Scrittura e Letture

L’Icaro di Cannillo

Pubblicato il 5 dicembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

LUIGI CANNILLO
Icaro moderno tra galassie di pensiero e poesia
Donato Di Poce

Matisse nel suo “Icarus” ci consegna un’ombra nera danzante o in caduta tra le stelle.
Giordano Bruno ne scrive un ritratto struggente: «La voce del mio cor per l’aria sento:/ «Ove mi porti, temerario? china,/ che raro è senza duol tropp’ardimento»;/ «Non temer (respond’io) l’alta ruina./ Fendi sicur le nubi, e muor contento:/ s’il ciel sì illustre morte ne destina».
Bachelard vede il mito di Icaro come caratteristica dell’immaginazione dinamica rappresentata nel motivo poetico del volo «nostalgie inexpiable de la hauteur » .
Ragozzino ci regala un Icaro astronauta che vola ironico e irridente con ali scheletriche nei cieli del futuro, o almeno così ce lo ritrae nella splendida cover del libro di Cannillo “Between Windows ad Skies”, Gradiva Publications, New York, 2022.

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Polifema – Gabriella Cinti

Pubblicato il 2 dicembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Gabriella Cinti, Polifema, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2024. € 16
Nota critica di Laura Cantelmo

Vi sono forme di scrittura che suscitano un’immediata vicinanza, una condivisione con il pensiero e il sentire dell’Autrice/Autore, sia che si tratti di poesia, di narrativa o di filosofia. Nella contaminazione dei generi si inserisce questo libro bellissimo e singolare di Gabriella Cinti, Polifema, che, nella sua complessità e nella sua verità trova risonanza nel cuore di ogni donna e può essere di monito per ogni uomo. Non solo un romanzo d’amore, ma un vero e proprio trattato sull’amore, quel sentimento che, pur nei suoi aspetti dolorosi e spesso crudeli, induce alla scoperta di luoghi magici e di “regioni disabitate” e sconosciute, in quanto manifestazione sub specie aeternitatis dell’essere umano nella sua totalità. L’Autrice è scrittrice di profonda cultura classica e grande sensibilità, nota principalmente per il suo valore di Poeta e di studiosa, per la cura che dedica alla parola, di cui, come grecista, nello scandaglio delle origini più lontane (come nella sua più recente raccolta poetica, Prima, puntoacapo ed. 2023) porta alla luce la ricchezza e la complessità del linguaggio.
Punteggiato di lemmi in greco antico, che ne indicano le raffinate sfumature di significato, Polifema palesa delicatezza di sentimenti e profondità del pensiero, segno di una sensibilità di donna che ha “intelletto d’amore”, giustamente definibile come “cuore pensante”. Quella della protagonista, Marzia Volo, è il racconto del suo rapporto con Giorgio, suo primo e unico grande amore: “All’amore primo” è il titolo eloquente del capitolo iniziale. Una vicenda che si protrae per decenni, in un’alternanza di notti appassionate – al termine delle quali l’estasi vede il suo tracollo con il sorgere del sole – e lunghi periodi solitari. Muovendosi con lieve luminosità attraverso piani temporali diversi, tra il ricordo dei primi approcci e gli incontri in età matura, la storia procede tra passato e presente focalizzando sempre più i limiti della figura di lui, dovuti a una maturità mai raggiunta e a una palese forma di egoismo. Una realtà che Marzia, intelletto e corpo vibrante, mirando nella sua limpida nudità a una completa fusione con l’amato, non riesce a vedere, perché accecata, come il mitico Polifemo.
L’unità perfetta come massima aspirazione nell’esperienza d’amore è un tema trattato nel Simposio di Platone. Oltre a descrivere la duplice e natura di Eros, dio dell’Amore, il dialogo spiega come quella tensione rappresenti la nostalgia dell’unità primigenia originale, risalente al tempo in cui l’essere umano comprendeva in un unico corpo due entità, di sesso uguale od opposto, successivamente divise dall’ira di Zeus. Come sempre, sotto forma di simbolo, il mito svela verità a noi negate, quali l’inesausta ricerca, nella relazione amorosa, di quella metà che Zeus aveva violentemente separato. Eros, essendo figlio di Poro (“l’Espediente”) e di Penia (“la Povertà”), a quelle significative origini deve la sua inquietudine e l’ambiguità nel saper esaltare le potenzialità del corpo e dell’anima degli amanti, facendoli sognare nelle loro reciproche intime esplorazioni, per poi provocare ai loro cuori pene devastanti. Ben si accorda alla duplice natura di Eros il modernissimo Carme LXXXV di Catullo: “Odi et amo. Quare id/faciam, fortasse requiris./ Nescio, sed fieri sentio/ et excrucior.”(“Odio e amo. Forse/ chiederai come faccia/ Non so, ma sento che accade/ e mi tormento”). L’ossimoro iniziale, dalla eloquente forza assertiva e l’intera composizione, nella sua stringata semplicità, ne evidenziano l’indubbia attualità. Una contraddizione che lapidariamente illustra la natura complessa dell’amore, alludendo al dolore che esso comporta.
La narrazione è percorsa dalla storia degli incontri dei due amanti, oltre che da un conflitto interiore che tormenta Marzia, donna dal nome simbolicamente combattivo- una vera amazzone- sulla misteriosa ambiguità di Giorgio e sulla differenza nel loro sentire. Su come possa Giorgio riservare a lei pensieri sublimi senza accettare nella sua totalità un rapporto così profondamente radicato. Benché l’ossessione abbia assunto le forme di una dipendenza che non dà tregua a entrambi, la figura di Giorgio risulterebbe incomprensibile se non analizzata sulla base di usanze o di mentalità di antichissima origine, ancora vigenti nella società in cui viviamo. Inevitabilmente, in sintonia con la protagonista, il lettore si pone le stesse domande di lei. Appare evidente che Giorgio abbandona quella magica intimità, quel corpo palpitante e quel vivido intelletto per seguire il solo modello di vita nel quale ragione e sentimento, pensiero e natura sono stati forzatamente separati, per dedicarsi agli affari quotidiani, a causa di un infantilismo di fondo, coltivato nel rassicurante rifugio della famiglia. Poiché solo attraverso la separazione e la frantumazione dei compiti sociali lui trova l’unica possibilità che consente al suo equilibrio di realizzarsi, rendendolo uguale ai suoi simili: “una sorta di sindrome della palude, quel luogo stagnante, ma imbottito di sicurezze da cui molto uomini hanno letteralmente il terrore di allontanarsi, pur coscienti che la libertà sia altrove.”(p. 209) Seguono parole forti, che scolpiscono la miserabile inferiorità di Giorgio e di quelli come lui :”Una specie di brodosa placenta in cui l’egotismo infantile di certi uomini sembra trovare il proprio habitat ideale e nessuna virilità ostentata può occultare questa verità di fondo.” (p. 209).
A tal proposito troviamo ne La Gaia scienza di Nietzsche una riflessione illuminante, riportata da Simone de Beauvoir: “Ciò che la donna intende per amore […]è un dono totale del corpo e dell’anima […] Ė questa condizione che fa del suo amore una fede, la sola che abbia. Quanto all’uomo, se ama una donna è quest’amore che vuole da lei, perciò è ben lungi dal postulare per sé lo stesso sentimento che per la donna; se si trovassero uomini che provassero anche loro questo desiderio di abbandono totale, in fede mia, non sarebbero uomini.”. (in: Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, p. 231). Non stupirà il punto di vista di un uomo di tal levatura, benché di epoca a noi lontana, perché purtroppo crediamo sia invalso ancor oggi considerare la differente postura della donna e del compagno, nei riguardi dell’amore, “come legge di natura”.
Le figure dei due amanti assumono di volta in volta dimensioni diverse: lei, allontanatasi dalla famiglia, vive quell’amore come un bene assoluto, totalizzante, che dà senso alla vita. La sua passione per l’assoluto, nel corso della narrazione, la eleva sempre più a figura mitica, mentre lui, “uomo senza qualità”, come lei ben lo definisce, ricorre al sotterfugio, alla menzogna, affronta le scenate della moglie, si mostra straziato, finendo per ripetere il rituale di sempre, perdendosi tra le braccia di Marzia. Tra le due figure è evidente il contrasto tra banale ed elevato, che avvicina il racconto a livelli drammatici. Giorgio incarna uno stereotipo maschile che ancora sopravvive, secondo il quale, in un tempo non molto lontano, avere l’amante era una consuetudine diffusa, mentre le donne, “angeli del focolare”, erano relegate alla cura della famiglia e della casa. Le eccezioni rappresentavano situazioni rare e scandalose, le cui spese ricadevano pesantemente sulla donna. Si pensi alla storia di Sibilla Aleramo.
In concordanza col suo cognome, Marzia Volo sa volare alto, vive la pienezza delle emozioni, diversamente da lui, che, pur soffrendo, ha relegato l’amore a una immersione temporanea in quel mare di felicità, per fare ritorno, ogni volta, alla palude del quotidiano. E l’alternanza di notte e giorno assume un valore simbolico, richiamando alla mente Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, nel quale le ardite e ardenti trasgressioni notturne si dileguano all’alba, riportando ogni vicenda individuale all’ordine prescritto dalla ragione della polis. La fiaba narrata in quella commedia è una forma di mito – cioè, di “racconto” – nella quale ritroviamo lo stesso meccanismo sperimentato da Marzia. Poiché è nelle tenebre che si manifesta la verità del loro amore, mentre alla luce del giorno quella stessa verità viene respinta da lui per tornare alle consuetudini, al “Mulino grigio” della quotidianità – alla falsa felicità sbandierata da una nota pubblicità. Quasi una visione satirica del diverso vissuto dei sentimenti nell’ Uomo e nella Donna, sgorgata dalla geniale intuizione di Shakespeare, della quale non tutti i registi hanno saputo – o voluto- cogliere il senso profondo, scegliendo di privilegiare di quel capolavoro l’aspetto fantasioso e fiabesco. Incarnando i due amanti due differenti archetipi, sarebbe quindi più corretto parlare di un Uomo e di una Donna: lei, posseduta da un bisogno di globalità, vive gli incontri in un’estasi mistica, da cui viene dolorosamente distolta al momento del distacco, mentre lui si dimostra incapace di amare.
Tuttavia, lentamente prende forma in Marzia la consapevolezza di una autolesionistica disposizione ad accettare la situazione a cui inevitabilmente conseguirà un lacerante senso di perdita di sé: “dolore di spreco di amore-vita”.
La presa di coscienza richiede un tempo lungo: “il femminile possiede virtù di eroismo sacrificale cui solo il mito ha dato il giusto risalto” (p.208), ma l’elaborazione di quel lutto ripetuto apre la via al riscatto della propria dignità, alla consapevolezza del grande divario che la divide da Giorgio, fino al raggiungimento della libertà dal legame con quell’ “uomo senza qualità”. Tuttavia, il percorso non è facile, a tal punto è saldo in lei, Penelope inesausta, il vincolo che per decenni le ha letteralmente condizionato la vita, fino a indurla a rifiutare altri rapporti. Scavando nella natura di quell’ossessione, nel percepire quella esperienza radicata e dunque incancellabile, al ritrovarsi sola, nel vuoto e al gelo di fronte all’abbandono, il bisogno di assoluto diviene la sua arma, il sostegno al suo intelletto, per aprire gli occhi che, in quanto Polifema, erano rimasti accecati dalla passione. E nel “riprendere i lineamenti della sua persona”, ricostruendo “le sue diverse sembianze”, Marzia vede finalmente che “le si stava scolorendo nella mente anche l’immagine di lui.” (p. 209).
Il ritrovato senso della vita per chi, come lei, è sempre stata dedita alla parola, allo studio e alla creatività, la induce a diffondere la sua esperienza, affinché altre donne non cadano nella trappola in cui lei stessa è rimasta impigliata. “L’amore è strumento di verità anche se passa attraverso inganni […] ma, quando viene interrogato al termine di una storia si rivela il più diamantino dei tribunali “(p.205). Nonostante il tracollo fisico e psicologico che ne segue, “per aver inglobato il dolore come elemento malato con cui coabitare” – poiché un amore così assoluto non si può cancellare – nella “nuova donna” sarà la parola come pensiero, come ragione di vita, a farle ritrovare il senso dell’esistenza in una maternità: “un figlio di carta, nato dal ventre della sua anima, figlio partenogenetico di sola madre, vestito esclusivamente di parole” (p.211). “Non una gravidanza isterica” ci viene precisato, bensì un generoso dono di sé dedicato alle altre donne. Tornando ad essere voce autonoma, in uno sforzo creativo e pedagogico, teso alla rinascita: “Così si rinasce, come solo il femminile che partorisce il due sa fare” (p.211).

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Madri e Figlie – Anna O. Ferraris

Pubblicato il 22 novembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Anna Oliverio Ferraris, Madri e figlie, Gallucci Ed, Roma 2024
Lettura di Laura Cantelmo

Del materno, del complesso legame tra madri e figlie, si parla molto in psicoanalisi: ambivalenza, simbiosi, tutte le fasi attraversate nel tempo, mentre in letteratura quel rapporto che interessa principalmente il femminile, non è sempre stato indagato con attenzione. Possiamo forse ricordare, come esempio, opere come Menzogna e sortilegio della Morante, oppure La Ciociara di Moravia e molte altre, anche in altre lingue, nelle quali quel rapporto è posto al centro, ma non sufficientemente approfondito, per quanto ciò sia possibile. Non dimentichiamo, però, come emblematica, la dolorosa vicenda di Virginia Wolf – l’impronta della madre nella ricerca dell’identità, la perdita di lei, l’assenza devastante. Assenza e perdita mai medicate, mai guarite …
Non è un caso che il nuovo romanzo di Anna Oliverio Ferraris, Madri e figlie, colpisca le fibre più nascoste delle donne. La competenza in campo psicologico dell’Autrice, già Ordinaria di Psicologia dello sviluppo e di Psicologia sociale all’Università La Sapienza di Roma si fonde con una sicura abilità narrativa, che si è andata affinando negli ultimi anni attraverso la scrittura di romanzi, quali Tacchi a spillo e Tutti per uno. Già ampiamente nota al pubblico come saggista, questo ultimo lavoro ne conferma il valore letterario, la capacità di operare sull’intreccio più che sulla fabula, come direbbero i letterati. La tematica annunciata dal titolo viene sviluppata ed analizzata nel corso di cinque storie, nelle quali si dipanano situazioni che propongono ora stereotipi della figura materna che ancora faticano ad essere superati, ora si immergono nell’enigma. Lo scopo è di sollevare il velo sul nucleo segreto di un legame complesso che attraversa fasi diverse, per poi affermare sempre il vincolo imprescindibile e indefinibile di una relazione, nella quale il ruolo materno non è solo quello biologico, ma diviene anche amore e fiducia al di là e fuori dal vincolo parentale, come ha sovente sperimentato lo stesso Movimento delle donne. Ciò che risalta con maggiore evidenza in questo lavoro è la focalizzazione dell’aspetto umano, accogliente e tenero, delle protagoniste dei racconti, frutto di informazioni casuali o di esperienze personali dell’Autrice, che su questo aspetto comportamentale ha indagato con occhio esperto e con attenta partecipazione.
In alcuni racconti in particolare l’io narrante fa riferimento a un’impostazione patriarcale non ancora superata dalla nostra società, concentrata sul potere del paterfamilias, per poi svelare ciò che avviene nella sfera privata, dove sul piano affettivo quel ruolo appare sfocato, se confrontato con quello della madre, responsabile della cura, della salute e dei sentimenti. Uno stereotipo che ancora oggi in qualche forma sopravvive, benché negli ultimi tempi se ne riscontri una certa crisi in senso positivo. Spesso lontano da casa per ragioni lavorative o professionali, il padre ha sempre potuto permettersi libertà inusuali per le donne, storie sentimentali o brevi avventure che lo distraggono, godendo di una vita sociale sconosciuta alla madre. Per questo, in ogni racconto quella del padre è una figura debole, di secondo piano, poco collaborativa e spesso deludente. Sappiamo, inoltre, che il fascismo aveva inquadrato la figura femminile entro un rigido schema di “sposa e madre esemplare”, negandole ogni spazio di libertà e di espressione al di fuori dell’ambito familiare.
Il primo racconto, “Smarrimenti”, ha l’intensità e il palpito di una testimonianza diretta, conferitagli principalmente dalla narrazione in prima persona. L’immagine della famiglia, qui, non si discosta da quella convenzionale, apparentemente stabile e serena, con un padre quasi assente e una madre “santa”. Nell’atmosfera desolata del funerale della madre, una perturbante epifania – l’improvvisa comparsa di un estraneo – induce forzatamente la figlia a scoprire un segreto insospettato. Con un abile colpo di scena l’Autrice mostra come la vita, nelle sue inevitabili incognite, sappia rendere umana quell’immagine angelicata, impigliata in regole sociali da cui solitamente derivano paradossali ipocrisie.
Anche in “Sintonie” il quadro familiare mostra una madre insoddisfatta della situazione coniugale, per l’inadeguatezza del consorte nel rapporto di coppia e per la consapevolezza del suo legame con un’altra donna. La storia si concentra sulla relazione di lei con una figlia adolescente, con i turbamenti e le ribellioni scatenati da una doppia delusione, l’essere stata lasciata dal ragazzo, che si è legato proprio alla sua amica più cara. Un doppio abbandono che rende ancor più lacerante la ferita. Lo sguardo dell’Autrice, molto attento alle reazioni della ragazza, lo è anche verso la madre, insofferente di fronte ad alcuni atteggiamenti della figlia e tuttavia, per distoglierla dai suoi pensieri, ha scelto di invitarla a fare una gita a Venezia. Le vicende che ne seguono vedono il confronto di due situazioni quasi speculari – un padre divorziato, accompagnato da un figlio adolescente e una madre sull’orlo della separazione, con una figlia in crisi. Benché breve, il viaggio con dei compagni occasionali diventa un momento di formazione, dal quale, in uno scambio quasi alla pari, i rapporti tra le due donne acquistano maggiore confidenza e fiducia reciproca. In fondo, ambedue soffrono le conseguenze di un tradimento che non può far altro che accresce la loro complicità, lo scambio di segreti ed emozioni come tra due amiche. E sarà proprio questo ad avvicinarle.
Ciò che maggiormente colpisce in “Amnesie” è il disvelarsi dello spirito materno in una figura femminile che si è costruita una corazza di difesa dalla vita e dagli affetti a seguito di un trauma devastante. Economicamente autonoma, avversa a qualsiasi tipo di legame, benché passeggero, la sua sensibilità finisce per emergere non solo dal sopito spirito materno, ma come solidarietà tra donne. “C’è molta fisicità in questo genere di cose…. difficile tenerla sotto controllo […] questione di ormoni, immagino, ma non solo.” Frase cardine di tutto il libro, che ribadisce più nel dettaglio il tema principale. Il racconto, come gli altri, molto accurato nella scelta delle sequenze temporali, riesce a solleticare la curiosità del lettore a voler conoscere la conclusione.
Storia struggente e crudele, quella di “Presenze”. Nell’angosciosa ricerca di una bambina di soli quattro anni misteriosamente scomparsa, l’Autrice coinvolge il lettore nello stesso dubbio della madre circa un presunto ritrovamento, senza però risolverlo, non essendo quello il problema centrale, bensì la perseveranza della commovente convinzione che la bambina sia ancora viva. Guidata dall’istinto materno, combattuta tra l’identificazione di una figura fantasmatica e l’accettazione della perdita a cui la donna non si rassegnerà mai, il lettore realizza che quella ricerca è ormai la sua unica ragione di vita. Notiamo, en passant, che diversamente dalla incrollabile decisione di lei, sarà il padre a cedere, stroncato dalla disperazione.
Ogni vicenda aggiunge un tassello emotivo al mosaico dell’istinto materno nei suoi diversi volti, fino a che troviamo la sintesi del tema principale. Il racconto conclusivo – “Alleanze” – merita un apprezzamento particolare anche per la dovizia di particolari nell’ambientazione fastosa e decadente della villa che è stata teatro della vicenda. Dominata dalla cupezza dell’ombra e dalla diversa luce che emana dalla personalità di ciascuna delle due donne che vi agiscono – la elegante e misteriosa bellezza della madre e la rara magnanimità della governante – il tema centrale giunge a una sintesi del complesso enigma che è al centro del libro: lo spirito materno che si espleta non solo all’interno della famiglia nell’accudimento e nell’amore dei figli, ma nella solidarietà tra donne e nel sacrificio totale di sé.
Dettato dalla sensibilità umana di donna e di madre dell’Autrice, oltre che da una profonda consapevolezza professionale, il libro ha uno stile fluido e mai ricercato, che non risparmia la commozione ed è avvincente, perché ricco di suspence.

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Blackout – Anna Lombardo

Pubblicato il 9 novembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Il deserto della verità e l’Oltre
Adam Vaccaro

Anna Lombardo, Blackout, El martillo press, 2024, pp. 178

Questa raccolta bilingue di Anna Lombardo è traduzione sulla pagina della costante instancabile azione che l’Autrice conduce tra Venezia e le Americhe, organizzando continue iniziative con Palabra en el Mundo, di connessione tra voci che non smettono di dare testimonianze di resistenza vitale nella pervicace tempesta di sabbia prodotta dai poteri economici, politici e socio-tecnologici contemporanei. Un contesto innervato nelle logiche ideologiche, costitutive e contraddittorie, di due teste e forme dei domini in atto: da una lato una globalizzazione che spaccia illusioni di Eden di libertà senza limiti, di persone e merci, dall’altro un orizzonte asfissiato da guerre senza fine, imposte dalla testa dell’espansionismo imperialistico.
Nelle varie aree di influenza dei livelli di interesse e potere hanno agito nel corso degli ultimi decenni logiche particolarmente pervasive e tese, per un verso a disgregare senso di comunità, dall’altro ad accecare la capacità di pensiero autonomo e critico. La risultante, per essere efficace, deve innervarsi in una orchestrazione di mezzi di comunicazione di massa, storicamente mai così vasta e onnipotente come quella contemporanea. I mass-media sono oggi fonti essenziali di dominio, in primo luogo culturale, che martellano 24 ore su 24 una Verità (tra)vestita da pensiero unico falsificante e fondamentalista. Al tempo stesso, l’orchestra deve assordare e ottundere attenzioni emotive e mentali con una incessante trasmissione di forme del cosiddetto intrattenimento. Ne scaturisce una guerra di distrazione di massa in cui, al pari di quella con bombe e missili, “La verità è la prima vittima di guerra” (p.156), titolo e oggetto di un testo, dedicato a Julian Assange.
Ecco, di questo articolato processo di erosione antropologica, questo libro di Anna Lombardo si fa voce di denuncia lucida, appassionata e al tempo stesso fredda, alla ricerca di oasi in cui ricostruire e salvare il bisogno prioritario di relazioni sociali non alienate, denunciando il buio epocale, le ferite e il dolore di degradi, imbarbarimenti e desertificazioni umane crescenti, come in questi versi: “mani salivano amore, lenzuola intrecciate/ come pergole sui giardini sognati dell’Eden/ piantati in libri osannanti città bruciate,/ lingue storpiate, per diritto divino di primigenie// Sirene intrappolate dall’abbondanza mescolano/ il giusto e il vero, dai balconi della borghesia diamanti,/ sangue e foreste ammassate su navi guerriere”(p.76).
Pochi versi capaci di raggrumare l’intruglio di dominio globale che falsifica e disumanizza, in cui tuttavia si riafferma il bisogno di un Oltre e Altro di amore, utopico quanto necessario. E ogni pagina di questo libro replica tale verso e musica: “nel silenzio di vuoti modelli di stato/…costante testimone è il cielo assente/ ed il fiume scorre da altro lato. Dove/ non c’è solo l’andare verso la corrente?” (p.52). L’imperativo categorico, etico ed epico, è cercare un altro verso, che coniughi e congiunga vita e poesia, se la poesia non è intesa solo come segno trascritto sulla pagina, ma voce di bisogni ancorché qui e ora non contemplati. Perché “Le cose non dette ristagnano: nel cuore gonfiano rabbiose le vene/ vegetano nel vivere segreto di colpe/ ignote a vigilare risvegli, moti/ o speranze di ritrovamento/…/ nell’angolo più buio del pianeta/ come fossi veramente tu il pirata” (p. 38). Scrittura densa di serena passione, critica e autocritica, capace anche di graffi ironici, mentre “L’umanità schiacciata la si può cogliere” (p.22), al pari di “Quel lamento di conchiglia – strappata al mare/ che accorcia il tempo dei tempi, sa anche/…/ in attesa di proiettili calibrati/…/ di dirci della nostra vita (p. 26), che “tra case, alberi e canali, quella dell’umano/ è la forma più precisa su cui sparare” (p.22).
Questo libro (con copertina di un’opera dell’artista neozelandese Kaye Cederman) è una sorta di anello di totalità della vita, dalla biologica alla intimità psichica, in cui l’umano “appare goffo manichino”, sconnesso al Resto, per cui esplode la pena per l’anima che “si acquatta là al suolo/ senza neppure la dignità di blatta,/ formica o verme…/…latrato di cane, nitrito di cavallo/ o il cincillare di uccelli in volo” (p.22).
Da queste citazioni emerge la musica poematica del testo, tra sguardo lucido, pietas e non arresa speranza di riscatto umano, un canto resistente che nelle tre sezioni del libro (Blackout, Con candide mani / With candid hands, Tracce / Traces) sviluppa un percorso dal buio alla resistente ricerca di luce, un moto laico e dantesco, svolto in lampi d’amore di memorie personali e collettive, per cui: “Quando la Speranza sembra andata – e il dolore della vita è alto// è allora che ritorno/ a cercare scintille dentro”, che fanno “Ricordare la dolcezza del tuo sguardo/…/ Ricordare la soffice luce del giorno e della notte”, che rigenera energie e fa sentire che “La natura è con me ogni volta che la faccio entrare” (p.172).
8 novembre 2024

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Uc de Saint Circ – Alessandro Cabianca

Pubblicato il 2 novembre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Radici eticosociali ed estetiche della poesia moderna

Adam Vaccaro

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Alessandro Cabianca, Uc de Saint Circ – Un trovatore alla corte degli Ezzelini, Cleup (Cooperativa Libraria Editrice di Padova) – Romanzo, pp. 234 . € 18,00

Alessandro Cabianca è stato un importante compagno e amico del viaggio di ricerca intrapreso con Milanocosa all’inizio degli anni 2000, di cui è stato referente di un adiacente gruppo veneto, che a Padova in particolare ha curato e organizzato non poche iniziative.È un abbrivo non gratuito o cortese della lettura di questo romanzo, perché della visione interdisciplinare di ricerca intorno alla poesia (quale ha animato nell’arco di tre decenni il progetto e le cento e più iniziative di Milanocosa), l’appassionato viaggio intorno alle vicende umane e creative di Uc (Ugo) de Saint Circ ci arricchisce di conoscenza delle radici della poesia moderna.

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Trilogia di Racconti – Gianni Caccia

Pubblicato il 24 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

A caccia della difficile Armonia
Adam Vaccaro

Gianni Caccia, Trilogia di Racconti, Puntoacapo Editrice, Pasturana (AL):
– RICERCA, 2018
– TRIODOS, 2021
– L’ULTIMO BIVIO, 2024

Conosco Gianni Caccia da alcuni decenni, ma dopo La Vallemme dentro di oltre 20 anni fa, non avevo ancora letto la serie di racconti lunghi di questa trilogia, in cui ritrovo il suo respiro misurato e lungo, di maratoneta, teso a indagare l’Orizzonte socioculturale e a tradurre sulla carta la ricerca (sic!) a caccia (omonimia e gioco verbale che la lettura mi scodella) di un equilibrio che, nell’arco degli ultimi anni, è diventato sempre più difficile.
Sono già esplicativi di tale sintetico nucleo di senso, i titoli, incentrati e motivati dall’ansia di capire. Che non si muove in ambiti speculativi astratti, ma sul territorio del proprio orizzonte vitale, trasmutato in materia di pensiero, riflessione filosofica e visione critica, entro una esemplare messa in forma della lezione di Anassimandro di Mileto, per il quale la filosofia fioriva interconnessa alla geografia.
E la fonte alta del pensiero greco è richiamata sin dalla citazione di Eraclito in esergo a Ricerca: “Armonia che si tende da un estremo all’altro, come dall’arco alla lira”.
Dopo di che prende avvio il primo racconto, dal titolo Palintomia, che fa ricordare palinodia, termini entrambi di profonde radici greche, ma quest’ultimo con senso che si contrappone a dettati precedenti, mentre Palintomia è subito eco di complessità, termine polisemico, di tensione alla pluralità semantica e alla capacità di considerare sensi opposti, quali sono poi svolti dal racconto.
La narrazione parte da «Il profilo delle montagne che si stagliavano sotto il cielo di cenere sembrava apposta per respingere chi volesse violarle… mentre l’auto intraprendeva le prime salite… sotto la guardia delle montagne». Dopo di che il racconto ci conduce nelle trame della ricerca del protagonista, Giovanni, traslucido alter ego dell’Autore, dedicata a una setta dal nome evocante, Penti, e motivata dalla fascinazione per ciò che è eretico, anomalo e fuori dai dogmi indiscussi dai fedeli assuefatti. Metafora di sensi ampi e molteplici.
Il testo trasmette la suddetta fascinazione e il passo lungo è necessario a un tragitto lungo, già presente nell’animo pregno che inizia a premere sui tasti del pc, che si traduce in periodi altrettanto lunghi, intercalati da subordinate, virgole e punti e virgole. Eppure il respiro del testo non trasmette affanno e fatica, come a volte capita anche con certi classici. È che la levità non deriva solo da piccoli passi, brevità di articolazioni frasali. Ed è un dono di cui Gianni Caccia mostra di conoscere il segreto.
Ivano Mugnaini, di questa trilogia non è solo un fraterno compagno di viaggio, è un esempio di ciò che io chiamo lettore co-autore, di un’Opera consistente – sia per le complessive 570 pagine, che per i 6-7 anni di vita dedicati alla sua stesura, che hanno magari lasciato qualche capello di meno e qualche ruga in più. Ma la consistenza è soprattutto di grani di coscienza in più, e di spessore culturale, che qui cerchiamo di lumeggiare almeno nei suoi nuclei principali.
Mugnaini intercala la trilogia cacciana con la postfazione del primo e le prefazioni del secondo e terzo tomo, evidenziando con condivisione adiacente ed affettuosa acribia, sin dall’abbrivo della sua lettura di Ricerca, la sapienza di scrittura: «Non c’è fretta né approssimazione, nei racconti di Gianni Caccia, Non c’è frenesia tipica di chi vuole produrre per apparire, sfornare di continuo per raccogliere esclamazioni di plauso che durano quanto un croissant sul bancone di un bar. Caccia dà l’idea di scrivere con gusto antico e tuttavia attualissimi. Cerca la parola esatta, indirizza il cursore del computer e della mente con occhio serissimo e divertito…che sente di voler comunicare…la dimensione onirica apparentemente eterea e l’asfalto apparentemente saldo e impoetico… che ancora parla della memoria leggera e tenace, quella che in fondo ci rende ciò che siamo».
Il secondo e terzo racconto di Ricerca si svolgono guidati da un altro alter ego, il professor Konrad Jaeger, tra sfondi di passioni per corse di Formula 1, attività scolastica, territori e orizzonti di memorie storiche lontane, in cui Jaeger è filo conduttore; ciò si ritrova anche in Triodos, titolo che richiama un orizzonte geografico più definito, di vicende collocate nel triangolo di tre Regioni – Lombardia, Piemonte ed alta Emilia, con lo sfondo dell’oltralpe ligure – area dell’Appenninico Oltregiogo, territorio in cui è posta Novi Ligure, e dove vive Caccia: un territorio marginale e ibridato tra le provincie di Alessandria, Pavia e Piacenza, davanti al bastione di montagne, oltre le quali c’è la Liguria.
Anche nel terzo libro permane il filo conduttore di Konrad Jaeger, in un percorso che si fa più serrato e formalmente più secco, di un tratto del viaggio di ricerca e acquisizione conoscitiva del Sé e del Resto, che è – come ben sottolineato da Mugnaini nella prefazione a L’ultimo bivio – a specchio, radicato in un tempo e in un territorio materici e interiori, trasmutati in paesaggi dell’anima, e immagini del processo autopoietico della interminabile ricerca della propria identità.
Ed entro tale quadro, questo ultimo disegno è, come già indica il titolo, tutt’altro che un punto di arrivo definitivo, una Itaca e un porto in cui dare riposo e appagamento alla ricerca di sé stessi. Perché l’orizzonte geografico-temporale contemporaneo non consente equilibri armonici, innervati in una polis e in relazioni gioiose, quali intese da Spinoza.
Ne consegue che il dono di un giardino fiorito di senso, rimane una utopia umana, sociale e storica. Che però non va lasciata nel ripostiglio delle cose dismesse e irreparabilmente logorate. Anzi, quanto più le condizioni attuali tendono a negarla, essa va ripresa e coltivata in quel giardino, seppure devastato e sommerso da nebbia, in atmosfere cupe che lo contornano e irridono.
Questo è almeno il mio personale punto di arrivo, aperto e non arreso, di tre libri di cui sollecito la lettura. Un viaggio da condividere e che rimarrà nella memoria, perché ci offre una misura attiva con la complessità e le difficoltà di armonia ecologica ed antropologica, entro l’orizzonte di Tempo che stiamo vivendo.
Ottobre 2024

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Luoghi sospesi – A. Ferramosca

Pubblicato il 23 ottobre 2024 su Scrittura e Letture da Adam Vaccaro

Annamaria Ferramosca, Luoghi sospesi, Premio Città di Roma 2021, puntoacapo Editrice 2023

Nota di lettura di Margherita Parrelli

Luoghi sospesi di Annamaria Ferramosca è un flusso di coscienza, non ha un inizio né una fine e a indicarlo non è solo l’assenza di maiuscole, o le domande bambine che lo aprono e quella che lo chiude e ne svela l’anelito che lo percorre e ne è ragione: “forse è nel sentire il senso?”.

A svelarne la sua natura di flusso di coscienza, che si mostra e si disperde, è il senso di tempo unitamente molecolare e magmatico che lo attraversa e quello di spazio definito solo dall’essere dietro il vetro (“bambina/ isola d’occhi indagatrice (…)/ per ore a guardare/ di là dal vetro/ fuori dalla finestra”, p.9) o fuori il vetro (“fuori dalla finestra/ dove si mostra il mondo/ guardo (…)/ e riconosco e imparo/ il duro limite della parola”, p.45).
Separata o unita, nell’introspezione o nell’esposizione al mondo, Annamaria apprende che stare oltre il vetro non comporta alcuno svelamento, ma piuttosto l’incontro-scontro con il limite (“oh sapevo eccome lo sapevo/ fin da bambina/ che sarebbe finita così/ che la parentesi vissuta/ – o mai vissuta – si sarebbe chiusa/ con un arcano flop” p. 90) e che ciò che certo è unicamente l’impossibilità del ritorno allo stato precedente l’entrata nel modo, al momento prima della cacciata dal paradiso, alla gioia dell’inconsapevolezza, poiché una volta intrapresa la strada della conoscenza ha inizio anche la strada dell’estraneamento: “matta voglia di rompere questi vetri (…)/ farmi estranea a me stessa (…)/ lo so poi sarà impossibile/ ritornare nella stanza” (p.36).

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Novembre – Serena Rossi

Pubblicato il 20 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Serena Rossi, Novembre, Nulla die, Piazza Armerina (EN), 2024, Pagg. 83, € 15.

Laura Cantelmo

I brevi versi di Serena Rossi sono la sua cifra stilistica, la fulmineità telegrafica di un discorso che allude, che lancia il messaggio per serrare i sigilli poco dopo, con una sorta di pudore, quasi si trattasse di una confessione o di uno sfogo improvviso. Non è difficile attribuire tanta stringatezza all’altra faccia della creatività di Serena, che sono le arti visive. Ė il titolo stesso di questa silloge, Novembre, ad anticipare lo stato d’animo dominante – la melanconia di una stagione che offre una sua compunta bellezza, pur se il mese di Novembre, con la commemorazione dei defunti, resti pervaso da inevitabile tristezza.
Solitarie, sul foglio bianco le parole sono immerse in un vuoto echeggiante risonanze misteriose, ma sempre nell’attesa di qualcosa che resta fatalmente incompiuto: l’amore, il sesso, il mondo avaro di felicità, la sorte dei diseredati, i sogni che non si avverano. E sullo sfondo, il mare. Il tutto esposto con compostezza, senza rabbia, tanto da farlo sembrare un taccuino d’appunti, che trovano nel finale del testo uno sviluppo minimo, in una forma aforismatica esplicativa. Vediamo un testo poetico: “Volo di rondine nera/ Corsa senza respiro. / Limite// Goccia a goccia. //Dal vetro trasparente rotto/Per il troppo riso. / /”. Ed ecco apparire la chiusa:” Sete avara del rimpianto. / / Terra senza pace.” (pag.36).
Nel comporre il discorso, la sinteticità di ogni verso crea un metafisico senso di sospensione e di solitudine: “Un appoggio, un grido/ Latrato di cane selvatico /Allupato assurdo sincopato destino/ Siamo quella roba. / La nave che non fai entrare, l’acqua che ti assorbe/ Il sale che brucia la pelle/ E il sole che ustiona.“. E poi il finale:” /Siamo acqua e terra/ Nuova.” (pag.64).
Il vissuto di chi scrive si fonde con la condizione degli ultimi della società, seppure nella convinzione di essere “nuovi”, nonostante. Non a caso, come è già stato rilevato in altre note di lettura, una ricorrente parola tematica, soglia, denota un senso di esclusione, di insoddisfazione, di incompiutezza. Nulla di nuovo, di questi tempi, in cui tutto viene rimesso in discussione generando nell’Io stesso disagio e smarrimento.
La riflessione dell’Autrice sulla sua microstoria personale viene influenzata o, meglio, inserita nella Storia che impatta sul nostro vivere, sui sentimenti, sugli eventi stessi: “Voglio il foglio pesante per segnare in/ Nero il tratto della fine. / […] / Un anno di guerra genera spavento/ E scompiglio. Mondo oppresso.” Oppure, descrivendo – non a caso – un’opera visiva: “Omini neri appoggiati a terra/ […] Affumicati sul foglio in mezzo/ A macchie ocra e paglia. / / Sorte appesa gestita fuori dalle acque/ Internazionali. Fuori dalla ONG che chiedono compassione. Fuori dalla pietà/ Fuori dalla memoria. Dentro la storia.” (pag.31). Poiché l’isolamento e l’emarginazione allignano profondamente nella Storia attuale, la proposizione/avverbio fuori, iterata più volte, rafforza il significato di soglia, accrescendo un inquietante sentimento di esclusione. A tal punto che, coerentemente, un testo parla di fuga: “Voglio prendere il treno e perdermi/ […] / Voglio sparire.”
Va rilevato che l’uso della maiuscola in apertura di ogni verso, secondo noi, ha un’importanza strutturale, quasi a voler conferire nobiltà ai temi esposti in ogni “riga”, al fine di una successiva argomentazione.
Un intenso spleen novembrino percorre tutta la silloge – lo spleen di Milano…- presente anche nel testo eponimo – “Novembre in Milano” – figurativamente sintetizzato dall’aforisma: “Siamo ombra e soglia.” (pag.31), che avrebbe anche potuto essere il titolo dell’intera raccolta. Smorzando ogni possibile entusiasmo, lo spleen si riverbera in ogni immagine e grazie ad esso neppure l’amore conosce la passione: “I cocci, come cenere/ stanno in basso/ […]/ Stanno sotto il mio sguardo/ […]Che lento ti guarda che ti vesti e/ Non è curioso// Non si appassiona al tuo seno/ All’incavo del tuo braccio al monte del tuo pube/ ”(pag.81). Tuttavia, una venatura affettuosa: “Io voglio il tuo bene” – può essere letta come un’implicita richiesta d’amore.
Spleen o vuoto? Quello che l’Autrice vuole comunicarci di preciso è rinchiuso nei suoi sintetici versi, nel loro mistero. Ma noi percepiamo che il suo sguardo sul mondo ben si adatta all’air du temps che tutti ci avvolge e ci accomuna: la realtà oggettiva è specchio di un “dismesso sogno”, del deserto che è in noi e fuori di noi. Ovvero, per una pittrice come lei, nei “Tableaux vivants” della periferia “accecata”.

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Ombre degli Eroi – Donatella Bisutti

Pubblicato il 16 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

ALLE FONTI DELLA SAGGEZZA

Donatella Bisutti, Erano le ombre degli eroi, Passigli Poesia, 2023 – pp. 203

Entro gli Orizzonti sempre più tragici e antiumani che stiamo vivendo, spesso dobbiamo registrare indifferenze e inadeguatezze, sia politiche che culturali. Ci sono tuttavia, per fortuna, esempi contrari di analisi, denunce, espressioni, iniziative, di presa di coscienza e difesa coraggiosa della verità. Le quali tendono a farsi carico delle responsabilità storicosociali, senza di che la china dei degradi antropologici in atto proseguirà, nella incapacità di riuscire a vedere, immaginare e progettare, come e quando potranno aprirsi le possibilità di un altro Orizzonte epocale. Credo che questo libro di Donatella Bisutti abbia alle spalle il nondetto che ho sintetizzato. Di Donatella conosco il percorso e la storia, costantemente impegnati nella ricerca di un pensiero critico rispetto alle derive e alle falsificazioni dei poteri di turno. È un atteggiamento generale, che definisco oltre la qualifica di civile, termine ormai usurato. In chi, come Donatella, matura un senso di responsabilità politicosociale, l’espressione e l’azione diventano politici, con senso alto ed etimologico, in riferimento alla cura e all’amore per lo stato della polis.

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X Convegno di Antichistica

Pubblicato il 1 ottobre 2024 su Eventi Suggeriti da Maurizio Baldini
X Convegno di Antichistica

in memoria di Emilio Piccolo

Tradizioni, voci e immagini
dall’antico, echi nel presente
11 Ottobre 2024
Museo dei Campionissimi – Novi Ligure (AL)

Saluti – interverranno Rocchino Muliere (Sindaco di Novi Ligure) e il prof. Michele Maranzana (Dirigente Scolastico del Liceo E. Amaldi)

I SESSIONE
ore 9.00
presiede Adam Vaccaro
Lorenzo Fort
Presentazione della rivista
Gianni Caccia
Il vegetarianismo di Porfirio come forma elitaria di
rispetto per l’animale
Vincenzo Ruggiero Perrino
I papiri dello spettacolo. Quinta serie
PAUSA
Lucina Àlice e i suoi studenti
Le Rane di Aristofane e il nostro bisogno di
poesia
Alessandro Cabianca
Le traduzioni dell’Iliade, da Vincenzo Monti a
Giacomo Casanova

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