Seeds. Semi, Poesie di Adam Vaccaro
Francesco De Napoli
(su L’inchiesta, quotidiano del Basso Lazio)
Un importante evento culturale di quest’inizio del 2014, è dato dalla pubblicazione negli Stati Uniti, in edizione bilingue, del volume di poesia di Adam Vaccaro “Seeds. Semi. Selected Poems 1978-2006”, Traduzione e Introduzione di Sean Mark. Il libro, in elegante veste grafica, è pubblicato da Chelsea Editions (New York, 2014), la prestigiosa casa editrice diretta da Alfredo De Palchi.
La poesia di Adam Vaccaro è da intendere innanzitutto come continua esplorazione e ricerca, accortamente provocatoria nella misura in cui non si pone limitazioni di alcun genere, né sul piano politico-ideologico né in senso strettamente letterario-culturale, nella consapevolezza del controverso ruolo del poeta sul palcoscenico della vita: da un lato “auctor” lucidamente condizionato e marginale rispetto ai mutamenti epocali, dall’altro “artifex” in/consapevolmente calato nel proprio tempo. Si ripropone, dunque, l’inevitabile sdoppiamento di personalità – proprio d’ogni vero artista -, che è possibile curare e rinsaldare riscoprendo la classica funzione del poeta “medium”. Vaccaro rielabora in maniera originale quest’antichissimo archetipo, attraverso il concetto di “adiacenza” (dal latino “ad-jacere”). Scrive Sean Mark nella brillante Nota “Accendere segni. Sulla poesia di Adam Vaccaro”: “Rinunciando alla pretesa di un’adesione stringente alla Cosa (evento, esperienza od oggetto d’indagine filosofica che sia), la parola poetica può solo aspirare a collocarsi nella sua prossimità, e da questa ne può raccogliere le sensazioni, percezioni ed immagini che, insieme, costituiscono la nostra esperienza di mondo.”
La Prima Parte, “Seeds I”, esordisce con un’istantanea dichiarazione di poetica che suona come un infiammato (ed infiammabile) fendente: “Che sia questo un piccolo graal / simile a un seme che può forse / aprirsi e vendicarsi della morte”. L’immagine del “graal” sta a simboleggiare il misterioso oggetto del desiderio e della fede, ma anche l’unico “seme” della conoscenza per il quale varrebbe la pena redimersi o dannarsi. Il poeta non opera alcuna trasfigurazione metafisica delle cose, rimanendo ancorato a ciò che egli percepisce come modelli e parvenze d’una realtà comunque ineffabile. La sua vuole essere semplicemente una “delegittimazione” (così s’intitola una delle sezioni del volume) sia “dell’infimo” che “dell’immenso”. Si realizza, con armonica e sincronica consonanza verbale e concettuale, la sconsacrazione dell’astratta e visionaria contemplazione dell’arcano, insieme con la sottile irrisione d’ogni laica (e laida) certezza materiale e tangibile. Adam Vaccaro è ben risoluto in questo suo esecrare vanità e contraddizioni di astruse ontologie dell’essere, del non-essere e del divenire: “a nulla può servire conoscenza e sapienza / del viaggio nel mondo a chi è immerso / chiuso dio assoluto in sassi chiusi”. Ancor più stridente diviene, nel prolungato stemperarsi di considerazioni frammentate, sibilline o esplicite, il contrasto tra l’“ardente placido mare d’eternità” e lo “sterco onnipotente” di “delinquenti seduti in parlamento”.
La Seconda Parte, “Seeds II”, prende l’avvio da un’ulteriore metafora, che si pone come la diretta proiezione, continuazione ed esplicazione di quella d’esordio: il graal si fa “amore / unico coltello necessario / a fare dell’orrore un ventre aperto”. Il poeta si riallaccia all’immagine del “seme” – nell’incipit della Prima Parte -, sottolineando come esso, per poter concepire e dare frutto nel ventre della donna, utilizzi le vie (le “armi”) del sangue, talvolta quelle della violenza: perché la vita si rinnova seguendo le leggi brutali della sopravvivenza. Inutile ricordare che, secondo una certa simbologia religiosa, il “graal” non sarebbe altro che la raffigurazione allegorica dell’utero di Maria Maddalena (e della donna in generale).
“Seeds II” si sviluppa all’insegna dell’arte e della bellezza, intese come pallidi riflessi dell’Amore. Vaccaro si chiede quale sia l’autentico concetto di “bellezza” da seguire ed imitare. Negli eloquenti versi della lirica intitolata, appunto, “Quale bellezza”, l’autore prende posizione contro l’edonistica concezione d’una bellezza fine a se stessa. Leggiamone alcuni passaggi: “ogni scuro squallore e viso sfigurato / (…) ti sfidano / ad accendere segni che come amante / rovescia in luce la fragile clessidra / della bellezza che ti apre al mondo / (…) scegliendo tra potere e bellezza (…) / tra la morte e la vita che continua”. Insomma, l’arte, la poesia e la letteratura non devono inseguire la futile lussuria del piacere immediato ed egoistico, bensì dare il loro contributo affinché la Terra non sia più “prona / a poteri e follie”, non sia più orrendamente “crocifissa da confini e tavole imbandite”.
Di origine molisana, Adam Vaccaro è nato a Bonefro (Campobasso) nel 1940. Vive a Milano da oltre mezzo secolo, dove ha fondato la prestigiosa e benemerita Associazione Culturale “Milanocosa”.
Francesco De Napoli
Francesco, ho solo due parole per Adam Vaccaro.. Lui per me e’ la stella mattutina che risveglia il cuore e la mente di ogni persona con le sue belle poesie. Adamo sei grande poeta, e ti Auguro che il tuo successo sarà ancora più grande, senza fine. Te lo Auguro con tutto il cuore. Gennarino Maucieri.
Sei molto caro, Gennarino, sei presente nei miei ricordi e ti ho citato anche nella poesia (anche in “Seeds”) dedicata a Peppino Lalli. Un abbraccio. Adam