ogni certezza”, ribalta come clessidra gioiosa l’invito a “orfanarsi” nel volo di una “cartaventosa”, di una “Cartadittamondo” per porsi e porci, nudi e indifesi, tra paure e tragedie, in uno smarrimento che si fa luogo di linfa singola-collettiva di utopia resistente: “uniti nella speranza nella pienezza dei tempi/ disseppelliremo il nuovo contratto con il mondo”, fino a reinventare il lampo sotto le bombe del mattino ungarettiano, in una forma che è una sorta di balbettio infante: “M’incantesimo d(’)i/m– (m)en(s)o. Scoppiano le bombe e insieme scoppia la gioia-poesia:
“vita è scostare le tende/ per vedere ogni altro mondo”. L’insegnamento è: bisogna partire dal minimo, ma occorre salvare il sogno critico capace di re-agire e smascherare il pensiero unico del turbocapitalismo, tendente a cancellare differenze e a ridurre la ricchezza dell’umanità in un’unica metropoli mondiale.
La ricerca espressiva di Pamio va dunque oltre appagamenti minimalistici o chiusure in torri d’avorio parnassiane, per misurarsi col vento di tutta la storia umana. Un libro vitale e ricchissimo di stimoli, di filosofia, scienze sociali e poesia, da quella più alta fino ai cantautori moderni.
L’Io è sbeffeggiato e rincorso tra sarcasmo e autoironia, colma infine di pietas: “il mio io…consenziente, vigliacco, imbecille, codardo. lo conosco come le mie tasche. Vorrebbe corrompermi o vendermi per pochi denari, tradirmi. Non sa chi sono e di che cosa sono capace. Prima o poi lo trovo e lo ammazzo, con le sue stesse mani. E lo perdono.”
E uguale contropelo è riservato al contesto storico attuale, coi suoi simboli e poteri, che mentre marchiano la vita di massacri e “dal seme della sconfitta del bene”, continuano le declamazioni retoriche di trattati e sigle inutili (ONU, UNESCO, FAO), in un “teatro delle Illusioni” e delle falsità.
Allo stesso Dio, nome di Tutto e Nulla della sua Teomantica, non concede sconti e quella pietas riservata all’umano: “Mio Dio che sei l’unica parola/ che avrei voluto dire e pensare”; “Dio, solo l’inizio d’una negazione senza fine”; “L’Eterno, L’Onnisciente,…L’Onnipotente…lo cerchi in ogni dove./ Fin quando – in un filo d’erba che oscilla/ con superbia per aver resistito/ allo strazio del vento,/ lo trovi: il tuo Io.”; sì, se “Sono: ti annullo, Dio./ E poiché mi doni la parola,/ sia Tu maledetto, compiaciuto in Te stesso…/ amarTi del Tuo Amore, demente Dio ingordo di me,/ che io non sia mai Tuo.”
Le domande su Dio e sulla Poesia sono entrambe interminabili e senza possibili risposte definitive. Altrettanto si può dire della scienza e del soggetto interrogante, Io o Sé che sia. Ma senza queste domande la vita umana è monca. Il valore di questo libro è di farne testo in forma di poesia. Per cui, chiosa opportunamente Forni: “La sua poesia potrebbe sembrare a una lettura superficiale scevra dagli agganci al presente, intrisa di metafisica e di spiritualità”. È un profilo rispondente a quello proposto da Gabriella Sica: “Forse sei anche tu, almeno un po’, come un tuo antenato, il bellissimo pre–italico guerriero di Capestrano. Anche lui non smette di combattere nell’istante e nei secoli, orgoglioso e docile, ‘l’eroico protagonista/ e l’umile comparsa’”.
11 gennaio 2023
Auguri 2023
Milanocosa
Per viaggi vitali non solo di carta
tra luci accese solo da elettroni
Adam Vaccaro
Ucraina, domande e ricerca di complessità
Adam Vaccaro
(su https://www.milanocosa.it/temi-e-riflessioni/ucraina-e-oltre-la-complessita-che-manca)
1 – Nel crogiuolo in atto
Il crogiuolo delle vicende tragiche in corso, che proseguono e cambiano di giorno in giorno, stimola riflessioni incessanti, se non si è convinti di aver acquisito la Verità definitiva. La Cosa è veramente come un’istrice piena di aculei, che coprono il corpo, nascosto da uno tsunami ideologico orientato al 90% verso un Occidente fonte di ogni Bene.
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