Biagio Cepollaro
La poesia di ricerca … Il termine è poco convincente … Perché il termine di ricerca è legato ad un pregiudizio scientista, ci si riferisce a qualcosa che è più avanti rispetto a qualcosa che è più indietro … poi c’è il pregiudizio linguistico: si sottolinea e si sottintende sempre con questo termine di ricerca in fondo l’insistenza sulla deformazione o sulla combinazione oppure sulla modificazione del piano linguistico. Questo è un pregiudizio linguistico tipico dello strutturalismo ma anche in genere del Novecento: come se il significato di questa arte dipendesse fondamentalmente dal linguaggio. Ciò in parte sicuramente è vero ma non può essere tutta la verità della poesia …
Il linguaggio non può essere tutto: oggi lo possiamo sapere, dopo che le avanguardie, le sperimentazioni linguistiche, le sperimentazioni che si sono concentrate sul linguaggio, sono diventate accademiche. Ecco: l’accademismo della cosiddetta poesia di ricerca mostra quanto sia inutile ritenere che il lavoro sul linguaggio per se stesso sia un elemento significativo. Al punto da identificare la poesia di ricerca con questo lavoro esclusivamente linguistico che non tenga conto delle altre dimensioni, cioè le dimensioni dell’extra-linguistico … In fondo l’extra-linguistico è il mondo che il linguaggio tenta comunque di catturare o di restituire nell’espressione estetica. Se si dimentica quest’altro momento, questo momento del mondo che è senza lingua, che attende la nominazione propriamente poetica, se si dimentica questo co-protagonista del fatto estetico, si finisce con il cadere nel pregiudizio, come dicevo prima, sia scientista, sia strutturalista e in genere linguistico del termine e dell’espressione poesia di ricerca.
Ricordo una volta che Pagliarani mi ascoltò ad una edizione di Romapoesia nel 2000 o nel 2001, non ricordo bene … In quell’occasione leggevo per la prima volta i testi di Versi nuovi (usciti poi nel 2004 da Oedipus) che erano scritti in italiano standard, a differenza dei miei pastiches precedenti. Questa lingua italiana standard era il contrario della complicazione e delle miscelazioni linguistiche che avevo fatto prima. Bene, alla fine della lettura, Elio Pagliarani mi disse: ‘Ma tu sei veramente un poeta sperimentale!’. Con questo voleva dire che la sperimentazione non coincide con il lavoro linguistico in se stesso. La sperimentazione è un atteggiamento di apertura nei confronti dei materiali che si usano. Il linguaggio, in definitiva, è semplicemente un materiale: questo materiale è lavorato in vista di un progetto espressivo. Quando il progetto non è chiaro il materiale diventa l’inizio e la fine del discorso poetico. ma questa soluzione non prova ad illuminare il mondo, è una forma di introversione della dimensione estetica e, in alcuni casi, di manierismo. Oppure come accade per lo più oggi, di accademismo.
La ricerca in poesia e l’asintattismo
E’ chiaro che il termine ‘poesia di ricerca’ non può coincidere con una deformazione linguistica perché ad esempio se si accoglie il felice termine di Gillo Dorfles coniato alla fine degli anni ‘50 prima del Gruppo 63, prima dell’antologia dei Novissimi uscita nel ‘61, il termine che era di ‘asintattico’ per specificare alcune pratiche, anche poetiche, delle Neo-avanguardie, si compie un’azione con validità relativa… Il problema è che questo termine non copre l’intera gamma di sperimentazioni e non può tout-court identificarsi con la poesia di ricerca.Infatti paradossalmente si potrebbe dire che il settenario metastasiano di Giorgio Caproni era ancora più innovativo, nell’uso e nelle finalità ma anche negli esiti, di tanto asintattismo che ancora oggi si produce in maniera epigonale dagli anni ‘60. Così come profondamente sperimentale e innovativo era il doppio novenario di Gozzano che aveva aperto la strada alla poesia narrativa… Senza quel raddoppiamento della misura versale non avremmo avuto probabilmente la facilità e la felicità della poesia narrativa né di Pavese, nè addirittura di Pagliarani, ancora più vicino a noi …
Dunque non è l’asintattismo che qualifica una poesia come una poesia di ricerca, non è la mancanza di evidenza di nessi logici o sintattici a qualificare la ricerca, il carattere di ricerca di una poesia … Oggi può anche essere tranquillamente valutato come epigonale uno stile che faccia affidamento integralmente su questa mancanza di nessi. Da Marinetti ad oggi sono state prodotte tantissime cose innovative a partire dal progetto dell’asintattismo: soltanto che quest’abitudine di ritenere ‘poesia contemporanea’ semplicemente la mancanza di una struttura logica ed evidente nella connessione tra le parole e quindi la preponderanza quasi surrealista, eternamente surrealista, del dominio dell’automatico, della scrittura automatica, ma anche, per altri versi, della scrittura casuale che è la stessa cosa, non può reggere … Perché può anche non essere l’inconscio a produrre, può anche essere una sorta di oggettività casuale della scrittura ad autogenerare il testo poetico ma il risultato non cambia: siamo sempre nell’ordine di idee di una fondamentale mancanza di connessione sintattica ‘naturale’…Ecco si tratta dell’introduzione di una sorta di artificiosità che può essere sia inconscia sia macchinica, o addirittura generata dal computer … Queste differenze cominciano a diventare anche differenze di valore: basta guardarsi intorno e trarne le conseguenze con estrema facilità …
La ricerca in poesia: Emilio Villa ed Edoardo Sanguineti a confronto.
C’è da chiedersi se il Secondo Novecento debba trovare in Sanguineti oppure in Emilio Villa il vero principio motore per la poesia di ricerca. Diciamo che la diffusione del nome e delle opere (più del nome che delle opere) di Sanguineti e anche la sua oggettiva influenza sulla cosiddetta poesia di ricerca o della Neoavanguardia siano state notevoli. Emilio Villa, al confronto, è pochissimo conosciuto. Pochissime persone hanno potuto leggere e apprezzare le sue opere. Però se si notano le date delle poesie si scoprirà che Emilio Villa già negli anni ‘40 aveva anticipato molte vie, poi diventate canoniche, della ricerca poetica. Ma questo non è tanto importante perché non c’è il diritto di primogenitura … Ciò che conta è il modo in cui questa ricerca è stata impostata. Ecco, dopo Sanguineti, la ricerca sembra aver subito un destino di intellettualismo e di cinismo, come è stato teorizzato dallo stesso Sanguineti. Eppure non necessariamente la ricerca poetica e stilistica, vanno associate all’intellettualismo e a quella distanza un po’ supponente che la posizione cinica comporta nei confronti degli oggetti di cui si parla, dei materiali e dello stesso pubblico. Nel caso di Emilio Villa, la postura, al contrario, era quella di chi era vittima, in qualche modo, di questi materiali … Villa era come ‘impastato’ dentro questi materiali e cercava sinceramente, eticamente, un modo per dare senso a quell’esperienza drammatica dell’Italia (o, come scriveva, dell’Itaglia, facendo il verso alla pronuncia della propaganda fascista) durante la guerra, della fine della guerra e degli anni della Ricostruzione … Niente a che vedere, insomma, con l’intellettualismo in fondo sterile di Sanguineti che raccoglieva da Pound un’eredità completamente sradicata, laddove Emilio Villa costruiva con i materiali autoctoni, anche se attraverso il plurilinguismo, costruiva lentamente una sua immagine del mondo … Ma quell’immagine era decisamente fedele …
Si potrebbero mettere a confronto Villa e Sanguineti su di un piano come quello della dimensione orale. Mentre in Sanguineti l’insistenza fonosimbolica, per così dire, ha la funzione soprattutto di produrre dei giochi di parole, dei calembour, con una forte ironia e quindi desublimazione dei materiali su cui lavora, nel caso di Emilio Villa la dimensione orale ha la funzione di accorpare,aggregare,agglutinare in un accumulo elementi eterogenei. Ma questa aggregazione finisce con il presentare la realtà nella sua densità, nella sua complessità … Quindi lo stesso elemento, la stessa importanza data alla dimensione orale, in Sanguineti finiscono con il sortire un effetto tutto sommato ludico e talvolta virtuoso, mentre invece in Villa hanno una funzione conoscitiva: è il mondo, è la realtà che viene esplorata attraverso questo modo di far funzionare la vicinanza sonora tra le parole.
E’ interessante notare come nel caso di Emilio Villa la ricerca poetica sia stata molto influenzata dal rapporto con artisti come Alberto Burri o con gli artisti che meglio raccoglievano gli stimoli che provenivano dall’Europa e dagli USA dopo l’apertura seguita alla caduta del Fascismo. Come si sono manifestati questi stimoli? Probabilmente attraverso una sensibilità per il materiale della scrittura. Quindi pittura materica da una parte e dall’altra maggiore sensibilità per la lingua come materiale, come materia.
E poi è interessante il fatto che il realismo in Villa non si è mai disgiunto da un’acquisizione non-mimetica dell’arte: questa era sicuramente una qualità molto rara nel periodo del Neorealismo agli inizi degli anni ‘50. Villa parte con una sperimentazione sul linguaggio che si faceva carico delle ricerche in ambito artistico e delle acquisizioni estetiche che in quel periodo nel mondo della pittura erano sicuramente più libere, più spregiudicate rispetto a quelle per lo più presenti in letteratura. Se si confronta questa mobilità, questa diversità, talvolta anche caoticità, riscontrabili tra i testi stessi di Villa lungo il percorso degli anni, se si sottolinea questa sua libertà di invenzione formale e si confronta tutto ciò con il percorso compiuto dall’opera di Sanguineti, soprattutto quella della seconda fase del suo itinerario,quella seguita all’orbita poundiana di Laborintus, quella invece più crepuscolare, si vede come quest’ultima appaia come una sorta di colto ornamento di un Io alto-borghese che critica il mondo ideologicamente, lasciandone in piedi le impalcature. Viceversa nel caso di Villa si assiste ad una sorta di sisma continuo dal punto di vista dei punti di partenza cognitivi: non c’è un’ideologia. Il suo impastarsi con le cose dette fa sì che il senso delle sue azioni estetiche emerga di volta in volta dalle singole opere. E’ stato difficile raccogliere tutte le opere di Villa anche perché le aveva disseminate in opuscoli, opuscoletti, cataloghi: insomma una serie di dispersioni … Però questo carattere ‘dispersivo’ di Villa sta a testimoniare la sua estrema ricchezza a fronte invece di un’attenzione un po’ da contabile per la produzione che taluni autori finiscono con l’avere per eccesso di sorveglianza. Quello che invece si trova in Villa è una sorta di eroico furore, per dir così, che coglie un nucleo vivo dell’essere e dell’essere creativi.
Mi riferisco al primo punto del tuo intervento.
Io credo che la ricerca linguistica si possa fare in più modi, soprattutto due. Hai ragione per quanto riguarda l’ormai superato quanto inutile e accademico accanimento sul linguaggio degli avanguardisti. Ma il loro sperimentalismo non aveva niente a che vedere con la convinzione che “il linguaggio sia la realtà” oppure che “tutto è linguaggio”. Le avanguardie storiche e molti dopo di esse, si divertivano e basta con l’uso della lingua, ne facevano uno strumento, la rendevano propria, la immiserivano! Per me compito della poesia è dare parola propria (non mia) a ciò che linguaggio non ha, vedendo in tale ricerca l’unico mezzo possibile di comprensione della realtà e conseguentemente di rinnovamento linguistico. Come dire: l’extra-linguistico cui alludi, non può o non potrebbe esistere, in quanto -e se è vero- che ogni cosa reale è reale in quanto definibile con la parola.
Ho concentrato una montagna di concetti e ne è uscito un misero topo, ma questo lo ritengo uno dei punti più importanti su cui discutere approfonditamente.
Anche se ormai dovrebbe essere chiaro da parecchio tempo la distinzione tra linguaggio e linguaggio e considerare (storicamente valida, certo) ma carta da macero la tanta creatività nata morta delle avanguardie storiche e affini.
Cristina Annino.
Bella chiosa, cara Cris, tanti nodi che il tema coinvolge, ma per chi ha orecchie non è un topolino!
Adam
Vi segnalo una nuova collana che propone giovani autori impegnati proprio nella ricerca. Si chiama esattamente così: POESIA DI RICERCA / Edb Edizioni Milano. Primi titoli: Silvia Caratti, Francesco Maria Tipaldi, Leopoldo Maria Panero…
[…] Per proseguire in un (datato, pensavo) dialogo, e affrontare quelli che penso siano semplici ma ciclicamente ritornanti equivoci, ecco 4 risposte su 4 temi (fra tanti che si dovrebbero analizzare) toccati dal (per me strabiliante) post che leggo in http://poesiadafare.wordpress.com/la-ricerca-in-poesia/ = https://www.milanocosa.it/saggi-poesia/la-poesia-di-ricerca-e-la-ricerca-in-poesia […]