Conferme e novità

Pubblicato il 7 luglio 2013 su Saggi Società da Adam Vaccaro

Dal Datagate ai moti egiziani alle (nostre) stragi di stato, un momento confuso ma anche ricco di rivelazioni e possibilità di riflessione sulle logiche dei poteri contemporanei.

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Conferme e novità nel caos (apparente) sotto il cielo

Franco Romanò

Si dichiara “sorpreso” sul datagate europeo il ministro della Difesa Mario Mauro, ospite di un videoforum a Repubblica Tv condotto da Laura Pertici. L’eventualità che le ambasciate europee, compresa quella italiana, fossero spiate a Washington e New York “è tutta da verificare”, dice il ministro. Ma se fosse vero, “i rapporti tra Italia e Usa sarebbero compromessi”. “Se siamo alleati – continua Mauro – se siamo amici non è accettabile che qualcuno all’interno di questo rapporto si comporti come una volta faceva l’Unione Sovietica con i suoi paesi satelliti”.

Ohìbò, addirittura! Ho stentato a credere alle dichiarazioni del Ministro degli F35 Mauro, ma poi ho dovuto ricredermi: ha detto proprio questo, peraltro subito smentito da Letta che si è detto certo che Obama darà tutte le spiegazioni del caso e l’affaire verrà chiuso al più presto, subito confermato da Bonino che ha un atteggiamento conciliante nei confronti degli Usa e saprà pure che i servizi italiani avranno aperto porte e finestre ai sodali americani. La sensazione, però, è che qualcosa stia succedendo di non troppo chiaro nei rapporti fra Usa ed Europa. Più difficile capire cosa ci sia dietro questa improvvisa irritazione dei paesi europei anche perché essa è fondata sul nulla. Attaccano tutti gli Usa ma fanno finta di ignorare che il cuore del sistema spionistico che riguarda l’Europa è in Gran Bretagna: si tratta del sistema Echelon, oggi ribattezzato SWIFT e di cui sono parte integrante nuovi e sofisticati sistemi di armamento come – per esempio – il MUOS che si sta cercando di installare a Niscemi. Gli europei lo conoscono benissimo perché fu fondato una ventina di anni fa ed è un sistema integrato di intelligence che riguarda solo l’area anglo-sassone e infatti ne fanno parte Usa, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Australia, Canada (ma non l’infido Sud Africa) e da esso sono esclusi i partners europei.

La Gran Bretagna è stata accusata più volte di spionaggio industriale e infatti il Governo britannico tace e fa il pesce in barile: sono i giornali inglesi o per meglio dire solo Il Guardian che ha pubblicato documenti sottratti da Snowden, che continua con una campagna martellante e tutto sommato onesta perché mette di mezzo anche la madre patria. Non solo: il parlamento europeo si occupò della faccenda nel 2006, votando una mozione molto dura nei confronti di questo sistema di spionaggio, mozione ignorata da tutti i governi. E allora? Solo adesso gli stati europei si svegliano? Domandarsi come mai è d’obbligo, anche se le risposte non sono facili. Provo a indicare qualche ragione partendo dagli Usa. Ammesso che Snowden sia davvero quello che sembra e cioè un geniale Don Chisciotte a cui dovremo comunque essere grati, qualcuno negli Usa sta pensando di approfittare delle sue rivelazioni per tentare una resa dei conto con Obama e allora come non pensare al Pentagono mettendo in fila alcuni fatti? L’uccisione dell’ambasciatore statunitense in Libia, poi l’affaire che ha travolto il generale Petreus, sono costate il posto di Segretario di stato a Hilary Rodham Clinton, che nell’Amministrazione di Obama era la donna che rappresentava gli interessi della lobby legata al Pentagono e che Obama ha cercato di ridimensionare dal primo giorno. Costretto a subirne la presenza, il Presidente ci ha messo 4 anni a emarginarla, ma da quel momento sono cominciati i suoi guai: prima gli attentati alla maratona di Boston (a proposito, i testimoni di quell’atto terroristico continuano a morire come le mosche, così come sono morti venti dei ventidue componenti del commando che avrebbe ucciso Bin Laden), adesso la grana Snowden, che dimostra quanto meno una certa fragilità del sistema di sicurezza: come non pensare a una controffensiva?

Veniamo agli stati europei. La reazione piccata non è arrivata subito, ma dopo una settimana ed è difficile non pensare che ci sia stata una qualche forma di consultazione prima di decidere di usare tono forti e inusuali, ma non da parte di tutti: Polonia, Ungheria, Finlandia, Olanda e altri non mi risulta abbiano aperto bocca o usato toni come quelli usati da Hollande, da Schulz, dalla stessa Merkel. Prima, però, c’era stato il discorso di Obama alla porta di Brandeburgo, che mi aveva colpito per due ragioni. Prima di tutto perché non c’era nessuno ad ascoltarlo, solo 4.000 persone e quasi tutti invitati, mentre quando era venuto come candidato erano stati in 200 mila i presenti.

La seconda cosa che mi colpì del discorso di Obama, fu il tono particolarmente arrogante e inusuale: di solito preferisce i toni soft il convincimento di dirigere stando dietro (To rule staying behind); invece fece un discorso duro, sottolineando più volte che se in quel momento stava parlando dal lato est della porta di Brandeburgo e lo si doveva ai presidenti americani, ai soldati americani, ai piloti che forzarono il blocco economico nel ’45; mancava solo di risalire alla Prima guerra Mondiale.

Mi sembrò un discorso indirizzato ai tedeschi di oggi e anche agli europei che chiedono più autonomia dagli Usa e naturalmente l’obiettivo immediato era ed è un’idea del negoziato Usa-Europa fondato sul principio del fare quadrato ma sotto la direzione degli Usa, fortemente centralizzata e che a nessuno venga in mente di liberarsi del dollaro negli scambi internazionali! Come andrà a finire? Lo si è visto ieri. Nel giorno in cui ha usato i toni più forti contro gli Usa, arrivando a ipotizzare la sospensione temporanea delle trattativa Usa-Europa, il presidente francese Hollande ha autorizzato un atto di guerra e di pirateria di stato nei confronti di Ivo Morales, Presidente democraticamente eletto della Bolivia, sequestrato per ore nell’aeroporto di Vienna.

Hollande è l’espressione più squallida della schizofrenia europea del momento. Ultima notazione. Oggi si è avuta la conferma che anche Italia e Spagna hanno impedito il sorvolo dei cieli all’aereo di Morales: ecco che cosa valgono le parole roboanti usate dai leader europei in questi giorni.

L’Egitto, fra tutte le cosiddette rivoluzioni arabe, era la sola degna di questo nome e infatti lo conferma. Il popolo egiziano, a differenza di quello tunisino, non si è fermato; in Libia, come oggi in Siria, non c’era nessuna rivoluzione ma soltanto un guerra di aggressione imperialista che ha portato al bel risultato che in Libia oggi governano gli uomini di Alkaeda e che il Mali è stato trascinato in guerra dai mercenari anti Gheddafi.

Il problema dell’Egitto oggi è quello che ha denunciato in un’intervista il blogger Abbas, il più noto e seguito dallo scorso anno: “quello dei militari è un colpo di stato e la gente non lo ha capito. Tutti pensano a come liberarsi dei Fratelli Musulmani, ma non a quello che ha fatto l’esercito.” È vero e se lo dice un egiziano ha tutto il mio rispetto, se invece lo scrivono gli untuosi giornali italiani e le Tv che hanno entusiasticamente appoggiato il golpetto bianco in senso presidenzialista di Napolitano mi verrebbe da ridere se la cosa non fosse purtroppo molto seria. I numeri però stanno anche a dire che questi giornali vengono letti sempre meno e che anche la Tv perde colpi: è una buona notizia tutto sommato.

Tornando all’Egitto, tuttavia, credo che occorra ancora tempo per capire e forse le categorie nostre (è un colpo di stato oppure non lo è?) sono troppo ristrette. La sensazione è che chi festeggi per le strade abbia la ferma convinzione di essersi liberato da una dittatura, ma credo sia anche difficile pensare di fermare questa gente con qualche misura superficiale. Il dato che vorrei sottolineare, invece, è un altro: i casi di violenza contro donne in piazza Taharir sono centinaia, le denunce cominciano a farsi largo anche nell’euforia del momento.

Sono troppe le verità che emergono in Italia in questi ultimi tempi, anche perché molte di esse sono scoperte dell’acqua calda: cosa sta succedendo allora? Ne elenco alcune, non dico tutte perché non mi sento certo di ricordarle tutte.

La riapertura delle indagini sul delitto Moro da parte della procura di Roma dopo le denunce circostanziate di Ferdinando Imposimato, un libro che denuncia il fatto che Moro non può essere stato ucciso in Via Montalcini perché al ritrovamento del corpo il sangue era troppo fresco per far pensare a una esecuzione avvenuta anche soltanto mezzora prima.

Un altro libro denuncia il ruolo che l’Ufficio Affari riservati del Ministero degli interni ha avuto nella gestione di Piazza Fontana e degli interrogatori nella questura di Milano fino alla morte di Pinelli. Infine, buon ultimo, ci si mette pure Totò Riina a denunciare un segreto di pulcinella e cioè che l’agenda rossa di Borsellino fu sequestrata dai servizi segreti. Infine, in coda alla questione di Ustica rilanciata proprio in questi giorni, due altre notizie: la strana morte dei due piloti facenti parte nientemeno della squadriglia delle frecce Tricolori, scontratisi in volo nei cieli di Ramstein in Germania, il Mig libico precipitato sulla Sila, che fu messo in connessione con Ustica, mentre era caduto 21 giorni dopo Ustica, come certificarono due medici che scrissero come i cadaveri dei piloti erano in stato di decomposizione.

Solo alcune di questo notizie sono vere nel senso che sono nuove oppure che aggiungono particolari rilevanti a quello che già si sapeva. Partiamo dalle dichiarazioni di Riina, che non avranno nessun effetto giudiziario e nemmeno politico, perché il personaggio è troppo compromesso, troppe sono le ragioni sue in qualunque cosa affermi. Ma che l’agenda fosse stata sequestrata da uomini dell’intelligence, è qualcosa di più (e da tempo), di una serie di strane coincidenze. Per farsene un’idea suggerisco la lettura di un solo libro (in realtà ce ne sono di più), Il caso Genchi di Montolli, Alberti editore, 2009.

Piazza Fontana: qui la cosa si fa più interessante perché in effetti qualcosa di nuovo c’è. Due militanti anarchici, Gabriele Fuga ed Enrico Maltini, hanno recentemente pubblicato il libro E a’ finestra c’è la morti, Zero in condotta editore, Milano 2013, affermando di averlo scritto sulla base di nuove rivelazioni e documenti.

In realtà il 70% di quanto scritto era già noto, a cominciare da quella che i due ritengono la scoperta più importante e cioè che la pista anarchica fu pensata a Roma e, se non proprio imposta, fortemente suggerita alla Questura di Milano, le cui indagini avvennero con la supervisione (per usare un eufemismo), dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni, diretto da Federico Umberto D’Amato. Il sospetto c’era da tempo: vi fanno riferimento sia il giudice Salvini nelle numerose interviste, fra cui una pubblicata nella nuova edizione de La strage di stato alcuni anni fa, sia il film di Giordana Il romanzo della strage.

Solo che nel libro i due autori hanno trovato un tassello in più e molto importante e cioè le rivelazioni virgolettate e messe agli atti dal giudice Mastelloni (1997), di quanto detto da Carlucci, un funzionario dell’Ufficio Affari Riservati che ha raccontato al Magistrato come agiva l’Ufficio. A questo si aggiungono altre dichiarazioni dello stesso Carlucci, una volta in pensione e che sono stati gli autori stessi a raccogliere visto che concludono il capitolo affermando che Carlucci, ormai in pensione, si è voluto liberare dei suoi ricordi.

Carlucci, a differenza di Russomanno e altri funzionari interrogati dalla giudice Grazia Pradella, diede piena collaborazione. Mettendo insieme i vari pezzi, noti e non ancora noti ne viene fuori un quadro completo assai interessante. Cito due soli brevi passaggi di Carlucci per arrivare alle deduzioni dei due autori che faccio mie: “Che io ricordi dopo i fatti di Milano RICEVEMMO (maiuscolo mio) solo appunti sulla responsabilità degli anarchici e non sulla destra.”Le indagini a quanto risulta a norma di buon senso si fanno e le prove si cercano, non si ricevono!”. La seconda: “confermo che al Pinelli, durante il fermo, fu contesta una falsa confessione di Valpreda: così si usava allora, eravamo noi i padroni delle indagini…”, dove noi sta per Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni. A questo punto dovrei parlare delle deduzioni che da tutto questo si possono trarre, ma non lo faccio: prima di tutto perché il discorso si farebbe troppo lungo e poi perché condivido quelle dei due autori. In più: poiché il libro è pubblicato da una piccola casa editrice meritoria, suggerisco di acquistarlo. In ogni caso, dal momento che per averlo ho dovuto girare ben tre librerie e attenderlo per due mesi, il testo è a disposizione di chi me lo chiede a patto che poi me lo restituisca.

Sempre e sul ruolo dell’Ufficio Affari Riservati, rimando anche all’inchiesta di Giovanni Minoli, trasmessa anni fa a La storia siamo noi, e riproposta la settimana scorsa con poche aggiunte rispetto alla trasmissione originaria.

Ultima e più seria rivelazione. Moro non sarebbe stato ucciso in via Montalcini, bensì in un luogo assai più vicino a quello dove fu ritrovato il suo corpo. La novità, anche in questo caso non è affatto del tutto nuova, e l’ipotesi di più prigioni sostenuta in diversi Libri. Non solo, nella perizia medica sul cadavere c’è scritto che le condizioni di Moro erano buon, e che lo stato del suo corpo era incompatibile con l’ipotesi di una prigionia di 55 giorni in una bugigattolo dove non avrebbe neppure potuto alzarsi del tutto in piedi. Comunque, in questo caso, mi interrompo subito perché le rivelazioni dell’artificiere Vitantonio Raso e di altri, che sono state raccolte e fatte oggetto di un esposto da Ferdinando Imposimato, vengono anche tratte ampiamente in un libro appena uscito e in un altro che sta per uscire. Mi riservo di ritornarci sopra quando li avrò letti. Intanto, rimando a questo stesso mio blog: se scorrete la homepage trovate un articolo di Aldo Giannuli su queste rivelazioni. Rimane sempre però la domanda iniziale? Come mai tutte queste mezze o intere verità-novità tutte in una volta? Che sta succedendo?

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