Recensioni e Segnalazioni

Trilogia di Racconti – Gianni Caccia

Pubblicato il 24 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

A caccia della difficile Armonia
Adam Vaccaro

Gianni Caccia, Trilogia di Racconti, Puntoacapo Editrice, Pasturana (AL):
– RICERCA, 2018
– TRIODOS, 2021
– L’ULTIMO BIVIO, 2024

Conosco Gianni Caccia da alcuni decenni, ma dopo La Vallemme dentro di oltre 20 anni fa, non avevo ancora letto la serie di racconti lunghi di questa trilogia, in cui ritrovo il suo respiro misurato e lungo, di maratoneta, teso a indagare l’Orizzonte socioculturale e a tradurre sulla carta la ricerca (sic!) a caccia (omonimia e gioco verbale che la lettura mi scodella) di un equilibrio che, nell’arco degli ultimi anni, è diventato sempre più difficile.
Sono già esplicativi di tale sintetico nucleo di senso, i titoli, incentrati e motivati dall’ansia di capire. Che non si muove in ambiti speculativi astratti, ma sul territorio del proprio orizzonte vitale, trasmutato in materia di pensiero, riflessione filosofica e visione critica, entro una esemplare messa in forma della lezione di Anassimandro di Mileto, per il quale la filosofia fioriva interconnessa alla geografia.
E la fonte alta del pensiero greco è richiamata sin dalla citazione di Eraclito in esergo a Ricerca: “Armonia che si tende da un estremo all’altro, come dall’arco alla lira”.
Dopo di che prende avvio il primo racconto, dal titolo Palintomia, che fa ricordare palinodia, termini entrambi di profonde radici greche, ma quest’ultimo con senso che si contrappone a dettati precedenti, mentre Palintomia è subito eco di complessità, termine polisemico, di tensione alla pluralità semantica e alla capacità di considerare sensi opposti, quali sono poi svolti dal racconto.
La narrazione parte da «Il profilo delle montagne che si stagliavano sotto il cielo di cenere sembrava apposta per respingere chi volesse violarle… mentre l’auto intraprendeva le prime salite… sotto la guardia delle montagne». Dopo di che il racconto ci conduce nelle trame della ricerca del protagonista, Giovanni, traslucido alter ego dell’Autore, dedicata a una setta dal nome evocante, Penti, e motivata dalla fascinazione per ciò che è eretico, anomalo e fuori dai dogmi indiscussi dai fedeli assuefatti. Metafora di sensi ampi e molteplici.
Il testo trasmette la suddetta fascinazione e il passo lungo è necessario a un tragitto lungo, già presente nell’animo pregno che inizia a premere sui tasti del pc, che si traduce in periodi altrettanto lunghi, intercalati da subordinate, virgole e punti e virgole. Eppure il respiro del testo non trasmette affanno e fatica, come a volte capita anche con certi classici. È che la levità non deriva solo da piccoli passi, brevità di articolazioni frasali. Ed è un dono di cui Gianni Caccia mostra di conoscere il segreto.
Ivano Mugnaini, di questa trilogia non è solo un fraterno compagno di viaggio, è un esempio di ciò che io chiamo lettore co-autore, di un’Opera consistente – sia per le complessive 570 pagine, che per i 6-7 anni di vita dedicati alla sua stesura, che hanno magari lasciato qualche capello di meno e qualche ruga in più. Ma la consistenza è soprattutto di grani di coscienza in più, e di spessore culturale, che qui cerchiamo di lumeggiare almeno nei suoi nuclei principali.
Mugnaini intercala la trilogia cacciana con la postfazione del primo e le prefazioni del secondo e terzo tomo, evidenziando con condivisione adiacente ed affettuosa acribia, sin dall’abbrivo della sua lettura di Ricerca, la sapienza di scrittura: «Non c’è fretta né approssimazione, nei racconti di Gianni Caccia, Non c’è frenesia tipica di chi vuole produrre per apparire, sfornare di continuo per raccogliere esclamazioni di plauso che durano quanto un croissant sul bancone di un bar. Caccia dà l’idea di scrivere con gusto antico e tuttavia attualissimi. Cerca la parola esatta, indirizza il cursore del computer e della mente con occhio serissimo e divertito…che sente di voler comunicare…la dimensione onirica apparentemente eterea e l’asfalto apparentemente saldo e impoetico… che ancora parla della memoria leggera e tenace, quella che in fondo ci rende ciò che siamo».
Il secondo e terzo racconto di Ricerca si svolgono guidati da un altro alter ego, il professor Konrad Jaeger, tra sfondi di passioni per corse di Formula 1, attività scolastica, territori e orizzonti di memorie storiche lontane, in cui Jaeger è filo conduttore; ciò si ritrova anche in Triodos, titolo che richiama un orizzonte geografico più definito, di vicende collocate nel triangolo di tre Regioni – Lombardia, Piemonte ed alta Emilia, con lo sfondo dell’oltralpe ligure – area dell’Appenninico Oltregiogo, territorio in cui è posta Novi Ligure, e dove vive Caccia: un territorio marginale e ibridato tra le provincie di Alessandria, Pavia e Piacenza, davanti al bastione di montagne, oltre le quali c’è la Liguria.
Anche nel terzo libro permane il filo conduttore di Konrad Jaeger, in un percorso che si fa più serrato e formalmente più secco, di un tratto del viaggio di ricerca e acquisizione conoscitiva del Sé e del Resto, che è – come ben sottolineato da Mugnaini nella prefazione a L’ultimo bivio – a specchio, radicato in un tempo e in un territorio materici e interiori, trasmutati in paesaggi dell’anima, e immagini del processo autopoietico della interminabile ricerca della propria identità.
Ed entro tale quadro, questo ultimo disegno è, come già indica il titolo, tutt’altro che un punto di arrivo definitivo, una Itaca e un porto in cui dare riposo e appagamento alla ricerca di sé stessi. Perché l’orizzonte geografico-temporale contemporaneo non consente equilibri armonici, innervati in una polis e in relazioni gioiose, quali intese da Spinoza.
Ne consegue che il dono di un giardino fiorito di senso, rimane una utopia umana, sociale e storica. Che però non va lasciata nel ripostiglio delle cose dismesse e irreparabilmente logorate. Anzi, quanto più le condizioni attuali tendono a negarla, essa va ripresa e coltivata in quel giardino, seppure devastato e sommerso da nebbia, in atmosfere cupe che lo contornano e irridono.
Questo è almeno il mio personale punto di arrivo, aperto e non arreso, di tre libri di cui sollecito la lettura. Un viaggio da condividere e che rimarrà nella memoria, perché ci offre una misura attiva con la complessità e le difficoltà di armonia ecologica ed antropologica, entro l’orizzonte di Tempo che stiamo vivendo.
Ottobre 2024

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Novembre – Serena Rossi

Pubblicato il 20 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Serena Rossi, Novembre, Nulla die, Piazza Armerina (EN), 2024, Pagg. 83, € 15.

Laura Cantelmo

I brevi versi di Serena Rossi sono la sua cifra stilistica, la fulmineità telegrafica di un discorso che allude, che lancia il messaggio per serrare i sigilli poco dopo, con una sorta di pudore, quasi si trattasse di una confessione o di uno sfogo improvviso. Non è difficile attribuire tanta stringatezza all’altra faccia della creatività di Serena, che sono le arti visive. Ė il titolo stesso di questa silloge, Novembre, ad anticipare lo stato d’animo dominante – la melanconia di una stagione che offre una sua compunta bellezza, pur se il mese di Novembre, con la commemorazione dei defunti, resti pervaso da inevitabile tristezza.
Solitarie, sul foglio bianco le parole sono immerse in un vuoto echeggiante risonanze misteriose, ma sempre nell’attesa di qualcosa che resta fatalmente incompiuto: l’amore, il sesso, il mondo avaro di felicità, la sorte dei diseredati, i sogni che non si avverano. E sullo sfondo, il mare. Il tutto esposto con compostezza, senza rabbia, tanto da farlo sembrare un taccuino d’appunti, che trovano nel finale del testo uno sviluppo minimo, in una forma aforismatica esplicativa. Vediamo un testo poetico: “Volo di rondine nera/ Corsa senza respiro. / Limite// Goccia a goccia. //Dal vetro trasparente rotto/Per il troppo riso. / /”. Ed ecco apparire la chiusa:” Sete avara del rimpianto. / / Terra senza pace.” (pag.36).
Nel comporre il discorso, la sinteticità di ogni verso crea un metafisico senso di sospensione e di solitudine: “Un appoggio, un grido/ Latrato di cane selvatico /Allupato assurdo sincopato destino/ Siamo quella roba. / La nave che non fai entrare, l’acqua che ti assorbe/ Il sale che brucia la pelle/ E il sole che ustiona.“. E poi il finale:” /Siamo acqua e terra/ Nuova.” (pag.64).
Il vissuto di chi scrive si fonde con la condizione degli ultimi della società, seppure nella convinzione di essere “nuovi”, nonostante. Non a caso, come è già stato rilevato in altre note di lettura, una ricorrente parola tematica, soglia, denota un senso di esclusione, di insoddisfazione, di incompiutezza. Nulla di nuovo, di questi tempi, in cui tutto viene rimesso in discussione generando nell’Io stesso disagio e smarrimento.
La riflessione dell’Autrice sulla sua microstoria personale viene influenzata o, meglio, inserita nella Storia che impatta sul nostro vivere, sui sentimenti, sugli eventi stessi: “Voglio il foglio pesante per segnare in/ Nero il tratto della fine. / […] / Un anno di guerra genera spavento/ E scompiglio. Mondo oppresso.” Oppure, descrivendo – non a caso – un’opera visiva: “Omini neri appoggiati a terra/ […] Affumicati sul foglio in mezzo/ A macchie ocra e paglia. / / Sorte appesa gestita fuori dalle acque/ Internazionali. Fuori dalla ONG che chiedono compassione. Fuori dalla pietà/ Fuori dalla memoria. Dentro la storia.” (pag.31). Poiché l’isolamento e l’emarginazione allignano profondamente nella Storia attuale, la proposizione/avverbio fuori, iterata più volte, rafforza il significato di soglia, accrescendo un inquietante sentimento di esclusione. A tal punto che, coerentemente, un testo parla di fuga: “Voglio prendere il treno e perdermi/ […] / Voglio sparire.”
Va rilevato che l’uso della maiuscola in apertura di ogni verso, secondo noi, ha un’importanza strutturale, quasi a voler conferire nobiltà ai temi esposti in ogni “riga”, al fine di una successiva argomentazione.
Un intenso spleen novembrino percorre tutta la silloge – lo spleen di Milano…- presente anche nel testo eponimo – “Novembre in Milano” – figurativamente sintetizzato dall’aforisma: “Siamo ombra e soglia.” (pag.31), che avrebbe anche potuto essere il titolo dell’intera raccolta. Smorzando ogni possibile entusiasmo, lo spleen si riverbera in ogni immagine e grazie ad esso neppure l’amore conosce la passione: “I cocci, come cenere/ stanno in basso/ […]/ Stanno sotto il mio sguardo/ […]Che lento ti guarda che ti vesti e/ Non è curioso// Non si appassiona al tuo seno/ All’incavo del tuo braccio al monte del tuo pube/ ”(pag.81). Tuttavia, una venatura affettuosa: “Io voglio il tuo bene” – può essere letta come un’implicita richiesta d’amore.
Spleen o vuoto? Quello che l’Autrice vuole comunicarci di preciso è rinchiuso nei suoi sintetici versi, nel loro mistero. Ma noi percepiamo che il suo sguardo sul mondo ben si adatta all’air du temps che tutti ci avvolge e ci accomuna: la realtà oggettiva è specchio di un “dismesso sogno”, del deserto che è in noi e fuori di noi. Ovvero, per una pittrice come lei, nei “Tableaux vivants” della periferia “accecata”.

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Ombre degli Eroi – Donatella Bisutti

Pubblicato il 16 ottobre 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

ALLE FONTI DELLA SAGGEZZA

Donatella Bisutti, Erano le ombre degli eroi, Passigli Poesia, 2023 – pp. 203

Entro gli Orizzonti sempre più tragici e antiumani che stiamo vivendo, spesso dobbiamo registrare indifferenze e inadeguatezze, sia politiche che culturali. Ci sono tuttavia, per fortuna, esempi contrari di analisi, denunce, espressioni, iniziative, di presa di coscienza e difesa coraggiosa della verità. Le quali tendono a farsi carico delle responsabilità storicosociali, senza di che la china dei degradi antropologici in atto proseguirà, nella incapacità di riuscire a vedere, immaginare e progettare, come e quando potranno aprirsi le possibilità di un altro Orizzonte epocale. Credo che questo libro di Donatella Bisutti abbia alle spalle il nondetto che ho sintetizzato. Di Donatella conosco il percorso e la storia, costantemente impegnati nella ricerca di un pensiero critico rispetto alle derive e alle falsificazioni dei poteri di turno. È un atteggiamento generale, che definisco oltre la qualifica di civile, termine ormai usurato. In chi, come Donatella, matura un senso di responsabilità politicosociale, l’espressione e l’azione diventano politici, con senso alto ed etimologico, in riferimento alla cura e all’amore per lo stato della polis.

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L’albergo dei morti – Fabio Dainotti

Pubblicato il 11 aprile 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Maurizio Baldini

Fabio Dainotti, L’albergo dei morti, Manni Ed., 2023

In questo libro di Fabio Dainotti – del quale ho seguito il percorso espressivo lungo i decenni accumulati di scambi personali e letterari – ritrovo una sorta di auto-antologia delle sue corde tematico-affettive. Ma sono tentato di declinare il termine in auto-antologhia, con torsione etimologica verso logeion, di proscenio di teatro greco. Anche perché il testo si svolge in sequenze e personaggi del teatro memoriale dell’Autore, che dà forma a un reale e immaginario camposanto, coltivato nella sacralità affettuosa che (r)esiste e continua a curare il proprio sé con tale amoroso, incessante gesto. Ne scaturisce un impegno etico e di amore per la vita, che nella deriva epocale in cui siamo, diventa magistero che non smette di rilanciare il suo canto:

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Del tempo disumano – Annitta Di Mineo

Pubblicato il 14 febbraio 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Annitta Di Mineo, Del tempo disumano, Montabone Ed., Milano, 2023

di Luigi Cannillo

“Mentre la folla corre/ senza vivere la vita/ chiedendosi perché/ Tu/ ritirato nell’angolo/ della stanza occupata/ con capelli tra indice e pollice/ inanelli ideali inanimati/ Tu/ affossato nella poltrona/ naufrago d’inquietudine/ con sussurri di versi/ sfidi il tempo disumano”.
Questi versi, non più solo sussurrati ma approdati sulla pagina, mi sembra possano ben riferirsi all’intera raccolta di Annitta Di Mineo, diramando ulteriormente il senso della loro scrittura. Il Tempo Disumano è il tempo storico nel quale viviamo la sconfitta dell’etica, dei più elementari valori di solidarietà, giustizia ed eguaglianza ad opera di quei poteri, di quelle gerarchie che reggono i fili delle nostre esistenze, provocano guerre, commettono ingiustizie e soprusi. I “sussurri di versi” sono le armi che può imbracciare la poesia anche nel denunciare queste manifestazioni di disumanità. Ma il soggetto tu non rappresenta solo un destinatario indefinito, si può riferire ed estendere all’io dell’autrice in una sorta di autoritratto e in un rinvigorirsi dei sussurri iniziali in vibrata denuncia. E, nella realizzazione dell’opera poetica, pervenire ai destinatari ultimi, i lettori, e coinvolgerli: siamo tutti partecipi, almeno come possibili vittime, della disumanità del tempo.
Si tratta di una poesia di forte sensibilità civile, che concentra le tematiche di riferimento in sezioni specifiche: “Pace”, “Vittime di mafia”, “Migrazione”, “Voci di donne”, “Natura”, “Shoah”, ognuna delle quali mette in evidenza diverse tipologie di responsabili, i Potenti, le gerarchie di vario genere, ma pone in luce anche le vittime: sia quelle più misconosciute o anonime che quelle più definite e individualmente significative.
Nel mosaico di protagonisti troviamo militi imberbi, migranti, vittime della mafia e del cyberbullismo, donne assoggettate al potere maschile o al fondamentalismo religioso, umili contadini, la stessa Natura, vittima di reati ambientali. Come si chiede Vincenzo Guarracino nella sua introduzione: “Ma è possibile che la luce, la forza della fiamma, possa restare nascosta e compressa ‘sotto il moggio’ senza che trionfi, che si innalzi e divampi, per mostrare a tutti, agli astanti come ai mille altri che se ne faranno testimoni e portatori? È con questa certezza che Annitta si muove: con l’ardire di farsi alfiere di un messaggio (termine quanto mai anacronistico e necessario), destinato ad alimentare ogni coscienza civile […]”.

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Nelle vene del mondo – Donato Di Poce

Pubblicato il 18 gennaio 2024 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Donato di Poce, Nelle vene del mondo, I Quaderni del Bardo ed., Sannicola (LE) 2023

Nota di lettura di Laura Cantelmo

Nella vasta bibliografia di Donato di Poce, ricca di raccolte poetiche, di aforismi e di saggi sull’Arte e sulla Letteratura, questo recente volume delinea, come si conviene a un’autoantologia, il ritratto dell’artista, evidenziando le predilezioni creative e di ricerca dell’Autore ed enucleando i principi di poetica elaborati lungo il suo percorso di scrittura e di esperienza umana.
L’arco di tempo copre una curva non indifferente: 2000-2022, partendo dai giovanili testi di argomento amoroso e giocosamente erotico, nei quali si intrecciano, fondendosi, la ricerca della parola e della verità del discorso poetico, che sono i principi di riferimento di questo Poeta. L’autenticità del linguaggio, a suo parere, deve di necessità evitare orfismi e parole innamorate-modalità ormai un po’ usurate che nei decenni precedenti avevano dominato la scena letteraria nel nostro paese, senza mai scomparire del tutto.
Rivelatori sono i primi versi del testo d’inizio, Orizzonte d’attesa: “Nell’orizzonte d’attesa/ restano le parole che non trovo/ mentre nella mia terra perdo il respiro/e schegge d’oscura passione/ dilegua il mio cuore/ e quel che taccio/ ha sempre il sapore dell’incanto”. L’apparizione di una figura sublimata di donna collega i testi alla tradizione allegorica medievale della lirica d’amore – “…Te nei borghi persa/ annidata nel cappottino rosa” – rappresentando l’indagine sul linguaggio e i meccanismi dell’ispirazione poetica: ”Se tu mi baci/ le ciglia della vita si aprono”.
Il pensiero viene sempre filtrato dalla corporeità e dalle emozioni, come nel poema L’origine du monde (2004), altro esplicito esempio di poesia erotica, dove il corpo è protagonista dei “miei esercizi d’amore”, mentre “nell’anima lievita la visione del corpo/ E io sono l’angelo d’amore/ Che raccoglie le gocce del piacere”. Echi della poesia medievale, ma persino del Cantico dei Cantici risuonano nei giochi d’amore, rappresentati con un realismo che allude, non a caso, al dedicatario del poemetto, il pittore francese Courbet, al suo realismo immune da ridondanti simbolismi. L’esplosione ludica del piacere si carica qui di un vitalismo che ben raffigura tutte le sfumature e le richieste del sogno, del desiderio e dei tormenti amorosi.
L’ambiguità tra la tematica dell’amore fisico e quella della fatica dell’espressione poetica – “desideri incompiuti” – riaffiora in modo più evidente ne Il gorgo dei desideri (2004):” Le poesie sono pietre posate sull’anima” afferma il Poeta nell’attesa, finché qualcosa si muove dentro di lui:” Ora sento, c’è la parola/non è ancora fatta lingua/” “E venne il giorno infine/…/ Dal cuore uscivano parole nuove/ ed io non sapevo parlare.”
Il principio oraziano “Ut pictura poesis”, fondamento della sua indagine linguistica e del realismo descrittivo, è frutto dell’intreccio dei suoi interessi pittorici e letterari. Eleggendolo a norma, il Poeta lo sceglie anche come titolo di una raccolta di ritratti di poete e di poeti, nella cui personalità artistica spesso lui stesso si rispecchia: “E non so spiegare/ Perché i tuoi segni/ Toccano le pareti della mia anima”, dice rivolgendosi a Mario Benedetti (Ut Pictura poesis, 2016).
Ė nell’aprirsi alla realtà esterna, alla memoria e al male del mondo che Di Poce approda a una fase di maturità e di consapevolezza civile sulle orme di P.P. Pasolini e di Enrico Mattei, come modelli di opposizione al potere: “Noi cercheremo/Quella verità che sgorga dal vero/E quella poesia che fa sognare/Un nuovo mondo e un nuovo futuro./ Noi combatteremo l’orgia dei poteri” (Lampi di verità, 2017).
Già nel poemetto sul dramma del Muro di Berlino, Lungo la East Side Gallery (2008/2009), alternando toni lirici ed epici, la narrazione ripercorreva con profonda commozione la storia di violenza e di dolore di “migliaia di spiriti liberi/…/ Durante il tentativo di fuga/ che non era una fuga/Ma un ritorno alla vita”. La denuncia della brutale divisione del cuore di una città come Berlino e della Germania stessa coinvolgeva tutti i muri eretti nel mondo come espressione di odio. A ciò si univa il pericolo della cancellazione della memoria o della sua banalizzazione nella volgarità dei souvenirs destinati a orde di” turisti chiassosi, irriverenti e indifferenti/ Che calpestano le tracce del muro/ E non sanno che i muri sono loro.”. Non stupirà che persino nell’aspirazione alla libertà il Poeta si esprima qui in termini erotici: “E cercherò come un seno da accarezzare/ I germogli di vita che crescono/ Ai bordi della Storia.”
La poetica si va poi consolidando, come già detto, grazie all’analisi di altri linguaggi – la Pittura e il Teatro: “Bisogna uscire dal Sé/Dal proprio buio/Dalla propria assenza”, recita un verso nella raccolta dedicata alla controversa personalità di Carmelo Bene, L’altro dire (2020). In un tempo di diffusa autoreferenzialità la ricerca di un “altro dire” significa: “Uscire dalle trappole del proprio genio/ Dalle trame del quotidiano/Scardinare le porte del proprio buio/…/ E camminare sul mare del proprio vuoto.” per approdare a un’ aperta speranza: “Cercare un altro dire/Oltre le rovine del tempo/Dove c’è un tempo nuovo da vivere/…/Io l’ho visto nascere/…/Negli occhi stellati dei bambini/…/C’è stato il tempo degli eroi/…/Ma ora è giunto il tempo dei giusti”. Il linguaggio profondamente emotivo palesa l’amore per il sogno e per l’utopia seguendo un percorso articolato che si è andato arricchendo nel tempo e lungo il quale gli interessi intellettuali si affiancano sempre più a temi civili (v. “Binario 21” sulle deportazioni nei lager nazisti) e a riflessioni filosofiche sulle profondità della psiche di altri Autori e Autrici contemporanei, tra cui anche la milanese Alda Merini. Sorge da qui l’interrogazione pressante sul valore etico della Poesia e dell’Arte che resta al centro della sua scrittura.
Ed è smascherando con critiche acute e salaci il falso impegno e la disonestà di molti operatori e di sedicenti intellettuali nell’ambito della letteratura di consumo (“I Poetocrati”, in La poesia è un diamante grezzo, 2022), che con spietato sarcasmo Di Poce fustiga i falsi amici, gli opportunisti, i calunniatori e gli invidiosi, riconoscibili in una burlesca lista di proscrizione redatta con nomi di fantasia.
La coerenza verso i principi finora esposti valorizza la sua personalità di saggista e sostiene la sua ricerca poetica.
Milano, gennaio 2024

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Riflessi e Velature di Antonio Spagnuolo

Pubblicato il 20 settembre 2023 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Antonio Spagnuolo

Antonio Spagnuolo, Riflessi e velature, La valle del Tempo, Napoli 2023

Vedi anche a

http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com/2023/09/segnalazione-volumi-antonio-spagnuolo_17.html

Antonio Spagnuolo è un autore di cui mi sono già occupato e che ben conosco, che replica e rinnova al tempo stesso, testi in uno stile instancabile e inconfondibile, che fa della parola disegno e musica della propria esperienza e anima. I richiami, i riflessi e velature incessanti delle proprie memorie, sono il nucleo epifanico e il filo rosso che sviluppa anche questo ennesimo libro, attraverso il battito di più di nove decenni di vita. È questo il fondo e lo scrigno in cui la sua penna-pennello pesca gli alimenti, i suoni, gli echi e colori dei suoi versi.

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Cuore di Nebbia – Laura Cantelmo

Pubblicato il 11 maggio 2023 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Laura Cantelmo, Cuore di nebbia e altri paradisi,
Poesie 2015-2020, puntoacapo – Collezione Letteraria
Una breve nota di Angela Passarello

Una poesia ricca di riferimenti letterari, illuminata dalla visione del mondo, dal credo utopico, così ben radicato nel pensiero dell’autrice :” fuggendo sui monti feriti, nell’ultimo inferno d’aprile/scrivemmo/ da uomini con parole di sangue e di neve, la storia/…” I nomi scelti nella titolazione della silloge “cuore nebbia paradisi… “ esprimono già la potente volontà di un dire, che sa da che particolare il significato delle parole, portatori di senso. E’ un viaggio reale, dove la personale nave poetica, viaggiando, indica i porti dell’approdo, i luoghi della memoria, della relazione, da custodire condividendo.
In tutte le sette sezioni risaltano indelebili amicizie, figure bibliche, miti e riti, emblemi o vittime della sopraffazione del male creato dall’uomo, agguerrito, distruttore: “Sisfanno sotto la terra quelle/ giovani donne di Siria, le tombe/…Risorgete anime pure, donne del Rojava/..”
La parola poetica di Laura Cantelmo si fa grido salvifico, denunciante preghiera. Ora nel richiamo Shakespeariano: non sarà il sangue ad imbrattare i calici,/ ma vino sincero, distillato dalle fate…ora nella parola degli antichi, rinnovata da diversi autori e autrici contemporanee “ Gente di Corinto, voi superbi custodi di superiori geni, del vostro odio io non so che farne/ sono qui barbara e donna ricca di arti e di saperi…/ (Christa Wolf). Vivificando e immergendo nelle fonti originarie del sapere la poesia si fa varco, possibilità di soglia benefica del reale.
In “Cuore di nebbia…” ritroviamo il navigare sapiente nelle acque che, nonostante già navigate, l’autrice ripercorre, con l’audacia di chi non può fare a meno di questo andare, aggiungendo coraggiosamente una scheggia a l’insondabile verità della poesia. Di questo filmare- fermare, fra le pagine, restano le amicizie, gli incontri, la storia, le perdite, le utopie, la bellezza di una natura che offrendosi, si lascia attraversare, nonostante tutto.
È nelle radici del pensiero che la poetessa indica lo scavo, la ripresa, ed è in quel simbolico e reale luogo del sempre presente che è necessaria l’esplorazione della parola: Mediterraneo di sale e di sangue dolce pugnale confitto nella carne… ancora luogo di stragi …croce di eros e thanatos… insanguinati da tradimenti e stragi. Bagnati gli occhi nel tempo della storia, nella geografia umana e terrestre, la poesia di Laura Cantelmo, custodisce richiami omerici, paesaggi della scrittura letteraria, echi di utopie mai sopite, luoghi da ripercorrere. Memorie necessarie per scardinare il mortifero che ci circonda quotidianamente. Parola poetica che navigando ci conduce verso speranze da costruire. “Mehari Litchi, era l’eco di Goethe/ mehari Litchi ripetevi carezzando storie/ di lontani amori, dell’amato Callimaco/ e degli autori pulsanti dentro il carsico/battito autunnale

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Piazze di sogni incarnati – Maria Carla Baroni

Pubblicato il 14 aprile 2023 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Maria Carla Baroni, Piazze di sogni incarnati, Manni, S.Cesario di Lecce, 2019\

Potremmo definire questa raccolta di poesie un’autobiografia morale, a tal punto essa è pervasa sia dalla passione politica e sociale che ha animato e dato senso a tutta la vita di Maria Carla Baroni, sia dalla sensibilità verso i soprusi e le iniquità di una società il cui sistema economico è improntato a disvalori che paiono contrapporsi all’evoluzione verso una società rispettosa dell’ambiente e dell’umanità come consesso civile. La personalità di Baroni si delinea ampiamente a partire dal riferimento a principi filosofici che esprimono una visione profondamente critica del mondo, tale da definirla come “Poeta civile” nella propensione verso tematiche di carattere sociale e al contempo “lirica” nell’affrontare temi della sfera privata – l’amore, la morte, la pietà umana.
La concezione circolare del tempo è una vitalistica affermazione di ottimismo. Ispirata ai miti delle antiche civiltà mediterranee e ai filosofi dell’Antica Grecia, l’idea dell’inesauribile energia della terra, attraverso i cicli di morte e rinascita del mondo naturale, inscrive l’essere umano e ogni altro organismo vivente entro un comune destino di immortalità, nella transizione perenne dell’energia da un essere all’altro:”… in questa forma/preludio ad altra nel ciclo/infinito delle forme/incessante divenire dell’Energia.”
Le sezioni iniziali enunciano e descrivono i valori in cui si radica quell’idea del mondo, a partire dai sentimenti – dall’amore per la vita, che si estende a quello per le persone care e per la natura, per l’umanità sofferente e reietta. Sono queste le sezioni più liriche e vibranti nel presagio del fatale destino di un pianeta condannato a un evidente tragico tramonto, oltre che per il compianto per la perdita delle persone care, dell’amore:”Nelle notti di luna oscura, nelle notti di plenilunio/ parlo con te mio morto amore/ ”oppure: ”Tu ombre di presenza assenza/ echi di parole dissolventi nella casa/ ”Nella disperazione, resta comunque inalterato il senso del vivere: “Amare è vivere di sole”. Ed ancora, dettata dalla fatica della militanza politica, un’immagine icastica: “…Un continuo/ lanciare semi senza sapere/ se germoglieranno…”. Vitalismo che si estende con occhio critico al territorio, alla Lombardia e alla città d’origine, Milano, alle sue storiche bellezze metropolitane e alla cementificazione delle campagne: “Divelta/la forma degli abitanti/l’anima dei luoghi.” Compaiono talvolta alcuni toni sobriamente amari, alla Wislawa Szyimborska, sull’indifferenza umana di fronte al suicidio di un vicino di casa: “Poco sangue, non hai sporcato./ Ti hanno portato via./ La vita ha continuato, qui, nel condominio/ come tu non fossi mai stato.”
Nelle sezioni finali irrompe più vibrante il senso del vivere, insieme all’utopia, al sogno di cambiare il mondo, ricominciando ogni volta dal nulla, con determinazione, contro l’ingiustizia sociale: “Sono una forma del divenire/…/ sono una fiamma di mille fiammelle”. Infine, una dichiarazione che ha la forza di un testamento: ”fino a quando mi resterà respiro/continuerò a lottare.”
Lo stesso pensiero, lo stesso impeto che dà titolo alla raccolta sono voce di uno spirito indomito che non perde la speranza:” “Millenni di minuti ho vissuto/ e vivo distillati talora /in parole di vento,…// Fatica/ di rinascere ogni giorno, ansia/ di ricominciare.”

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Nel respiro del giorno

Pubblicato il 29 marzo 2023 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Novita editoriali Cosmopoli

Grazie a Mauro Macario, attento collaboratore delle Edizioni Cosmopoli della Romania. Ne è nata la pregevole pubblicazione di questa raccolta di poesia e arte, con traduzione a fronte in Rumeno,In respiratia ZileiNel respiro del giorno“.

E ringrazio Cosmopoli, che col traduttore Alexandru Macadan e l’artista Daniel Divrician, creatore della bella immagine in copertina, ha prodotto un risultato che fa superare alle mie poesie le barriere di un’altra lingua, ignota (per me) quanto affascinante.

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