Mauro Macario, Ballerina di fila, puntoacapo ed., Pasturana 2021
Figlio del grande comico Erminio Macario – “il Commendatore”, capocomico della Compagnia di giro che nella finzione non ha legami parentali con Marco, il giovane protagonista – Mauro Macario entra nella trama di questo romanzo autobiografico, che lui stesso definisce necessario, con la bruciante intensità e l’amarezza che caratterizza ogni suo scritto, a partire dalla fitta produzione poetica la cui alta qualità e originalità sono ormai ampiamente riconosciute. Una storia animata dalle dinamiche relazionali di una frequentazione quotidiana segnata da umanissime vicende, da affetti e amori più o meno fugaci, da amicizie, rivalità e solitudini lenite dalla tenerezza di improvvise intimità – tale era la vita quotidiana di una Compagnia di giro.
Il romanzo intende conservare la memoria storica degli anni in cui il genere teatrale d’intrattenimento chiamato Varietà assumeva i caratteri del Musical, che da noi si chiamò Rivista con un’intonazione meno grandiosa, rispetto allo spettacolo statunitense, che conservava, però, la dignità del teatro drammatico. Spettacolo d’evasione per eccellenza, che gareggiava con la magia del cinema, grazie all’emozione della vicinanza, della gravitas del corpo, della duttilità vocale di coloro che agivano sulla scena. Torna alla mente il felliniano Ginger e Fred (1985) che metteva a confronto la poesia di quel mondo con la volgarità della scena televisiva. Questo lo scenario del romanzo di Mauro Macario, che di quel teatro restituisce la genuinità e la serietà entro l’esperienza di vita palpitante di legami affettivi – ora profondi ora effimeri – e di fragili speranze. Nella cerchia degli affetti spicca la presenza del “Commendatore”, il cui demiurgico sguardo tutto vede, riuscendo, grazie al suo carisma, a conservare l’unità e l’armonia in quella temporanea famiglia costituita dalla Compagnia. Figura, la sua, che pur restando sullo sfondo, è circonfusa dall’alone mitico che un figlio molto amato riserva a un padre tenero e imprescindibile.
Tra le incertezze e le emozioni dell’esordio teatrale del giovane Marco irrompe una ballerina oggetto del desiderio vicenda personale di struggente intensità, la storia d’amore con Erika, ballerina di fila, che diviene il nucleo centrale nella trama del romanzo. Un’operazione di memoria intesa a fare i conti con un passato che assumerà nella conclusione le dimensioni di una tragedia.
Come si conviene a un romanzo di formazione, l’improvviso affacciarsi dell’amore all’orizzonte di Marco delinea lo sbocciare alla pienezza della vita e, in quanto esperienza suprema, sottolinea il passaggio dal bisogno di assoluto dell’adolescenza alla presunta “misura” della maturità. Il padre e altre figure minori che ruotano intorno a quell’evento rappresentano la cerchia di rapporti all’interno della quale si celebra quel distacco.
Nella quotidianità di un genere di spettacolo che si muove tra il comico e il poetico, la passione divampa, come comprensibile, in un alternarsi di momenti di felicità e di dolore, tant’è che la acerba rimembranza dell’amore di Marco si muove dentro la costellazione delle altre relazioni, inevitabilmente precarie e in quanto tali segnate da un senso di perdita. Vale a dire che il piano della realtà, costituito dal lavoro e dalla vita degli attori, si confronta specularmente con la dimensione onirica tipica dell’adolescenza in cui si muove Marco, con il timore della perdita dell’amata.
L’Autore sottolinea con grande efficacia l’unicità esaltante, dolce e tragica, dell’amore, l’estasi del sesso, i fremiti di paura dell’abbandono, elementi che lasciano presentire un finale amaro. Simbolicamente, infatti, è una tragica catastrofe a decretare il crollo delle illusioni e perfino la fine della Compagnia. Un improvviso incendio riduce tutto in cenere, dalle attrezzature ai costumi di scena, insieme ai sogni e alle illusioni già declinanti di Marco. Una svolta netta, che con molta crudezza e con continue dissolvenze condizionerà per sempre la sua idea della vita: “di una cosa era certo: se non l’avesse più rivista sarebbe andato incontro a un’esistenza desertificata, per molti chiamata, con orgoglio, maturità.”
Affinché quella storia perdesse quanto di unico e di assoluto che, pur col passare del tempo, ancora tormentava le fibre più intime di Marco, il poeta Macario ha voluto riprenderne in mano il filo, per ritrovare la ragione di quel travaglio, liberando quanto ad esso ancora lo vincolava. Richiamando in vita la memoria della felicità di quei giorni – atto catartico pari all’incendio finale del romanzo – tenterà di cancellare il deserto che inaridiva il suo essere.
Non conosciamo l’esito di quella operazione, ma la conserviamo per riflessioni future, poiché resta in sospeso la non trascurabile domanda sullo spazio che la vita matura può davvero riservare alla felicità degli umani.
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