Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Francesco Filia
Inediti da Parole per la resa
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Con un commento di Laura Cantelmo
Nota di poetica
Il progetto Parole per la resa nasce dall’esigenza di ritornare sul rapporto tra vita e parola, dal tentativo di indagare in che modo la parola poetica possa restituire la dimensione dell’esistenza nella sua radicale finitudine. La resa, di cui parla il titolo dell’opera, ha un duplice significato, da un lato l’arrendersi al ritmo elementare della vita, al suo implacabile e irrimediabile ciclo di creazione e distruzione, dall’altro restituirne, per frammenti e accensioni, la tremenda e irriducibile bellezza. Il libro si dovrebbe articolare in quattro sezioni che, da prospettive e tempi diversi, accerchiano d’assedio l’oggetto del dettato e, a loro volta, ne sono assediate e sconfitte.
Francesco Filia
Intorno alla natura delle cose non diremo parola
di troppo, dimoreremo nelle radici
di un ulivo secolare, nella terra penetrata e madre
nel fruscio verde-matto di questa stagione.
Ci troveranno nel silenzio di un frutto
caduto. Il cerchio dei giorni macina limpido olio
e morchia.
*
C’è qualcosa che preme le tempie
le schiaccia, dopo una prima
accennata resistenza, le penetra
come un chiodo che affonda
nel cavo di un mattone e il dolore
si fa preciso, concentrato. Questa,
mi sembra, la chiamino vita.
La pressione dell’aria sul viso
in quest’alba o il freddo contatto
del pavimento sulla guancia, l’infinito
smarrirsi dell’occhio nella fuga
di una mattonella. Diventare
nient’altro che spazio, mera
estensione, variazione minima del male.
*
Attoniti gli occhi accolgono
l’azzurro ghiaccio di un cielo
limpido e senza rimedio.
Distogliere lo sguardo, rivolgerlo
al cieco dibattersi di ogni essere, dove
infuria la terra, placida e tremenda, la vita
che esplode e si dilania per un nonnulla
e forse sarebbe più vero tornare
ad essere specie, feroce ingranaggio
della sopravvivenza, ottusa potenza
senza nessun enigma. Ameba
che continua a persistere, a farsi
spazio nel buio, nell’amniotico buio,
atroce e certo, di ogni inizio.
*
Lo sgomento per una primordiale cellula
che duplica se stessa per intero in eterno,
in ottusa certezza senza distinzione,
senza l’atroce scoperta d’essere
un cavo disperato cercare.
*
Gemelli cloni tornare
a un’indistinta gemmazione
a un proliferare di virus
eterni e imbattibili
mimetici e mutanti
la forza primordiale che li abita, l’inizio
– se mai è veramente iniziato –
deve essere stato un urlo
un cosmico stupro, un divorare
il nulla, ingabbiarlo nello specchio
del suo doppio, un quasi essere
un feto che azzanna,
vorace, alla gola.
*
Dobbiamo consegnare le parole della resa.
È l’ultimo compito rimastoci, nessun
testamento, ma un relitto di carta
lasciato marcire nell’acqua buia
di queste ore. Vederlo sprofondare
l’inchiostro diluirsi, slabbrarsi le parole
macchia informe sul bianco del tempo.
*
Forse, da sempre, nient’altro che noia:
una bolla d’aria in un pomeriggio estivo
l’odore del cibo sui vestiti in un novembre
di milioni di anni fa, leggendo un libro,
ascoltando, in un loop infinito, la stessa
identica canzone, guardando il soffitto
in ogni sua minima fessura, sgomento
del tempo che divora se stesso:
lento, costante, implacabile.
Una fila di formiche passa radente
al muro, un ordine che non ha bisogno
di parole, l’accumulo perenne della
polvere sulle mensole, patina
su ogni cosa, sudario dell’eterno.
*
Un rosso interminabile crepuscolo
radente tetti di sangue e asfalto.
Il muto divenire di ogni cosa
calmo, implacabile,
senza alcun sussulto, se non
questo incessante domandare
anche su un’impercettibile rifrazione
di luce nel vetro.
Avvicinarsi allo spigolo
della finestra, poggiare il dito
sentire la pressione sul polpastrello,
ritrarlo, esterrefatto,
con una lentezza che non accetta parole,
nient’altro che questo.
*
La resa alla ruggine dei corrimani
ai nostri respiri concitati, al diluvio
di acqua e tempo nelle strade
allo scandire perfetto delle ore,
arrendersi al ritmo elementare della vita
fino alla linea di resistenza di un pugno
che afferra l’aria e insorge,
sudore e nervi tesi, fino
all’attrito dell’adolescenza
che ritorna di colpo, fino
a quegli occhi, spauriti e indomiti.
*
Tornano spellati e avvolti in un’aura di sale e luce
(prede si dibattono nella rete a tracolla ancora vive)
fantasmi nelle tenebre imminenti delle otto di sera
nei loro occhi una gioia feroce, l’adolescenza,
la certezza dei giorni futuri, uno sterminio.
*
Galleggiare un palmo sotto
il moto delle onde, il viso verso l’alto
in apnea e guardare, nel bruciore di sale
negli occhi, il cielo che trema
in una trasparenza irraggiungibile,
i raggi del sole che trafiggono l’acqua
e l’abbandonarsi del mio corpo alla deriva.
Provare, in un tremito, lo svuotarsi
improvviso dei polmoni
le bolle che risalgono in superficie
leggère lontane intuire,
in ultimo rantolo, cosa significa
morire per acqua.
*
Nota biobibliografica
Francesco Filia vive a Napoli, dov’è nato nel 1973. Insegna filosofia e storia in un liceo cittadino. Si interessa prevalentemente di filosofia, poesia e critica letteraria. Sue poesie e note critiche sono presenti in numerose riviste e antologie (Subway. Poeti italiani underground, Net, 2006; Da Napoli verso, Kairos, 2007; Il miele del silenzio, Interlinea, 2009; Parole in circuito, Fermenti, 2010; La disarmata, Cfr edizioni, 2014; Umana Troppo umana, Aragno editore, 2017; Passione poesia, Cfr edizioni, 2017). Ha pubblicato i poemi: Il margine di una città (Il Laboratorio, 2008, con prefazione di Raffaele Piazza); La neve (Fara, 2012), vincitore e finalista di diversi premi nazionali (Vincitore del concorso nazionale inediti “Faraexcelsior” 2012; vincitore del concorso nazionale editi “Civetta di Minerva” 2013 e finalista del premio nazionale “Pontedilegno Poesia” 2013); La zona rossa (Il Laboratorio, 2015, con prefazione di Aldo Masullo). È redattore di Poetarumsilva.
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Nota di lettura
In un tempo in cui la parola si è sempre più allontanata dal significato raggiungendo a volte il puro gioco, se non l’incomprensibilità, questi inediti di Francesco Filia, tratti dal progetto di una silloge denominata Parole per la resa, si prefiggono il compito lussuoso e ormai sempre più raro, di un ritorno al “pensiero poetante” di leopardiana memoria. Un tentativo prometeico di “dire” l’indicibile all’interno di un pessimismo cosmico che permea, come in Leopardi, la visione del mondo.
Come proposto dal titolo stesso, Filia si pone il quesito relativo alla possibilità di definire attraverso la parola poetica, la dimensione della drammatica finitudine dell’esistenza. La complessità dell’assunto, però, è presentata dall’altro termine, resa, che nella propria ambiguità semantica comprende il duplice significato denotativo di “restituire” e di “arrendersi”.
Ipotizzando un riferimento a Saussure, la ricerca da parte del poeta di una parole (in francese) come espressione del soggetto parlante e scrivente all’interno dell’immenso bacino della langue, patrimonio di un’intera comunità, sembra tendere a un barlume di speranza (se mai se ne può individuare uno in questi versi) nel “tornare specie” in un universo popolato da monadi, al fine di ritrovare un senso di collettività umana.
In una realtà nella quale l’essere si dibatte “sotto un cielo di ghiaccio”, dove la vita “esplode e si dilania per un nonnulla”, in una condizione di assenza di telos che suggerisce “Dio è morto” di Nietzsche, il senso d’impotenza implica una disperata resa all’assedio della vita, alla sua schiacciante finitudine.
D’altro canto, il significato di resa come restituzione di senso alla parola, implica non solo il desiderio di riportare il linguaggio a una purezza e a una coerenza priva di mistificazioni, ma un’ansia di comunicazione intesa come condivisione con l’Altro in un sistema di relazioni all’interno del proprio genus umano.
Poesia complessa, inevitabilmente rigorosa nel linguaggio, date le premesse, nella quale si ritrova quel senso di stare in bilico sull’infinito che la avvicina ai classici della nostra letteratura.
Laura Cantelmo
Bravo Francesco Filia. Anche tu fuori dalle Arkadie.
Anche tu in cerca del ponte che lega la vita alle parole. Anche tu fuori dai Boschi Parrasi. C’è una inconfessabile felicità che mi prende in questi frangenti. Te ne sono grato.
Ringrazio di cuore la redazione di Milanocosa per l’ospitalità e per l’attenzione ai miei testi oltre che per la bella e puntualissima lettura di Laura Cantelmo, che coglie aspetti fondamentali non solo dei testi ma anche della poetica ad essi sottesa.
@Salvatore. Grazie per le tue belle parole, ne sono felice.
Grati a Francesco e Laura , sentitamente .
leopoldo attolico –
Grazie Leopoldo!
Il cammino e la resa, la tua poesia, Francesco. Felicissima di leggere questo passo così significativo. Grazie a Francesco Filia per i suoi versi, grazie a Laura Cantelmo per la sua lettura.
Grazie Anna Maria!