In Europa e nel mondo globalizzato imperano varie forme di capitalismo finanziario e relativo pensiero unico neoliberista che generano guerre e massacri sociali. E in Italia, parassitismi, corruzioni e commistioni tra Stato e mafie ne acuiscono effetti perversi. Riflette sugli ultimi sviluppi l’articolo che segue di F. Romanò, sollecitando la ricerca di alternative più umane. A.V.
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Le primarie del centro sinistra, Sel e l’agenda Monti:
declinazioni diverse di neoliberismo
Franco Romanò
La situazione europea sta evolvendo al peggio come era facilmente prevedibile, mentre venti di guerra soffiano alle porte di casa. Il facile ottimismo con cui tutti hanno esaltato la tregua a Gaza è già puntualmente smentita da molti osservatori internazionali e da una recente inchiesta del New York Times. A Gaza si sono svolte le prove generali della guerra all’Iran e la mediazione egiziana non è altro che un finto riconoscimento diplomatico che nasconde la repressione con cui il governo Morsi sta islamizzando la società egiziana con il consenso di Stati Uniti e di Israele: è un copione già visto e che continua a riproporsi. Gli Usa hanno sempre appoggiato l’islam radicale e persino terrorista (ci siamo dimenticati che Bin Laden era una creazione saudito-statunitense?) per poi abbandonarlo al suo destino al momento propizio: l’unica cosa che gli Stati Uniti temono per il mondo arabo e in generale, è un vero processo democratico; infatti, chiudono entrambi gli occhi sulla svolta golpista dei Fratelli Musulmani in Egitto e se ne guardano bene dal denunciare la repressione perché tutto sommato Morsi lo possono controllare. Dovremmo essere grati al popolo egiziano che cerca di resistere e mobilitarci, ma per fare questo bisognerebbe che qualcuna fra le forze politiche oggi convulsamente sbraitanti, avesse chiaro quale sia la posta in gioco.
Da tutto questo invece, l’Europa e l’Italia sono del tutto assenti: la prima perché politicamente inesistente, la seconda perché è stato del tutto dilapidato quel patrimonio di cultura minimamente internazionalista della quale potevano andare giustamente orgogliosi.
Il dibattito che ha preceduto le primarie del centro sinistra è stato desolante, salvo che in qualche sortita degli outsider e cioè Tabacci e Puppato; ma quello che si è voluto occultare e che probabilmente non conoscono bene neppure tutti coloro che hanno partecipato alle primarie, è il protocollo che tutti i candidati alle primarie stesse hanno dovuto sottoscrivere per poter partecipare. Non ho sollevato in precedenza questo problema, pure importante, perché non volevo interferire con una campagna elettorale che non mi riguardava (non ho votato né al primo né al secondo turno dal momento che il centro sinistra non mi rappresenta), sebbene riconosca che nella mobilitazione che c’è stata e ci sarà si esprime anche un bisogno molto forte di politica, che per manifestarsi utilizza qualsiasi canale che trova a disposizione. Fu così anche con Prodi e i suoi comitati, puntualmente licenziati a fine campagna elettorale, in ossequio a un modello di politica all’americana che usa la mobilitazione al solo scopo strumentale di garantire la vittoria del proprio leader.
Io penso che alla fine di questo generoso sforzo, ci sia dietro l’angolo una nuova cocente delusione e mi rivolgo in particolare a chi ha votato per Vendola, pensando di condizionare, se non di vincere, l’uno o l’altro dei candidati più forti.
L’esito scontato del secondo turno, con la vittoria di Bersani, non cambia nulla rispetto al primo turno, ma la settimana intercorsa, ha comunque detto altre cose interessanti su cui tornerò successivamente.
Quali sono stati i punti di reale contesa fra i candidati, al di là delle sparate e delle battute? Tabacci e Puppato, consapevolmente sconfitti in partenza, non fanno testo, se non per avere contribuito comunque a rendere il dibattito meno scontato e, con il poco tempo che ha avuto, penso che la percentuale di Puppato sia interessante e indichi un bisogno di cambiamento delle politiche di genere e una sacrosanta insofferenza nei confronti di una politica per soli uomini. Di contenuti non si è parlato come il solito perché le primarie spingono naturalmente alla valorizzazione del personaggio-candidato.
In realtà il programma c’era eccome, ma non era quello che in molti e molte avranno letto, ma i punti riportati qui sotto e che possono essere facilmente reperiti in rete se qualcuno vuole controllare. Li riporto prima di continuare.
Nella “Carta d’Intenti per l’Italia Bene Comune”, (cioè la carta che è stata obbligatoriamente sottoscritta da tutti i candidati alle primarie promosse da PD, SEL e PSI ndr.), si legge che le forze della coalizione, “in un quadro di lealtà e civiltà dei rapporti”, si dovranno impegnare a:
– “assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese, fino alla verifica operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi in accordo con gli altri governi;
– appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’euro zona.”
Tra i nostri “impegni internazionali” e i “trattati sottoscritti dal nostro Paese” ci sono:
Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)
In che cosa consiste la truffa a danno degli stessi elettori partecipanti alle primarie? Che il protocollo di cui sopra e cioè il vero programma unificante per tutti senza possibilità di sfuggirne, non viene ripreso nel programma dei singoli candidati forti, ma sfumato in giri di parole contorte che si guardano bene dall’avere la chiarezza di cui sopra e che in alcuni casi sono in aperta contraddizione con il protocollo sottoscritto stesso.
Quando Vendola propone qualcosa che assomiglia a un reddito di cittadinanza a livello europeo, si vorrebbe capire come pensa di conciliarlo con le regole ferree previste dal fiscal compact da lui sottoscritto nel protocollo! Quando parla di missioni italiane all’estero solo nella logica della cooperazione e della non violenza addirittura, è lecito chiedergli come voterebbe un governo di cui lui sarebbe un possibile ministro o quanto meno un sostenitore: direbbe sì o no al rifinanziamento della missione in Afghanistan? Risposta scontata. Quando Vendola, negli ultimi giorni della campagna elettorale del primo turno, al fine di recuperare consensi, ha cercato di forzare un po’ la mano, attaccandosi a una frase del protocollo (…verifica operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi in accordo con gli altri governi...). Ma sia Renzi sia Bersani, in perfetta consonanza e alla faccia delle loro tenzoni, lo hanno immediatamente richiamato all’ordine, suggerendo indirettamente che anche quella timida frase non è altro che una concessione verbale del tutto formale all’esigenza di camuffare un minimo la sostanza delle cose: e cioè che, stando all’interno di questa logica e di questi rapporti di forza, non c’è nulla di contrattabile e del resto tutti i governi europei e i parlamenti lo hanno detto. Bersani e Renzi hanno parlato in armonia su questo perché, sapendo di essere i probabili vincitori, dovevano dare immediatamente garanzie, anche non se richieste, in ossequio a una forma di naturale servilismo verso i poteri forti che contraddistingue tutta la loro azione politica.
Torniamo allora al protocollo sottoscritto da tutti i candidati e cioè al vero programma di governo del centro sinistra, se vincesse le elezioni di marzo, qualunque sia il vincitore delle primarie. Si tratta né più né meno dell’agenda Monti, neppure troppo condita in un lessico accattivante, semplicemente lasciata un po’ nascosta, almeno un po’ ombra, affinché non fossero poi in molti ad andarla a leggere.
L’unica differenza sostanziale fra Renzi e Bersani è che il secondo afferma e scrive esplicitamente, nel suo programma scritto per il loggione, che è necessaria l’alleanza con i moderati centristi per sostenere il vero programma e cioè il protocollo: dunque un’alleanza di governo con l’Udc di Pierferdinando Casini, che anche nel caso si facesse, sarà sempre pronto a ricattare tale governo e a farlo cadere alla prima occasione.
Perciò Casini chiede insistentemente una lista Monti, per ricattare ancora meglio o per cambiare cavallo all’ultimo momento abbandonando con una scusa qualsiasi il Pd al suo destino: un vero obbrobrio, cui persino Napolitano sta cercando di porre un argine costituzionale, dopo che peraltro i buoi li ha fatti scappare lui, imponendo Monti senatore a vita per poter avere la giustificazione parlamentare di affidargli l’incarico di formare il governo!
Renzi, a differenza di Bersani, pensa di avere la forza di prosciugare lui l’elettorato del centro, saltando la mediazione dell’Udc e convincendo direttamente i suoi elettori. Il grottesco è che entrambi rischiano di trovarsi a destra di una vecchia volpe democristiana come Tabacci che una piccola lezione di politica l’ha data un po’ a tutti. Una volta compreso (e ne ha ben donde visto che è assessore al bilancio del comune di Milano nella giunta Pisapia), che il modello vincente è un centro che si muove a passo felpato dietro un candidato rispettabilmente di sinistra, l’astuto Tabacci ha detto in piena campagna elettorale che il Centro e cioè l’Udc si è suicidato da solo per l’esasperato tatticismo di Casini!
Ma Renzi e Bersani, non sentono, non ascoltano e specialmente non capiscono, anche se l’idea renziana di prosciugarne l’elettorato potrebbe essere più vincente dell’altra.
Ma Vendola, che non può non sapere tutto ciò, cosa ci sta a fare nelle primarie del centro-sinistra? Ma specialmente: cosa ci stanno a fare in tutto questo gli elettori di Vendola, e in definitiva anche quelli di Puppato e Tabacci? Ora che i giochi sono fatti e la vittoria di Bersani è stata ampia, l’interrogativo diventa stringente anche perché il tempo è poco. In compenso l’ultima settimana di primarie ci ha offerto lo spettacolo assai poco edificante di un dibattito molto intorno alle regole interne: del resto di idee ce n’erano poche anche prima. Il dato rilevante se mai, è un altro e cioè il sempre più frequente emergere di candidati alla Renzi, un personaggio che molto probabilmente non finirà la sua carriera politica nello stesso contenitore nella quale la sua carriera è spuntata, come molti leader negli ultimi anni.
Quando i partiti diventano dei contenitori vuoti, che hanno tagliato tutte o quasi le radici di provenienza, sostituendole con culture politiche abborracciate e affastellate, diventano intercambiabili. I partiti non sono affatto in crisi ovunque, come una martellante – e questa sì qualunquista – campagna di informazione vuole accreditare: sono in crisi in Italia, perché hanno abbandonato le loro radici storiche, e con esse la loro funzione di selezione della classe dirigente, sono diventati contenitori di carriere. In fondo, anche la vittoria di Bersani lo dimostra, nel senso che, in buona parte, è dovuta alla tenuta di quell’apparato del vecchio Pci e dei suoi elettori che, avendo nel proprio dna la memoria, seppure offuscata, di che cosa sia un partito, ha reagito pavlovianamente al corpo estraneo Renzi, facendo quadrato, più o meno consciamente, intorno al residuo di una passata identità.
Davvero gli elettori di Sel ritengono l’alleanza di governo che si prospetta sia qualcosa di più o di meglio dell’agenda Monti? Anche il calcolo sotterraneo che qualcuno potrebbe fare e cioè sperare in cambiamenti rilevanti da qui a marzo, per esempio in un cambiamento di linea della Germania e addirittura in una sconfitta di Angela Merkel, si rivelerà in buona parte errato. Nessuno, infatti, si interroga sul perché la cancelliera tedesca, in minoranza nei vertici europei, ne sia sempre la vincitrice di fatto. Non ci si dirà spero, che è perché olandesi, danesi e svedesi e anche finlandesi votano con lei: facile in questi casi trovare dei capri espiatori e liberarsi così dei problemi. La Merkel vince perché anche i suoi oppositori, in Germania e fuori, condividono le linee di fondo della sua politica.
Il succo è quindi che non esiste un progetto alternativo al neoliberismo imperante, ma i popoli europei non potranno subire oltre un certo limite di finire tutti come la Grecia: se nessuno si pone il problema di un orizzonte diverso, andremo incontro a ribellioni scomposte ma inevitabili, ad astensioni macroscopiche dal voto e alla crescita di forze improvvisate dalle colorazioni cangianti, ma che assumeranno sempre più tratti nazionalistici o di estrema destra.
Per questo è urgente dar vita a un progetto di sinistra radicale, che segni un netto distacco dalle esperienze del centro sinistra e si aggreghi intorno a quello che in Italia e non solo esiste già: un tessuto vasto di lotte e di resistenze che non hanno rappresentanza, ma che sono la sola e unica speranza per il futuro.
Giustissimo. Io sono pronto con il casco in testa, la sciarpa sulla bocca e il molotov in mano, perché la lotta avrà successo se riesco a dare cazzotti alla polizia, spaccare qualche vetrina e incendiare qualche auto, e soprattutto perché non ho l’intelligenza di formare un movimento o un partito politico e aggregare consensi, ritenendo il processo democratico un affare borghese screditato. Voterei Diliberto o Bertinotti, due grandi uomini benestanti che rappresentano un proletariato di cui sanno pochissimo e cui certamente non vogliono appartenere. Avanti con la resistenza e creiamo una nostra Corea del nord!
Ci stanno anche l’ironia e il sarcasmo, data la situazione priva di credibili punti di riferimento, in cui la ricerca di alternative può anche apparire delirio con connotazioni retrive o reazionarie. Ma se non cerchiamo vie per una qualche alternativa rispetto alla cloaca criminale in cui siamo diventiamo conniventi.
Adam
Rispondo rapidamente a Giorgio, dicendogli che i miei riferimenti non sono la federazione delle sinistre, nè Rifondazione Comunista, che ho smesso di votare da tempo, di cui auspico lo scoglimento e un atto di umiltà: quanto a Diliberto e Bertinotti la penso esattamente come lui.
Io sono impegnato insieme ad altri (singoli oppure nascenti o appena nate organizzazioni e gruppi come Alba, Alternativa, di Giulietto Chiesa, comitato No debito, la Fiom di Landini) al tentativo di dare vita a un movimento che rifiuti sia il centro sinistra sia l’incognita del movimento cinque stelle. A Roma lo scorso primo dicembre si è tenuta l’assemblea CAMBIARE SI PUO’ che è il mio riferimento più diretto nel percorso che ho cercato in poche parole di descrivere.
In una sinistra così svuotata di contenuti, Vendola, dopo aver contribuito a spaccarla per perseguire la speranza di far implodere il PD con le sue idee, si trova messo in un angolo, come ampiamente previsto, e costretto, volente o nolente, a rispettare l’ideologia liberista del maggiore partito, insieme agli interessi legati alle Coop. rosse (v. TAV Valsusa) e alle ipocrite, dispendiosissime missioni di pace.
Anch’io guardo con attenzione verso ALBA e la FIOM, che rappresentano un vero cambiamento culturale. Il cammino, però, non sarà facile, ma è l’unica alternativa, a mio parere.