Totem di Fabia Ghenzovich
Fabia Ghenzovich, Totem, puntoacapo Editrice 2015
“Contemplare il fuoco che cova negli occhi di un lupo e andare fino al limite del mondo”
CHRISTIAN BOBIN
Apre con questo esergo. Totem, la raccolta che Fabia Ghenzovich ha pubblicato con Puntoacapo editrice.
Ma poi ciò che si tocca da subito è una sintesi e un intaglio nella polpa del legno che è il nostro corpo-natura-casa-memoria, fatto da un insieme di voci che non ci lasciano mai e vengono da un lontano sempre vicinissimo ieri, dalle storie dei “nativi” e dai miti, cioè noi, trasfiguratisi nel tempo e sono ancora oggi come ieri le voci ancestrali ed arcaiche con cui le nostre storie prendono vita, si fanno inizio restando in questo recinto di sogni e realtà come incubi, poiché ciò che si perde è molto, è noi stessi, la parte sostanziale del nostro corpo.
Tana era a falde la roccia
punte d’ossa e muscoli in tensione
nel balzo in avanti nel tempo
della pietra nel sangue
d’istinto un lupo per esempio
ecco quel che abbiamo perso
la prima vera pelle – la sola che ci salva
E poco oltre una fermata in cui la storia è passata in rassegna, la storia in cui l’uomo ha manipolato così profondamente se stesso da non farlo sentire corpo parte di un corpo unico e completo, dalla al cielo ma una peduncolo zoppo che non sa cosa ha intorno.
Lui sta a guardare con abulica codardia
e sembra dire – capita a loro, io che c’entro? –
esattamente come accanto ai lager
si visse la routine del giorno
– una vittima? No, è solo l’odore
di carne bruciata ad appesantire l’aria –
o come alcuni animali indifferenti
e variamente affaccendati gironzolano
attorno alla bestia mentre divora il proprio simile.
Né il lampo di terrore che dilata la pupilla li tocca
né li scuote l’istinto di tanto in tanto
allungando il collo verso la scena
dello smembramento per curiosità
o forse per compiacimento d’esser vivi
non si chiedono se quella anche per loro
potrà essere l’ultima volta
Ed è su questa certezza, che è il vedere l’orrido che abbiamo dentro, che l’uomo muove i suoi passi oggi, intorno ad un totale disastro fattosi suo precipizio esterno ed interiore.
Totem anima/luna
all’unisono un solo corpo
come prateria residua qualcosa
che nasce per appartenenza o sogno
di un vinto per lo più.
La brevità dei testi sembra il centro di un canto che si snoda come il corpo del serpente, di fatto emblema di vita e di legame tra questa e l’altra, vita anch’essa oltre la morte, sostanza profonda della Loba, come se in fondo al movimento imposto da questo farneticante mondo, ci fossero impronte fresche che si conoscono e ci additano, quelle che sono certamente le pericolose calate, le rocce aguzze e i crepacci da cui diventa difficile uscire soli.
Ha della lupa l’occhio fine
il seme selvatico e una storia
vecchia la Loba cantando
un osare un fiuto un vedere
a ritroso un futuro lontano.
L’umanità che esce e mette in mostra la sua radice in queste pagine, radice del totem, che tutti ci accumula nel suo asse issato al cielo, interrata nella sua parte non vista, risulta dolente, non solo malata e ancora di più appare evidente la sua innocenza violentata. Ma. Quanto sta sotto e dentro queste righe di poesia, tutti coloro che sono entrati in queste pagine, sono l’immagine in autoscatto di una umanità rintanata nelle proprie cose e nelle proprie case, alle prese con i problemi della quotidianità, c’è qui il ritratto di una memoria già vissuta, in ogni epoca passata, perché pare, anche in queste pagine dove la madre è lupa come agli albori della nostra storia e ancora prima nei miti dei nativi, di risentire voci perdute oltre il limite degli alberi, oltre le radici note e più familiari e dentro la pupilla aperta del cielo, che tutti ci comprende egualmente, qualcosa che già ha avuto voce e si rifà futuro. E’ una sibilla anche Fabia, che guarda dentro il pozzo di questo oggi e cerca il buono, cerca il pane, anche dentro la parola.
Per il pane buono del corpo
per questo stare fecondo
– nonostante –
per questa voce chi dice salva
la pace – chi dice Sibilla?
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fernanda ferraresso
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Segue selezione di testi Da Totem di Fabia Ghenzovich
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Salivavano all’odore della carne
fauci / tagliole pronte allo scatto
frecce / vertebre tese
verso l’età del coraggio
dell’uomo l’abitudine
il greve vassallaggio.
*
Già prodromi di stirpi
della razza che fu senza pari
gli eretti i primi violentatori.
Noi.
*
Un segreto patto di non belligeranza
sconfinando uomini e lupi
l’uno per fame con altre specie
l’altro per sete
di lucro e commerci.
*
Ricompone la vecchia le ossa
ritesse plasmando
primaria natura che svaria
sfuria e sconquassa questa gola
di risacca questa aridità di steppa.
*
Lupa solitaria una donna
seduta sulla panchina nel parco
ha una pepsi nella mano
un sogno smarrito nel grembo
che potrebbe svelare un bambino
una risposta innocente
assoluta e stretta alla prima ferita
celata nel buio spinta nell’abisso
dietro una pupilla
a margine della luce altrimenti luce
*
Soffermarsi sulla necessità
deriva sotterranea conclamata
nell’abitacolo compresso
dell’altrui spesso e nostra costrizione
di silenzi sistemici un affondo
dallo scavo generando tuttavia
una trama mutevole che più spalanchi mondi
minimi universi per una declinazione
di naturali alchimie pane e rose
e diluvio siamo stati
*
Eppure cosa in bilico ci resta
tra perdita e bellezza?
Di quale lontananza parleremo
di quale errore se a margine
del tutto preordinato inganno
ci sfugge e frange acquattato
già un clone.
native alaska totem
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