Recensioni e Segnalazioni

Google – Il nome di Dio – Letture6

Pubblicato il 26 febbraio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Adam Vaccaro, Google – il nome di Dio, in quattro quarti di cuore,
puntoacapo ed., Pasturana (AL), 2021

Nota critica di Laura Cantelmo

Pur essendo questa nuova raccolta di Vaccaro, divisa “in quattro quarti di cuore”, può apparire tripartita come una moderna Commedia – essendo la seconda sezione, Cuore viola, sostanzialmente un’estensione della prima. Per di più, tra i tanti indimenticabili personaggi che giganteggiano nell’Inferno dantesco, alla memoria se ne è imposto uno che richiama i toni di Adam Vaccaro, Farinata degli Uberti, che vediamo ergersi carico di furore tra le arche di un cimitero,: “ed el s’ergea col petto e con la fronte/ com’avesse l’inferno in gran dispitto.” (Inferno, X, 35/37). Restando nell’ambito dell’analogia, non sarà inutile ricordare che Farinata è collocato da Dante nel cimitero dei seguaci di Epicuro “che l’anima col corpo morta fanno”. Oggi lo definiremmo un ateo, un materialista, lontano da ogni idea di trascendenza, ma per ricondurre il discorso ai nostri giorni, su quanto il materialismo dialettico di Vaccaro possa avvicinarsi al grande eretico ghibellino, lasceremo da parte le idee sull’aldilà per concentrarci su quell’avere “l’inferno in gran dispitto”.

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Google-Il nome di Dio-Letture-5

Pubblicato il 15 febbraio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Maurizio Baldini

Adam Vaccaro, Google-Il nome di Dio

Pasturana (AL), puntoacapo, 2021

Articolo del 15 Febbraio 2022 – Rubrica DI-VERSI  PER-VERSI

su Mantova Poesia  de “la Voce di Mantova”

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Google – Il nome di Dio

L’ultimo libro di poesie del poeta molisano e critico Adam Vaccaro, classe 1940 dal titolo “Google – Il nome di Dio” pubblicato dalla casa editrice puntoacapo Pasturana (Al), ci accompagna in un viaggio forse senza ritorno. La raccolta si articola in quattro sezioni denominata “In quattro quarti di cuore Nero, Viola, Rosso e Bianco”. La prefazione è curata da Massimo Pamio e la postfazione da John Picchione. «Si può ancora scrivere poesia? – si chiede Massimo Pamio – L’attuale epidemia virale permette di verificare i meccanismi di controllo delle masse, se Google e gli altri potenti mezzi basati sull’uso di registrazioni dei comportamenti secondo criteri di efficienza, grazie all’uso di algoritmi, deputati a riassumere e a classificare e incasellare discorsi, orientamenti e desiderata di miliardi di individui. Se i server di Google e soci funzionano, – continua Pamio – potranno un giorno non solo registrare ma addirittura, con l’uso di chip, telecamere per il riconoscimento facciale e altri marchingegni, innescare e condizionare i comportamenti collettivi a loro piacimento, come già è accaduto con lo scandalo di Facebook – Cambridge Analytica». […] Nel contemporaneo e postmoderno inferno turbocapitalista voluto e programmato, vive e si districa il poeta, – continua Pamio – numero magico tra i numeri, esponente bizzarro e stralunato ancora dotato di una individualità autentica e libera ma anche socialmente porosa, capace di trovare il bandolo della matassa perché vanta una notevole capacità critica e di discernimento, nonché la saggezza propria di chi ha esperienza di altri mondi o di mondi immaginari e quindi sa leggere in ciascuno di essi le ragioni che lo reggono, anche se il mondo stenta a resistere in mano ai suoi burattinai. Come trovare le parole giuste nel Caos»?

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Google – Il nome di Dio – Letture4

Pubblicato il 11 febbraio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Google – Il nome di Dio – In quattro quarti di cuore, di Adam Vaccaro
puntoacapo Ed. Pasturana (AL), 2021

La poesia come motore di ricerca critica
di Luigi Cannillo

Sacro e profano, entità digitali e vite esemplari, attualità e memoria si intrecciano nella nuova raccolta di Adam Vaccaro. L’alveo nel quale si articolano e fluiscono le poesie viene esposto chiaramente nella nota dell’Autore in conclusione del volume: l’analisi politica e socioeconomica sugli effetti del neoliberismo e della globalizzazione finanziaria insieme allo sviluppo di un universo massmediatico invasivo e spersonalizzante. I testi quindi sono nati “dall’intreccio di doloroso disagio, passione ferita e volontà di Resistenza vitale”, contesto dal quale la poesia attinge direttamente e criticamente. Lo fa strutturandosi in sezioni che riprendono, ognuna attraverso un colore, il motivo del Cuore come centro di energia e intelligenza che si fa prima nero nel rifiuto e nella negazione, poi rosso nella passione e viola nella paura e infine bianco nella fonte profonda dei valori originari e della possibile rinascita: “Cosa possono dire le stesse cose che ci/ Appaiono inerti – polvere di morte che/ Improvvisamente si alza e ritrova il volo”. È, volutamente, un percorso a U nel quale, iniziando dallo scavo e dalla discesa nell’oscurità, si risale, dopo aver toccato il fondo, verso la luce. Un percorso dantesco al quale sembra alludere anche la foto di copertina di Valeria Vaccaro, con una imbarcazione direzionata verso i colori dorati e vermigli che possono appartenere al tramonto, ma, contemporaneamente, anche a un’aurora.
I testi così suddivisi nelle quattro sezioni hanno origini e datazioni diverse che formano una sorta di diario liberamente impaginato secondo i contesti tematici e che, allo stesso tempo, comprendono sia poesie più recenti che altre, edite, risalenti ad anni precedenti ma che in questa modalità assumono un nuovo valore. L’approccio e il tono sono talvolta di tipo più narrativo e colloquiale, altre volte più lirico ed evocativo. Ma comune è la ricerca espressiva: le invenzioni linguistiche, i giochi di parole mai fini a se stessi ma tesi alla scoperta dei molti significati di unità verbali che vengono composte e scomposte all’interno di campi semantici stranianti (quello tecnologico) o edificanti (quello del mondo naturale). E le allitterazioni, la sillabazione ripartita negli enjambement, le assonanze che si dipanano spesso per unità lessicali molto estese, a volte creando mulinelli linguistici e sonori: “Soros dal cuore d’oro/ dacci oggi il tuo miliardo/ quotidiano che ci fa correre/ a strappare salvare vite/ disperse e affamate/ sommerse dall’oro che/ gronda dalle mani degli/ invisibili quattro gatti […]”. Soprattutto nelle prime sezioni ricorre uno spirito caustico e sarcastico che mette in luce gli aspetti più assurdi della condizione di dipendenti digitali e cittadini ammaestrati, ridotti continuamente a uno stato infantile attraverso il linguaggio lezioso e affabulatorio usato dagli adulti per convincere e rassicurare i più fragili e suggestionabili. E anche come parodia dei messaggi evangelici, la cui forma mette in evidenza la pervasività e i tentativi di indottrinamento delle nuove Entità/Divinità informatiche con la loro attività manipolatoria. Primo fra tutti spicca Google insieme ad altre entità dotate di ultra-poteri: “Alexa, piccola madonnina sul comodino/ raggino che muto ascolta e registra attento/ i tuoi comandi anche quando sono solo/ battiti del tuo cuore…”.
Accompagna la raccolta un notevole apparato critico composto, oltre che dalla citata Nota dell’Autore, dalla prefazione di Massimo Pamio, dal saggio-postfazione di John Picchione, e da una nota dell’Editore nel risvolto di copertina. Questi contributi offrono, ciascuno a suo modo, spunti efficaci per contestualizzare e approfondire le tematiche presenti. Molti sono i riferimenti ad autori compagni di viaggio della poetica di Vaccaro, Antonio Porta innanzitutto, con Mario Lunetta e Alberto Mario Moriconi. Aggiungerei il nome di Luigi Di Ruscio sia per le poesie di aspra critica alla civiltà industriale, in particolare contro le divisioni di classe e l’organizzazione alienante del lavoro ma anche negli squarci di gioia di vivere e per la bellezza della natura. Anche in Vaccaro interagiscono critica, indignazione e vitalità che si alternano in questo caleidoscopio di cuori e colori. Alle nuove divinità si contrappongono le storie comuni di eroi del quotidiano (il ristoratore emigrato, “Nella cucina di Shakespeare”, l’immigrata, “Mira a Milano”, la stiratrice/rammendatrice, in “Rosina e l’orchestra tv”) e le radici della famiglia dell’autore: nella fotografia e nelle parole del padre, nel ricordo della suocera Vilma, staffetta della Resistenza, fino alle figure portatrici di luce della moglie Chris, dei figli e dei nipoti.
Google – il nome di Dio tiene così uniti i suoi Cuori e colori attraverso un percorso temporale esteso ed elastico, partendo dagli aspetti salienti della contemporaneità e della attualità e poi risalendo e trovando slancio e rigenerazione dai nuovi nati come dalla memoria delle Origini: “Profumami origano di colline molisane/ […]/ questo mio stare qui/ ai piedi del monte più duro da scalare/ […]/ Forse è il tuo profumo/ che trascolora assaporando/ questa pizza colma di vita/ tempestata dai tuoi verdi coralli”.
12 febbraio 2022 Luigi Cannillo

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Laura Cantelmo – Cuore di nebbia

Pubblicato il 7 febbraio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

LAURA CANTELMO – CUORE DI NEBBIA
Http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com/2022/01/segnalazione-volumi-laura-cantelmo.html?m=1

Laura Cantelmo: “Cuore di nebbia e altri paradisi” – puntoacapo edizioni- 2021 – pagg. 88 – € 12,00

“La poesia diviene luce nella nebbia così come gli altri paradisi del sottotitolo raffigurano la diverse vie di salvezza offerte da remoti ricordi che compaiono fulminei nella notte, oppure da epifanie del passato che si rivelano feconde occasioni di riflessione e di scrittura” scrive Laura Cantelmo e con la poesia ella cerca di suggerire con raffinata sensibilità e armoniosamente la fragilità che il tempo incide nell’ingenuo compromesso della quotidianità, tra illusioni vertiginose ed essenze di declinazioni.

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Google-Il nome di Dio – Letture3

Pubblicato il 18 gennaio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Adam Vaccaro, Google – Il nome di Dio, Pasturana (AL), puntoacapo, 2021

Nota di lettura di Alessandro Cabianca

Una poesia che va al cuore del falso, finto, fesso rapportarsi e raccontarsi dell’oggi portati da un mondo artificiale, il WEB, più vero del mondo reale a scardinare secoli di razionalità con attimi di irrealtà che si fanno filosofia spicciola e altrettanto spicciola etica dell’immorale quotidiano.
La poesia che, come molta del secondo novecento, finalmente si sporca con il reale, lascia secoli di idealismo, si confronta con problemi apparsi all’orizzonte della storia ieri, o appena l’altro ieri, ma che stanno in breve impadronendosi di ogni segmento di società e vengono contrabbandati come il nuovo umanesimo, la nuova liberazione, mentre già stanno diventando strumenti per una più sofisticata schiavizzazione degli individui.
Non è mai venuta meno la schiavitù e talvolta anche i poeti hanno evitato di accorgersene per assurgere a uno status di sacerdoti della cultura dominante, solo ad eccezione di alcuni, pochi, che hanno pagato perfino con la vita la loro scelta di libertà, e non sono solo gli assassinii, ma anche le non poche rinunce alla vita che dolorosamente segnano la storia letteraria e poetica del novecento.
Sempre meno ritroviamo chi ha un occhio critico nei confronti dei grandi rivolgimenti che stanno avvenendo nel mondo a vantaggio di pochi e a danno di tutti gli altri, e sarebbe davvero ingombrante l’elenco di quanti, scientemente, industriali, potilici, manager, nel secolo appena trascorso hanno operato apertamente per distruggere quanto faticosamente i due secoli precedenti si erano adoperati di raggiungere.
L’appiattimento delle coscienze, manipolabili con facilità, la perdita della autonomia del giudizio sono i sintomi principali di un degrado che, prima di essere morale, è un degrado sociale, generalizzato.
E allora un poeta fuori dai canoni e dalle gerarchie delle élites letterarie, compie una operaziona di verità, alla maniera di Ferlinghetti, di onestà, alla maniera di Saba, senza le paranoie del plurilinguismo alla Pound o dell’incomunicabilità alla Sanguineti, e fin dal titolo indica quale è il dio dei nostri anni: Google.
Strumento preziosissimo questo, ma perfido per chi ha scopi di dominio perché può mobilitare in un click milioni di persone verso una causa; e quando questa causa è sbagliata, chi ferma la valanga umana che si è messa in moto, inconsapevole o complice? Scrive Massimo Pamio nella Prefazione: “L’uomo diventerà un falso spogliato di ogni identità”. Ce l’hanno insegnato secoli di assolutismi che alla perfezione, pur se talvolta in maniera ancora grossolana, hanno utilizzato questi medesimi processi collettivi che, con una differente tecnologia, potrebbero perfino sembrare strumenti ugualitari e evolutivi e dei quali non si possa più fare a meno se non si vuole essere tagliati fuori dalla modernità.
Riprendendo la Prefazione: “Il poeta molisano riesce a fare ordine all’interno del caos che ci attornia e a far pronunciare ai nuovi topos del mondo la loro essenza; insomma il poeta fa dire il mondo a quelli che lo posseggono, alle trappole che i potenti hanno ben disegnato per riuscire a mantenere un ordine mondiale guadagnando su quelli che come in un incantesimo fanno quello che loro gli dicono di fare, mediante il desiderio, questa potenza che muove l’uomo più di ogni altra forza”. Poesia politica e poesia sociale al più alto grado dove un “sistema” anonimo, ma non per chi lo guida e ne raccoglie i risultati, sembra guidare le vite di uomini sempre più anonimi e disorientati
Siamo ad una “santa barbarie” o ad uno “scientifico macello”? (p.15) Credo che nel novecento abbiamo già sperimentato, e su vasta scala, sia l’una che l’altro, ma adesso possiamo goderci i like su facebook o salutarci con la manina in streaming o goderci messaggi e contatti con whatsapp in questa rimbambilandia collettiva dove ogni due parole spunta un prodotto in promozione (pp.17-18), “in questo contemporaneo, posmoderno inferno turbocapitalista voluto e programmato”. (Pamio)
Il senso del vivere per il poeta non sta qui, dove è già evidente la sconfitta dell’umano (dico già poiché questo sistema ha velocità impensabili fino a poco fa e capacità di rinnovarsi e riprodursi in continuazione, camaleonticamente, pur essendo giovane, ma con lo stesso scopo e i medesimi criteri degli antichi sistemi di controllo e dominio), il senso sta in ogni singola persona, nel riconoscere e trasmettere quei valori che hanno giustificato l’esistenza: sta nelle scelte di chi si oppone alla generale omologazione, anche per incoscienza, come quei “sereni ragazzi […] che continuano a fare/ inni alla vita incuranti/ inconsci e resistenti”, (p.43) sta nella vita da “straniero di Rho” di Piero come il senza patria Mohamed e il pensiero corre all’omonimo senza patria degli indimenticabili versi di Ungaretti: “Si chiamava Moammed Sceab// Discendente/ di emiri di nomadi/ suicida/ perché non aveva più/ Patria” (In memoria).
Vorrei invitarvi a leggere per intero Rosina e l’orchestra tv, dove trovate una forma moderna di accoglienza: Rosina, persa la casa, entra in un bar gestito da cinesi e la padrona non la caccia, ma con “il verso e l’occhio”… “dice di stale pelò nell’angolo in fondo!”, mentre la Tv invita gracchiante a donare per i bambini in Africa, per malattie rare, per la Protezione civile. (p.34)
Si può ancora resistere, sulle note di Ciao bella ciao, “attardati su la sovranità appartiene al popolo” (p.54) come ha saputo resistere Vilma Venturi, suocera del poeta, staffetta partigiane. (p.56)
Il mondo degli affetti apre a nuove speranze, Chris, “fiore d’autunno”, Claudio e Elena, “rami che crescono”, Chiara, “nuovo bocciolo”, Valeria, piccola poetante, e non sul filo del sentimentalismo, ma come nuovo sguardo sull’ignoto, infinita gioia presente e insieme trepidazione: “Invisibile era il ballo dei nostri cuori/ mentre ti vedevamo barcollare ai/ primi passi su un marciapiede di/ Arese e poi palloncino di gioia/ senza freni sul lungomare di Sestri” (p.69): instabile il presente e barcollante, dove cerca qualche punto di luce e di futuro un poeta turbato e inquieto per come va leggendo il reale.

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Laura Cantelmo, Cuore di nebbia

Pubblicato il 6 gennaio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Laura Cantelmo
Cuore di nebbia e altri paradisi
Puntoacapo Editrice, 2021

Con Laura Cantelmo si sono sviluppate, nel corso di alcuni decenni, dentro e fuori Milanocosa, un’amicizia e una conoscenza profonde, per cui posso parlare di fratellanza/sorellanza, ancor più esaltate nel corso del mio coinvolgimento nell’editing del suo libro precedente, Geometrie scalene. Una occasione che mi ha evidenziato la sua rara qualità, quella “saggezza dell’umiltà” sollecitata da Eliot.
È un punto che non è un corollario, ma un postulato costitutivo del teorema espressivo di Laura, plasticamente rappresentato dai tre vertici del triangolo evocato da Geometrie scalene – che sappiamo può essere ottusangolo o acutangolo, simbolo di ottusità o intelligenza –, e che risalta anche in Cuore di nebbia. La capacità di contatto con la propria fragilità è certamente uno di tali vertici, adiacente al polo di prima evidenza e senso: uno sguardo freddo e lucido sulle ignominie del mondo contemporaneo, alias dei poteri che incarnano la sua Gorgone-Medusa. Uno sguardo che traduce a tratti in secco sarcasmo il proprio pensiero critico, fino a far ricordare Marziale, come scrissi nella prefazione a Geometrie scalene.
Ma davanti a tale presa d’atto, non c’è ripiegamento piangente, perché scatta il secondo vertice innervato appunto, nella propria fragilità, fatta fonte e azione re-attiva, di una umiltà non recitata di chi sa spogliarsi e ridurre le supponenze dell’Io per farsi fonte di energie rinnovate, e che pochi sanno praticare. Credo che la capacità creativa non solo di Laura trova energie, quanto più l’Io è realmente depotenziato, e che in Cuore di nebbia e altri paradisi è accentuato anche per l’insorgenza della pandemia, svolto tra due polarità simboliche, cuore e nebbia.
Con “tra le mani libri, fonti di pensiero”, “l’uomo chiede aria alla notte insonne,/ si muove a tentoni lungo transenne/…/verso il delta folle dell’ignoto futuro”(P.9). “Eppure”, resiste il sogno “di una rosa sontuosa”(pp.13-15) di vita umana, incarnata in donne e uomini che resistono alle “potenti fauci della Gorgone”(p.23). E se la “Nebbia” rende “Venere irraggiungibile…tra vanità e macerie senza meta, senza pace…la nostra croce”, l’imperativo etico è non smettere di “Cercare il paradiso nella terra”(p.27), perché “anche le stelle dicono di uomini e di donne,/ della terra tradita, di nuvole e madonne.”(p.73)
Con queste poesie risalta il terzo vertice di senso antropologico. Che genera ricerca incessante di Guide e Appigli di Rinascita, articolata tra referenti di cultura alta, tempi di storia antica e recente, ma anche in persone comuni della propria esperienza di vita, comprese nodose mani contadine, e poi luoghi, che vanno da quelli quotidiani, luoghi del cuore del Ticinese e di Milano, o di Paesi amati come Grecia e Palestina, fino a orizzonti azzurri, in una insaziabile ricerca di alimenti della propria volontà di resistenza vitale, sintetizzata dalla ripetuta congiunzione avversativa, Eppure! Tra i termini ricorrenti del libro.
Quanto fin qui evidenziato mostra un intreccio adiacente, che è di pochi, tra Laura Persona e Laura Soggetto Scrivente. E i tre vertici enucleati sono una personale ricreazione di percorso dantesco, che sappiamo è nel segno del numero tre. E non è casuale la partecipazione di Laura al progetto di quest’anno di Milanocosa per Bookcity, A partire da Dante.

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Google-Il nome di Dio – Lettura1

Pubblicato il 1 gennaio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Alfredo Panetta su

GOOGLE – IL NOME DI DIO

Adam Vaccaro, Puntoacapo Ed., 2021

Ogni epoca storica ha le divinità che merita, ci ammonisce Adam Vaccaro nella sua ultima, vibrante raccolta di versi dal titolo eloquente: Google- il nome di Dio. In una fase di acclarata decadenza del capitalismo non potevamo che guadagnarci un Dio apparentemente minore, quale la Rete-di-recinzione-Internet dalla quale nessun umano potrà più sottrarsi. Frutto di quella Tecnologia che secondo molti filosofi e artisti è diventata ormai padrona assoluta delle esistenze individuali. Adam Vaccaro, intellettuale e poeta che da decenni cerca di dare alla parola una significativa valenza etica, ci regala una bella raccolta che scoperchia le carte della fragile modernità nella quale siamo tutti artatamente immersi. E senza tanti giri di parole Vaccaro assume una forte posizione politica contro il potere costituito, laddove la massa si prostra in atteggiamento adulante (“Ruota ruota Drago tra i Monti/ prima di azzannare i nostri conti”). Massa che inconsapevolmente si fa ammansire dai fantastici like su facebook, strumento di un potere invisibile ai più ma non all’occhio allenato del poeta (Volano avvoltoi su di noi/ come fossimo carogne). Necessaria quindi la presenza dell’artista che dispone di quella che forse è l’ultima arma salvifica (Una lingua aliena che sappia dire ancora di te e di me).

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Peter Russell – Vita e Poesia

Pubblicato il 13 ottobre 2021 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Peter Russell – Vita e Poesia
A cura di Wilma Minotti Cerini
Edizioni Il Foglio, Piombino (LI), 2021, pp.871

Adam Vaccaro

È un libro persino delimitante nomarlo così, non solo per le sue dimensioni di quasi 900 pagine, perché è un’opera che è un immenso atto di amore per una poesia sentita e vissuta come inscindibile dalla complessità e totalità della vita. Il che implica una dedizione che coinvolge tutti i sensi, compreso quello del sacro. Wilma Minotti Cerini costruisce in effetti una sorta di altare, nominalmente dedicato a Peter Russel, ma che va ben oltre, verso la pur “piccola famiglia di poeti” – ricorda Giuseppe Conte nella sua nota in aletta – “che hanno una tempesta di contenuti, visioni, e che ambiscono a far passare attraverso la propria poesia una complessa, colta, alta, nobile, combattiva concezione della cultura e del mondo”. Una famiglia di “poeti che ci comunicano vitalità e speranza nella disperazione: come Blake, e Whitman, come Pound e D.H Laurence”.
In questo libro oceanico, rispondente al titolo, di vita e poesia, Wilma ha immesso non solo i testi e le opere di Russell, ma le sue radici culturali alimentate “sia dal mondo classico greco-romano, come dal Vangelo piuttosto che …dagli scritti vedici della Upanishad indiane” e dalle “più svariate forme di civiltà…A tutte era interessato, approfondendo e comparando la storia, la filosofia, la poesia”, lungo la storia dai tempi più lontani a quelli contemporanei, attraversandoli con impegno e partecipazione anche personali, come nell’ultima guerra mondiale. “Peter era assetato di conoscenza”, sintetizza L’Autrice nella sua introduzione, attraverso “la padronanza di varie lingue” (compresi il Parsi musulmano ed Ebraico), viaggi e spostamenti dall’America all’Europa al Medio-Oriente (dove in Persia prima dell’avvento komeinista, insegnò Filosofia all’Accademia Imperiale di Teheran). Ma, aggiungo, al versante umanistico e letterario occorre unire quello scientifico, talché a Russell corrisponde l’immagine dell’Uomo Vitruviano di Leonardo, teso a incarnare la tensione alla totalità di tutte le discipline, che va oltre la superazione tra le due culture e sintetizzata da lui in termini esemplari: “Poesia per me…è la rappresentazione del Tutto in ogni cosa”.
Il suo percorso trova poi il porto finale in Italia, prima a Venezia e poi in Toscana, e direi non a caso. Perché qui riconosce il “Paese (più, ndr) confacente a se stesso”, costruito in tempi e luoghi che avevano generato Virgilio, Dante e Petrarca”, modelli unici e insuperabili. Modelli da cui trae l’apertura al mondo, e che gli consente accenti critici, come in un intervento pubblico del 1990, verso un mondo in cui “il danaro viene prima delle persone”. Accenti conditi di sapienza anche autoironica e sarcastica rispetto alle condizioni sociali in cui opera il poièin, il fare poesia. È uno status, nel quale chi “lavora” con un compito assegnato, vede il poeta come senza professione, per cui è giustificato non retribuirlo dal momento che il suo “oggetto” non ha alcun “valore monetario”. Resoconto rafforzato da “poeti e poesie che non hanno nessun valore”, di “esempi…di egoismo”, o di patetici egotismi, Russell non manca di citare che poi ci “sono altri che hanno un certo seguito, per motivi politici anziché poetici”. Oltre ai molti per i quali “La poesia è diventata un hobby, come il collezionismo o l’allevamento dei canarini”.
. In questo quadro dominato dalla logica del danaro, “Potete pensare che questa è una ingiustizia…nel senso più profondo di Platone”, e “Non ci deve sorprendere…che persino Karl Marx nei Manoscritti economici e politici, 1849, abbia detto la stessa cosa”. Ma, conclude Russell, che chi “deve lavorare otto ore al giorno, nel tempo libero viene inevitabilmente assalito dai poteri ubiqui e irresistibili dei ‘mass-media’, e perciò confonde le vere arti creative con l’intrattenimento o divertimento”, i quali, aggiungo, hanno il compito assegnatogli di cancellare le capacità di pensiero tout-court, e ancor più quello di riflessione critica. Per cui sono pochi coloro che sanno gustare “La vera poesia del sentimento e della consapevolezza intellettuale, cioè spirituale, o – per usare un termine platonico – noetico, cioè mente intuitiva…facoltà sovra personale”
Di questi vitali e culturali attraversamenti, il libro testimonia gli intrecci di amicizie e scambi con i maggiori protagonisti della cultura internazionale, da Pound a Eliot, da Frost a Hemingway, a Pasternak, solo per citarne alcuni. E, per quanto riguarda letterati, poeti e critici italiani, nel libro è ricostituito integralmente il panorama di interventi, contributi e recensioni, di poeti e critici, che vanno da Franco Loi a Francesco De Napoli, al già citato Giuseppe Conte a Giorgio Linguaglossa, solo per citarne anche qui alcuni.
Il libro, dunque, di cui questa mia nota ha il solo obiettivo di stimolare interesse e lettura in chi non avesse ancora avuto occasione di toccare le acque dell’oceano Peter Russell, è stato concepibile e realizzabile solo da un altro oceano di passione quale quello di Wilma Minotti Cerini, autrice a sua volta di vari libri di poesia. La quale, nel corso di qualche decennio ha accumulato testi e testimonianze di un percorso di vita, arte e cultura tra i più straordinari del secolo scorso – dalla nascita a Bristol, nel 1921, alla morte a Pian di Scò (AR), dove è sepolto. Un percorso e una somma di opere che hanno spinto C. Azeglio Ciampi a proporlo per il Nobel. Un libro somma di amore, per il quale possiamo e dobbiamo dire grazie alla sua Autrice.

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Elisabetta Sancino – Collezione privata

Pubblicato il 17 luglio 2021 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Elisabetta Sancino, Collezione privata
Puntoacapo Editrice, 2021

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Adam Vaccaro

Il viaggio offerto da questo libro si svolge attraverso sale espositive in cui l’Autrice ha accumulato memorie culturali ed emotive (anche) con la sua attività di “promozione della cultura e dell’arte”, come cita la notizia biografica. Ne è derivata una collezione privata di opere, che costituiscono il pre-testo e una sequenza lungo secoli e temi, da cui è nato il testo.
Chi è il primo beneficiario/destinatario di questa operazione di scambi creativi tra verbale e visivo? Sono certo operazioni con lunga tradizione, come ricorda nella prefazione Cinzia Demi, che opportunamente rileva l’intento, altro dal “descrivere le opere”. È infatti evidente la sollecitazione primaria della propria interiorità – in primo luogo della parte inconscia, normalmente muta e come sappiamo, la più sedotta da colori e immagini.
Ne derivano forme di un tamburo visivo, teso a far dire all’Altro in sé “parole che vedo nella mente e non riesco a scrivere” (p.20). È l’approccio ri-creativo e il programma di ricerca espressiva, che opere informali (come quelle di Giulio Turcato o di Piero Dorazio), con flussi di colori al limite di carte da parati, sono ovviamente pungoli e spilli metamorfici di gambi e steli “lungo l’argine/…dentro me stessa…nella traversata per raggiungere casa”, “amori tornati in vita” (p.18) “lungo la curva odorosa della terra/ la sua pazzia” (p.19). Argini lungo “canali irrigui/ come Ofelia, ma senza l’argento delle sue vesti/ la sua dolce follia”, “con quello strappo necessario/ per trapiantarsi altrove” (p.21).
Parlare dunque con l’Altro è il fine primario, per andare oltre l’hortus conclusus della propria casa, se intesa come reggia dell’Io. Dov’è allora la casa cercata, quella con stanze inconcluse, dove si nasconde “la mia anima…la sua traboccante dolcezza”? Che, se rincorsa “con un ferro arrugginito”, della ragione supponente, nessuno potrà “mai raggiungerla” senza “La dilatazione del corpo/…una luce viva/ oltraggiosa quanto può esserlo una mano/ quando scava nell’intimo delle cose/ che non hanno parole” (p.45), Di qui il progetto di generarle da immagini e colori, facendo di questi un tam tam para-sciamanico scenografico, su cui attaccare come post-it, fiori e chiodi emersi dal sogno e dalla memoria.
Le sei sale del libro si snodano in tempi e forme, da aure mistiche riviste in echi laici, fino ad aloni di eros e d’amore, denudati e innervati in una visionarietà necessaria agli inesausti sensi complessi cercati. I quali rilucono, come in un taglio di Fontana, nella chiusura aperta dell’ultimo testo, “Il poeta che dorme (Marc Chagall, 1933)”, col suo invito a svegliare il poeta che “non scrive dorme/ non urla sogna”, mentre “la parola/ non scritta vola” (p.84), tra i cento piani e colori del suo universo. E nemmeno Ulisse-nessuno sa se troverà un punto, una punta, di esserci, di pace.

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Claudia Azzola – Tutte le forme di vita

Pubblicato il 14 luglio 2021 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Claudia Azzola

Tutte le forme di Vita, La Vita Felice, Milano, 2020

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Questo libro risponde, a partire dal titolo, alla visione – per me fondante – della Poesia. Che nomino con la maiuscola, a indicare la sua totalità, nello spazio e nel tempo. Totalità che è qui dichiarata e cercata “legge di verità”, che deve misurarsi sempre “tra lo stantio e il rinnovarsi” (p.9), senza mai poter sperare di chiudere il cerchio tra sogno e realtà, quale splendidamente sintetizzato dalle due mani di Michelangelo nella Cappella Sistina, che stanno per toccarsi, ma mai ci riusciranno.
Il tutto, promesso dal titolo e rincorso dal testo, non è qui dunque – conoscendo il percorso dell’Autrice – supponenza di una hybris espressiva, ma tensione formale che pur sapendo i suoi limiti, è lievito e linfa irrinunciabili di vita e ricerca incessante (termine costitutivo, in versi e in prosa, di Claudia). Tensione che si pone all’ascolto dei rintocchi “del metronomo” che “alle porte di verità e del bello/ attendono il bardo che canti.”, e con “il suo clamore”, annunci e solleciti, se “hai una forma, falla sbocciare,/ come la rosa mundi…speranza fior del verde” (p.9)
Sono i versi d’abbrivio del libro, tessi a spazzare via ombre notturne che la casa e chi la abita hanno dovuto sopportare fin troppo. Ombre che a caccia di congiunzione adiacente tra gioco verbale e senso critico della “neolingua, ipertrofia globale” (p. 44) diventa “Oombra mercuriale Oombra di ferro” (p.46), onomatopeia dell’avviso, “si prepara un buio mai visto”, cui il testo contrappone, “Ricorda la forza dei padri che hanno/ seme del centauro”, benché “parte del/ disordine del cosmo” (p. 36), E allora occorre scollarsi di dosso questo assurdo peso pagato a dazieri che pretendono di essere tutto, e aprire porte e finestre a un altro senso del tutto, che scende come pioggia sotto un nuovo sole, lungo versi che sanno di rugiada, di mattinata che si apre alla luce: “’apri le ali’/ disse parlando dell’anima/ Socrate a Fedro” (Ibid.).
“Il gallo ha beccato nella rosa/ il miele giallo, ha disgiunto il cosmo”, e in tanto “L’ape congiunge all’universo il fiore” (p.10), suoni e immagini di vita che si ricrea, all’unisono con la gioia e il moto immessi e trasmessi da questi versi. Una gioia che scorre su sensi e suoni quali ad esempio una divertita serie di bombi (insetti), bombarde, strumenti musicali e di guerra, fino a bombicino (tessuto serico), che non sono gratuiti joeux de mot ma ricerca di musica e lingua che attraversino e abbraccino storia e natura. Continuando a domandarsi, “dove/ si deve andare?”, “dove si nasce?”. E mentre “Il raggiare degli insetti dotati/ di un organo una punta di cervello/ scuote il fondale del silenzio” (p.11), “possa il dio del campo insegnare/…/ pensanti insetti velari bruciati”, fin dove “C,est tout. C’est fini”, fin dove “colà nessun senso vi scorre.” (p.12).
Mi interessa qui dunque sollecitare la lettura di un libro che sin dalle sue prime pagine trasmette una carica di amore per la vita, che si traduce da subito in pensiero critico della visione imperiale globalizzata degli attuali responsabili della governance umana. Senso del sacro e biologia sono congiunti in “Un discorso che stiamo facendo”, “un profondo respiro nella vita/ (è ancora così?)…coperti di fango…resettati nelle abitudini…spettri di un mondo, ombre” (p. 18), di “Una genia di fast food e slow-food” (p.19). “Spuntano neologismi già putridi…insozzano la parola di spot” (p. 44), su cui la luce di chi non rinuncia punta l’indice: “che sarà della bellezza?/ Della vita civile? Dell’inconscio?”, mentre conta “la voce del mercato” (p. 45). Una pretesa di essere tutto, cui il libro oppone un’altra voce, gioiosa e impietosa, intrecciata nei versi e in una postfazione, necessaria quanto imposta dal pensiero furente, fonte di queste forme.

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