Il mio verso /si aprirà una breccia / nella mole degli anni /
e apparirà / poderoso / rozzo / tangibile.
Gherardo Colombo, Laura Boella, Umberto Ambrosoli, ieri sera alla sala Buzzati del Corriere della Sera per parlare di una parola sempre meno praticata: CORAGGIO.
Ci sono molti modi di raccontare e di raccontarsi, quelli che per me sono sostanziosi e fanno bene sono quelli che parlano attraverso l’esperienza e senza dubbio questa sera è stato Colombo a farcela sentire l’esperienza, naturalmente la sua di esperienza.
Come?
Prima di tutto nel dire che non aveva risposta alle domande che gli rivolgevano, ma che invece quel che conta (e questo lo dico io ) e avere domande da fare e da farsi, domande che si era fatto e che, semplicemete, in quel momento condivideva con noi.
Ci vuole coraggio anche a dire che non si è avuto coraggio ” quella volta lì”. Avrebbe potuto continuare a fare il magistrato, perchè invece ne è uscito? Mancanza di coraggio?
Ci vuole coraggio a tradirsi, cioè a non riuscire ad essere quello che vorremmo essere. Il coraggio infatti che cos’è?
Il coraggio non è il contrario della paura, ma è direttamente proporzionale ai nostri ideali, più forte è quello in cui credo, più robusto è il mio coraggio .
E il coraggio vero è quello di perdere anche la vita..per trovarla (diceva qualcuno non facile a dire trombonate, che si chiamava Gesù) .
Che cos’è la scuola oggi?
Un allevamento di cani da riporto, dice sempre Colombo e come dargli torto?!
Diamo in pasto ai giovani qualcosa e gli chiediamo di ridarcelo, uguale al consegnato!
Non gli chiediamo visionarietà, passione, creazione ( e questo lo dico io ) , non gli chiediamo ideali!
Del resto, dato che i ragazzi imparano da quello che siamo e che facciamo, cosa gli stiamo consegnando?
Uomini e donne senza innamoramento alcuno, nessun libro che spacchi l’anima, nessuna anima divorata da passione, solo un’abbandonarsi all’impotenza imperante che può sconfinare solo nella solitudine.
Ehi cielo / dico a voi! / Toglietevi il cappello! / Arrivo!/ Non sente / Non sente / L’universo dorme, / l’enorme orecchio appoggiato alla zampa / stellata di zecche …
E’ così che un poeta, tradito, si uccise, Vladimir Majakosvskij, alle 10 e 16 del 14 aprile del 1930.
Si uccise perchè il suo talento si spegneva, per i ricatti del partito, o solo per amore?
Ma che cos’è il talento se non coraggio?
Il coraggio d’essere quello che si è, quello che si sente, quello che ci fa vivere e che ci consente di morire in pace con noi stessi?
“Bisognava farlo fuori” scrisse Sergej Elzenstein ” e lo hanno fatto fuori…Con le sue stesse mani.”
Sì, è proprio così.
Siamo noi che diamo consenso all’essere fatti fuori, con le nostre stesse mani.
Quando manchiamo di quel coraggio che ci permette di far vivere in noi quello che sentiamo!
Possiamo turarci il naso per non sentire l’odore di marcio.Fino a quando? Un filo d’oro dobbiamo tenerlo, filarlo, custodirlo. E non è solo protesta, belletto, odore di santità. E’ presenza, è posizione e-retta (rettitudine), è dignità d’essere.
Il mio verso /si aprirà una breccia / nella mole degli anni /
e apparirà / poderoso / rozzo / tangibile.
Patrizia Gioia
i semi della gioia