Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Ivan Pozzoni
Inediti
Con nota di lettura di Adam Vaccaro
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Nota di poetica
Il poeta/sophos e l’estetico come frammento filosofico: una philosophical explanation
I miei riot-texts, mera raccolta di testi/documento, verbali d’assemblee d’arte, rivolte alla concretizzazione dell’ideale estetico normativo della democrazia lirica e simbolo di resistenza, o sovversione, contro i valori nomadi delle élites dominanti fondano, tecnicamente, sull’«invettiva» (triade Villon/Brassens/De André), moderata dall’«ironie» (Derrida), dal «citazionismo», dallo «straniamento» (Šklovskij), dalla «carnevalizzazione» (Bachtin), dai «mistilinguismo» e «dédoublement» (De Man), dalla grammatica generativa (Chomsky), dalla «sovversione/eversione» (anarco-individualismo della Post-Left Anarchy) e dall’estremo «impegno sociale» movimentista a tutela dei deboli e dei diseredati, con opposizione allo star system dei dominanti e dell’arte.
Ivan Pozzoni
L’EPATITE IVA
Il contribuente italiano medio tra tasse, imposte e accise
subisce morsi e ricorsi stoici peggio che alla Corte d’Assise,
navigando sempre in cattive acque, lo hanno dichiarato santo
e contro le scottature da cartella esattoriale usa la tuta d’amianto.
L’epatite IVA è una malattia altamente contagiosa,
il cuneo fiscale ha la funzione di un catetere senza ipotenusa,
drenare liquidi dai buchi neri dei conti correnti non millanta
l’idea di far chinare concittadini sofferenti a quota Novanta.
La metafora del drenaggio, verso lo Stato italiano, non è balzana,
l’Agenzia delle Entrate ci rivolta i calzoni come indomita mezzana,
la malattia è ormai cronica, come terapia sedativa resta la flat tax
la calma piatta dei mercati internazionali non ci facilita il relax,
tra salvare 5.000.000 di italiani o incrementar lo spread
la scelta è tanto semplice che non ci vorrebbe un Dredd,
speriamo solo che un nuovo dottor Sottile non emetta prelievi forzati
sul 6‰ dei conti correnti dei soliti disgraziati.
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HOTEL ACAPULCO
Le mie mani, scarne, han continuato a batter testi,
trasformando in carta ogni voce di morto
che non abbia lasciato testamento,
dimenticando di curare
ciò che tutti definiscono il normale affare
d’ogni essere umano: ufficio, casa, famiglia,
l’ideale, insomma, di una vita regolare.
Abbandonata, nel lontano 2026, ogni difesa
d’un contratto a tempo indeterminato,
etichettato come squilibrato,
mi son rinchiuso nel centro di Milano,
Hotel Acapulco, albergo scalcinato,
chiamando a raccolta i sogni degli emarginati,
esaurendo i risparmi di una vita
nella pigione, in riviste e pasti risicati.
Quando i carabinieri faranno irruzione
nella stanza scrostata dell’Hotel Acapulco
e troveranno un altro morto senza testamento,
chi racconterà la storia, ordinaria,
d’un vecchio vissuto controvento?
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L’ANTI-«PROMESSA» D’AMARE
Da anti-«poeta», vittima della mia anti-«poesia»
non sarei in grado di dedicarti che un’anti-«promessa» d’amore,
la mia anti-«promessa» d’amore avrebbe i tratti d’una sinestesia,
la durezza staliniana dell’acciaio e la dolcezza del colore,
la finezza dell’amicizia e la consistenza dell’amore,
i tuoi occhi, candidi, mi tramutano in cinico malato d’idrofobia,
e contro la rabbia – monamour – non esiste dottore.
Anti-«promessa» d’amore da leggere davanti all’ufficiale di stato civile,
come riuscire a convincere un mondo tecno-triviale
che ti ho amata dal Giugno del 1976, forse, addirittura, da Aprile,
io ero un embrione e tu, ancora, eri immersa nell’aurora boreale,
saresti stata sei anni un angelo, un fantasma, l’inessenza di un frattale,
senza fare una piega a attenderti, sei anni, trentasei anni, senza niente da dire,
i contemporanei montoni di Panurgo mi condannerebbero al silenzio totale.
Sei la mia anti-«promessa» d’amore e, magari, il concetto ti suona insensibile
ti osservo dormire, serena, come una briciola adagiata in un tostapane,
il mio amore – mi spogli dal ruolo di «guastatore» – è abissale come un sommergibile,
condannato a disseminar siluri sotto (mentita) spoglia di pesci-cane.
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Nota Biobiblio
Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Ha introdotto in Italia la materia della Law and Literature. Ha diffuso saggi su filosofi italiani e su etica e teoria del diritto del mondo antico; ha collaborato con con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2018 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Mostri, Galata morente, Carmina non dant damen, Scarti di magazzino, Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, Cherchez la troika e La malattia invettiva con Limina Mentis, Lame da rasoi, con Joker, Il Guastatore, con Cleup, Patroclo non deve morire, con deComporre Edizioni. È stato fondatore e direttore della rivista letteraria Il Guastatore – Quaderni «neon»-avanguardisti; è stato fondatore e direttore della rivista letteraria L’Arrivista; è stato direttore esecutivo della rivista filosofica internazionale Información Filosófica. Ha scritto/curato 150 volumi, scritto 1000 saggi, fondato un movimento d’avanguardia (NeoN-avanguardismo, approvato da Zygmunt Bauman), con mille movimentisti, e steso un Anti-Manifesto NeoN-Avanguardista, Il suo volume La malattia invettiva vince Raduga, menzione della critica al Montano e allo Strega. Viene inserito nell’Atlante dei poeti italiani contemporanei dell’Università di Bologna ed è inserito molteplici volte nella maggiore rivista internazionale di letteratura, Gradiva. I suoi versi sono tradotti in francese, inglese e spagnolo. Nel 2024, dopo sei anni di ritiro totale nello studio accademico, rientra nel mondo artistico italiano e fonda il Kolektivne NSEAE (Nuova socio/etno/antropologia estetica).
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Nota di lettura
La nota di poetica di Ivan disegna un perimetro articolato e complesso, costituito da tutte le forme di sovversione estetica che hanno incarnato l’anima innovativa dell’Arte e della Scrittura in genere, in particolare della Poesia. Sappiamo bene che tutti gli ambiti della vita sono arricchiti dai due versanti, quello che si sviluppa entro forme acquisite o consolidate in canoni, e quello che rompe gli argini e cerca un altro versante. Questi testi sono un esempio, penna o tastiera in mano, di forma di tale ricerca, nata dal prioritario bisogno di capacità di senso critico rispetto al diluvio in atto di distruzione di un minimo senso di contesto umano.
Energia costitutiva generata e innervata nella rabbia, una rabbia martellante che tende all’esagerazione. Ma ricordo che quest’ultima è connaturata ai ceti bassi, dei sottoposti, sorella popolare dell’enfasi, coltivata dai livelli che amano più le sfumature dell’indiretto. In questi testi la verve polemica non consente di smussare l’esplicito, appena temperato da ricerca di allitterazioni, assonanze e rime, tra flusso di coscienza e ritmi rap – vedi ad esempio:
“Il contribuente italiano medio tra tasse, imposte e accise/ subisce morsi e ricorsi stoici peggio che alla Corte d’Assise,”; “la malattia è ormai cronica, come terapia sedativa resta la flat tax/ la calma piatta dei mercati internazionali non ci facilita il relax,”.
Rabbia e impotenza sono costantemente intrecciate, sfociando in lampi di carnevalizzazione a petto-cuore denudato: “Le mie mani, scarne, han continuato a batter testi,/ trasformando in carta ogni voce di morto/ che non abbia lasciato testamento”.
Ma non è una giostrina intorno al proprio ombelico egolalico, perché l’ego cerca di farsi voce degli ultimi, dei disperati: “tra salvare 5.000.000 di italiani o incrementar lo spread/ la scelta è tanto semplice che non ci vorrebbe un Dredd”, facendo rime tra spread e il nome dato al giudice dell’apocalisse, dagli autori – John Wagner e Carlos Ezquerra – del noto fumetto, poi soggetto anche di films.
Lo sbocco fumettistico è adeguato a una forma di viaggio allucinato, che però non smette di farsi nerbo sulle terga del potere in atto: “speriamo solo che un nuovo dottor Sottile non emetta prelievi forzati/ sul 6‰ dei conti correnti dei soliti disgraziati”.
È una linea lungo il versante Anti, privo di reti di protezione, su cui è intessuto anche il terzo testo, che sfocia dal sarcasmo all’autoionia: “Da anti-«poeta», vittima della mia anti-«poesia»/ non sarei in grado di dedicarti che un’anti-«promessa» d’amore”, giacché “la finezza dell’amicizia e la consistenza dell’amore,/ i tuoi occhi, candidi, mi tramutano in cinico malato d’idrofobia,/ e contro la rabbia – monamour – non esiste dottore”
In estrema coerenza, dunque, con la propria scelta di poetica, questa “Anti-«promessa» d’amore all’ufficiale di stato civile,” mostra, come dire, au contraire, la tenerezza introvabile-trovata, “io ero un embrione e tu, ancora, eri immersa nell’aurora boreale”, “Sei la mia anti-«promessa» d’amore e…ti osservo dormire, serena, come una briciola adagiata in un tostapane,/ il mio amore – mi spogli dal ruolo di «guastatore» – è abissale come un sommergibile”.
Adam Vaccaro