Saggi Società

Mafia a Milano

Pubblicato il 21 ottobre 2008 su Saggi Società da Adam Vaccaro

Riprendiamo questo articolo di utile riflessione e denuncia apparso di recente su L’Unità

A CENTO PASSI DAL MUNICIPIO Milano capitale della mafia

di Gianni Barbacetto – 9 ottobre 2008

I boss stanno a cento passi da Palazzo Marino, dove il sindaco di Milano Letizia Moratti lavora e prepara l’Expo 2015. O li hanno già fatti, quei cento passi che li separano dal palazzo della politica e dell’amministrazione? Certo li hanno fatti nell’hinterland e in altri centri della Lombardia, dove sono già entrati nei municipi.

Comunque, a Milano e fuori, hanno già stretto buoni rapporti con gli uomini dei partiti. «Milano è la vera capitale della ’Ndrangheta», assicura uno che se ne intende, il magistrato calabrese Vincenzo Macrì, della Direzione nazionale antimafia. Ma anche Cosa nostra e Camorra si danno fare sotto la Madonnina. E la politica? Non crede, non vede, non sente. Quando parla, nega che la mafia ci sia, a Milano. Ha rifiutato, finora, di creare una commissione di controllo sugli appalti dell’Expo. Eppure le grandi manovre criminali sono già cominciate. Ne sa qualcosa Vincenzo Giudice, Forza Italia, consigliere comunale di Milano, presidente della Zincar, società partecipata dal Comune, che è stato avvicinato da Giovanni Cinque, esponente di spicco della cosca calabrese degli Arena. Incontri, riunioni, brindisi, cene elettorali, in cui sono stati coinvolti anche Paolo Galli, Forza Italia, presidente dell’Aler, l’azienda per l’edilizia popolare di Varese. E Massimiliano Carioni, Forza Italia, assessore all’edilizia di Somma Lombardo, che il 14 aprile 2008 è eletto alla Provincia di Varese con oltre 4 mila voti: un successo che fa guadagnare a Carioni il posto di capogruppo del Pdl nell’assemblea provinciale. Ma è Cinque, il boss, che se ne assume (immotivatamente?) il merito, dopo aver mobilitato in campagna elettorale la comunità calabrese. Ne sa qualcosa anche Loris Cereda, Forza Italia, sindaco di Buccinasco (detta Platì 2), che non trova niente di strano nell’ammettere che riceveva in municipio, il figlio del boss Domenico Barbaro. Lui, detto l’Australiano, aveva cominciato la carriera negli anni 70 con i sequestri di persona e il traffico di droga. I suoi figli, Salvatore e Rosario, sono trentenni efficienti e dinamici, si sono ripuliti un po’, hanno studiato, sono diventati imprenditori, fanno affari, vincono appalti. Settore preferito: edilizia, movimento terra. Ma hanno alle spalle la ’ndrina del padre. Cercano di non usare più le armi, ma le tengono sempre pronte (come dimostrano alcuni bazooka trovati a Buccinasco). Non fanno sparare i killer, ma li allevano e li allenano, nel caso debbano servire. Salvatore e Rosario, la seconda generazione, sono arrestati a Milano il 10 luglio 2008. Eppure il sindaco Cereda non prova alcun imbarazzo. Ne sa qualcosa anche Alessandro Colucci, Forza Italia, consigliere regionale della Lombardia. «Abbiamo un amico in Regione», dicevano riferendosi a lui due mafiosi (intercettati) della cosca di Africo, guidata dal vecchio patriarca Giuseppe Morabito detto il Tiradritto. A guidare gli affari, però, è ormai il rampollo della famiglia, Salvatore Morabito, classe 1968, affari all’Ortomercato e night club («For a King») aperto dentro gli edifici della Sogemi, la società comunale che gestisce i mercati generali di Milano. È lui in persona a partecipare a una cena elettorale in onore dell’«amico» Colucci, grigliata mista e frittura, al Gianat, ristorante di pesce. Appena in tempo: nel maggio 2007 viene arrestato nel corso di un’operazione antimafia, undici le società coinvolte, 220 i chili di cocaina sequestrati. Ne sa qualcosa anche Emilio Santomauro, An poi passato all’Udc, due volte consigliere comunale a Milano, ex presidente della commissione urbanistica di Palazzo Marino ed ex presidente della Sogemi: oggi è sotto processo con l’accusa di aver fatto da prestanome a uomini del clan Guida, camorristi con ottimi affari a Milano. Indagato per tentata corruzione nella stessa inchiesta è Francesco De Luca, Forza Italia poi passato alla Dc di Rotondi, oggi deputato della Repubblica: a lui un’avvocatessa milanese ha chiesto di darsi da fare per «aggiustare» in Cassazione un processo ai Guida. Ne sa qualcosa, naturalmente, anche Marcello Dell’Utri, inventore di Forza Italia e senatore Pdl eletto a Milano. La condanna in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa si riferisce ai suoi rapporti con Cosa nostra, presso cui era, secondo la sentenza, ambasciatore per conto di «un noto imprenditore milanese». Ma ora una nuova inchiesta indaga anche sui suoi rapporti con la ’Ndrangheta: un altro imprenditore, Aldo Miccichè, trasferitosi in Venezuela dopo aver collezionato in Italia condanne a 25 anni per truffa e bancarotta, lo aveva messo in contatto con la famiglia Piromalli, che chiedeva aiuto per alleggerire il regime carcerario al patriarca della cosca, Giuseppe, in cella da anni. Alla vigilia delle elezioni, Miccichè prometteva a Dell’Utri un bel pacchetto di voti, ma chiedeva anche il conferimento di una funzione consolare, con rilascio di passaporto diplomatico, al figlio del boss, Antonio Piromalli, classe 1972, imprenditore nel settore ortofrutticolo con sede dell’azienda all’Ortomercato di Milano. Sentiva il fiato degli investigatori sul collo, Antonio. Infatti è arrestato a Milano il 23 luglio, di ritorno da un viaggio d’affari a New York. È accusato di essere uno dei protagonisti della faida tra i Piromalli e i Molè, in guerra per il controllo degli appalti nel porto di Gioia Tauro e dell’autostrada Salerno-Reggio. Qualcuno si è allarmato per questa lunga serie di relazioni pericolose tra uomini della politica e uomini delle cosche? No. A Milano l’emergenza è quella dei rom. O dei furti e scippi (che pure le statistiche indicano in calo). La mafia a Milano non esiste, come diceva già negli anni Ottanta il sindaco Paolo Pillitteri. Che importa che la cronaca, nerissima, della regione più ricca d’Italia metta in fila scene degne di Gomorra? A Besnate, nei pressi di Varese, a luglio il capo dell’ufficio tecnico del Comune è stato accoltellato davanti al municipio e si è trascinato, ferito, fin dentro l’ufficio dell’anagrafe, lasciando una scia di sangue sulle scale. Una settimana prima, una bottiglia molotov aveva incendiato l’auto del dirigente dell’ufficio tecnico di un Comune vicino, Lonate Pozzolo. Negli anni scorsi, proprio tra Lonate e Ferno, paesoni sospesi tra boschi, superstrade e centri commerciali, sono state ammazzate quattro persone di origine calabrese. Giuseppe Russo, 28 anni, è stato freddato mentre stava giocando a videopoker in un bar: un killer con il casco in testa, appena sceso da una moto, gli ha scaricato addosso quattro colpi di pistola. Alfonso Muraro è stato invece crivellato di colpi mentre passeggiava nella via principale del suo paese affollata di gente. Francesco Muraro, suo parente, un paio d’anni prima era stato ucciso e poi bruciato insieme alla sua auto. L’ultimo cadavere è stato trovato la mattina di sabato 27 settembre in un prato di San Giorgio su Legnano, a nordovest di Milano: Cataldo Aloisio, 34 anni, aveva un foro di pistola che dalla bocca arrivava alla nuca. A 200 metri dal cadavere, la nebbiolina di primo autunno lasciava intravedere il cimitero del paese, in cui riposa finalmente in pace, benché con la faccia spappolata, Carmelo Novella, che il 15 luglio scorso era stato ammazzato in un bar di San Vittore Olona con tre colpi di pistola in pieno viso. Milano, Lombardia, Nord Italia. È solo cronaca nera? No, Gomorra è già qua. Ma i politici, gli imprenditori, la business community, gli intellettuali, i cittadini non se ne sono ancora accorti.

SE LA CULTURA È UN ROM. Da Antonio Porta al pensiero disperso

Pubblicato il 29 maggio 2008 su Saggi Società da Maurizio Baldini

La relazione complessiva tra cultura e società tende a suggerire oggi un'immagine di "realtà parallela", che ricorda meno quella di Musil ne L'Uomo senza qualità, di più quella di Rom disgregati e emarginati: una presenza assente che non diventa "presenza", se con questa intendiamo realtà di scambi ricchi con l'altro da sé. Gli intellettuali (termine ormai ben poco qualificante) criticano a volte la cultura degradata e messa in scena dai media o dalla politica corrente.

E’ on-line il nuovo sito di Milanocosa!

Pubblicato il 22 maggio 2008 su Arte e Mostre da Maurizio Baldini

Sono stati completati i lavori di ristrutturazione del nuovo sito-blog di Milanocosa.

Dove sta il cuore degli scrittori? di Laura Cantelmo

Pubblicato il 19 maggio 2008 su Saggi Società da Maurizio Baldini

Dove sta il cuore degli scrittori?

Su un articolo di Claudio Magris (*)

Di Laura Cantelmo

L’articolo di Magris in risposta all’affermazione critica dello scrittore turco Pamuk sulla politicizzazione dell’arte pone, fin dal titolo, alcune questioni di sostanza relative alla produzione letteraria.

Il titolo stesso,riferito al “cuore freddo degli scrittori”, implica un giudizio già formulato sull’autenticità del coinvolgimento dell’A. con quanto va scrivendo. Trattandosi di temi specificamente politici, nel senso di adesione a una causa che riguarda la polis intesa come comunità umana, la posizione dello scrittore negli ultimi decenni si è fatta difficile. In particolare ciò accadde dopo la fase storica iniziata negli anni ’60 e culminata nel decennio successivo, in cui dominava l’interesse per le tematiche civili – i diritti dei “dannati della terra” sia del terzo mondo che del nostro – e per imeccanismi del potere di cui si è occupato in modoapprofondito il pensiero filosofico soprattutto francese.

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Donne e Opere. di Giuliano Zosi

Pubblicato il 12 maggio 2008 su Saggi Musica da Maurizio Baldini

Nel campo dell’opera lirica il protagonismo è l’ambito delle donne. Anche quando l’eroe dell’argomento è l’uomo, il coinvolgimento femminile, è comunque sempre fondamentale allo svolgimento dell’azione. Le protagoniste femminili delle ribalte, se sono generalmente considerate passionali e idealiste, votate alla sofferenza e alla morte,vengono, però, percepite come forzeistintive e coraggiose, capaci di tirar dentro il loro destino, spesso senza rendersene conto, parenti, amanti e amici.. Sul finire dell’Ottocento, divengono personaggi chiave della struttura melodrammatica, dotate di volontà e coraggiosa autonomia. Spesso, pur essendo succubi di fatti più grandi di loro, si rivelano poitutt’altro che prive di personalità e di giuste ribellioni.L’evoluzione delle società europea e slava, grazie specialmente alla letteratura simbolista, al teatro romantico e al teatro verista, va, dunque, progressivamente conquistando nella donna, un certo grado di liberazione e di volontà d’azione:.

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Ingannevole è la prosa sopra ogni cosa.Viaggio nella narrativa erotica scritta dalle donne. di Chiara Cretella

Pubblicato il 10 maggio 2008 su Saggi Prosa da Maurizio Baldini

Chiamo vergine la donna che ha fatto l’amore con un solo uomo.

Emmanuelle, L’antivergine.

La narrativa delle giovani scrittrici degli ultimi anni sembra essersi attestata su un livello comune di condivisione culturale. Si può partire dalla definizione di «scrittura dell’ombelico», come viene intesa dai Wu Ming ad esempio, che indicano con questa locuzione la letteratura intimistica e non impegnata, tipica espressione della repressione culturale in atto in Italia, e si può approdare alla «scrittura dell’utero» per rubare una definizione a Renato Barilli.[1] La fascia di questo genere letterario si allarga a tematiche differenti, ma spesso declinate con l’uso topico della prima persona, ad indicare un luogo di una geografia di pensiero, prima che letterario. Spesso queste scritture femminili privilegiano la forma diaristica.

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La poesia: lingua carnale dell’esperienza. di Gabriela Fantato

Pubblicato il 10 maggio 2008 su Saggi Filosofia da Maurizio Baldini

La poesia: lingua carnale dell’esperienza

Gabriela Fantato

Due filosofi-psicoanalisti hanno definito la nostra come «l’epoca delle passioni tristi», rifacendosi a tesi di Spinoza[1], un’epoca di disorientamento, in cui il futuro non è più sentito come «una promessa», come è stato per l’Occidente postilluminista e neopositivista, ma come «una minaccia», con il conseguente venir meno delle progettualità e delle speranze. Penso che ogni essere umano senta su di sé, oggi più che mai, una minaccia diffusa.

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