Recensioni e Segnalazioni

Guarracino, L’Angelo e il Tempo

Pubblicato il 30 gennaio 2023 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

L’Anima, la Rosa e la nostalgia del Padre
Adam Vaccaro

Vincenzo Guarracino, L’Angelo e il Tempo – e altri poemetti, Book Editore, 2022, pp.70

Un libro dal titolo che potrebbe essere tradotto in lo Spirito e la Storia, seppure ogni traduzione è sempre tradimento, e la storia è evocata nelle Note dell’Autore in fondo al libro, non solo nel richiamo del primo poemetto che dà titolo al libro e sintetizza la sua visione espressiva: “dar voce per scorci visionari a questa storia”. Ma sono due in ogni caso le polarità o colonne di senso della costruzione di questo splendido libro di Vincenzo Guarracino: il divino e il profano, l’invisibile e il visibile, della realtà totale e vitale che ci costituisce. E per uno studioso appassionato di Leopardi, quale è Guarracino, non stupirà se rilevo quale nervo della forma che unisce e restituisce la tensione alla totalità – per me timbro di poesia – la stella polare leopardiana sintetizzata nel sintagma di una parola materiale e lirica.
Certo, il tempo del titolo è anche quello che va dal 1978 al 2022, in cui sono gemmati e maturati i nove poemetti che costituiscono il libro. Ognuno dei quali è radicato in un Autore/Maestro, un Padre (cui è dedicato il poemetto in forma di raccolta preghiera, “NEL NOME DEL PADRE”) o di un tratto di rilievo del proprio percorso umano e culturale, oppure in entrambi: lieviti epifanici dei testi, di cui Guarracino offre nelle sue Note ampi richiami, che confermano come lo spirito e la forma siano con-fusi in quella parola, che guida la sua scrittura, saggistica o creativa che sia.
A una lettura superficiale tutti i poemetti possono risuonare come un concerto raffinato di parole, appagato della musica che intonano, ci culla e delizia. Ma gli echi e alimenti che sostanziano i testi risalgono sempre a quell’Oltre che chiamiamo Vita, tra squarci di Memorie, Incontri e Nomi, che vanno da Catullo a fari della poetica moderna, luci del percorso nel Tempo di chi è stato colto dal silente annuncio di quell’angelo chiamato Poesia.
Ognuno dei poemetti meriterebbe un’analisi specifica, per la loro dispiegata immersione rigenerante in quel Tutto di cui si fanno voce e forma. Ma – entro i limiti di una recensione – scelgo di soffermarmi in particolare sul secondo, UNA VISIONE ELEMENTARE, che ha in esergo versi e richiami di Roberto Sanesi, poeta e Maestro che ci ha trasmesso una visione di poesia interminabile, come linguaggio necessario nella misura col mistero inesauribile della Totalità.
Il poemetto è un oceano in XXV strofe, isole di una micro-macro nesia, rima poesia, con un Nettuno-Poseidone umanissimo, remigante e lampeggiante col suo sorriso denso di dolcezza e sapienza, ricondotto a noi da Guarracino, con memorie e versi nati sul crinale della nostra irriducibile dolorosa-gioiosa distanza. Che tuttavia si fa lievito di adiacenza, che risale come salmone alle fonti dell’incessante bisogno di rinascita:
“Non c’è più nella casa del poeta/…/il triste richiamo del telefono:// la voce scivola nel vortice/…/oscura tra il glicine la stanza:”, dove il poeta ci riappare con le sue indimenticabili reinvenzioni; “sorridesti; ‘M’affumico d’incenso’” e “’ti dirò chi c’è in cantina’ disse/ con la neve che scese su Milano” (XXIII, p.33).
Versi che si svolgono fino a una sorta di cantico della necessità del male, se “il pensiero col male esce dal sogno/ e la stanza è invasa d’improvviso/ da tutti forse i sensi della rosa/…/ le parole a te ormai più necessarie/ quelle che giorno dopo giorno danno/ corpo a una vita solo sognata// non fanno che riscrivere il destino/ nel vuoto di questo impenetrabile/ presente oltre l’opaco dello schermo:” (XIV, pp, 33-34).
Devo dire, versi che ricompongono una forte omofonia con i ritmi, i sensi e la musica di Sanesi, mentre interloquiscono, cercando di chiudere un cerchio che non può essere chiuso: “e qui forse potrebbe fatalmente/ padre fratello amico tu poeta/ qualcosa nel molteplice apparire:// l’ossimoro perfetto che è la vita” (XV, p.34).
Poesia immersa nell’indicibile, per spingerlo fuori dall’ombra di una caliginosa caverna platonica, quale orchestrata dagli schermi dell’”impenetrabile presente”, per strappargli alla fine quel lembo inarreso che sfugge, “ove ripensa la rosa la sua anima” (I,p. 21) e sa farne parola dicibile, senso e poesia.
26 gennaio 2023

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Google – Il nome di Dio – Letture 11

Pubblicato il 8 gennaio 2023 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Recensione di Sebastiano Aglieco, del 5 gennaio 2023 sulla Rivista Compitu Re Vivi

https://miolive.wordpress.com/2023/01/05/ultimi-libri-adam-vaccaro/

*

Una lettura co-autorale, capace di riprendere ogni lembo del poièin per farne ulteriore sviluppo della sua interminabile passione di “attimi di infinito” e “canoscenza” totalizzante. Tensione di un istrice intollerante a ogni delimitazione, al pari della vita.

A.V.
*

Una recensione che è, soprattutto, un intervento.

Sebastiano Aglieco

Adam Vaccaro, GOOGLE – IL NOME DI DIO IN QUATTO QUARTI DI CUORE, puntoacapo 2021

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Evgenij A. Evtušenko, Se tutti i danesi fossero ebrei

Pubblicato il 3 settembre 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

In nome di una Cultura del coraggio

Evgenij A. Evtušenko, Se tutti i danesi fossero ebrei, a cura di Lorenzo Gafforini, con un saggio di Francesco De Napoli, Prima traduzione italiana di Evelina Pascucci. Lamantica Edizioni, Brescia 2022, p. 243.

 Va segnalato il rilievo culturale di questa edizione di Evgenij A. Evtušenko, Se tutti i danesi fossero ebrei, opera teatrale curata da Lorenzo Gafforini e arricchita da un saggio di Francesco De Napoli, che con passione e un magistero derivante da decenni di studio dedicati al poeta russo, ne mette in rilievo i nuclei fondanti della sua poetica: la funzione di impronta pasoliniana, secondo la comune matrice gramsciana, di “una cultura coraggiosa, libera e controcorrente”.

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NELL’ORO DELLA QUERCIA – Un’Antologia da non perdere

Pubblicato il 7 luglio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Inoltriamo grati questa recensione di Massimo Pamio dell’Antologia curata da Gabriella Galzio, NELL’ORO DELLA QUERCIA, frutto di un percorso collettivo di circa tre anni di scambi tra Voci e Autori nel “Salotto” Galzio, che la Curatrice ha cucito e reso tela unica.

Ne emerge una sorta di Arazzo, intessuto nell’Oro della Quercia, simbolo di vita resistente quale offerto dalla plurisecolare quercia che troneggia al centro della Piazza 24 Maggio del Ticinese, quartiere milanese dell’appartamento che ha ospitato la serie di incontri.

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Luigi Cannillo – “Between Windows and Skies”

Pubblicato il 8 maggio 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

L’imprendibile
Tra le luci e l’ombra della vita

Adam Vaccaro

Luigi Cannillo, Between Windows and Skies, Selected Poems 1985-2020.

Gradiva Pubblications, NY, 2022. Con Traduzione di Paolo Belluso.
E la Prefazione di Luca Ariano

Con Luigi Cannillo ho condiviso decenni di scambi umani e culturali, dentro e fuori la lunga appassionante esperienza di Milanocosa. Eppure, il percorso di conoscenza è interminabile e mai prendibile completamente. E con tale assunto entro con mani e occhi in questa sua raccolta antologica che attraversa i suoi libri precedenti, più alcuni per me significativi e illuminanti inediti.
La sua lettura mi consente, tuttavia, di fare un punto sia pure interrogativo e aperto su quanto ho man mano definito dei suoi modi di intendere e fare poesia. Nel corso degli anni ho evidenziato tre fonti costitutive del suo poièin: Memoria di legami, intellettuali e affettivi; Corpo, col suo centro motore nell’eros e la matericità del suo universo mentale, che per Rita Levi Montalcini è funzione di ciò che chiama cervello bagnato; infine, la Lingua, o meglio la ricchezza delle lingue del corpo, che nella poesia confluiscono e determinano faglie di sensi mai completamente escussi. Ne deriva, nella struttura testuale di Cannillo, un accento di ricerca e bisogno di legame musicale tra Testo e Altro.
Da queste brevi premesse, procedo nella lettura di questa antologia, partendo da nuclei di sensi che avevo evidenziati in un mio saggio del 2000 (svolto con la mia metodologia dell’Adiacenza, in cui facevo una analisi comparativa tra i testi di Cannillo e quelli di Annamaria De Pietro), pubblicato sul N. 33 della Rivista “TESTUALE”(*). In questo saggio mi focalizzavo sui suoi libri di allora, Sesto senso (Campanotto, Udine 1999) e Volo simulato, in cui avevo individuato uno stile e un moto di costruzione del testo, che parte dalle zone basse, emozionali, del corpo e della sua cosmogonia, per espandere in un moto ascendente i vettori dei sensi verso aree alte e speculative. E specificavo che il moto si esplicava in “ricerche di misura ed eleganza di sé-duzione… perennemente rattenuta e in bilico tra esplosioni implacabili e infaticabili accumuli e silenzi…di un equilibrio impossibile”, in cui il Soggetto Scrivente “riesce a inventare momenti di ‘voce ferma/ la nostra salvezza’” (Sesto senso), in un incrocio etico ed estetico di tensione totalizzante e molteplicità di lingue della poesia, premessa dell’ipotesi di Adiacenza, oltre che di forma e stile dei testi più ricchi.
Aggiungevo che se il movimento di seduzione tra il Sé e l’Altro, di cui il testo è trama e tramite, vuole collocarsi ed essere corpo vivo tra altri corpi, deve riuscire a “uscire dalla parola” per non rimanere in un universo alienato. Il che implica farsi amare e ascoltare, farsi capire e vedere, non tanto per essere parola simpatica o odiosa, ma semplicemente per essere. Insomma la parola deve farsi comunicazione complessa (come intesa da Antonio Porta), se non vuole ridursi a suono, o a disegno, immagine, o a qualsiasi altro costitutivo parziale (spesso totalizzato) del proprio specifico.
E a tale proposito, rilevavo come tra Volo simulato e Sesto senso ci fosse continuità nella tensione del testo tra la sensisitività pre-linguistica, o pre-testuale, e una decisiva fruizione post-testuale.
Credo che stia in questo moto e tra il nucleo generativo e vitale della ricerca espressiva di Cannillo. Non a caso, il titolo di questa raccolta antologica si dirama da esso, disegnando il moto da una stanza al cielo. Moto richiamato anche nella immagine di copertina, in cui è già evidente che qui non ha nulla di mistico, rimanendo fortemente innervato nel corpo-identità, che può diventare statica ed egolalica prigione, o uscita e volo di liberazione e rinascita. Il punto è che tali sensi diventano reali solo attraverso l’Altro, vitale e imprendibile come l’elemento invisibile che si espande fuori dalla finestra.
I libri successivi proseguono e accentuano tale moto, entrambi col Cielo nel titolo, il primo disegnato nella propria stanza, con sensi apparentemente di minimalismo da Linea lombarda (Cielo privato, Joker 2005) e il secondo (Cieli di Roma, Lietocolle, 2006), in spazi e tempi capitolini.
Nell’antologia seguono poi testi, sia da libri successivi incentrati più su memorie e perdite dolorose, sia inediti. E cerchiamo ora di comparare il nucleo di sensi finora evidenziato con quanto emerge da questi ultimi, nei quali troviamo consonanze, ma anche divaricazioni. Il che conferma la complessità mai univoca e paradossale della poesia, se questa si svolge nell’universo molteplice e mutevole della vita, di cui si fa eco adiacente delle mille voci e degli infiniti lampi che ne colorano il fascino, le tragedie, il tormento e la gioia.
Prendiamo perciò alcuni versi che tendono a contrapporre moto e sensi opposti a quelli fin qui colti:
“Tra l’armatura e il cielo/ pesa intera la nostra gravità/ frutto e grandine, ogni evento/ si strappa e precipita/ invocando il suolo” (p.60). Cioè, il moto di uscita e liberazione dalle nostre prigioni, è illusorio se ignora le forze che lo negano. Ogni tensione e azione se vuole dunque essere reale, deve essere dialetticamente concepita, altrimenti non libera né fa alcunché, e rimane patetico flatus voci.
Altrettanto, per quel che riguarda la fondamentale necessità di essere, cioè di essere conosciuti e riconosciuti nella propria identità, citiamo le vive memorie del testo di p.88:
“Un bambino con un fiocco azzurro/ …/ In un’aula eguale estranea,/ fissare il maestro negli occhi/ sapere dallo sguardo la clemenza/ e il rancore…”; o queste di p. 86: “È l’ora della rincorsa per tutti/ tranne uno che il sole non scalfisce/ che vive d’ombra, in un albero nudo/ un eremita che dal silenzio/ delle scale sente chiamare/ Non c’è più nessuno, maestro, scrivi”; cui seguono a p.90: “La mia natura è percorrere/ la scala di servizio, accomodarmi/ a dormire nel gradino stretto/…/ Non mi avrete alla ricreazione/ salirò sull’albero/ più alto del giardino” (p.90).
In questi squarci di memorie infantili è dunque nato quel moto opposto delineato? Sappiamo però che nulla cancella le pietre e i gradini su cui abbiamo cominciato a camminare, a dare forma al mondo e a noi stessi. Nessuno di noi abbandonerà mai del tutto quel primogiardino mentale e disegno del mondo, di cui parla Claudio Magris. Tutto è sempre molteplice e complesso, e il percorso espressivo di Luigi Cannillo ne è forma, oscillante su un crinale di tensione di condivisione e vocazione solitaria, in un intreccio di tutti di luce e ombra, di cui quest’ultima è caldera decisiva e fonte profonda di lapilli sospesi di attimi d’infinito, tra cielo e terra.
8 maggio 2022

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INCONTRI DI MAGGIO – CIRCOLO DEI LETTORI E SALONE DEL LIBRO DI TORINO

Pubblicato il 30 aprile 2022 su Anticipazioni da Maurizio Baldini

INCONTRI DI MAGGIO 2022

#SAVETHEDATE

PRESENTAZIONE VENERDÌ 6 MAGGIO ORE 17
CIRCOLO DEI LETTORI

VIA BOGINO 9 – TORINO
SALA MUSICA

ingresso libero

A parlare di Peter Russell, nell’occasione del centenario dalla nascita ci saranno

Wilma Minotti Cerini, curatrice del libro Peter Russell. Vita e poesia
Dr. Enzo Cacioli Sindaco di Castelfranco Piandiscò, ultima residenza del Poeta
Natale Luzzagni e Stefano Valentini di Venilia Nuova Tribuna Letteraria
Adam Vaccaro, Presidente Associazione Milanocosa-Milano
Roberto Salbitani, scrittore e insegnante di scuoladifotografianatura, amico di Peter Russell dal 1971 Lido di Venezia
prof. Giampiero Tonon del sistema www.Literary.it
Mons. prof. Franco Buzzi – ex Prefetto – Collegio dei dottori – Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano
Prof. Francesco Diciaccia, scrittore e recensore

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Google-Il nome di Dio – Letture-8

Pubblicato il 20 aprile 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Adam Vaccaro, GOOGLE – IL NOME DI DIO – In quattro quarti di cuore.
puntoacapo – Collezioneletteratura 15 euro.

Nota di lettura di Tiziana Antonilli

GOOGLE – IL NOME DI DIO in quattro quarti di cuore, questo è il titolo dell’ultima raccolta poetica di Adam Vaccaro, poeta bonefrano che vive a Milano da oltre 60 anni e lì attivo anche come prezioso animatore culturale.
Google è la nuova, pervasiva divinità. Come Don DeLillo coglieva i caratteri di sacralità pseudoreligiosa nei centri commerciali americani agli albori del consumismo nel romanzo White noise, così Vaccaro popola i suoi testi con le icone della religione tecnologica e con il corollario dei nuovi padroni della nostra anima: le app, i telefonini, gli algoritmi, il profiling. La tecnologia ha oltrepassato il limite dell’utilità ed è approdata al condizionamento, alla manipolazione, siamo in pieno capitalismo della sorveglianza.
I testi di Vaccaro navigano nel mare tempestoso di questi temi. Lo sguardo dell’autore abbraccia anche il tema dei luoghi comuni di un linguaggio, il nostro, sempre più massificato che ha catturato anche le menti giovani e ha appiattito le coscienze. Siamo ridotti all’obbedienza, e l’unico sogno è alimentato dal gratta e vinci. Qui, però, si inserisce la necessità della poesia. ‘Che sia un coltello impietoso’, auspica Vaccaro, che restituisca dignità a una società decadente come la nostra, spazzata dai venti feroci del neoliberismo, che sia uno strumento di rivolta, di disubbidienza.
Nell’ultima sezione della raccolta appaiono immagini di speranza: l’origano molisano e il suo profumo, la suocera staffetta della Resistenza, simboli di ideali che rischiano di annegare ‘nell’acqua putrida di mafia’. E testi dedicati ai bambini, il futuro per un’umanità dolente che, anche se malata di distopia, ha, forse, in sé i semi di un futuro utopico.
Leggiamo alcuni versi significativi. Il telefonino come oggetto d’amore. ‘Piano piano quest’oggetto fatto di plastica metalli/ ed elettroni ignoti che da sconosciuti invisibili cuniculi/ ti entrano nella carne nella testa nel cuore con bit di un ago’.
Un’ironica ode al Bymbi: ‘Oh bimbi, è qui il Bymbi/…ti frullo t’impasto /ti cuocio e tu dentro non/ saprai più chi sei’.
I nuovi padroni del mondo: ‘Soros dal cuore d’oro/ dacci oggi il tuo miliardo/ quotidiano che ci fa correre’.
E ancora: ‘Ora è il tempo degli intelligenti cretini/ che credono di sapere capire mentre/ seguono pifferai’.
La nostra falsa libertà: ‘da questa libertà decantata da chi /tiene il guinzaglio che ci tiene’.
Infine ricordiamo il sottotitolo della raccolta: in quattro quarti di cuore. Spiega Adam Vaccaro: ‘Una prassi poetica svolta nella tensione di adiacenza tra le lingue della propria totalità e intelligenza. Che oscilla dal cuore nero che la nega, al rosso che ribolle ribelle, al viola della paura, al bianco della fonte più profonda, che ricongiunge in sé tutti i colori nel diamante del bisogno resistente di rinascere e ripartire.’

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Laura Cantelmo – Cuore di nebbia – Letture2

Pubblicato il 14 aprile 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Laura Cantelmo, Cuore Di Nebbia e Altri Paradisi, Puntoacapo Ed., 2021

Questo nuovo libro di Laura Cantelmo è un libro di ardore e memoria o anche di ardimento nella memoria. Non è un volume di nostalgia del passato né una cronaca. È certamente una raccolta sedimentata nel tempo della quale l’autrice si assume tutta la responsabilità a partire dalla nota introduttiva che non delega ad altri ma sottoscrive in prima persona, suggerendo alcune intenzioni che non chiudono lo spazio di interazione del lettore. Il bellissimo titolo è una citazione dalla grande Ingeborg Bachmann e il libro è puntellato di omaggi discreti, citazioni, offerte votive al lavoro di artisti, scrittori, poeti, umani partecipi della civiltà dell’essere presenti al proprio tempo e a quello che si lascerà in eredità. È molto interessante la scelta compositiva che non segue una forma costretta ma varia a seconda del senso, dello svolgersi del pensiero poetante.
La poesia di Laura Cantelmo è un’articolazione testimoniale che parte da quello che ha visto e vissuto e lo restituisce alla collettività dei viventi. La prima sezione, Tele di ragno, ingloba le esistenze minime umane e naturali. In Amici di ventura appare la città nella quale Laura vive da decenni e che è parte costitutiva del suo essere nel mondo. “Milano deserta ora ci guarda, prestigiatori/nell’oceano che circonda la parola/ declinata come destino, nel paradosso/di passioni telematiche per l’odissea nuova/ della nuova salvifica cultura/ per questo nuovo infermo/ in questo inferno di pestilenze oscure.” Qui ci sono vere e proprie dichiarazioni di poetica. La parola nasce dalla comunità di viventi che in essa ripongono le possibilità di intesa e di apertura al nuovo, mai esclusa l’azione al giungere di rinnovate oscurità.
La sezione Altri paradisi, in apparenza più vòlta all’interno si rivela invece un canto di gratitudine e riconoscenza agli incontri, ai sogni avverati e a quelli mancati ma sempre in un moto di restituzione all’esterno: “Forse non sapete, da uomini che siete, /che foste per me benedizione/ periglioso tormento, spinoso accudimento/acuta necessità d’amore, fame/ di tenerezza e di risate,/ come un abito di tela da vela/ nel vento dell’estate.” (Maternità). Raramente si legge un testo che ha a che fare con la maternità così disincagliato da retorica e ripiegamento. Qui la generatività è fatto che riguarda tutti e tutte poiché è capacità di elaborare l’incontro con l’altro da sé. E così intimo e pubblico, lontano e vicino, riferimenti culturali alti e citazione dell’ordinario si fondono senza per questo de-generare in disordine, affastellamento anzi, tutto viene ordinato attraverso la lingua che è cosciente di sé. Per comune vicinanza molto mi ha emozionata la poesia in ricordo di Meeten Nasr, lettura di poetica e tributo.
Anche le poesie di indirizzo più espressamente civile tra le quali quelle dedicate a Liliana Segre e all’olocausto, o alle battaglie della resistenza come al ’68, sono molto riuscite, prive di quegli appesantimenti che spesso insidiano la poesia civile.
È un libro che fa luce questo, purché si abbia il coraggio di attraversare il cuore di nebbia.

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Google – Il nome di Dio – Letture-7

Pubblicato il 10 aprile 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Adam Vaccaro: Google, puntoacapo Editrice 2021, Pasturana (AL)

L’incontro con il dio postremo
Gilberto Isella

Tra le numerose definizioni concernenti il motore di ricerca Google, la più azzeccata è forse quella di Shoshana Zuboff: “il capitalismo della sorveglianza”. Una formula che allude agli effetti di ricaduta delle investigazioni di Foucault relative al ‘sorvegliare’ su uno degli organismi più invasivi della comunicazione postmoderna, Google appunto. Refrattario alla poesia Google? Leggendo l’ultima, vibrante raccolta Google – il nome di Dio di Adam Vaccaro, si direbbe di no, malgrado la prosaicità dell’argomento. Era però necessario estendere gli interessi poetici oltre i loro recinti tradizionali, chiamare in causa le tecnoscienze fino a raggiungere i territori della neosemiosi dominante.
Vaccaro prende atto di una situazione ormai planetaria, ed elabora in versi un controdiscorso articolato: un coraggio ‘critico’ nell’accezione genuina, un gesto spiazzante verso uno degli scenari più problematici del mondo odierno. Lo riconosce con acume il critico John Picchione, nel saggetto che conclude il libro: “La funzione della poesia è di elaborare un distanziamento destabilizzante e provocatorio nei confronti delle tecnologie che costituiscono le infrastrutture portanti della contemporaneità”. All’universo vischiosamente sofisticato, antivitale, dei media e dei gadget elettronici, viene qui contrapposta la vita come insorgenza reale e insostituibile, paradigma dell’appropriamento di sé e dell’incontro con l’altro. Così nei versi affettuosamente allusivi di Invisibile, testo augurale retto sull’anafora “invisibile”, e dove l’invisibilità equivale a un desiderio custodito nell’intimo eppure in sé ardente, vitalistico: “e una mano che mi/ faceva dono di un altro biglietto di/ viaggio col suo referto di maternità”.
Vaccaro non affronta a testa bassa la nebulosa di Google; piuttosto ne illustra in modo sovente indiretto le ripercussioni molecolari, se vogliamo gli sparsi fantasmi, sul comportamento quotidiano. Il che avviene tramite un consapevole utilizzo di metafore e soprattutto di metonimie: il reale in rapporto col virtuale, la fenomenologia del contiguo, l’interfaccia tra registri stilistici, dal lirico al sarcastico. Un’ampia sintomatologia del presente insomma, da mettere in conto e decostruire nei suoi elementi costitutivi. L’agenzia Google, al centro dell’universo telematico, induce stereotipi alienanti a partire dal lessico (“Mi telefona Tizia per dire di un’app e di condi/visioni di un fantastico like in facebook”), crea meccanismi di ripetizione e stordimento proiettando le sue ombre fluttuanti sul terreno dell’immanenza. Un gioco di ombre nel vuoto, come nell’omonima, gustosa poesia di p.19, dove una comune giornata è descritta sotto forma di teatrino sommessamente isterizzato, all’insegna di concatenazioni gestuali eterodirette, di automatismi sorvegliati, appunto, da una presenza aliena e immateriale. Personaggi appesi al proprio nome (“Marina al mattino va al bar”, “mentre Renzino va a intontirsi”) ma sostanzialmente intercambiabili, visto il loro rincitrullimento comune e coatto.
Presenza aliena: Google, lo si accetti o meno, è come Dio un’istanza totalizzante, un nume al quale ci si deve rivolgere con devozione e con toni di supplica: “Ascolta, Google, dove sei? Sono qui/ sulla coda di una fila chilometro zero”. Code umane questuanti, in attesa del panem nostrum quotidianum, ma in realtà incolonnate di fronte a un enigmatico zero. Un rito che si replica in Soros cuore d’oro: “Soros dal cuore d’oro/ dacci oggi il tuo miliardo/ quotidiano”, sintagma di cui non sfuggirà l’ironico bisticcio soros/ oro. E tuttavia, in un universo di simulazioni e scenari illusionistici come il nostro, lo spiritello occulto di Google può assumere parvenze dolci nel suo effondere residui di sacralità.
Come in Alexa, dove una voce-luce impersonale ma dal timbro femminile, tipico di quel dispositivo d’intelligenza artificiale, sembra promanare da “una madonnina sul comodino” evocatrice di consimili “stelline madonnine” dell’infanzia, le cui tracce mnestiche richiamano (implicitamente) il sentimento oceanico del vivere, ossia una delle più alte incarnazioni del desiderio. È vero: in questo universo robotico soggetto e oggetto si confondono, mittenti e destinatari si scambiano i ruoli, mettendo il più delle volte in luce un retroscena drammatico – tra miseria, squallore e abbandono – spalancando agli occhi del lettore le crepe della storia. Sono le oscillazioni di un quadro complesso che la multiplanarità discorsiva di Vaccaro pone in risalto.
Ma il macrotesto offre spiragli suscettibili di lasciar passare anche il suono dell’autentico, una voce dantesca di speranza. E allora il cuore nero fa appello al cuore bianco. Ali si alzano, “spiccando voli negati che/ il cuore continua a inventare”.

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Giuseppe Cinà, L’ÀRBULU NOSTRU

Pubblicato il 3 marzo 2022 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Giuseppe Cinà, L’ÀRBULU NOSTRU – L’ALBERO NOSTRO

Prefazione di Velio Abati – La Vita Felice, Milano 2022

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Concerto siciliano – Adam Vaccaro

“Questo libro, l’ennesimo testo sull’ulivo, si pone nel solco di questo continuo, ineludibile ritorno alle origini; non quello in chiave di nostalgia…, ma quello della ricerca di sé nel tempo, nello spazio, nelle corde che ci legano alla società cui apparteniamo. È un bisogno che ci interroga su quale sia stata la strada percorsa e…da percorrere, un nostos…sulle tracce dell’ulivo”
Nella nota in postfazione dell’Autore, questa frase disegna con lucida sintesi il senso e le fonti epifaniche di un bel libro, che è di un concerto di memorie, eseguito ed eseguibile solo attraverso la musica del proprio linguaggio delle origini, quel dialetto siciliano, in cui “le ruvidità dell’ulivo trovano perfetto riscontro”. “A tal fine occorre far tesoro di tutte le componenti linguistiche (parole indigene o…straniere, forme colte e gergali…sintagmi avverbiali…forme perifrastiche, arcaismi)…fiori di campo” di un “ricco armamentario linguistico siciliano”, che ha fornito materia ad “autori come Pirandello, D’Arrigo e Consolo…Bufalino”
Cinà con amore chino e proteso specifica che il suo “nativo…di base palermitana” si dilata però oltre il tempo e lo spazio per cercare di arricchirsi e poter “parlare a una comunità”, anche se diventa “pallido riflesso della lingua che fu”, “un siciliano sempre più sfocato, monco di quelle lussureggianti espressioni e immagini riscontrabili ormai solo nella letteratura poetica e nella narrativa dialettale”, spinta a una “marginalità sociale.”
Difficile “contrastare questo declino”, rispetto a “quando fu una lingua di tutti”. Cinà auspica che questa resistenza sia messa in atto “nelle officine della narrazione filmica, teatrale, letteraria”, e questa raccolta di poesie è agìta e animata dal bisogno di dare una “risposta…identitaria”. Ed è questo bisogno che si dispiega nella raccolta di Giuseppe Cinà, che utilizza l’energia del nostos, per abbracciare passato e presente, e poter scovare nella propria identità, personale e collettiva, “lezioni per un futuro migliore.”.
Esemplare di tutto questo complesso intreccio di suoni, immagini memorie e ricerca di senso è la poesia, in due parti, “IL CANTASTORIE DEL FRANTOIO”: “Come se fossimo venuti in parlamento/ per deliberare le ultime verità” s’accapigliavano possidenti e sensali/ …/ nello scuro stanzone che trasudava/ incenso d’olivo dalla macina al basolato// Farfallovavano dai fatti ai concerti/ tra asini bendati e scaricatori ebbri di mosto/…/ trascinando a terra Dio e tutti i santi, infine/ intonando il coro del lamento siciliano”; “Intanto uno finiva e un altro arrivava/ …/ sempre a grida e risate, menzogne e giuramenti/ fino a notte, aspettando a turno la colata/ dell’oro verde nelle ribollenti caraffe,”; “E per i poveri Cristi dagli occhi furtivi/ che avevano lavorato dieci ore per quattro soldi/ questa rusticana scuola d’Atene/ era uno strapuntino di lusso/…/ prima di andare a russare qualche ora di sonno”
Anche solo questi versi, squadernano la capacità di Cinà di mettere in scena un teatro popolare e colto, svolto in una sorta di ballata, che certo sarebbe ben più godibile nei versi della lingua nativa, rispetto a quelli citati della traduzione letterale a fronte. Sollecito perciò a leggere direttamente dal libro, la straordinaria e ricca messa in forma degli intenti programmatici riassunti all’inizio, e che sono già stati avviati col libro precedente A macchia e u jardinu (Manni)

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