Scrittura e Letture

Blackout – Anna Lombardo

Pubblicato il 9 novembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Il deserto della verità e l’Oltre
Adam Vaccaro

Anna Lombardo, Blackout, El martillo press, 2024, pp. 178

Questa raccolta bilingue di Anna Lombardo è traduzione sulla pagina della costante instancabile azione che l’Autrice conduce tra Venezia e le Americhe, organizzando continue iniziative con Palabra en el Mundo, di connessione tra voci che non smettono di dare testimonianze di resistenza vitale nella pervicace tempesta di sabbia prodotta dai poteri economici, politici e socio-tecnologici contemporanei. Un contesto innervato nelle logiche ideologiche, costitutive e contraddittorie, di due teste e forme dei domini in atto: da una lato una globalizzazione che spaccia illusioni di Eden di libertà senza limiti, di persone e merci, dall’altro un orizzonte asfissiato da guerre senza fine, imposte dalla testa dell’espansionismo imperialistico.
Nelle varie aree di influenza dei livelli di interesse e potere hanno agito nel corso degli ultimi decenni logiche particolarmente pervasive e tese, per un verso a disgregare senso di comunità, dall’altro ad accecare la capacità di pensiero autonomo e critico. La risultante, per essere efficace, deve innervarsi in una orchestrazione di mezzi di comunicazione di massa, storicamente mai così vasta e onnipotente come quella contemporanea. I mass-media sono oggi fonti essenziali di dominio, in primo luogo culturale, che martellano 24 ore su 24 una Verità (tra)vestita da pensiero unico falsificante e fondamentalista. Al tempo stesso, l’orchestra deve assordare e ottundere attenzioni emotive e mentali con una incessante trasmissione di forme del cosiddetto intrattenimento. Ne scaturisce una guerra di distrazione di massa in cui, al pari di quella con bombe e missili, “La verità è la prima vittima di guerra” (p.156), titolo e oggetto di un testo, dedicato a Julian Assange.
Ecco, di questo articolato processo di erosione antropologica, questo libro di Anna Lombardo si fa voce di denuncia lucida, appassionata e al tempo stesso fredda, alla ricerca di oasi in cui ricostruire e salvare il bisogno prioritario di relazioni sociali non alienate, denunciando il buio epocale, le ferite e il dolore di degradi, imbarbarimenti e desertificazioni umane crescenti, come in questi versi: “mani salivano amore, lenzuola intrecciate/ come pergole sui giardini sognati dell’Eden/ piantati in libri osannanti città bruciate,/ lingue storpiate, per diritto divino di primigenie// Sirene intrappolate dall’abbondanza mescolano/ il giusto e il vero, dai balconi della borghesia diamanti,/ sangue e foreste ammassate su navi guerriere”(p.76).
Pochi versi capaci di raggrumare l’intruglio di dominio globale che falsifica e disumanizza, in cui tuttavia si riafferma il bisogno di un Oltre e Altro di amore, utopico quanto necessario. E ogni pagina di questo libro replica tale verso e musica: “nel silenzio di vuoti modelli di stato/…costante testimone è il cielo assente/ ed il fiume scorre da altro lato. Dove/ non c’è solo l’andare verso la corrente?” (p.52). L’imperativo categorico, etico ed epico, è cercare un altro verso, che coniughi e congiunga vita e poesia, se la poesia non è intesa solo come segno trascritto sulla pagina, ma voce di bisogni ancorché qui e ora non contemplati. Perché “Le cose non dette ristagnano: nel cuore gonfiano rabbiose le vene/ vegetano nel vivere segreto di colpe/ ignote a vigilare risvegli, moti/ o speranze di ritrovamento/…/ nell’angolo più buio del pianeta/ come fossi veramente tu il pirata” (p. 38). Scrittura densa di serena passione, critica e autocritica, capace anche di graffi ironici, mentre “L’umanità schiacciata la si può cogliere” (p.22), al pari di “Quel lamento di conchiglia – strappata al mare/ che accorcia il tempo dei tempi, sa anche/…/ in attesa di proiettili calibrati/…/ di dirci della nostra vita (p. 26), che “tra case, alberi e canali, quella dell’umano/ è la forma più precisa su cui sparare” (p.22).
Questo libro (con copertina di un’opera dell’artista neozelandese Kaye Cederman) è una sorta di anello di totalità della vita, dalla biologica alla intimità psichica, in cui l’umano “appare goffo manichino”, sconnesso al Resto, per cui esplode la pena per l’anima che “si acquatta là al suolo/ senza neppure la dignità di blatta,/ formica o verme…/…latrato di cane, nitrito di cavallo/ o il cincillare di uccelli in volo” (p.22).
Da queste citazioni emerge la musica poematica del testo, tra sguardo lucido, pietas e non arresa speranza di riscatto umano, un canto resistente che nelle tre sezioni del libro (Blackout, Con candide mani / With candid hands, Tracce / Traces) sviluppa un percorso dal buio alla resistente ricerca di luce, un moto laico e dantesco, svolto in lampi d’amore di memorie personali e collettive, per cui: “Quando la Speranza sembra andata – e il dolore della vita è alto// è allora che ritorno/ a cercare scintille dentro”, che fanno “Ricordare la dolcezza del tuo sguardo/…/ Ricordare la soffice luce del giorno e della notte”, che rigenera energie e fa sentire che “La natura è con me ogni volta che la faccio entrare” (p.172).
8 novembre 2024

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Uc de Saint Circ – Alessandro Cabianca

Pubblicato il 2 novembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Radici eticosociali ed estetiche della poesia moderna

Adam Vaccaro

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Alessandro Cabianca, Uc de Saint Circ – Un trovatore alla corte degli Ezzelini, Cleup (Cooperativa Libraria Editrice di Padova) – Romanzo, pp. 234 . € 18,00

Alessandro Cabianca è stato un importante compagno e amico del viaggio di ricerca intrapreso con Milanocosa all’inizio degli anni 2000, di cui è stato referente di un adiacente gruppo veneto, che a Padova in particolare ha curato e organizzato non poche iniziative.È un abbrivo non gratuito o cortese della lettura di questo romanzo, perché della visione interdisciplinare di ricerca intorno alla poesia (quale ha animato nell’arco di tre decenni il progetto e le cento e più iniziative di Milanocosa), l’appassionato viaggio intorno alle vicende umane e creative di Uc (Ugo) de Saint Circ ci arricchisce di conoscenza delle radici della poesia moderna.

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Trilogia di Racconti – Gianni Caccia

Pubblicato il 24 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

A caccia della difficile Armonia
Adam Vaccaro

Gianni Caccia, Trilogia di Racconti, Puntoacapo Editrice, Pasturana (AL):
– RICERCA, 2018
– TRIODOS, 2021
– L’ULTIMO BIVIO, 2024

Conosco Gianni Caccia da alcuni decenni, ma dopo La Vallemme dentro di oltre 20 anni fa, non avevo ancora letto la serie di racconti lunghi di questa trilogia, in cui ritrovo il suo respiro misurato e lungo, di maratoneta, teso a indagare l’Orizzonte socioculturale e a tradurre sulla carta la ricerca (sic!) a caccia (omonimia e gioco verbale che la lettura mi scodella) di un equilibrio che, nell’arco degli ultimi anni, è diventato sempre più difficile.
Sono già esplicativi di tale sintetico nucleo di senso, i titoli, incentrati e motivati dall’ansia di capire. Che non si muove in ambiti speculativi astratti, ma sul territorio del proprio orizzonte vitale, trasmutato in materia di pensiero, riflessione filosofica e visione critica, entro una esemplare messa in forma della lezione di Anassimandro di Mileto, per il quale la filosofia fioriva interconnessa alla geografia.
E la fonte alta del pensiero greco è richiamata sin dalla citazione di Eraclito in esergo a Ricerca: “Armonia che si tende da un estremo all’altro, come dall’arco alla lira”.
Dopo di che prende avvio il primo racconto, dal titolo Palintomia, che fa ricordare palinodia, termini entrambi di profonde radici greche, ma quest’ultimo con senso che si contrappone a dettati precedenti, mentre Palintomia è subito eco di complessità, termine polisemico, di tensione alla pluralità semantica e alla capacità di considerare sensi opposti, quali sono poi svolti dal racconto.
La narrazione parte da «Il profilo delle montagne che si stagliavano sotto il cielo di cenere sembrava apposta per respingere chi volesse violarle… mentre l’auto intraprendeva le prime salite… sotto la guardia delle montagne». Dopo di che il racconto ci conduce nelle trame della ricerca del protagonista, Giovanni, traslucido alter ego dell’Autore, dedicata a una setta dal nome evocante, Penti, e motivata dalla fascinazione per ciò che è eretico, anomalo e fuori dai dogmi indiscussi dai fedeli assuefatti. Metafora di sensi ampi e molteplici.
Il testo trasmette la suddetta fascinazione e il passo lungo è necessario a un tragitto lungo, già presente nell’animo pregno che inizia a premere sui tasti del pc, che si traduce in periodi altrettanto lunghi, intercalati da subordinate, virgole e punti e virgole. Eppure il respiro del testo non trasmette affanno e fatica, come a volte capita anche con certi classici. È che la levità non deriva solo da piccoli passi, brevità di articolazioni frasali. Ed è un dono di cui Gianni Caccia mostra di conoscere il segreto.
Ivano Mugnaini, di questa trilogia non è solo un fraterno compagno di viaggio, è un esempio di ciò che io chiamo lettore co-autore, di un’Opera consistente – sia per le complessive 570 pagine, che per i 6-7 anni di vita dedicati alla sua stesura, che hanno magari lasciato qualche capello di meno e qualche ruga in più. Ma la consistenza è soprattutto di grani di coscienza in più, e di spessore culturale, che qui cerchiamo di lumeggiare almeno nei suoi nuclei principali.
Mugnaini intercala la trilogia cacciana con la postfazione del primo e le prefazioni del secondo e terzo tomo, evidenziando con condivisione adiacente ed affettuosa acribia, sin dall’abbrivo della sua lettura di Ricerca, la sapienza di scrittura: «Non c’è fretta né approssimazione, nei racconti di Gianni Caccia, Non c’è frenesia tipica di chi vuole produrre per apparire, sfornare di continuo per raccogliere esclamazioni di plauso che durano quanto un croissant sul bancone di un bar. Caccia dà l’idea di scrivere con gusto antico e tuttavia attualissimi. Cerca la parola esatta, indirizza il cursore del computer e della mente con occhio serissimo e divertito…che sente di voler comunicare…la dimensione onirica apparentemente eterea e l’asfalto apparentemente saldo e impoetico… che ancora parla della memoria leggera e tenace, quella che in fondo ci rende ciò che siamo».
Il secondo e terzo racconto di Ricerca si svolgono guidati da un altro alter ego, il professor Konrad Jaeger, tra sfondi di passioni per corse di Formula 1, attività scolastica, territori e orizzonti di memorie storiche lontane, in cui Jaeger è filo conduttore; ciò si ritrova anche in Triodos, titolo che richiama un orizzonte geografico più definito, di vicende collocate nel triangolo di tre Regioni – Lombardia, Piemonte ed alta Emilia, con lo sfondo dell’oltralpe ligure – area dell’Appenninico Oltregiogo, territorio in cui è posta Novi Ligure, e dove vive Caccia: un territorio marginale e ibridato tra le provincie di Alessandria, Pavia e Piacenza, davanti al bastione di montagne, oltre le quali c’è la Liguria.
Anche nel terzo libro permane il filo conduttore di Konrad Jaeger, in un percorso che si fa più serrato e formalmente più secco, di un tratto del viaggio di ricerca e acquisizione conoscitiva del Sé e del Resto, che è – come ben sottolineato da Mugnaini nella prefazione a L’ultimo bivio – a specchio, radicato in un tempo e in un territorio materici e interiori, trasmutati in paesaggi dell’anima, e immagini del processo autopoietico della interminabile ricerca della propria identità.
Ed entro tale quadro, questo ultimo disegno è, come già indica il titolo, tutt’altro che un punto di arrivo definitivo, una Itaca e un porto in cui dare riposo e appagamento alla ricerca di sé stessi. Perché l’orizzonte geografico-temporale contemporaneo non consente equilibri armonici, innervati in una polis e in relazioni gioiose, quali intese da Spinoza.
Ne consegue che il dono di un giardino fiorito di senso, rimane una utopia umana, sociale e storica. Che però non va lasciata nel ripostiglio delle cose dismesse e irreparabilmente logorate. Anzi, quanto più le condizioni attuali tendono a negarla, essa va ripresa e coltivata in quel giardino, seppure devastato e sommerso da nebbia, in atmosfere cupe che lo contornano e irridono.
Questo è almeno il mio personale punto di arrivo, aperto e non arreso, di tre libri di cui sollecito la lettura. Un viaggio da condividere e che rimarrà nella memoria, perché ci offre una misura attiva con la complessità e le difficoltà di armonia ecologica ed antropologica, entro l’orizzonte di Tempo che stiamo vivendo.
Ottobre 2024

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Luoghi sospesi – A. Ferramosca

Pubblicato il 23 ottobre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Annamaria Ferramosca, Luoghi sospesi, Premio Città di Roma 2021, puntoacapo Editrice 2023

Nota di lettura di Margherita Parrelli

Luoghi sospesi di Annamaria Ferramosca è un flusso di coscienza, non ha un inizio né una fine e a indicarlo non è solo l’assenza di maiuscole, o le domande bambine che lo aprono e quella che lo chiude e ne svela l’anelito che lo percorre e ne è ragione: “forse è nel sentire il senso?”.

A svelarne la sua natura di flusso di coscienza, che si mostra e si disperde, è il senso di tempo unitamente molecolare e magmatico che lo attraversa e quello di spazio definito solo dall’essere dietro il vetro (“bambina/ isola d’occhi indagatrice (…)/ per ore a guardare/ di là dal vetro/ fuori dalla finestra”, p.9) o fuori il vetro (“fuori dalla finestra/ dove si mostra il mondo/ guardo (…)/ e riconosco e imparo/ il duro limite della parola”, p.45).
Separata o unita, nell’introspezione o nell’esposizione al mondo, Annamaria apprende che stare oltre il vetro non comporta alcuno svelamento, ma piuttosto l’incontro-scontro con il limite (“oh sapevo eccome lo sapevo/ fin da bambina/ che sarebbe finita così/ che la parentesi vissuta/ – o mai vissuta – si sarebbe chiusa/ con un arcano flop” p. 90) e che ciò che certo è unicamente l’impossibilità del ritorno allo stato precedente l’entrata nel modo, al momento prima della cacciata dal paradiso, alla gioia dell’inconsapevolezza, poiché una volta intrapresa la strada della conoscenza ha inizio anche la strada dell’estraneamento: “matta voglia di rompere questi vetri (…)/ farmi estranea a me stessa (…)/ lo so poi sarà impossibile/ ritornare nella stanza” (p.36).

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Novembre – Serena Rossi

Pubblicato il 20 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Serena Rossi, Novembre, Nulla die, Piazza Armerina (EN), 2024, Pagg. 83, € 15.

Laura Cantelmo

I brevi versi di Serena Rossi sono la sua cifra stilistica, la fulmineità telegrafica di un discorso che allude, che lancia il messaggio per serrare i sigilli poco dopo, con una sorta di pudore, quasi si trattasse di una confessione o di uno sfogo improvviso. Non è difficile attribuire tanta stringatezza all’altra faccia della creatività di Serena, che sono le arti visive. Ė il titolo stesso di questa silloge, Novembre, ad anticipare lo stato d’animo dominante – la melanconia di una stagione che offre una sua compunta bellezza, pur se il mese di Novembre, con la commemorazione dei defunti, resti pervaso da inevitabile tristezza.
Solitarie, sul foglio bianco le parole sono immerse in un vuoto echeggiante risonanze misteriose, ma sempre nell’attesa di qualcosa che resta fatalmente incompiuto: l’amore, il sesso, il mondo avaro di felicità, la sorte dei diseredati, i sogni che non si avverano. E sullo sfondo, il mare. Il tutto esposto con compostezza, senza rabbia, tanto da farlo sembrare un taccuino d’appunti, che trovano nel finale del testo uno sviluppo minimo, in una forma aforismatica esplicativa. Vediamo un testo poetico: “Volo di rondine nera/ Corsa senza respiro. / Limite// Goccia a goccia. //Dal vetro trasparente rotto/Per il troppo riso. / /”. Ed ecco apparire la chiusa:” Sete avara del rimpianto. / / Terra senza pace.” (pag.36).
Nel comporre il discorso, la sinteticità di ogni verso crea un metafisico senso di sospensione e di solitudine: “Un appoggio, un grido/ Latrato di cane selvatico /Allupato assurdo sincopato destino/ Siamo quella roba. / La nave che non fai entrare, l’acqua che ti assorbe/ Il sale che brucia la pelle/ E il sole che ustiona.“. E poi il finale:” /Siamo acqua e terra/ Nuova.” (pag.64).
Il vissuto di chi scrive si fonde con la condizione degli ultimi della società, seppure nella convinzione di essere “nuovi”, nonostante. Non a caso, come è già stato rilevato in altre note di lettura, una ricorrente parola tematica, soglia, denota un senso di esclusione, di insoddisfazione, di incompiutezza. Nulla di nuovo, di questi tempi, in cui tutto viene rimesso in discussione generando nell’Io stesso disagio e smarrimento.
La riflessione dell’Autrice sulla sua microstoria personale viene influenzata o, meglio, inserita nella Storia che impatta sul nostro vivere, sui sentimenti, sugli eventi stessi: “Voglio il foglio pesante per segnare in/ Nero il tratto della fine. / […] / Un anno di guerra genera spavento/ E scompiglio. Mondo oppresso.” Oppure, descrivendo – non a caso – un’opera visiva: “Omini neri appoggiati a terra/ […] Affumicati sul foglio in mezzo/ A macchie ocra e paglia. / / Sorte appesa gestita fuori dalle acque/ Internazionali. Fuori dalla ONG che chiedono compassione. Fuori dalla pietà/ Fuori dalla memoria. Dentro la storia.” (pag.31). Poiché l’isolamento e l’emarginazione allignano profondamente nella Storia attuale, la proposizione/avverbio fuori, iterata più volte, rafforza il significato di soglia, accrescendo un inquietante sentimento di esclusione. A tal punto che, coerentemente, un testo parla di fuga: “Voglio prendere il treno e perdermi/ […] / Voglio sparire.”
Va rilevato che l’uso della maiuscola in apertura di ogni verso, secondo noi, ha un’importanza strutturale, quasi a voler conferire nobiltà ai temi esposti in ogni “riga”, al fine di una successiva argomentazione.
Un intenso spleen novembrino percorre tutta la silloge – lo spleen di Milano…- presente anche nel testo eponimo – “Novembre in Milano” – figurativamente sintetizzato dall’aforisma: “Siamo ombra e soglia.” (pag.31), che avrebbe anche potuto essere il titolo dell’intera raccolta. Smorzando ogni possibile entusiasmo, lo spleen si riverbera in ogni immagine e grazie ad esso neppure l’amore conosce la passione: “I cocci, come cenere/ stanno in basso/ […]/ Stanno sotto il mio sguardo/ […]Che lento ti guarda che ti vesti e/ Non è curioso// Non si appassiona al tuo seno/ All’incavo del tuo braccio al monte del tuo pube/ ”(pag.81). Tuttavia, una venatura affettuosa: “Io voglio il tuo bene” – può essere letta come un’implicita richiesta d’amore.
Spleen o vuoto? Quello che l’Autrice vuole comunicarci di preciso è rinchiuso nei suoi sintetici versi, nel loro mistero. Ma noi percepiamo che il suo sguardo sul mondo ben si adatta all’air du temps che tutti ci avvolge e ci accomuna: la realtà oggettiva è specchio di un “dismesso sogno”, del deserto che è in noi e fuori di noi. Ovvero, per una pittrice come lei, nei “Tableaux vivants” della periferia “accecata”.

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Ombre degli Eroi – Donatella Bisutti

Pubblicato il 16 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

ALLE FONTI DELLA SAGGEZZA

Donatella Bisutti, Erano le ombre degli eroi, Passigli Poesia, 2023 – pp. 203

Entro gli Orizzonti sempre più tragici e antiumani che stiamo vivendo, spesso dobbiamo registrare indifferenze e inadeguatezze, sia politiche che culturali. Ci sono tuttavia, per fortuna, esempi contrari di analisi, denunce, espressioni, iniziative, di presa di coscienza e difesa coraggiosa della verità. Le quali tendono a farsi carico delle responsabilità storicosociali, senza di che la china dei degradi antropologici in atto proseguirà, nella incapacità di riuscire a vedere, immaginare e progettare, come e quando potranno aprirsi le possibilità di un altro Orizzonte epocale. Credo che questo libro di Donatella Bisutti abbia alle spalle il nondetto che ho sintetizzato. Di Donatella conosco il percorso e la storia, costantemente impegnati nella ricerca di un pensiero critico rispetto alle derive e alle falsificazioni dei poteri di turno. È un atteggiamento generale, che definisco oltre la qualifica di civile, termine ormai usurato. In chi, come Donatella, matura un senso di responsabilità politicosociale, l’espressione e l’azione diventano politici, con senso alto ed etimologico, in riferimento alla cura e all’amore per lo stato della polis.

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X Convegno di Antichistica

Pubblicato il 1 ottobre 2024 su Eventi Suggeriti da Maurizio Baldini
X Convegno di Antichistica

in memoria di Emilio Piccolo

Tradizioni, voci e immagini
dall’antico, echi nel presente
11 Ottobre 2024
Museo dei Campionissimi – Novi Ligure (AL)

Saluti – interverranno Rocchino Muliere (Sindaco di Novi Ligure) e il prof. Michele Maranzana (Dirigente Scolastico del Liceo E. Amaldi)

I SESSIONE
ore 9.00
presiede Adam Vaccaro
Lorenzo Fort
Presentazione della rivista
Gianni Caccia
Il vegetarianismo di Porfirio come forma elitaria di
rispetto per l’animale
Vincenzo Ruggiero Perrino
I papiri dello spettacolo. Quinta serie
PAUSA
Lucina Àlice e i suoi studenti
Le Rane di Aristofane e il nostro bisogno di
poesia
Alessandro Cabianca
Le traduzioni dell’Iliade, da Vincenzo Monti a
Giacomo Casanova

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Trasmutazioni2 – Adam Vaccaro

Pubblicato il 2 settembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Adam Vaccaro, TRASMUTAZIONI – ALCHIMIE IN CAOSLANDIA

puntoacapo, 2024

Recensione di Angela Passarello

In questa nuova silloge, Adam Vaccaro ci immerge, come nei suoi libri precedenti, e con la maestria della sua parola, nel paesaggio devastato del reale. Infatti, il poeta, con occhio critico, mai distruttivo, denuncia il mortifero del nostro tempo di cui siamo vittime e al contempo responsabili. Non è un caso la scelta del titolo del libro, dove i termini: Trasmutazioni/Alchimie/ Caoslandia, sono apparentati, seppur nel traslato, da un unico significato. L’alchimia messa in atto dà senso all’esperienza che con la parola poetica crea armonie, dense di significanti e di contenuti. Così, tra i fenomeni e gli oggetti presenti, troviamo la pietra che, oltre a titolare diverse sezioni del libro, è materia, potenza evocativa del sacro. Quel sacro aberrato dalla nostra epoca e sostituito da dettami inferi e dai mezzi sempre più sofisticati del potere. Nelle mani del poeta, la pietra, simbolo arcaico, oggetto dalle molteplici valenze, diventa anche nome, portatore di memorie, chiave di narrazioni universali.

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Trasmutazioni sul Corriere

Pubblicato il 3 agosto 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Scritture e letture
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Nota di lettura di Franco Manzoni, sul Corriere del 4 agosto 2024
Adam Vaccaro, Trasmutazioni – Alchimie in Caoslandia, puntoacapo Ed, Pasturana (AL) 2024

Killer Game – Andrea Mantelli

Pubblicato il 18 giugno 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Andrea Mantelli, Killer Game – Romanzo, puntoacapo, Pasturana (AL), 2023
Laura Cantelmo

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Quella che, con una definizione corrente viene chiamata “letteratura d’intrattenimento” non rende giustizia a chi, come Mantelli, fa dire a un personaggio, nella prima riga del suo romanzo: “Scrivo. Esisto per scrivere”. Lo scrittore, in questa sorta di outing, manifesta la passione di una vita, sempre vissuta scrivendo, per necessità di lavoro o per semplice impulso interiore. E lo fa attraverso una maschera, un personaggio scelto come portavoce, secondo la mimesis classica della narrazione. Pensiamo persino che in lui l’umorismo abbia un malcelato scopo satirico di quel genere, che solitamente è destinato allo svago.
Killer Game non è un romanzo tradizionale, non ha una trama che gradualmente si sviluppa con personaggi suddivisi a seconda delle funzioni, in primari e secondari. Anzi, esso si presenta interessante a un’analisi semiotica, avendo una struttura che non segue uno sviluppo lineare, bensì in una successione di scatole cinesi: ogni capitolo/racconto o microtesto è propedeutico a quello successivo, la trama procede come per gemmazione, sviluppando il tema centrale, ma non la coerente fabula che ci si aspetta, poiché ciascun capitolo, almeno nella prima parte, ha una sua autonomia narrativa, con personaggi differenti di volta in volta, mirando sempre a un unico fine: individuare la formula dell’assassinio perfetto.
Non troviamo qui il classico protagonista con tutta la serie di antagonisti e personaggi secondari, attorno ai quali si evolve l’intreccio. Il titolo dice chiaramente che il tema riguarda i killer e rientra quindi nella definizione di romanzo giallo. Ciò che appare come filo conduttore, non è tanto la trama, ma è la vasta sfaccettatura del Male, in particolare dell’assassinio, incarnata in personaggi la cui tendenza omicida, verso chi li disturba nella vita privata o in affari più o meno leciti, non risulta essere innata, bensì indotta, provocata da evenienze casuali del destino. Quasi sempre è l’occasione che rende assassini, ci dice il racconto/capitolo “L’assassino che è in noi”: “Si è svegliato l’assassino che c’è in me, in noi, in tutti noi, compresi voi che state leggendo, non negate…Possiedo una pistola ed è certo che nulla sarà più come prima.” (Pag.69) Abbastanza inquietante, come affermazione, che non può non far pensare il lettore.
Ma è anche vero che quanto l’Autore afferma, capita che venga successivamente smentito. Infatti, nel racconto eponimo, Killer Game, la tesi precedente è inficiata dalla presenza della Facoltà del Crimine Applicato e dal suo opposto, la Facoltà del Crimine Represso, dove la dottrina criminologica è clamorosamente messa in ridicolo dall’umorismo della narrazione e dalla comicità grottesca dei personaggi.
Con disinvolta ironia l’Autore affronta il tema della circolazione delle armi, facendo supporre che il libro che stiamo leggendo, pur se apparentemente si presenta come un giallo, abbia per lo meno un pensiero di fondo molto serio, che svia dalla rituale definizione accademica di “letteratura d’intrattenimento”. A differenza del classico poliziesco, manca qui la figura dell’inquirente amatoriale, non ci sono delitti di cui non si conosca il colpevole, non c’è alcun rappresentante della legge chiamato a risolvere il caso. Il tema da sviluppare è come arrivare a compiere un assassinio perfetto.
Lo scopo ufficiale è il divertimento. Ma non solo. Quello non verrà mai a mancare, perché nella vasta gamma dei killer vi è una ricerca del paradosso, degli incidenti esilaranti che fanno fallire i progetti malsani, fino a quando, nella parte centrale, troviamo una farsesca esaltazione del crimine, che dice la ragione del titolo: Killer Game. Così è chiamato il Festival del Delitto, indetto dalla Facoltà di Crimine Applicato, promosso dal Magnifico Rettore denominato Flaccido Bimbo, cui è assegnata l’ARRAPANTE cattedra di killeraggio. La comicità è al massimo, allorché i personaggi che si susseguono nel Festival sono tratteggiati tenendo presente, si direbbe, la tipologia di alcuni grandi film comici del passato – Il Grande Dittatore o Tempi moderni – che hanno segnato altissimi momenti di critica politica e sociale nella storia del cinema. Qui, ad esempio, si cita il precariato nel lavoro, lo sfruttamento e l’abuso di potere (vediamo la povera Gambozzi, assistente del Rettore, regolarmente sculacciata per punizione), per avvicinare alla realtà un racconto che è tutt’altro che realistico. Ė abbastanza evidente che, delle categorie letterarie di cui si occupava con una certa rigidità la semiotica degli ultimi decenni del Novecento, l’Autore non si curi affatto, agendo nella massima libertà. La trama o, meglio, le trame, si muovono nell’ambito del grottesco, a volte il finale del racconto resta in sospeso, mentre gli “eroi”, i killer maldestri, sono sempre diligentemente impegnati a studiare come organizzare il delitto perfetto.
La scelta del registro linguistico basso, espressa anche nei nomi propri – personaggi stilizzati come nella Commedia dell’Arte: Flaccido Bimbo – il Magnifico Rettore – il concorrente al Premio, Enanito (perché minuscolo), l’esilarante romano Li Mortacci, indicano che ci troviamo di fronte a una parodia di quei romanzi criminali da cui siamo sommersi, in stampa e in video, nonché dalla realistica volgarità che in essi si manifesta.
La novità sta nel ribaltamento della struttura che li caratterizza, con la presa in giro della categoria dell’assassino, con la ricerca minuziosa nel progettare l’omicidio e al contempo il tenero abbandonarsi alla nostalgia di Li Mortacci “della casetta…a Torpignattara” (pag.117). Mentre la parodia si fa più spietata grazie alla comica diligenza degli interessati, impiegata nel perseguire lo scopo finale, un assassinio efferato.
Nel concorso a premi che riguarda i video presentati al Festival sul miglior piano per un delitto, gli aspiranti assassini si presentano intimoriti come normali studenti, di fronte ai loro improbabili, severissimi giudici, i quali tacciano come “sfigati” coloro che si iscriveranno al Crimine Represso. Mantelli ha così ribaltato la grandiosità del Male, che in passato era stata rilevata dalla critica cinematografica ne Il Padrino o nella televisiva Gomorra, trasformandola in qualcosa di comico. Tenendo conto che, in questo romanzo, molti “progetti criminali”, nonostante tutto, falliscono.
Se il confronto con il cinema, più che con la letteratura, sorge spontaneo, dobbiamo risalire al passato dell’Autore: avendo lavorato come scrittore di trame di fumetti, Mantelli ha sempre avuto presente l’aspetto visivo, più che la descrizione. E non dimenticando il pubblico a cui di solito sono destinate quelle storie, dà importanza più al dialogo che agli intermezzi descrittivi e alla definizione del personaggio che non all’aspetto letterario del racconto. La differenza con il “genere” sta nell’offrire un testo più raffinato grazie all’uso dell’ironia e alla ricerca dell’eccesso in un registro linguistico fantasioso e volutamente sboccato, come si addice a un ambiente di malavita o al bar sport, là dove solitamente non si va per il sottile: “quindici gnocche di materiale plastico” (pag. 42), ne è un esempio eloquente.
Sarà l’Autore stesso a dirci nel finale, tramite una sua maschera: ”A me piacciono le storie che tornano su se stesse. Storie in circolo,” (pag.164). Lo si era capito, ma il divertimento consiste proprio nel volere candidamente ammettere ciò che è diventato ovvio nel corso della lettura, creando una sorta di spaesamento nel sovvertire gli schemi di un genere dalla struttura un po’ statica.
Quello che dalla critica più rigorosa è stato spesso definito come “crisi del racconto”, in questo frizzante romanzo viene attuato in assoluta e consapevole autonomia di scelta.
Milano, 20/05/2024

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