I porci di Cesare Viviani

Pubblicato il 30 maggio 2014 su Recensioni e Segnalazioni da Adam Vaccaro

Chi sono i “porci” per Viviani? Più tipologie, ma ne emergono due, infilzate impietosamente dall’Autore in questo libro (in cui si mette a nudo come sanno fare pochi e veri poeti): quelli convinti di possedere e dire la verità e quelli che si appropriano di beni e diritti a danno dell’Altro – natura o esseri umani. Arroganza e espropriazione sono i nemici dell’umanità, i porci, cui non bisogna dare parole – qui eco anagrammatica delle perle del Vangelo. Un libro spietato, come deve essere la poesia che sa avvicinarsi a qualche lembo di verità e che non lascia tranquilla nemmeno la Fede – vedi la bella recensione che segue.

A. V.

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CESARE VIVIANI E IL SUO ULTIMO LIBRO

Non date le parole ai porci” (Melangolo editore 2014)

La disperazione, come la fede, non ha oggetto.

di Patrizia Gioia

Un libro questo dove poesia e analisi del profondo si danno la mano, due luoghi frequentati e fertilizzati da Viviani, luoghi di quell’onestà intellettuale e spirituale che oggi difetta, oggi che la serietà, l’introspezione, il dialogo, l’ascolto del silenzio sono visti come – permettetemi il termine – “cose da sfigati “.

Questa sua ultima opera Non date le parole ai porci, non sono poesie, sono come lui stesso le definisce nel sottotitolo: Prove di libertà di pensiero su cose della mente e cose del mondo, e mi sento di dire che in questo libro Viviani si offre interamente a noi, nella sua veste di saggista, di poeta, in quella di psicoanalista, e in quella veste che tutti tentiamo di tenere ben nascosta sotto il letto o dentro l’armadio, quella del nostro essere umani: fragili e limitati; e potremmo anche dire, parafrasando il titolo di un suo libro: infinitamente finiti.

Un nascondimento, questo, all’arte stessa della vita, dove la difesa inevitabilmente crea sempre anche un’offesa davanti a quello che ci costringe a stare di fronte alla nostra umana finitezza, togliendo ogni appiglio di sollievo alle nostre paure e spesso ogni alibi alle nostre speranze.

L’immagine che mi è venuta davanti agli occhi leggendo il libro, confortata anche dai colori della copertina, è quella di un gioco che tutti abbiamo giocato, quello delle freccette; davanti a noi il bersaglio tondo, giallo e nero con dentro tutte le nostre umane viltà e virtù: l’attaccamento, l’indifferenza, l’angoscia, l’onnipotenza, la nostalgia, la corruzione, la saturazione dei sentimenti, l’omosessualità, la morte, le incessanti domande e le amnesie senili; ma anche i ricordi poetici, come il cappello di mio padre, il sentire della poesia, l’erotismo, la sessualità, l’amicizia, l’amore, l’assoluto, il sacro, il tempo, il bene e il male, e…come nel fertile sogno di Jung: Dio e la cacca.

La poesia, ci dice Viviani, è il luogo dove la mancanza di speranze non diventa disperazione…e entrando, da bravo geologo quale è, ancora più nelle profondità umane, ne sonda le possibilità: perdonare significa capire il dolore dell’aggressore….ma anche le impossibilità: la vita è portare dentro di sé un irrisolto, sino ad illuminare l’ombra della nostra esistenza, quando non ci si fida di nessuno, ci si fida solo della propria angoscia; le prime persone che possono essere comprate con i soldi sono i familiari…la nostalgia è una necessità…andando avanti con gli anni si diventa più tolleranti ai cattivi odori…l’unico senso accertabile è la conservazione della specie.

Ogni parola che Cesare usa è una freccia che va dritta dentro il cuore del bersaglio e il bersaglio siamo noi. Davvero in questo libro ti senti nudo, forse come Eva e Adamo si sono sentiti, nessuna foglia, e una disperazione totale davanti a…La disperazione, come la fede non ha oggetto.

L’amore esige spietatezza, le parole da non dare ai porci di Viviani, proprio perché non sono e non siano vane, sono spietate,  ma anche sempre corroborate dalla pietas, di cui possiamo dire solo se abbiamo osato stare nel dolore, nella solitudine e nel silenzio delle molte notti dell’anima che l’umano ha da sopportare per essere davvero umano.

Ci sono pensieri che non vorremmo pensare, che allontaniamo da noi subito, spaventati, ma è proprio accettando in noi il limite, la capacità di essere “il male“ e non solo di farlo, che possiamo dirigere tutte le nostre energie verso un umano più responsabile e consapevole.

In questo libro Cesare ci invita a tornare al valore dell’esperienza, ad essere autori del nostro pensiero critico e della nostra brucante passione del cuore, creatori della nostra azione che è anche e soprattutto politica.

Il pensiero quando è vero ha a che fare con la Vita, cioè ci serve per respirare e per vivere meglio, ed è inseparabile dalla spiritualità che altro non è che la capacità di liberazione: liberare la forza dirompente di una parola che libera dai ruoli, dogma, legge, dottrina.

Come il cosmo siamo infiniti ma anche indeterminati, ecco perché  possiamo chiederci con Viviani: “Se ai ragazzi che crescono, i genitori, gli insegnanti, i maestri di vita, invece di insegnare i tanti significati che costituiscono il senso della vita, insegnassero che la vita non ha senso, cosa accadrebbe?

Forse accadrebbe che la maggior parte dei giovani si toglierebbe la vita prima dei trent’anni? O forse accadrebbe che, non più attaccati ai propri significati con i quali difendersi e aggredire, imparerebbero un nuovo modo di stare al mondo, non più generatori o trasmettitori di illusioni, ma invece più attenti alla propria e all’altrui umanità, alla comune verità, non più di una sorte particolare, ma uniti dal medesimo destino?”

Sono diventato brutto e ingombrante come l’Altare della Patria, confessa di sé stesso nel libro Viviani, e…all’altare della patria …lascio la parola, chiedendo venia per le mie, che mi auguro non siano da dare ai porci!

One comment

  1. Ennio Abate ha detto:

    In tempi in cui la critica (specie agli amici o ai più vicini) è caduta in disuso mi permetto di segnalare il mio dissenso:
    http://www.poliscritture.it/2014/05/16/critica-a-non-date-le-parole-ai-porci-di-cesare-viviani-su-lombra-delle-parole/

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