Anticipazioni
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Progetto a cura di Adam Vaccaro, Luigi Cannillo e Laura Cantelmo – Redazione di Milanocosa
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Giuseppe Langella
Inediti
Trittico della speranza
Con nota di lettura di Luigi Cannillo
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Nota di poetica
Dopo Pandemie e altre poesie civili (Mursia 2022), sto lavorando a un nuovo libro, velatamente religioso, che s’intitolerà La messa del lunedì. L’intento è quello di portare il sacro nel quotidiano, prendendo molto sul serio le parole di commiato che il celebrante pronuncia al termine della liturgia eucaristica: nel lapidario “Ite, missa est” del latino ecclesiastico (malamente reso con “La messa è finita, andate in pace”) è implicita, infatti, l’idea della missio. Andare a messa, la domenica, non vuol dire perciò, banalmente, assolvere a un precetto, qualcosa come timbrare un cartellino. La partecipazione al rito comporta, invece, l’assunzione di un mandato. La messa non termina quando il sacerdote lascia l’altare e i fedeli escono di chiesa, ma si prolunga nella vita di ogni giorno. In quell’ite è riposta un’esortazione impegnativa a portare lo spirito e i frutti della messa, il nutrimento del Pane e della Parola, nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, nella dimensione feriale delle nostre scelte, dei nostri atti e dei nostri rapporti.
L’adozione di questa prospettiva risveglia, nei tre testi che seguono, una facoltà poetica di attenzione e di sguardo capace di ravvisare, anche in piccoli episodi o gesti o scorci o dettagli, tracce di bene e di speranza, segni, spesso inconsapevoli, di vangelo incarnato. Si afferma, così, un punto di vista per certi versi complementare rispetto a quello del libro precedente, dove prevalevano motivi d’indignazione e di sconforto e i riferimenti religiosi entravano più che altro in un’ottica agonica di morte e di sconfitta. Con l’opera in cantiere, ferma restando l’applicazione della poetica e della grammatica del Realismo Terminale, si passerà dalla passio alla missio.
Giuseppe Langella
Alpeggio
Proprio nessuno, né fuori né dentro;
solo dei panni stesi ad asciugare.
Saranno scesi, forse, giù in paese
per qualche urgenza o qualche loro affare.
Trovo scritto, però, con la vernice,
Benvenuti a Gembrè su un grosso masso.
Mi sento felice e rallento il passo.
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Concerto inatteso
In cima a una montagna di sfasciumi
risuonano a sorpresa i primi squilli
di un corno da caccia. Cala un silenzio
di chiesa, noi intorno come birilli.
Spalle alla vetta, ripete più volte
il motivo alla valle, senza fretta.
Puro s’innalza l’inno solitario.
L’atto più inutile è il più necessario.
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Undicesimo comandamento: non disperare
La vita ogni giorno è un campo minato:
un passo sbagliato e salti per aria.
Nessuno fa niente per niente. Eppure
qua e là nasconde tesori la gente.
La Terra è una malata terminale
avvolta in uno scialle di veleni;
piena di falle, languente, stremata
dal nostro baccanale senza freni.
Ma dura ancora e un ciuffo d’erba spunta
spavaldo da una giunta dell’asfalto.
Somiglia il mondo ad una polveriera,
che basta una scintilla, esplode tutto.
Ogni guerra è una frode e una rapina:
lutto e rovina rovescia a raggiera.
Se il cielo brilla, tuttavia, e a sera
il mare è in pace, bel tempo si spera.
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Scheda bio-bigliografica
Giuseppe Langella è nato a Loreto (Ancona) nel 1952 e vive a Milano. Ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università Cattolica ed è Presidente della “Società italiana per lo studio della modernità letteraria”. Come poeta ha esordito con Giorno e notte. Piccolo cantico d’amore (San Marco dei Giustiniani, 2003), cui han fatto seguito Il moto perpetuo (Aragno, 2008 – Premio Metauro), La bottega dei cammei (Interlinea, 2013 – Premio Casentino), Reliquiario della grande tribolazione, ispirato al calvario della ‘guerra bianca’ (Interlinea, 2015 – Premio Alpi Apuane), e, recentissimo, Pandemie e altre poesie civili (Mursia, 2022). Ha aderito al movimento del “Realismo terminale” fondato da Guido Oldani. A Ponte di Legno, “paese della poesia”, gli è stato dedicato un totem con incisa la sua lirica All’Oglio dove nasce. Suoi testi poetici sono comparsi in diverse riviste, tra cui «Poesia», «Incroci», «Soglie», «PoliScritture», «Euterpe», «Capoverso», «La Terrazza», «Bezkres», «Studi Medievali e Moderni», «Poeti e Poesia», «Noria», «Mosaico Italiano», nonché in siti dedicati, come «Ossigeno nascente», in antologie tematiche e in rassegne di festival di poesia.
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Nota di lettura
Il prossimo libro di Giuseppe Langella, da cui sono tratti gli inediti, nasce dal progetto di “portare il sacro nel quotidiano” a partire dalla formula di commiato del celebrante: “Ite, missa est”. In realtà queste parole non concludono il rito ma lo rilanciano e sviluppano nella assunzione di un compito. La missione si espande nella vita e nei luoghi del quotidiano, alla ricerca di “tracce di bene e di speranza”: il Vangelo si incarna in segni, anche inconsapevoli, che richiedono la nostra attenzione. Si tratta delle piccole gioie che per esempio si possono presentare, in occasione dell’alpeggio, nelle scritte di benvenuto su un grosso masso davanti al quale l’escursionista fa una pausa: “Mi sento felice e rallento il passo.” Oppure il concerto inatteso degli squilli di un corno da caccia: “Puro s’innalza l’inno solitario./ L’atto più inutile e più necessario.”
Nei versi di Langella si fa strada “senza fretta” il motivo dello stupore e della meraviglia rispetto all’Inatteso che proviene dal percepire le manifestazioni dei fenomeni più semplici, nei primi due testi collegati alla maestosità delle montagne, alle passeggiate nella natura nelle quali l’ambiente e il paesaggio sono espressione del soprannaturale e del rituale, magari ergendosi sopra “una montagna di sfasciumi” sugli affari del quotidiano. La Terra è sfruttata e distrutta dalla insensibilità e dagli interessi economici di chi dovrebbe preservarla come un bene prezioso. Eppure nonostante l’analisi cruda e realistica la poesia di Langella mantiene accesa una fiammella, una forma di fede, nel richiamo a non disperare come undicesimo comandamento. E anche in questo caso a cogliere i segni della resistenza di forme di vita anche fragili ma indomite: “un ciuffo d’erba spunta/ spavaldo da una giunta dell’asfalto”. Non senza alternare nel finale l’incanto serale con un fondo di disincanto: “Se il cielo brilla, tuttavia, e a sera/ il mare è in pace, bel tempo si spera.”
Rispetto agli intenti esplicitati dall’autore nella sua Nota di poetica. il progetto del nuovo libro conferma quindi un intento di ascolto e di attrazione verso forme di Bellezza e di manifestazione dello Spirito in tracce di speranza. Ma vi affianca anche la denuncia e l’indignazione nei confronti della distruzione dell’armonia del Creato e delle responsabilità umane e sociali. Anche per questo, come conclude il poeta nella nota, sempre nell’ambito della sua adesione al movimento del Realismo terminale, “si passerà dalla passio alla missio”.
Luigi Cannillo