Anticipazioni – Marco Melillo

Pubblicato il 29 ottobre 2024 su Anticipazioni da Adam Vaccaro

Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Marco Melillo
Inediti

Con nota di lettura di Luigi Cannillo
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Nota di poetica
Aver fede nella contraddizione come esser certi di esistere, dubitando al contempo di sé e del mondo con la stanchezza ma anche la gioia che ciò inevitabilmente produce. Credo di aver declinato in questi solchi per anni il rapporto con la scrittura in versi. Animato sì – come tutti – da quel senso di scoperta e quella attenzione alla scoperta (o attitudine) che il vivere produce, e che si attesta molto più spesso nell’esitazione e nell’indugio che nella potenziale carezza di una consuetudine.
Dallo strame novecentesco nell’essere poesia oggi deduco l’enorme quantità di dati cui siamo sottoposti, cercando di non cadere in un inganno inestricabile. Considerazione di tenore filosofico questa ma legata da un lato alla scabrosa mole dell’inessenziale (fatto di sempre) e dall’altro alla datità contestuale.
Se la poesia nasce da interrogativi più che da certezze il viatico mi pare ancora per me quello adottato in modo naturale da ragazzino. Ma l’attenzione al mondo e all’ignoto nulla sarebbero senza esperienza, e col passare degli anni si accetta ben volentieri di non produrre uno stucchevole vaniloquio in versi, onde ritrovarsi – sì – soprattutto nell’errore, trovando attraverso la vita nel mondo e lo stare profondo in essa – come asseriva Giorgio Caproni – possibilmente quel profondo talmente vasto e pungente da abbracciare l’altro e l’altrove.

Marco Melillo

“…questa poca vita è la mia vita” (Giovanni Raboni, “Reliquie arnaldine”)

Sei la parola golosa
e la parola tace,
tace la rosa.

*

Esco in silenzio
come la creatura di polvere
che scappa lungo le strade
perché come lei lascio andare
mi scivola dietro la tempia un fratello
una sorella simile a lui sopravvive
allo scandalo quasi invisibile
di questa lunga città tutta periferia.
Entrambi sanno che qui
non c’è modo di vivere, crescere
se non al gusto di insani talenti
una macchina troppo costosa
una grazia onerosa acquistata
toccando la bocca, gli zigomi
facendo il naso alla regola
ancora non scritta che cala
il buon senso dal cielo
ma senza una goccia di pioggia.
Esco per tornare polvere
per rovistare nel vecchio segreto
che simula gli anni ad ognuno
a ciascuno nasconde lo scopo
del vivere come non fossimo soli.
La mente non legge mai
chi per troppo rumore somiglia
alle stesse parole, le stesse mani
violente sul banco della giovinezza
esaltato nel giro d’un giorno
ma qualche ora dopo finito
per troppa prudenza.
Nessuno sa o tutti sanno
che vivere è un sogno bendato
di cui ci si fida svegliandosi
tenendo a bada la propria amarezza.

*

Leggi la vita dal figlio
la macchina crepuscolare
che allarga il diaframma
restringe nella messa a fuoco
il cordone l’infanzia
la tua giovinezza
nel pieno mistero del gioco
che fa questo ciclo infinito
di stelle nascoste nel petto.
Canti a memoria la recita
dei fiori gialli alla prima di aprile
quando si vestiva al tuo specchio
tra mantra di benevolenza
segreti di zucchero strade di pane
orizzonti nascosti di spine.
Un figlio chiama, il figlio che ama
la sua solitudine i versi non scritti
i tuoi sassi di carta i quaderni
dei compiti dove aspettavi
un contatto e ora vedi te stessa
bambina col tuo poco sonno
una volpe nutrice d’inverno.

*

È il dispiacere che si sta facendo
le ossa, che cresce sano. Presto
avrà nuovi alimenti e una dieta
appropriata all’età che non vuole
consigli e non guarda allo specchio
proprio come noi col passato
talvolta, sempre che l’ospite
vi si riveda.
Ma si può vivere senza?
Chiuderlo in una dispensa
non basta, né il buio di soffitta
nel cambio stagione sempre
più imprudente e così repentino.
Cerco di mangiare poco
mi limito all’indispensabile sale
la giusta pressione arteriosa.
C’è chi ne abusa e si trova
schiacciato sul petto un mattino
lo specchio una blusa un rossetto.
La nota spese è sul tavolo, amore,
paga della solitudine la lontananza.

*

Marco Melillo, nato a Napoli. 2013: ho fondato insieme ad altri una webzine culturale chiamata “c’è vita su Marte”, proponendo una rubrica di poesia contemporanea fino al 2016. Alcuni miei testi sono in antologie di contemporanei. Alcuni racconti sono stati adattati a brevi pièce teatrali, altri pubblicati a puntate su alcune testate locali (cartacee). 2017: premio “Anna Maria Ortese” promosso dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (poesia inedita); nello stesso anno pubblicato sulla rivista “Poeti e Poesia” (n°42). 2018 e 2019: tra i finalisti di “poesia a Napoli – II e III edizione” (Guida); 2019: riconoscimento al Premio “Città di Conza” (poesia inedita). Ho frequentato il teatro amatoriale, per alcuni anni ho curato una trasmissione radio su musica, cinema, letteratura. Vivo a Napoli. Nel 2021 è uscito “Nuova Canzone Felice”, editore Marco Saya con prefazione di Enzo Rega. Nell’estate 2024 alcuni inediti sono usciti in traduzione a cura di Mila Mihajlovic sulla rivista serba “Matica Srpska” e sul quotidiano nazionale Novosti. I testi qui offerti sono inediti e non sistematizzati in un’opera che tuttavia è in cantiere sin dal 2018.

*
Nota di Lettura

La scrittura di Marco Melillo si sviluppa nel segno della complessità, a partire dalla sua Nota di poetica, In particolare nel rapporto tra poesia e vita. L’autore mette in luce la contrapposizione tra l’eternità della poesia con il suo linguaggio cangiante e il problema della contemporaneità: la poesia ha sempre dovuto fronteggiare le cose inessenziali della vita per poter emergere in modo più potente ed efficace. Una contraddizione esiste anche tra certezza di esistere e pratica del dubbio. Così questi inediti si muovono tra attenzione alla scoperta e esperienza del mondo: “la poesia nasce da interrogativi più che da certezze”.
Gli inediti di Melillo sono orchestrati attorno a visioni che riguardano non il Soggetto come ente isolato, ma una umanità in transito: “Esco in silenzio/ come la creatura di polvere/ che scappa lungo le strade/ perché come lei lascio andare/ ma scivola dietro la tempia un fratello/ una sorella simile a lui sopravvive/ allo scandalo quasi invisibile/ di questa lunga città tutta periferia.” È una condizione esistenziale per la quale gli aspetti onirici sono rivelatori dello spietato svolgersi del tempo, dei limiti della conoscenza e, però, anche di una consapevolezza che si rivela nonostante tutto: “[…]/ Nessuno sa o tutti sanno/ che vivere è un sogno bendato/ di cui ci si fida svegliandosi/ tenendo a bada la propria amarezza.”.
La caratteristica della complessità si articola anche nello svolgersi della scrittura, là dove si possono trovare sia un andamento più lineare e descrittivo che sviluppi imprevisti, spostamenti sul percorso dal punto di vista logico sintattico: “La mente non legge mai/ chi per troppo rumore somiglia/ alle stesse parole, le stesse mani/ violente sul banco della giovinezza/ esaltato nel giro di un giorno/ ma qualche ora dopo finito/ per troppa prudenza.” Oppure passaggi tra elementi del quotidiano e metafore che ne derivano: “È il dispiacere che si sta facendo/ le ossa, che cresce sano. Presto/ avrà nuovi alimenti e una dieta/ appropriata all’età che non vuole/ consigli e non guarda allo specchio/ proprio come noi col passato/ talvolta, sempre che l’ospite/ vi si riveda.” Ma anche, come in conclusione della stessa poesia, chiuse che aprono a nuove interpretazioni con scarti di senso: “La nota spese è sul tavolo, amore,/ paga della solitudine la lontananza.”
Si tratta di una scrittura che vive di dubbi e nel dubbio si sviluppa, come affermato esplicitamente dall’autore nella sua Nota: “dubitando al contempo di sé e del mondo con la stanchezza ma anche la gioia che ciò inevitabilmente produce”. Ricorrendo sia a domande esplicite (“Ma si può vivere senza?”) che sviluppando implicitamente interrogativi esistenziali e metafisici di vasta portata, “per rovistare nel vecchio segreto/ che simula gli anni ad ognuno/ a ciascuno nasconde lo scopo/ del vivere come non fossimo soli.”, cercando di penetrare “nel pieno mistero del gioco/ che fa questo ciclo infinito/ di stelle nascoste nel petto.” In questa ricerca, in questo interrogare e interrogarsi sta la ragione profonda (e il fascino) di questi inediti.

Luigi Cannillo

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