Nascita e cura della parola poetica
Ricerca delle articolazioni e dei suoi sensi biologici e sociali
Adam Vaccaro
Paolo Gera, Ricerche poetiche, puntoacapo Ed, 2021
“m m/ m m m/ ma ma/ ma ma ma ma ma/ smarrita// p p/ p p p p/ pa pa/ pa pa pa pa/ paura// t t/ t t t t/ te te/ te te te te/ terra// l l/ l l l l / la la la la la/ luce” (p.7). Pelurie verbali e balbettii, cui seguono alla pagina successiva: “sora paura/ si’ oscura/ allumini esta selva/ morte luce/ via terra/ vita porta significatione/ mi ritrovai sole”
Sono le prime due pagine vergate, dal titolo PRIME PAROLE, di questo libro straordinario, che ci invita a scuotere il cumulo non più rigenerante e ricreante, ma soffocante, di parole in cui siamo immersi, per ritrovare radici di senso di una antropologia che vi annaspa come un patetico apprendista nuotatore – che alla fine affonda in onde che dovrebbero essere spinte di ricchezza di attesi viaggi e canoscenza. Perché?
Perché abbiamo perso segreti e leggi che abbracciano l’umano e l’ambiente mutevole, arcigno e dolce, in cui da millenni vive, elaborando saperi e poesia, connessi, non ai deliranti circuiti tecnologici dell’universo internet, ma alle esigenze di un umano che sentiamo sempre in noi, eppure sfuggente come un fantasma. Talché ne scaturiscono testi in apparente contraddizione in termini di RIFIUTI DI SCRIVERE (titolo della seconda sezione, pp.10-46).
Paolo Gera lo sintetizza genialmente con la citazione in esergo di Vandana Shiva:
“la legge del ritorno si fonda sulla restituzione alla natura e alla società di ciò che da esse riceviamo. Howard applicò la sua preparazione scientifica allo studio dell’ecologia del suolo, fondandola sulla pratica della legge del ritorno, e sviluppò il famoso metodo del composting noto come ‘INDORE’”.
Il lavoro verbale di Paolo Gera non ha fatto di questa citazione un binario ideologico supponente, ma lo ha trasposto e trasmutato nel campo del linguaggio e della propria tensione poetica.
L’unico modo atto ad evitare esercitazioni solo retoriche, che lasciano immutato il campo dei problemi irrisolti, è partire da una prassi concreta. Per cui qui il campo non è metaforico, ma della propria esperienza fattiva e sensoriale: “un povero campo…dove mio padre piantava patate”, di fianco a “un ruscello…chiamato Rio Ravàn”.
E fu qui che “Il 20 giugno 2020…ho dato vita a un happening dal titolo Rifiuti di scrivere, ispirato all’indore, un metodo di compostaggio ecosostenibile inventato nel secolo scorso dall’agronomo Albert Howard, dopo aver a lungo osservato contadini indiani”.
Cosi, prosegue Gera, “ho preparato dei fogli con scrittura manuale alternata a quella digitale, li ho posati delicatamente sul terreno familiare e per favorire l’opera di deterioramento vi ho pisciato sopra copiosamente, davanti a un gruppo sparuto di amici incuriositi e di parenti costernati”. Irrisione di una falsa sacralità che riporta la scrittura a materia biologica, al pari di ogni altra componente della vita. Deflagrazione e moltiplicazione di sensi, rispetto a ridicole chiusure di mondi a parte in giardini parnassiani; “Gli indore erano 10 e dopo vari mesi di pazienza…sono tornato a vedere quali compost verbali avessero rilasciato”. Il testo è integrato con qualche foto di tale operazione demistificante, dopo di che seguono reperti verbali connessi a tali indore, e successivi compost, intesi a “ripulire a fondo la logosfera” delle “galassie Gutenberg e Zuckerberg di nuove parole inutili”, con l’imperativo categorico: “inauguriamo una nuova poesia circolare”, nel sogno di replicare con le parole la sapienza di “milioni di contadini indiani”.
10 indore e compost costituiscono così questa sezione, fatti di frasi che congiungono e inanellano frammenti distanti e al tempo stesso adiacenti in questa nostra unica vita. Ne scaturiscono lampi che moltiplicano e annullano i sensi decotti, in ossimori su cui fiorisce il senso umano cercato.
Indore 1(pp. 16-17): “Ha il viso rivolto al passato…catena di eventi…una sola catastrofe…Ma una tempesta spira dal paradiso… impigliata nelle sue ali, ed è così forte che…Questa tempesta lo spinge al futuro…Ciò che chiamiamo progresso è questa tempesta”; “343 le persone morte nel mediterraneo nel 2019”; “Ma quella volta che l’onda mi sommerse…compresi il significato profondo del battesimo…mia nuova fibra”;
“E come quel che con lena affannata, uscito fuor dal pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata”, luce di Dante, che fa splendere il comandamento etico ed epico; “Firmiamo per il cambiamento di rotta…per un futuro sicuro”.
Indore 2 (p.19-20): “Fa il tuo cammino a piedi e in bici”; “decreto-legge 23 febbraio 2020…allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19; “scoprì la magia del cammino…sino a Santiago de Compostela”.
Compost 2 (p.21: “Pianifica il mio bambino per 18 anni…divieto di cammino, divieto di sole, misure di contenimento del pisciare e cambiare”
Indore 3 (pp.22-23): “Fate l’amore con il sapore. Il sapore amaro della sconfitta…Hai il privilegio di fare l’esperienza del sommo piacere e del sommo dolore”;
“Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente”.
Compost 3 (p.24): “Per me si va nella sperimentazione…da interventi chirurgici…L’amore in forma, stremato, spinge”.
È un continuo gioco libero di alternanze e polarità contrapposte, di memorie, esperienza e decenza del fare, congiunte nella docenza delle sommità dantesche.
Indore 4 (pp.25-26): “Tutti i bambini sono nati atei; essi non hanno alcuna idea di Dio”; “Sarahah è un servizio di social networking saudita” che “In arabo…significa ‘franchezza’ o ‘onestà’…per ricevere messaggi e insulti anonimi dagli amici e i colleghi”; “Siamo…in questo limbo ormai c’è un sovrappopolamento”; “Il curatore è Dio, io sono la bestia mansueta”; “la religione organizzata distrugge chi siamo…per paura di una figura paterna, che ci punta il dito da migliaia di anni e dice: – Fallo! Fallo! Cazzo, ti spacco in due!”
Indore 6 (pp.31-32): “Odore di kebab, di gelato, di pesce fresco, di pesto, di pizza, di frittura, di McDonald, di trippa, di curry, di croccante, di pesce meno fresco, di minestrone”
Compost 3 (p.33): “Oh stagioni, oh McDonald’s, costellazioni si spostano verso il mercato…Cucina il cielo, cucina la morte, pioggia materia, pioggia sole, pioggia, come tu dici, non serve più rivoluzione”
Meravigliose sequenze che esemplificano la necessità di ingoiare e vomitare (come diceva Di Ruscio) l’intruglio del capitalismo globalizzato, se si vuole essere capaci di rovesciare sul tavolo del mondo un gesto di rigetto e di pensiero critico, non addomesticato dalle illusorie libertà narrate,
Indore 9 (pp.40-41): il Coronavirus passerà, ma sicuramente questi momenti resteranno indelebili nella memoria di tutti”; “la pubblicità che esprime una vita pre-pandemia può suscitare un effetto straniante…il virus c’è…i numeri aumentano… per cui mi spiego la paura”
“Volgiti ‘n dietro e tien lo viso chiuso; ché se ‘il Gorgon si mostrasse e ‘l vedessi, nulla sarebbe di tornar mai suso”
Compost 10 (p.45): “Pace scandalosa, vive ancora contraria”
Segue la terza sezione, che con RICERCHE POETICHE, l’Autore cerca di articolare forme di nuova poesia, a cominciare da una decisa dichiarazione:
1 – “è mia ferma intenzione scrivere una poesia/ è il primo verso di una poesia/ che si pone domande su cosa significhi scrivere una poesia”. Ma per i risultati, alla poesia non basta la volontà, anche se la sua ardua e proteiforme comanda si concede anche a un “epigono di una delle tante correnti avanguardistiche/ del Ventesimo secolo/ o della successiva non identificabile diaspora del Ventunesimo”: “è mia precisa intenzione scrivere una poesia/ sui calli sulle calli sulle calle sulle colle sulle culle sulle celle”, e soprattutto sulle cille; cilla? Cos’è? “cilla e altre parole… del cadavere squisito” (p. 49);
2 – No, non basta la precisa intenzione: “La cosa complicata è là al centro come sempre” (p. 50);
Perché alla difficolta cosciente di dire qualcosa nella forma che possa dirsi poesia, non in un astratto cielo ma qui e ora, nella contemporanea cloaca-mondo e nel suo pozzo da cui cerchiamo di uscire a riveder le stelle. Perché il suo arduo mistero fiorisce nella totalità del Soggetto Scrivente, di cui l’Io e la sua volontà sono solo parte, di “questo shangai poesia”. (p. 51).
Paolo Gera ha la capacità di trasmettere tale complessità con leggerezza di “gioco” di “questa poesia”, che però non diventa mai jeux de mots, autoreferenziale, nel suo periglioso gioco che ritrova il canto e può dire:
4 – “Va’, poesia muta,/ sullo scarabeo caotico del mondo/ prova a mettere insieme parole di senso compiuto/…/ Sorda poesia, per tua natura, non ti curerai di vocali assordanti” (p. 53). Ne consegue:
5 – “ti dovrò stare lontano quando ti starò vicino” (p. 55), felice sintesi di ciò che chiamo Adiacenza, come capacità di mettere a fuoco la cosa molteplice esterna-interna, cui dà forma e di cui è un esempio:
6 – “E l’intrico degli alberi mi avvolse”, “Nel giusto centro dell’umano viaggio”, “Da nascita e da morte a ugual distanza/ sotto un’arborea volta fitta e scura,/ la strada nota persa in lontananza”; splendida poesia ritrovata come voce profonda e totale del Sé, che dice:
7 – “Per certi versi ti sento più forte di me” (p. 59).
8 – “questa poesia non segue nessuna ispirazione se non quella di voler essere una poesia” (p. 61).
13 – “provo a raccogliermi” (p. 67).
15 – “poesia sii mondo e non specchio”; “togli la sicura, la maschera, il ruolo, il come sei detto da tutti, il sulle labbra, il cv, la scheda wikipedia”; “non questi nati saputi, digitali puntuti, svergognati”; “poesia togli dalle scatole i fiocchi e i sottofondi”.
19 – “gli occhi alzati verso l’orizzonte cercando le guardie sovrane da ammazzare. La speranza” (p.82).
20 – “Che cosa vuol dire sapere che cos’è una poesia? Che cosa vuol dire saperlo e non essere in grado di dirlo?” (p.84).
Questo libro nel suo originalissimo percorso risponde a questa fondante domanda, di chiunque senta la voce indefinibile che chiamiamo poesia, trasmettendoci la cura interminabile che richiede, senza la quale rimane lettera morta sulla carta, priva di quell’urlo generato dalla carne, dalla totalità del corpomente, suo utero androgino mai perso e preso interamente.
L’ultima sezione, CONCETTI VERBALI, chiude il libro, entro questa tensione che rimane splendore di perfezione, al tempo stesso adiacente e fonte di un’altra voce, profondamente nostra e sconosciuta, paradosso vivente di soluzione mai risolta interamente, come le dita prossime ma separate, eternate nella Cappella Sistina dal genio di Michelangelo. Questo libro di Paolo Gera ci trasmette tale tensione alla bellezza e al sacro, che riguarda credenti e non credenti, e senza la quale la poesia rimane “un apostrofo roso” (p. 87), non diventa vita. Non posso perciò che condividere la chiusa della lettera in postfazione di Anna Maria Farabbi: “Questa tua opera è un dono: un cantocontrocorrente. Grazie”.
31 marzo 2024
Adam Vaccaro
Caro Adam, sento il bisogno di esprimere il mio intero apprezzamento verso la sperimentazione (absit iniuria verbo) di Gera e verso la tua modalità di leggere gli esiti del suo itinerario trascritto “dal vivo”: entrambi al servizio della scrittura che tocca e interroga.
Grazie
l. a.
Caro Lino, è un bellissimo regalo di condivisione il tuo, che vorrei fosse conosciuto anche da Paolo, e arrivasse anche ai lettori. Se riesci a inserirlo nel post del sito è in fb, sarebbe prezioso, e se hai problemi tecnici, dimmi come ovviare.
Grato e un abbraccio
Adam
Lino Angiuli ha sempre dato spazio all’analisi delle mie opere su “Incroci”. La “scrittura che tocca e interroga” fa parte del suo modus operandi di poeta ed anche ” l’articolazioni dei sensi biologici e sociali”, come dici tu. La sua sperimentazione e la tua non sono avulse dal mondo, ma sono uno strumento più sottile per interrogarne i fatti e i misfatti.Al problema della manipolazione del linguaggio massmediatico e delle sue menzogne,occorre rispondere con una poesia che non sia terreno neutro, ma un campo ideologico e linguistico su cui affermare visioni della storia e del presente che possano contrastare l’imperante Discorso Unico.
Anche su questo blog, come ho già fatto nelle varie diramazioni fb, ringrazio Adam Vaccaro per un’analisi tanto approfondita e lucida della mia opera. È un dialogo costruttivo, che continuerà sicuramente in futuro e che spero possa allargarsi ad altri scrittori interessati alla ricerca poetica e al suo uso come arma di resistenza ideologica nel nostro difficilissimo presente.
Interessanti riflessioni sullo scrivere versi. Vi si individua un invito, o una necessità, al ritorno verso una scrittura collegata con il reale, quello materiale, alla concretezza del corpo, di fronte all’uso e al disprezzo di esso, cui assistiamo oggi. E anche un richiamo a una ricerca “ecologica” e una provocazione che stimola risposte sull’attività dello scrivere poesia, troppo spesso divenuta un gioco oscuro autocompiaciuto. Se ho ben capito…
Grazie, Laura, hai capito benissimo. Riprendendo la lezione di Wittgenstein la poesia è un gioco linguistico, non l’ispirazione sacra della Musa. In questo gioco però si materializzano, attraverso le parole, i retaggi del potere e la resistenza tenace di chi si oppone. I contenuti di resistenza devono trovare forme di espressione non controllabili e se possibile deflagranti.
Ringrazio i vari riscontri, in primo luogo di Paolo Gera per la conferma di condivisione data alla mia lettura critica, sia di Lino e Laura per i loro utili comnmenti.
Aggiungo solo che con Paolo si è avviata, già col mio “Google” e ora con questo suo libro, una somma di “adiacenti” scambi, con consonanze importanti quanto a visione generale socioculturale e alla connessa concezione della scrittutra poetica. Per cui il dialogo continerà, e confidiamo possa produrre risulttati significativi anche per altri.