Eric Hobsbawn – Con Marx e oltre il marxismo

Pubblicato il 29 novembre 2011 su Saggi Società da Adam Vaccaro

Eric Hobsbawn, How to Change the World –

Con Marx e oltre il marxismo

di Laura Cantelmo

Una storia delle sue applicazioni e di come nel socialismo reale si elaborò quella teoria dello stato che Marx e il suo sodale Engels non portarono mai a compimento. L’enorme influsso sulla cultura e sulla teoria politica del XX secolo ne  rendono imprescindibili la conoscenza, l’approfondimento e  il suo riconoscimento come formidabile metodo di analisi della società capitalistica  e delle sue crisi.

Il “racconto” dell’evoluzione della teoria marxiana e l’individuazione dell’umanesimo insito in essa. La sua attualità è dimostrata dall’attenzione ad essa rivolta dagli economisti di scuola liberista. Una storia delle sue applicazioni e di come nel socialismo reale si elaborò quella teoria dello stato che Marx e il suo sodale Engels non  portarono mai a compimento. L’enorme influsso sulla cultura e sulla teoria politica del XX secolo ne rendono imprescindibili la conoscenza, l’approfondimento e il suo riconoscimento come formidabile metodo di analisi della società capitalistica e delle sue crisi.

Marx: un fantasma che si aggira per il mondo e di cui il mondo non riesce a liberarsi. In tempi di anti-comunismo, di demonizzazione indiscriminata di quanto il comunismo reale ha prodotto, potrà  forse sorprendere che le opere marxiane non siano mai veramente finite “in soffitta”, come polemicamente affermava Bordiga.


Il lavoro di Hobsbawn vuole essere un racconto più che una trattazione accademica o un manuale operativo per militanti.

Un racconto inevitabilmente serio, ma dal tono discorsivo, che ripercorre  lo sviluppo della teoria marxiana e poi del marxismo documentando a partire dagli scritti giovanili la pervasività del pensatore Marx in tutta la cultura, la letteratura, le scienze umane. Una storia che chi ha avuto a che fare, fosse solo a livello superficiale, con i movimenti del XIX secolo, conosce per averla vissuta, amata e talvolta ripudiata. Grazie a questo saggio Hobsbawn ricorda a ragione  a chi se ne è dimenticato, a chi ripete giudizi sommari, che in Marx si trova una autentica forma di umanesimo, essendo l’uomo considerato nella sua interezza, nella sua relazione con il mondo e con la natura: semplice eppure ineludibile osservazione che rende quel pensiero quanto mai moderno e “necessario”pur riconoscendone gli aspetti insufficienti e obsoleti.

La caratteristica dell’opera marxiana, ciò che la rende più sorprendente per l’Autore, è la sua natura di work in progress, sulla base del quale hanno lavorato i cosiddetti epigoni, Kautsky, Bernstein, Lenin, Plekhanov  e via dicendo. Ciascuno a proprio modo, questi e gli altri che seguirono, hanno piegato, forzato quella teoria adattandola alla situazione storica, ai propri piani e alle proprie  esigenze e a quelli di coloro che li seguivano. Fin dall’uscita del Manifesto del 1848, la  presenza di Marx si è fatta sempre più importante grazie alla profonda analisi del sistema capitalista su cui è incentrata la sua opera. Ed è a questa che, volenti o nolenti, molti economisti e teorici fanno ancora riferimento. Paradossalmente, chi  ancora vuole  capire la natura del capitalismo, delle sue fortune e delle sue crisi, trova in Marx un preziosissimo strumento di analisi.

Il saggio di Hobsbawn raccoglie molti degli scritti da lui pubblicati nel corso del tempo su Marx e il marxismo e, in misura ridotta, su Engels, seguendone tutto il percorso a partire dalle opere giovanili  fino all’ardua lettura dei Grundrisse, la raccolta di appunti propedeutica alla definizione delle opere della maturità.Cronologicamente antecedenti, ma a lungo trascurati anche per la difficoltà di decodificazione di una scrittura abbreviata poiché riservata a un utilizzo personale del filosofo, i Grundrisse sono stati pubblicati in tempi relativamente recenti (Berlino, 1953) rivelandosi imprescindibili per i nuovi preziosi elementi di interpretazione dell’intero canone marxiano.

Il tema  annunciato da Hobsbawn nel titolo – Come cambiare il mondo – pone l’accento sulla novità insita nella filosofia marxiana, quella di non rappresentare una semplice interpretazione del mondo, bensì un punto di partenza teorico per modificarne le basi socio-economiche in vista di un nuovo rapporto tra gli uomini all’interno di una società che ne rispetti il fondamentale diritto all’eguaglianza e il legame con la natura. E di conseguenza viene evidenziata anche l’operazione di lettura e di “estensione” del pensiero dei due filosofi operata da coloro che ne hanno fatto i fondamenti di una nuova teoria della società e dello stato.

La scrittura di Hobsbawn mantiene il tono narrativo annunciato nel sottotitolo (tales, racconti), evitando tortuosità e bizantinismi, con uno stile limpido e armonioso che ben si addice a un’opera  dotta e al contempo divulgativa, frutto di una lunga consuetudine con il pensiero di Marx. Sicché coloro che quel pensiero non hanno frequentato se non parzialmente, in un passato di studio o di militanza, apprendono con quale profondità il filosofo tedesco e il suo sodale Engels abbiano studiato  le fasi della storia della civiltà umana, pur con alcune omissioni relativamente a quello che oggi chiameremmo “terzo mondo”. E quanto uno studio siffatto abbia influito sullo sviluppo del loro pensiero appare evidente: la centralità dell’uomo, il rispetto per la sua dignità smentiscono clamorosamente la vulgata che vuole il pensiero marxiano confinato entro un arido economicismo. Sia Marx che Engels hanno inteso conoscere a fondo i meccanismi della storia umana per giungere all’elaborazione di una teoria che potesse cambiarli.

La formazione  e i campi di indagine dei due filosofi offrono indubbiamente un quadro di grande spessore culturale. Non solo la filosofia idealista di impronta hegeliana sta alla base della visione dialettica di Marx, bensì una ricerca storico/antropologica sull’evoluzione dell’uomo come animale sociale che opera – “lavora” – entro l’ambiente naturale e che con la divisione del lavoro nel  sistema capitalista, viene ridotto unicamente a forza-lavoro, quindi a semplice merce, subendo una sorta di grave disumanizzazione e di separazione dalla natura stessa.

Inizialmente democratici, i due filosofi divennero comunisti poco prima della pubblicazione delManifesto del 1848  e parvero all’inizio abbastanza cauti nell’identificazione con la Lega dei Giusti, poi divenuta Lega dei Comunisti, che attraeva molti lavoratori  già dagli anni trenta dell’Ottocento. Dopo la delusione del 1830, l’attenzione verso il proletariato fluttuava fin dagli anni ’40 nella società, esprimendosi nella letteratura borghese di ispirazione sociale (Zola, i Goncourt, perfino il monarchico Balzac), nei fermenti sociali. Attenzione a cui Marx ed Engels non poterono  sottrarsi, considerati i problemi dei lavoratori sorti con la Rivoluzione industriale. Inoltre il disagio prodotto dalla divisione del lavoro e l’esigenza di cambiare la condizione della donna in termini di emancipazione e di liberazione sessuale, ad esempio, furono in parte suggeriti da un socialista utopista molto apprezzato da Engels, il rousseauiano Charles Fourier. Così come gli apporti più interessanti alla elaborazione di un’idea socialista, secondo Hobsbawn, venne dai Fabiani inglesi, dall’analisi del “comunista” Owen, dai Cartisti, dal pensiero anarchico.

Non esistono epigoni corretti o scorretti del  pensiero marxiano, esistono interpreti, poiché, questo sì, i due filosofi, teorizzando intorno alla costruzione del socialismo non arrivarono ad elaborare una dottrina dello stato. A ciò si dedicarono coloro che arrivarono a dar forma al sogno socialista, restando poi invischiati in tutte quelle difficoltà che non staremo qui a giudicare né ad analizzare, ma che col tempo resero alla fine asfittico quel progetto. Separare Marx da Lenin, da Stalin  e dagli altri che come loro affrontarono la sfida è indispensabile per distinguere il nucleo teorico dalla effettiva costruzione di una nuova società su basi socialiste.

Il dibattito su Marx che appassionò ed impegnò gran parte del secolo scorso portò a distinguere tra realtà sociali e forme di stato che i due filosofi non avevano prefigurato, fino a  produrre lacerazioni all’interno dei movimenti  a loro ispirati. La riflessione e lo scontro teorico si dispersero spesso nell’astrazione di definizioni come quelle di stati rivoluzionari e non, sulla socialdemocrazia contrapposta alla rivoluzione – avente come incontrastato modello l’URSS – oppure intorno a categorie come il revisionismo e l’imperialismo.

Il terzomondismo, l’interesse per i paesi che al tempo di Marx ed Engels rientravano ancora negli imperi coloniali, non sfiorò neppure i due filosofi. Eppure anche in quest’ultimo caso non è stato possibile agli epigoni prescindere dalla riflessione  marxiana.

In modo che oggi può sembrare singolare, durante l’Età della Catastrofe, quella che vide tra il 1914 e il 1940 il crollo del capitalismo ottocentesco, parve a molti che il sistema capitalista non riuscisse a riprendersi, mentre in URSS il socialismo appariva produttivo e ben saldo, almeno fino agli anni sessanta.

Come sappiamo,  il capitalismo ha invece dimostrato la capacità di recuperare in modo nuovo e con rinnovata vitalità il terreno perduto, come previsto dai due filosofi, i cui studi si concentrarono   sostanzialmente, specie per  Marx, sull’analisi della nascita della classe borghese e del capitale nel Medio Evo in Occidente.

Il tema della sovrapproduzione come fattore di crisi causato dai ritmi di lavoro, che porta ai conflitti sociali all’interno del sistema capitalista rimane un caposaldo nelle discussioni sulla realizzabilità del socialismo, tenuto conto che per Marx il punto di partenza era l’appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori in seguito alla nazionalizzazione delle industrie e il recupero del proprio rapporto con la natura e con gli altri uomini.

A questo punto certamente non sorprenderà nessuno, se non pochi outsiders, l’evidente fatto che il pensiero di Marx torni utile proprio ai suoi nemici, i capitalisti, in quanto studioso delle dinamiche del sistema  e della sua crescita che  genera contraddizioni e conseguenti fasi critiche come quella attuale. E che comunque egli avrebbe lucidamente individuato l’incapacità della piccola borghesia di trovare una propria rappresentanza, se non in termini autoritari e finanche il destino globale del capitalismo, vale a dire la sua insostenibilità economica e ambientale che ne costituiscono il tallone di Achille.

La centralità della “politica” e del consenso, occupano gran parte del racconto marxiano contenuto in questo volume. Ed è intorno a queste categorie che si sviluppano i capitoli su Gramsci, la cui statura di pensatore di straordinaria originalità viene  riconosciuta da Hobsbawn con una attenta valutazione dei suoi scritti e dell’orma profonda da lui impressa sulla storia del pensiero marxista. Si comprende così come Gramsci goda di grandissima considerazione fuori d’Italia, segnatamente nei paesi anglo-sassoni. Nel pensiero gramsciano sono la centralità della “politica”, l’importanza dell’egemonia nell’organizzazione del partito dei lavoratori e in particolare la nuova identità  dell’intellettuale e il suo ruolo “organico” a mostrarsi efficaci nella costruzione  del partito dei lavoratori.

Per l’applicabilità concreta si dovette aspettare che Enrico Barone nel 1908 elaborasse la prima teoria dell’economia centralizzata e che la Russia realizzasse in modo abbastanza improvvisato la propria economia pianificata sul modello dell’economia di guerra adottata nel primo conflitto mondiale e basata su una rapida industrializzazione.

Che fosse proprio la Russia, con il suo sistema feudale organizzato intorno alla piccola comunità agraria di villaggio, ad attuare per prima un sistema socialista avrebbe sorpreso non poco Marx ed Engels, che nutrivano speranze perché ciò avvenisse in paesi evoluti come la Germania e l’Inghilterra dove si era già  affermata la rivoluzione industriale.

L’elaborazione staliniana ha fatto sì che si parlasse di Marx in modo inappropriato su temi che egli non aveva affrontato, perché forse non era arrivato ad immaginarne la portata dell’impatto futuro.

Ciò che per Hobsbawn oggi resta valido del pensiero di Marx sono l’analisi della “irresistibile” dinamica del capitalismo e quella della sua crescita che genera “contraddizioni”  che oggi, in epoca di devastazione globale nel dominio supremo del mercato, ci fanno capire come il capitalismo non sia la risposta, bensì il vero problema.

“Non esiste alternativa alle categorie di Marx per comprendere la storia” affermò Sir John Hicks, Premio Nobel per l’economia nel 1972. Molti ancor oggi gli danno ragione.

Ma come cambiare il mondo? La domanda continua a tormentarci… Se è vero che non si riesce a intravedere una alternativa al sistema attuale, al contempo si ha la sensazione che non si sia lontani da una sua implosione, da cui ancora non sappiamo quale potrà essere la via d’uscita.

E neppure l’entusiasmo di Hobsbawn arriva ad azzardare una risposta soddisfacente, proprio perché la teoria marxiana va considerata un metodo e non propriamente un pensiero compiuto. La cui indiscussa vitalità è comunque confermata in questo omaggio a lui reso dallo storico inglese.

Da http://www.overleft.it/eric-hobsbawn-how-to-change-the-world.html

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