Visioni e sfide di Perseo
Laura Cantelmo
Adam Vaccaro, Trasmutazioni – Alchimie in Caoslandia, puntoacapo Ed, Pasturana (AL) 2024
La recente raccolta di Adam Vaccaro – Trasmutazioni – Alchimie in Caoslandia – dà nuovo respiro all’indagine di ispirazione civile e politica da lui prediletta, riprendendo il discorso intrapreso in Google- il nome di Dio (2021) intorno ai molteplici aspetti e agli inganni del Potere, per altro già presenti nelle opere precedenti, tanto da apparire una delle tappe di un poema incessante.
Il tono e l’intera impalcatura di Trasmutazioni sono, dunque, in perfetta sintonia con le opere già pubblicate nell’indicare gli aspetti sempre più evidenti di una degenerazione dei rapporti economici e sociali dovuta alla globalizzazione, al predominio dell’economia di mercato, nonché alla crisi delle Grandi Narrazioni. Il tutto aggravato dall’uso delle moderne tecnologie e quindi da una spersonalizzazione del Potere, divenuto invisibile e, in quanto tale, sempre più disumano e spietato. Confermando, per altro, la rappresentazione tramandata dall’antichità, come entità di natura infera e mostruosa, benché sottoposta – nell’agostiniana Civitas terrena – al controllo dell’Etica. Concezione successivamente superata, in seguito alla separazione della Politica dall’Etica – e da altre forme di controllo, quali la legge e il diritto – come già dimostrato da Machiavelli.
La mostruosità del Potere come Questione del Male. La figura di Perseo
Il tema del Male, che appassiona Vaccaro, si è sempre imposto anche nell’interesse manifestato dalla filosofia, nonché dalla vasta letteratura che ne ha indagato gli aspetti più rilevanti. Pensiamo, ad esempio al Leviatano di Hobbes (1651), il trattato di teoria politica che ha come fulcro la questione dello Stato come entità mostruosa, simbolicamente incarnata nel Leviatano, il mostro centipede tratto dalla Bibbia, Libro di Giobbe, che affronta la questione del Male. Ed è la connessione col Potere politico, nelle sue varie espressioni, ad essere qui affrontata da Vaccaro, con la stessa passione civile e politica che in questo Poeta già conosciamo, capace di dettargli versi scabri, veementi e sardonici, caratteristici del suo stile. Anche la creazione di divertenti, benché sarcastici lemmi, come il neologismo Caoslandia, nasce da un’ironia che si esercita soprattutto nella creatività lessicale.
Gli strali vengono equamente suddivisi tra chi esercita il Potere politico nello spaesamento del nonluogo, che è la condizione che oggi viviamo, e i cittadini – “pescatori intrappolati da bi/sogni, illusioni d’amore”, sudditi inconsapevoli della beffa operata a loro danno (“Reti”). In realtà, si avverte un malcelato senso di pietas nei riguardi di costoro – i cittadini vittime delle sirene del Potere – che sanno “far /diventare persino il nulla e il vuoto di un/ nonluogo, un luogo pieno di…/…sogni d‘anima in cerca di comunità.” Nella comunità, parola chiave e concetto fondamentale nella poetica di Vaccaro, il Poeta riconosce l’antidoto alla frantumazione sociale del nostro tempo. Il profondo anelito alla socialità, per non sentirsi entità isolate è da lui vissuto ora con stizza, ora con dolore, ma sempre rivendicato con profonda nostalgia.
La tematica al centro dell’interesse poetico e politico richiama inevitabilmente anche le origini mitiche legate alla eroica figura di Perseo, uccisore di Medusa – che è una delle tre mostruose Gorgoni, altro simbolo del Potere, a cui fa riferimento, tra tanti, anche Italo Calvino, nelle Lezioni americane.
Grazie allo stratagemma suggeritogli da Atena, Perseo riesce a non guardare il volto orrifico della Gorgone Medusa, ma solo la sua immagine riflessa nello scudo lucidato a specchio, fornito dalla Dea, tanto da non subirne il paralizzante sguardo che pietrificherebbe chiunque lo fissasse. Secondo alcuni studiosi del tema, la grandezza simbolica dell’eroe Perseo consiste nell’avere con coraggio vinto la paura, riuscendo ad evitare lo sguardo del mostro, venendone a conoscere solo l’immagine riflessa, così da poter rivelare l’Inguardabile all’umanità (v. Marco Revelli, I demoni del potere, Laterza, Bari 2012). Come riferisce Calvino, a liberare gli umani “dalla morsa di pietra” sarà la sua eroica funzione di medium nel trasmettere la conoscenza della ferocia del Potere.
Lo studio di questo perturbante mito si irradia in molte interpretazioni, ma è interessante citarne la valenza simbolica per affrontare l’itinerario poetico di Vaccaro, al quale potremmo attribuire, mutatis mutandis, un ruolo simile a quello di Perseo: lo smascheramento dell’orrore insito nel Potere e nelle sue numerose trasmutazioni subite nella Storia.
Agli occhi del Poeta, gli umani appaiono succubi del raggiro e dell’inganno, avendo ormai smarrito qualsiasi capacità di pensiero critico, a causa delle tecnologie comunicative e della feticizzazione della scienza, che sono strumenti efficacissimi di manipolazione e di propaganda: tali si mostrano gli “stolidi criceti” al servizio del “mostro Stato” (“Criceti alla ruota”). Di qui l’auspicio di una trasmutazione dei cittadini da bruchi in farfalle, in esseri consapevoli del loro vivere responsabilmente in questo mondo:
“Inventare un vento nella vertigine senza scampo”.
L’organizzazione quadripartita della raccolta, simile a quella del precedente libro, offre una scansione paradigmatica dei temi trattati. Se ipotizziamo che i temi siano in realtà maschere dell’Autore, possiamo individuare le tappe del discorso, che John Picchione, nella prefazione, definisce mappe conoscitive, di natura etica e politica, ma anche campi semantici, evidenziando la ricchezza del lessico, delle figure retoriche e della metrica, abilmente utilizzate – come la tmesi e l’ellissi – al fine di ottenere una significativa concisione del linguaggio, attraverso la pluralità semantica dei significati e il movimento alterno tra l’asse diacronico e quello sincronico della Storia.
Appare chiaro che i testi che compongono queste ultime raccolte sono intesi a combattere l’afasia generale con lo svelamento di alcune “immagini” del Potere, fustigando l’inerzia dei “sudditi” mediante una vis polemica e rivoluzionaria su cui si basa il carattere epico della narrazione. Grazie al quale non compare mai un Io narrante, ma solo il racconto di un soggetto onnisciente, come nell’epica classica.
La visione catastrofica del tempo attuale, come cumulo di macerie devastato dalla crisi climatica e dalle scelte economiche neoliberiste, apre la prima sezione, Frane quotidiane. I singoli testi paiono quadri di una mostra di arte visiva relativa alla condizione sociopolitica del nostro paese, tra i quali potremmo trovare persino l’Angelus Novus di Klee, il cui sguardo fisso sulle rovine del passato ha ispirato l’immagine dell’Angelo della Storia di Benjamin.
Nella prima sezione Frane quotidiane, in apertura viene indirizzata una frecciata al Patriarcato vigente: il “sole maschio/ sepolto nei suoi deliri di conquista.”, nel breve testo sul rapporto tra i sessi (“Altari e deliri”). Sullo sfondo di un paesaggio desolato si apre il grande affresco della crisi socioeconomica e culturale odierna, determinata anche dall’incapacità generale di comprendere il presente, nella vana attesa di un “Godot” senza nome, di per sé, già perdente. La denuncia dello sfruttamento dei riders (“Eroi quotidiani”), i nuovi proletari che in funzione di fattorini percorrono in bicicletta le nostre città per servire pasti a domicilio a giovani incapaci di autonomia e di pietà verso i diseredati, mette in evidenza le carenze educative di un sistema di vita. Sono, essi stessi, malinconici esemplari, a suo vedere, di una società narcisistica e autoreferenziale (“Nel regno D’Io”), priva di prospettive future. Molto severo il giudizio sulla gioventù attuale: insensibili verso la bellezza e intrappolati nei non luoghi del consumismo, essi sono fatalmente destinati all’infelicità. La visione tragica di un mondo devastato da povertà, diseguaglianze e guerre, piagato dall’assenza d’amore, richiama l’analisi di Baumann sulla società liquida, pur rispettando, come base filosofica e politica di riferimento, il materialismo storico e le teorie sociologiche ad esso collegate.
La seconda sezione, Pietre senza luna, individua i molti aspetti della crisi a livello geopolitico, criticando la globalizzazione, la subalternità dell’Europa agli USA, patria del disastroso neoliberismo imperante, dove il Dottor Stranamore usa la guerra come una partita di scacchi finalizzata al profitto (“Dottor Stranamore 2022”). Di fronte ad essa vediamo il “popolo” schierarsi acriticamente a sostegno di uno dei contendenti, come in un Derby calcistico, Protagonisti dei testi sono gli ultimi della società, i poveri, i migranti, l’aspetto terrificante dello scontro in Palestina, con i territori ridotti a “campo senza fine di sterminio”. Un elenco di disvalori che dipinge in termini realistici la distopia in cui siamo immersi – “…vittime/ fino a quando/ saremo tifosi di paure diverse”. (“Frantumi”)
La terza sezione, Sassi volanti, evoca il mito di Davide (senza Golia), indirizzando gli strali verso lo sfacelo dell’informazione fuorviante, incarnata simbolicamente in una nota e influente conduttrice televisiva (“Virago della Settima”), nell’assoluta abulia della popolazione, incessantemente bersagliata da immagini di tragedie di ogni genere. La possibilità di un superamento degli ostacoli, già velatamente individuabile nelle sezioni precedenti, appare qui più esplicita: “Se un sasso / ferisce il tuo passo/ tu fanne canto momento/ moto teso a un salto più alto”. (“Sassi e scale”).
In Pietre miliari, sezione finale, si ampliano gli spiragli di luce, grazie alla memoria della terra d’origine, quel Molise che rivive nelle descrizioni e nelle rievocazioni dei personaggi e dei profumi della campagna. La dolcezza dell’ispirazione, affidata alla leggendaria dimensione assunta nelle rimembranze delle radici, contrasta con il ricordo della durezza della vita da migrante (“Origano molisano”) “ai piedi del monte più duro da scalare”: proprio nel momento dei bilanci di un’intera esistenza, il Poeta ripercorre a ritroso la dura fatica di quei giorni.
Una sezione aperta alla speranza, quest’ultima, nonostante gli ostacoli, “i sogni d’Icaro” che ne hanno segnato il cammino (“Trasmutazioni”). Nel tempo di vita che rimane, ormai poco margine è affidato al sogno, eppure la riproposizione di un testo tratto dalla precedente raccolta – “Lettera di Wilma” – rientra coerentemente nella struttura ideale come pilastro portante, al quale trovano sostegno i valori ideali di riferimento. La potente immagine della staffetta partigiana – suocera del Poeta – illumina di attese e di intensa passione questi ultimi testi, come spinta per un’idea di futuro, diversa e contrapposta alla negatività del presente, attraverso le parole di Wilma: “Forza, la vita è ancora vostra e sta sola nelle vostre mani.” Il richiamo alla storia di quegli anni, quando il sogno si era fatto progetto di vita e strategia di lotta per l’avvenire, rivive in questo testo come impulso epico verso il cambiamento.
Quella stessa passione ispira la poesia che, nella postfazione, anche Gabriella Galzio, ha interpretato come dichiarazione di poetica: “Arrivano come perle parole che non sai/…/ perle sapienti di salvezza” (“Perle”) ribadisce l’assioma secondo cui la poesia sgorga dall’intimo ed è strumento o vento di redenzione. Le madeleines di Vaccaro sfilano in questa sezione come in una sequenza filmica: immagini, suoni, profumi, voci e visoni del paese natale accompagnano la storia di un ragazzo emigrante, come quelli presenti nei canti di lavoro della nostra giovinezza. Sono versi che risuonano come l’invocazione alla Musa nei poemi classici:” Profumami origano di colline molisane/ i miei ricordi di ragazzo inerpicato/ nei suoi sogni saporosi/ come le fette di pane e pomodoro” (“Origano molisano”). Sullo sfondo vediamo sfilare, come nobili icone, le donne che portano maestosamente sulla testa la tina – l’anfora colma d’acqua – “fatta corona di/ trionfanti regine…/ brave e schiave/ di un tempo avaro di diritti” (“La tina”).
Nel finale, la memoria dei primi tempi vissuti a Milano si colora della nostalgia di come eravamo, quando i tram erano verdi, non contaminati dagli annunci pubblicitari, nudi e semplici come pareva la vita in quei giovani anni, a dispetto delle inquietanti trame nere ordite nell’ombra. Icone di un tempo non ancora posseduto dal consumismo, che ci avrebbe tramutati in uomini e donne a una dimensione.
Un commento a parte meritano i brevi, aforistici “Auguri”, che chiudono ogni sezione, allentando la tensione con un sospiro di sospensione e di speranza. L’ultimo di essi rappresenta l’invito a raccogliere le energie per risorgere dopo le cadute, allorché le forze cedono e lo smarrimento ci invade:
“ma è solo un attimo – e la tua isola lo sa”.
15 giugno 2024
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