POESIA E CRITICA
Giuliana Lucchini
Si fa tanto un parlare di critica e di poesia in questo periodo, che induce una riflessione (peraltro sollecitata).
In questo mondo affollato e cresciuto culturalmente, è ovvio, oggi si scrive più che in ogni altra epoca. Soprattutto poesia. Ramo fiorente della letteratura, a giudicare dalla quantità di pubblicazioni. Chi non possiede mente particolarmente inventiva e immaginazione complessa, fantasia creatrice (talento innato), con buona dose di sicurezza scrittoria e capacità strutturale per avventurarsi nella narrativa di successo, magari con un tocco di colore ‘horror’ alla moda, scrive versi. Non sono impegnativi, rispetto alle altre forme di scrittura, non hanno bisogno di ‘scalette’, di personaggi, di intrichi, intrecci, di un’architettura d’insieme, di tanti ingredienti indispensabili. Il verso è libero. Accessibile. Basta andare a capo. Si può scrivere di tutto. E per prima cosa si scaricano le pulsioni emozionali, o di pensiero, inerenti al proprio essere, o esserci, nel mondo. Si indaga dentro se stessi l’imprevisto, lo sconosciuto. Si trova il proprio ritmo.
L’io, sempre celebrato, diventa l’esclusivo protagonista. Funziona da particolare che può guadagnare (o perdere) approcci con l’universale.
In tale contesto sorge il problema della lingua. Una poetica si impone, che caratterizza l’autore. Ognuno ha la propria lingua. Dalla più semplice, ingenua, banale, quotidiana, alla più articolata, metaforizzata, asciutta, intellettuale. Si possono dire le cose in tanti modi. Ciascuno sceglie (o subisce) il proprio stile.
Ma da questo, a fare opera d’arte, ce ne corre.
Chi scrive ama i propri testi e guai a chi glieli tocca. (“Ognuno ama solamente se stesso”, cantava già qualcuno tanto tempo fa). Se un poeta presta attenzione a testi di altri, e vi si rapporta, torna pur sempre pieno d’affetto alle proprie pagine. Nessuno lo convince del contrario. I libri sono come figli del poeta. Per assicurarsi che abbiano lunga vita, i poeti li battezzano, li cresimano, a mezzo di ‘Prefazioni’, ‘Postfazioni’, segnali di salute e validità che dovrebbero invogliare e guidare la lettura, e che invece finiscono con il condizionare, perché il libro riceve, e si stampa addosso, con tutte le buone volontà, un’impronta estranea, una visione spesso parziale, riduttiva, o comunque insufficiente nel complesso.
Ma la firma del prefatore avvalla l’opera : un prodotto con tanto di marchio, moda griffata.
Pubblicato il libro, il poeta vuole naturalmente essere letto. Da chi? – Ebbé, dal lettore. E dove lo trova? Se non sei uscito per sortilegio dalle mani di pochissime Case Editrici di potere (diciamo del Nord), nessuno ti conosce, nessuno ti fila. Ed ecco il poeta si dà un gran daffare per acquisire ‘visibilità’ (così poco, tirate le somme!). Prima cosa distribuisce da sé il libro fra amici, poeti, persone che trovano tempo per la poesia. Si organizza in letture pubbliche, su siti, su blog, e-book e quant’altro: un lavorìo di recensioni, di presentazioni, con l’aiuto di compiacenti poeti che si improvvisano critici (dato che in effetti sono specialisti della materia), i quali a loro volta riceveranno attenzione da altri consimili. Gentilezze di scambio? Tutto con serietà.
“… i geologi scrivono per i geologi…”,(etc), scriveva il poeta Sally-Prudhomme, primo Premio Nobel per la Letteratura, all’inizio del Novecento, per dire che ogni corporazione di specialisti, per esempio i poeti, è chiusa in se stessa a cerchio.
“I poeti scrivono per i poeti”. Si stimolano a vicenda, magari da una poesia nasce un’altra poesia, le voci si intersecano, si prolungano echi.
Oggigiorno tuttavia c’è saturazione anche fra gli ‘adepti’ ai lavori, i poeti che frequentano le letture pubbliche, in librerie, Biblioteche, luoghi deputati, etc., che leggono i libri degli altri poeti, ne parlano. Come fare? Troppe voci, troppi scritti, che poi in fondo si differenziano poco fra loro. Si dà un’occhiata all’insieme, si legge qua e là, si esprime il proprio pensiero approssimativo, magari focalizzato a un solo aspetto del problema.
E dove si trova la ‘critica ufficiale’?
I giornalisti non scrivono di letteratura di attualità sui giornali (tanto meno di poesia) da lungo tempo. Pare che ci siano quattro o cinque critici in Italia che si interessano di poesia. Quasi sempre essi stessi sono poeti. E chi li raggiunge? Nella marea della produzione vengono assillati ogni giorno da libri su libri. Se ne devono difendere. Né si può leggere tutto quanto esce! Magari sfugge qualcosa che potrebbe interessare..
Come in ogni ramo dell’arte, oggi è difficile distinguere personalità di rilievo. In ogni campo non nascono più ‘star’. Tutto è pressocché livellato. In Italia, tolta Alda Merini, non nasce una seconda icona di poesia. E la ‘lirica’ non è più possibile.
Si dice che la Poesia sia sparita sotto il diluvio della produzione. Ma c’è l’arca!, di Noè, che tutto contiene di vita da rimettere in circolo… Ed ecco decade la critica, che non ha materia per parlare; la critica seria e completa che preveda, non solo qualche citazione di versi o di micro-testo in recensioni sommarie e affrettate, per ragioni varie, e di spazio, ma possibilmente un’analisi critico-interpretativa a dovere: e del procedimento scrittorio, e delle varie fasi interne all’opera, geometrie di gioco, motivazioni, architettura d’insieme, un’indagine dei significati superficiali o profondi.
“Testuale” è l’unica rivista in Italia dichiarata per programma “critica della poesia contemporanea”, (che segue all’illustre ‘Il Verri’). Tuttavia talvolta non si occupa di poeti viventi (esclude le recensioni).
Il mondo – anche quello poetico – è cambiato. La critica, se c’è, dov’è, guarda oggi con occhi diversi. Gli stessi poeti acquisiti del recente Novecento perdono di sostanza. Molti vengono messi in discussione di merito. Chi si leggerà ancora nel futuro?
Insipienza è diffusa. Cosa si pretende dalla critica, quando si dice che essa è in crisi, che non esiste più? Ogni poeta e ogni critico ne è responsabile.
Da quando sono cessate le complicazioni della forma esteriore dj un testo, e ha perso valore il disegno propositurale dell’insieme per creare armonia e letteratura, in assenza di codici estetici, resta poco da sottoporre a oggetto di studio. I critici si sono stancati delle situazioni stagnanti. La spinta emozionale, o di pensiero, che fa scrivere, non coincide con la spinta dell’emozione che fa leggere. Spesso chi legge non trova nei testi corrispondenze di senso in comune, neppure un certo rigore e governo di penna che li renda appetibili al primo sguardo.
Il gusto moderno rifugge dalla qualità ‘lirica’, emblema aristocratico della tradizione…
I poeti la trasformano in qualcos’altro che, ove seduca, non convince più di tanto. Perché la Bellezza imprescindibile ha un solo aspetto di luce. In questo modo non si sa quanto e come possa vivere un libro di poesia. Qualora certi critici lo prendano in considerazione, c’è ancora da interrogarsi circa l’effetto che ciò può produrre. Scrive ancora Sally-Prudhomme, poeta (in ‘Pensieri’):
“La sorte dei libri è curiosa. Un’opera può essere scritta da un soggetto serio, da uno superficiale, o da uno sciocco; può essere giudicata da uno sciocco, da uno superficiale, o da uno serio.
Combinate due a due questi diversi caratteri e valuterete le possibilità di una reputazione.
…
Si pubblica per vanità.”
E questo conclude davvero ogni discorso sulla critica.
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Si pubblica per volontà di autoaffermazione. Forse il poeta per primo dovrebbe disporsi in proprio, con occhio distaccato, a leggersi, rileggersi, correggersi; stringere, eliminare; limare, rifinire. Decidere la sua critica. Tenendo d’occhio il possibile gradimento del lettore (se non vuole scrivere soltanto per sé): sviluppare un dialogo, oltre l’amore di sé, oltre lo standard banalizzante che lo contempla. Il lettore chiede chiarezza, vuole capire.
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Qualcosa di nuovo – e di artistico – in poesia si è visto fare da nuove presenze di questi ultimi anni, che hanno dato una svolta al concetto di poesia. Per lo più, donne: Irene Ester Leo, Bianca Madeccia, Mariagrazia Calandrone, esperte anche nella nuova forma d’arte audio-visiva, la video-poesia. Struttura poetica solida, compatta, verso lungo. Una forza emozionale sospinge la loro scrittura, cui si concedono senza riserve, un ardore spirituale, di quasi mistica infatuazione, in scoppiettanti terminologie, un’energia di parola che scalcia e scalpita, saltando in correnti di direzione contraddittoria. Un fiume scorre in acqua trasparente con detriti sotterranei tenuti tuttavia celati. I loro encomiabili approdi dovrebbero ora essere incanalati in un progetto di durata produttiva che non generi sazietà a lungo andare.
In parallelo gli uomini poeti, genericamente, forse più ironici, si caratterizzano per un impianto di pensiero governato da maggiore ‘consecutio logica’, coerenza, con effetti di timbrica più tranquilla, ma spesso di minore forza coinvolgente.
In un passato meno recente, alcuni poeti hanno pure operato un intervento di rottura e di innovazione, di innesto nel corpo della Tradizione, sviluppando, con strategie diverse, un proprio concetto di scrittura e di argomentazione, che però non ha avuto séguito. Fra loro, diversamente proponibili, Edoardo Sanguineti (dallo sperimentalismo ’63 fino a tempi non lontani): signorile, astuto, (‘accademico’), dissacrante, mondano; per contro, altra generazione, Giorgio Linguaglossa, serioso, elucubrativo, solitario, voce forte, procedura drammatica, il quale con “Paradiso” voleva forse riproporre, in farraginosa modernità, i fasti di un “Paradise lost”, di Milton.
I due poeti non sono paragonabili uno all’altro. Entrambi, mente speculativa, hanno elaborato, ciascuno al proprio livello di pensiero, un intervento eccentrico, restando tuttavia imbevuti di cultura classica.
Giorgio Linguaglossa è oggi l’autore di un saggio di oltre 400 pagine, “Dalla lirica al discorso poetico”, Edilet, 2011, che prende in considerazione lo stato della poesia in Italia dal 1945 ad oggi. Un lavoro di enorme impegno, per il quale i poeti, comunque siano rappresentati, con quali lacune, devono essere grati. Un lavoro forse ‘on progress’, che la stampa digitale permette per certe esigenze, se si aggiungono via via nomi nuovi.
Altri poeti sono appendici di intellettualismo che perdura nella ricerca poetica. Per esempio, la compagine che fa capo a Flavio Ermini, ‘Anterem’ – all’insegna di teorie benjaminiane – , di alta qualità progetturale e scelta di linguaggio – diciamo anche Gio Ferri (sebbene promulghi ‘comunione/comunicazione’ della parola), lo stesso Ermini, Ida Travi, Rosa Pierno e molti altri. Il discorso, solitamente poco permeabile, si evolve per frammenti, in eterna ricerca dell’origine pre-babelica del verbo, il luogo dove la lingua, criptica, s’adombra di oscurità che nessuna luce dissolve.
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Tantissimi ‘poeti’ (genere comune per uomini e donne), presi singolarmente, hanno dato opere distintive, degne di nota, di notevole interesse, eccellenti. Non è questa la sede per considerarli. La presente riflessione ha vista corta, parziale, di dettaglio, naturalmente non è esaustiva. Altri, a maggior titolo, avranno voce ad allargare il panorama.
“Testuale” di Gio Ferri, “Anterem” di Flavio Ermini e innumerevoli altre riviste del settore-poesia i quali anzi dichiarano di occuparsi di “critica della poesia contemporanea”, quando vai a verificare quello che c’è all’interno di quelle riviste ci trovi solo paralogie di discorsi sull’essenza della poesia, sul sesso degli angeli della poesia,su presunte “critiche testuali” … ma i testi di poesia dove sono? Sono scomparsi, rimangono soltanto gli sproloqui di persone che non vogliono sporcarsi le mani con i libri poesia e che si rifugiano nelle parologie.
La verità è che i primi temibili nemici dei libri di poesia sono proprio i “poeti” che vogliono ergersi a interlocutori privilegiati della poesia… poi quando esce un libro come quello di Giorgio Linguaglossa: “Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010) Edilet, 2011, che affronta un bel numero di problemi scottanti della poesia contemporanea, che succede? Tutti fanno a gara nell’evitare di affrontare le questioni aperte dal libro di Giorgio Linguaglossa…
forse perché non ne hanno la competenza tecnica? Per alterigia? Per difesa di interessi corporativi?
Rocco Salerno
Gentile Giuliana Lucchini,
lei scrive (con molto impegno, eccessivo direi, vista la “miseria” dell’oggetto su cui interviene)cose risapute e ripetute.
Se fosse vero che “si pubblica per vanità” e soltanto per questo, perché insistere a dirlo, perché perdere del proprio tempo (prezioso, suppongo) a ripeterlo?
C’è dell’altro. Ma per coglierlo bisogna andare oltre la fotografia della superficie del fenomeno che lei ha fatto e che tanto l’ha attratta da scriverci.
Ennio Abate
per il Laboratorio MOLTINPOESIA
… io credo che quando un lettore di riviste letterarie legge una rivista che si occupa di poesia, la prima cosa che lo interessa e va a leggere sono le recensioni dei libri di poesia. Almeno, una volta, negli anni Settanta era così. Certo, ormai ne sono passati di anni, le riviste cosiddette di poesia come “Kamen”, “Anterem”, “Testuale” etc. di tutto si occupano tranne che di parlare dei libri di poesia che sono usciti. Anche questo è un segno dei tempi. Del degrado dei tempi.
Ormai non mi meraviglio più di niente. I letterati che si occupano di poesia si sono screditati da soli, anzi, fanno a gara a screditarsi reciprocamente. Ha ragione la Lucchini quando denuncia questo degrado, ed ha ragione un critico solitario come Giorgio Linguaglossa a parlare nel deserto.
Ed ora che si fa? Niente, si va avanti così con gli Annuari (quelli di Manacorda e di Mauro Ferrari) e gli Almanacchi (di Cucchi e della Mondadori) destituiti di qualsiasi credibilità critica. Soltanto i bonzi e i gonzi possono dare un qualsiasi credito ad operazioni così anodine…
Massimiliano Testa
Una precisazione per Massimiliano Testa.
«Kamen’» è una rivista internazionale con sezioni monografiche (di solito una cinquantina di pagine solo per la poesia) dedicate alla poesia internazionale contemporanea, con testi, saggi critici ed apparati.
Da un ventennio ogni numero un poeta. Fra i poeti europei di lingua italiana: Pagnanelli, Boccardi, Oldani, Bacchini, Cagnone, Annino, Finiguerra, Pecora e via così. Fra gli stranieri: Trotzig. Christensen, Koschel, Vieira, Olsson, Brines e via dicendo, basta consultare gli indici…
Per questa scelta di approfondimento non ha spazi dedicati alle recensioni, che i redattori fanno però sui quotidiani.
Io stesso sono recensore del Cittadino di Lodi: una recensione ogni settimana per tutto l’anno tranne agosto in cui la rubrica di libri è in ferie…
Amedeo Anelli
Mi associo a quanto dice Anelli che da anni con la sua rivista porta avanti un discorso serio, ma anche in gran parte a quanto sostiene Testa. La rivista che dirigo, Hebenon, ha ormai 16 anni e ha pubblicato per un decennio soprattutto poesia italiana, raggiungendo la “grande” quota di 30 abbonati. Da cinque anni si interessa solo di poesia straniera (in cinque anni circa 200 autori tradotti, su rivista o in libro, per la prima volta in italiano), così ha visto ridursi gli abbonati a 2 (due), tanto è l’amore per la poesia.
Penso che prima delle recensioni, che fungono spesso solo da richiamo per gli autori e non certo per i veri lettori che, giustamente, vogliono vedere la merce, si debbano leggere le poesie; quindi lo spazio che abbiamo è meglio dedicarlo ad esse, in primis. Poi, eventualmente, a dei saggi, che hanno più credibilità, per lo meno in quanto richiedono una certa preparazione critica. Le recensioni possono essere lasciate, in linea di massima, ai quotidiani, come bene dice Anelli.
Penso che non si debbano criticare le riviste, i cui direttori svolgono gratuitamente un lavoro immane solo per amore della cultura, a meno che tali riviste servano per sponsorizzarsi o producano, come dice Salerno, ‘parologie’. Le riviste spesso sono anche veicolo di collane editoriali, premi letterari, ecc. Quelle serie, e ce ne sono, rappresentano dunque il sostegno alla cultura, quel sostegno che le pagine culturali, gli agenti letterari, gli editori, i librai e i distributori non danno.
Le riviste avrebbero bisogno loro stesse di sostegno, ma disinteressato. I “bonzi” e i “gonzi” non li vogliamo e nemmeno gli abbonati-autori che si abbonano solo per proprio interesse, ma dove sono i lettori intelligenti? Che facciano sentire la loro voce, noi pubblichiamo riviste ormai quasi certi di “parlare” al muro. Non è di soldi, che parlo, ma di centralità culturale e di passione. Sapete, vero, che molti collaboratori collaborano solo per avere una pubblicazione critica in più da sfoggiare nella carriera universitaria? Noi direttori ogni volta ci illudiamo che essi amino davvero la letteratura, spesso non è così. Stessa sorte con i poeti, italiani e stranieri che siano, e per motivi ancora meno giustificabili.
Roberto Bertoldo
Ovviamente mi associo a quanto rispondono Bertollo e Anelli… Comunque sarebbe meglio non intervenire su
prese di posizione tanto sciocche, addirittura deliranti.
E così crediamo di dover fare noi di TESTUALE che… abbiamo scritto di poesia SUI TESTI per trent’anni e ancora solo di ciò ci occupiamo.
Gio Ferri
condirettore di TESTUALE
Errata corrige:
ho scritto Bertollo, ma volevo dire BERTOLDO, di HEBENON
Scusatemi.
Il resto non ci riguarda.
Gio Ferri
Grazie degli interventi, sia delle condivisioni che delle contrapposizioni e prese di distanza, di amici di cui conosco bene le posizioni, le linee di ricerca, il prezioso lavoro e le testimonianze che sono corposa parte della storia della poesia – mi riferisco qui in particolare a riviste come Testuale, Hebenon e Kamen.
Con questo post e altri collaterali volevo proprio favorire, se possibile, questo: sintetiche prese di posizione degli addetti che sollecitassero interesse e approfondimenti anche da parte di lettori non addetti.
Mi auguro che qualcuno sia stato coinvolto.
Adam Vaccaro
Gent.mi direttori di rivista: Giò Ferri, Amedeo Anelli, Roberto Bertoldo
dobbiamo ripartire da quanto in tempi recenti ha scritto Cucchi, ormai le “riviste che si occupano di poesia sono irrilevanti”. È di qui che dobbiamo partire (con tutto il rispetto per le riviste che dirigete). E sono irrilevanti perché non siete riusciti in questi ultimi 20 anni ad avviare una riflessione sulla poesia della seconda metà del Novecento (per non parlare della prima), tranne i primi numeri dei primi anni di Hebenon (che poi ha cessato di pubblicare recensioni o articoli su libri di poesia!). Per quanto singoli saggi pubblicati siano di valore, in realtà VI CHIEDO quali problematiche le vostre riviste hanno affrontato in questi ultimi 15 anni? Ve lo dico io: NESSUNA… Giò Ferri discute con il suo linguaggio da iniziato degli anni Settanta con i suoi “pari” mentre Anelli discute di critica con un critico d’arte di 95 anni (che dio lo abbia in gloria!) e pubblica i pensierini di edgardo Abbozzo e le poesiole di Elio Pecora innalzato agli allori di Mondadori dopo 50 anni di trafila ininterrotta e di sosta nelle anticamere della Mondadori… insomma, di che cosa vogliamo (volete) parlare? Amedeo Anelli mi dice che la Trotzig è una grande poetessa? Forse si riferisce che è membro del Comitato per il Nobvel e per questo l’ha tradotta ed ospitata in “Kamen”? Ma credete veramente che i lettori siano tutti scemi ed ingenui? Che Oldani sia un autore da esportazione europea può darsi, glielo auguro, tanto esportiamo di tutto, dalle pere marce al bunga bunga e un Oldani non fa differenza… ma insomma, mi chiedo se in 20 anni di attività la rivista “Kamen” abbia mai ospitato una riflessione su un libro di critica o di poesia… posso chiederlo? Ho trovato soltanto delle schedine ben fatte per autori davvero deboli o per “amici”.
Dico purtroppo che condivido il giudizio di Cucchi, le riviste di poesia sono “irrilevanti”, anzi direi inutili e noiose. Sì lo ammetto “Hebenon” ha pubblicato autori di valore che non conoscevo e li ha fatti girare in Italia, ma valeva la pena di fare tutta questa fatica? ma guardate allo spettacolo squallido di tutti quei poveracci che fanno la corte alla corte dei miracoli di Cucchi e dei suoi amici!” e voi non siete diversi… aspettate soltanto il vostro turno per mettervi in riga col cappello in mano per ricevere, magari dopo 50 anni, come Pecora, il piccolo obolo, il dovuto riconoscimento per tanto servilismo.
Comunque, per finire, ve lo dico con tutta franchezza: non riesco a leggere più da anni né “Kamen” né “Testuale”, riviste scritte con un severo linguaggio autoreferenziale, professionale, noioso, che puzza di media letteratura da lontano…
Un consiglio: ritiratevi, lasciate stare la letteratura, che, a sua volta, farà volentieri a meno di voi, irrilevanti e intellettualmente innocui.
Massimiliano Testa
Massimiliano Testa ribadisce i suoi rilievi critici che sanno però di livore eccessivo e quasi – spero di sbagliarmi – di sapore personale.
Ho in ogni caso aperto questo spazio per recepire pensieri, valutazioni e umori di chiunque si interessi alla poesia. Perché ritengo e ho scritto da anni che il problema non è di questa o quella rivista o autore, o pseudo corrente. Il problema è dell’insieme di coloro che scrivono poesia o sulla poesia. E’ questo insieme che, almeno in Italia, è privo di apporti e rapporti del e con il Resto del corpo sociale. Troppo poco, almeno. E allora diventa inevitabile la tendenza al linguaggio autoreferenziale, che s’innerva poco con l’Altro. Ne deriva che la gran parte di coloro che scrivono, nel momento in cui scrivono, difficilmente visualizzano un interlocutore che vada al di là di se stessi o (nei casi peggiori) di un poeta riconosciuto tale dai più noti/accreditati. Si innesca con ciò un meccanismo di linguaggio di poetese che innova poco perché trae poca linfa/lingua dai non addetti e tende più facilmente a replicare epigonicamente i vari moduli che si sono affermati nel ‘900. Inevitabili anche i dintorni di speculazioni editoriali, supponenze ridicole di vecchi e neo-nati della scrittura, che però si squagliano come neve al sole davanti a chi ha qualche tipo di potere.
Pochi coloro che si distinguono per autonomia o dignità. Poche le strutture del sistema in essere della letteratura (riviste, su carta e on-line, o case editrici scevre da tali meccanismi, accentuati ripeto, quanto più manca un pur piccolo pubblico di non addetti. Su questo ho opinioni diverse anche da amici che stimo. Non si tratta di immaginare rivoluzioni poetiche o impegni d’antan di carattere civile, ma di sognare e sollecitare più vita e presenza per la poesia che si prova a fare. In una società che, con tutti i limiti regressivi in atto, ha comunque una platea di alcuni milioni di persone con cultura medio alta, è ipotizzabile che un linguaggio poetico adeguato non riesca a intercettarne nemmeno alcune decine di migliaia? Più il circuito è ristretto e più si accentuano le tendenze sopra dette, con contorno di individualismi, strumentalizzazioni e servilismi vari.
Il libro e gli altri lavori di Linguaglossa, hanno il merito di provare a occuparsi di tali enormi questioni sicuramente con molti punti e snodi criticabili o non condivisibili, ma dov’è il testo che ha storicizzato in maniera adeguata quanto avvenuto negli ultimi 65 anni? Forse è inutile, forse è impossibile, data la massa enorme di materiali stampati. Forse occorre far passare qualche decennio per far decantare tanti “fenomeni” che sembrano importanti e tra qualche decennio saranno al massimo derubricati a contorni ben poco rilevanti. E’ sempre accaduto così ed è ovvio che ben poco salverà il tempo del panorama affollato e ininfluente attuale. Tuttavia, penso che questo libro di Linguaglossa meriterà di essere consultato per il grande futuro lavoro di taratura delle scritture degli ultimi decenni.
E altrettanto penso che le tre riviste – Testuale, Kamen ed Hebenon – così criticate da Testa saranno tra le poche utili al suddetto lavoro, anche perché sono tra quelle anomale rispetto al clima suddetto dominato da scambi di favori e servilismi di vario tipo, tra quelle che hanno cercato di coniugare libertà, passione e rigore di ricerca: tre gambe necessarie a qualunque tentativo di uscita da ogni deprimente circuito autoreferenziale.
Adam Vaccaro
Mi dispiace per il signor Testa, per le sue opinioni e frustrazioni, ma su questo piano non è possibile nessun confronto non dico serio, ma neanche faceto…intervengo per l’ultima volta, non accetto “fango gratuito”…
Della sistemazione del Ottocento e del Novecento e relative questioni i redattori di «Kamen’» come studiosi, hanno una bibliografia vasta e per alcuni non solo italiana che è a disposizione per chi voglia approfondire… (Basta cercare sull’ICCU non solo italiano)…
«Kamen’» ed alcuni suoi redattori inoltre partecipano a molti programmi di ricerca e di studio con i maggiori centri internazionali, università, fondazioni….
Se poi non si hanno gli strumenti culturali o la sensibilità per seguire il dibattito internazionale pazienza.D’altronde per analogia è impossibile occuparsi di fisica contemporanea senza la matematica superiore, ma ciò va da sé… così è impossibile occuparsi di poesia e di critica senza il necessario corredo di studio…
Buona fortuna…!
Amedeo Anelli
Per chi non lo sapesse:
Dino Formagio è uno dei pochi studiosi di Estetica di fama internazionale che abbia confutato Croce.
Birghitta Trotzig, recentemente scomparsa, era nostra amica ben prima dell’entrata nell’Accademia di Svezia…
«Kamen’» per la sua attività critica è chiamata a partecipare a progetti europei sulle tradizioni, anche critiche dell’Europa, evidentemente Testa non se ne accorto…
Il cazzotto che Massimiliano Testa ci tira in pancia in quanto direttori di rivista non lo trovo di “livore eccessivo”, come dice l’ottimo padrone di casa Adam Vaccaro. Il suo è il malumore di tutti noi, tanto cose che dice sono genericamente giuste (nei particolari giudicherà ogni singolo direttore), di più lo sarebbero se fossero rivolte a riviste più note, con mezzi e poteri che giustificherebbero la critica. Lui ha ragione, anche se dovrebbe fermarsi a colpire il direttore, i suoi errori (e ce ne sono senz’altro), non arrivare a colpire congetturalmente l’uomo. Ha innanzi tutto ragione a chiederci a che pro il nostro affannarsi. Effettivamente fino a venticinque anni fa – vi chiedo scusa per la caricatura biografica che seguirà, ma noi direttori di riviste di provincia siamo alquanto grotteschi – io me ne stavo tranquillo nel mio paesello a lavorare, leggere e scrivere quando, d’un tratto, mi è venuta la bizzarra idea di fare, rigorosamente gratis, il consulente di narrativa per una nota casa editrice nella speranza di scoprire, tra i vari manoscritti che nessuno legge, qualche scrittore degno. In otto anni ne ho trovati quattro, ma l’editore non ne ha pubblicato nessuno, e pubblicava invece gli amici degli amici che di valido avevano il manoscritto … della raccomandazione. Allora, deluso, ho fondato una rivista, nonostante uno stipendio monoreddito con cui dovevo mantenere moglie e due figli. Gli autori che pubblicavamo dovevano solo sottostare all’opinabilissimo giudizio di una redazione, non dovevano esibire titoli o raccomandazioni. Ma molti erano pretenziosi, si ritenevano delle divinità, altri volevano spingermi a mercanteggiare, e allora ho chiuso con gli italiani e mi sono dedicato agli stranieri. Anche loro spesso si ritengono delle divinità e sono permalosi, ma i loro insulti in lingue spesso a me ignote non li capisco e quindi vado tranquillo. Ebbene, io non so che cosa mi spinga a tanto autolesionismo, visto che (lo dico per i materialisti) non ci ricavo niente né economicamente né … beh non saprei dire cosa possa interessare uno scrittore, se non cercare (ho detto “cercare”) con impegno e umiltà di scrivere un libro degno. Ma a scrivere un libro degno non aiuta certamente quel successo che Testa ritiene, spesso a ragione, il desiderio principale di un autore. Allora perché perdere tempo di giorno a leggere manoscritti e dover così dedicare la notte, la domenica, ogni periodo di vacanza – invece di fare una passeggiatina in montagna o un bel bagno nel fiume o tenere compagnia alla moglie (e qui finisce l’aspetto caricaturale) – a studiare, leggere e scrivere con il desiderio di capire cosa ci renda così avidi, così altezzosi, così miseri di fronte allo scempio del mondo e dell’umanità? La risposta che mi sono sempre dato è una sola: perché la cultura, anche se pochi ci credono, è utile, perché gli intellettuali hanno un dovere più grande di loro: quello di non farsi prendere dal cinismo e di resistere al monopolio delle menti e dei corpi. Da ragazzino, dopo aver assistito all’ennesimo reading di sedicenti poeti, avevo scritto: “è troppo facile essere poeti”. Lo penso ancora oggi, è troppo facile fare solo i poeti. Chi è poeta ha l’obbligo di essere di più, di essere al servizio delle vittime, di essere un esempio di lealtà e impegno, di essere contro il potere. Anzi: di evitare di costituirlo pure lui un potere, al di là di quello che ognuno di noi raffigura pur senza volerlo. Purtroppo, uno scrittore deve essere letto, per essere capito, e non fare la fine di Dino Formaggio, per esempio, che merita tutta la stima e lo spazio datogli da Anelli. La letteratura non può fare a meno di chi la difende, anche se nessuna difesa potrà mai salvarla. Solo i capolavori possono. Ma qualcuno deve pur stare attento a trovarli e a segnalarli. E chi ci riesce, o anche solo chi ci prova, non è mai “innocuo”, né intellettualmente né politicamente.
Roberto Bertoldo
Gent.mi direttori di riviste Giò Ferri, Amedeo Anelli Roberto Bertoldo
mi permetto di ricordare quanto dichiarato recentemente da Maurizio Cucchi cioè che “le riviste che si occupano di poesia sono IRRILEVANTI”; ripeto il giudizio è di Cucchi, non mio, anche se lo condivido appieno. È a lui che dovete replicare (ma con argomenti) non a me che ho pubblicato il primo libro 10 anni fa e poi mi sono ritirato dal mondo della poesia (senza nessuna titubanza dopo che ho assistito a scandalosi mercanteggiamenti). Rispetto il profilo nobile della risposta di Bertoldo, del resto la rivista che dirige, “Hebenon”, è la sola che tenti di aprire un varco al provincialismo della situazione della poesia italiana.
Per quanto riguarda “le mie frustrazioni”, come dice Anelli, sappia che io vivo bene nel mio paesino in un angolo della Sardegna… mi dispiace dire ad Anelli che della rivista che dirige ho notato sopratttutto, l’assenza di dibattito critico sull’attualità della poesia italiana (beh, in questi ultimi venti anni ne sarà pure uscito qualche libro di valore, no? per ciò che riguarda Dino Formaggio, lui è stato un noto e rispettato critico d’arte, ma non mi risulta che abbia mai scritto sulla poesia e sulla critica della poesia, possibile che non ci sia in Italia un altro critico di poesia in grado di essere all’altezza di “Kamen”?)… e poi non nutro alcun dubbio che i “suoi redattori partecipano a molti programmi di ricerca e di studio con i maggiori centri internazionali, università, fondazioni” (…) Anelli accenna al “dibattito internazionale” cui i suoi redattori partecipano, ma io di tale dibattito non ne ho mai visto traccia su “Kamen”, che strano!
Ma, lasciamo stare per un attimo il “dibattito internazionale” e veniamo al DIBATTITO NAZIONALE; chiedo ad Anelli in quale numero di quale anno si può trovare nella rivista “Kamen” un articolo panoramico sulla situazione della poesia italiana, quale? io non l’ho mai visto. Non nutro dubbio alcuno che i redattori di “Kamen” abbiano “una vasta bibliografia” come accenna a loro merito Anelli, però non ho mai letto nella sua rivista alcuna critica ampia e documentata su nessuna delle Aree, Linee, Movimenti etc. (come chiamarle?) della poesia degli ultimi, diciamo, trent’anni. Come mai? Forse per non farsi dei nemici? Ma come, tra tanti redattori dal prolifico curriculum non ce ne era uno in grado di scriverlo?
Gentile Signor Anelli, sì, forse io non ho “il necessario corredo di studio” che lei ha (e che mi rinfaccia con sottile arguzia), ma lei che ne sa del mio bagaglio culturale? si è informato? oppure parla dall’alto della sua supponenza? Oppure non è abituato alla dialettica con i normali lettori?
Ad ogni modo, vorrei tornare al punto, e chiedere ai direttori in indirizzo che se non vogliono rispondere a me rispondano almeno all’accusa che Vi ha lanciato Cucchi, sono curioso di leggere la Vostra risposta.
Per quanto invece concerne “il fango gratuito” di cui il Signor Anelli mi accusa, intendo sorvolare in questa sede perché lo ritengo mosso ad un impulso di legittima autodifesa… non so se la mia domanda iniziale (che poi è quella di Cucchi) possa essere scambiata per “fango”la ritengo una semplice domanda, e ritengo che meriti da Voi una adeguata risposta. Grazie.
Massimiliano Testa
Stimati Direttori di riviste: Amedeo Anelli, Roberto Bertoldo, Giò Ferri, e lettore Massimiliano Testa,
ho scritto recentemente in un articolo pubblicato su questo sito: «Andiamo verso la catastrofe senza parole. Già le rivoluzioni di domani si faranno in marsina e con tutte le comodità. I Re avranno da temere soprattutto dai loro segretari». Era l’aprile del 1919 quando Vincenzo Cardarelli scriveva queste parole. Era iniziata la rivoluzione della società di massa. La rivoluzione industriale era ancora di là da venire, e l’epoca delle avanguardie era già alle spalle. Il ritorno all’ordine era una strada in discesa segnata da un annunzio che sembrava indiscutibile.
Oggi, a distanza di quasi un secolo dalle parole di Cardarelli, è avvenuto esattamente il contrario di quanto preconizzato dal poeta de «La Ronda»: oggi andiamo verso la catastrofe con un eccesso di parole. Il ritorno all’ordine è un fatto compiuto. Le rivoluzioni di domani non si faranno né in marsina né in canottiera, né con tutte le comodità né con tutti gli incomodi: non si faranno affatto. L’unica rivoluzione possibile non è neanche più quella innocua e formale dei formalisti.
È l’epoca della stagnazione definitiva che si profila.
Stimati direttori, ho diretto “Poiesis” dal 1993 al 2005, anno in cui ho deciso la chiusura per mancanza di interlocutori con i quali intavolare una riflessione collettiva sulla poesia del Novecento. Mi sono limitato a predere atto della assenza di volontà a riflettere su quello che stava accadendo dentro il Novecento e dentro le questioni della poesia. In sintesi, il mio tentativo è andato deserto perché a nessuno dei direttori di rivista interessava avviare una riflessione sul Novecento.
Preso atto di ciò, ho continuato il mio lavoro di studio a tappeto sulla poesia contemporanea leggendo e recensendo un centinaio di libri di poesia e anche più, facendomi così dei nemici giurati perché, ovviamente, non tutte le recensioni erano favorevoli.
Ho pubblicato questi due libri “La nuova poesia modernista italiana (1980-2010) e “Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010) editi da EdiLet di Roma nel 2011. Ebbene, questi due libri stanno andando molto bene nelle vendite (mi dice l’editore) ma hanno ottenuto attenzioni quasi esclusivamente sui blog e su alcuni siti di letteratura ma non nei quotidiani né sulle riviste di settore, caso strano che mi spiego con la gelosia e che ciascun direttore di testata, anche microscopica, nutre nei confronti di un critico esterno, tanto più in quanto questo critico non fa parte dell’Apparato della Stampa, degli Uffici Stampa degli Editori maggiori e della Università, e al quale non si vuole riconoscere nessun, non dico credito ma neanche merito.
Con il rispetto dovuto ma dopo tanti anni di conoscenza ritengo di dovermi risparmiare le spese postali per inviare l’ultimo mio lavoro a “Testuale” e a “Kamen” riviste che non hanno mai partecipato ai dibattiti avviati dallo scrivente. Probabilmente, loro si occupano di problemi più alti e importanti, di questioni “internazionali”.
Ciò premesso, credo che la domanda sollevata da Massimiliano Testa, sulla IRRILEVANZA DELLE RIVISTE DI POESIA (che poi era la medesima accusa che Vi lanciava Cucchi) meriti una risposta. Per quanto mi riguarda la mia risposta è questa: quanto nel 2005, presi atto della inutilità di continuare “Poiesis” perché dava solo fastidio alle fratrie e alle cordate e non c’era più nessun interesse della società letteraria (tranne di alcuni intellettuali come Roberto Bertoldo), decisi di chiudere la rivista e dedicarmi alle passeggiate in campagna e al centro dell’Urbe.
Da allora continuo il mio lavoro di semplice operaio della critica dallo scrittoio sito al 5 piano del n. 18 di via Pietro Giordani, sede della mia abitazione. Purtroppo, non ho titoli accademici né ho partecipato a convegni internazionali sulla poesia, né illustre bibliografia. Tutto qui.
cordiali saluti
Giorgio Linguaglossa
Mi permetto di introdurmi nel dibattito come semplice ed umile collaboratrice di Hebenon, per la quale scrivo e traduco senz’altro scopo che l’amore per la ricerca e la riflessione critica (il mio direttore lo sa, visto che sono precaria da più di quindici anni all’università e nessuna pubblicazione, neanche monografica, mi ha permesso di diventare ‘stabile’…e non me lo permetterà…), e come indegna ‘lavoratrice’ per un numero di “In forma di parole” di Gianni Scalia. Cucchi ignora la mia esistenza, e credo proprio che la ignorerà per sempre (e lo dico con una certa soddisfazione…) e, quindi, dubito che possa mai interessarsi anche alle mie osservazioni sulla sua affermazione – cioè che “le riviste che si occupano di poesia sono IRRILEVANTI”. Tuttavia, le mie osservazioni le faccio lo stesso.
Molte riviste, e non solo quelle che si occupano di poesia, ma anche quelle che si occupano di letteratura e cultura in generale (sono comparatista e leggo, anche per mestiere, di tutto), sono effettivamente irrilevanti. Non più di ciò che pubblica e fa pubblicare Cucchi, peraltro. Ma, normalmente, queste riviste – cioè quelle irrilevanti – sono anche quelle che ospitano recensioni, e altre ‘affettuosità’, proprio pensando a Cucchi e agli altri amministratori del potere editoriale e culturale. Questo perché quasi tutti quelli che si occupano di poesia (ma anche di letteratura e cultura in generale) sotto sotto sarebbero ben felici di pubblicare con le grandi case editrici (anche se ormai del tutto screditate, almeno a livello internazionale, non fosse per i ‘classici’ che ripropongono – e non tutti!), e di pubblicare innanzitutto quello che loro scrivono ‘artisticamente’ (poesia, romanzo, teatro ecc.). E qui si potrebbe riprendere il discorso sulla ‘vanità’ evocato dalla Lucchini all’inizio di questo dibattito… In realtà, le riviste serie (e ve ne sono, anche se poche e non visibili al grande pubblico – e parlo di assenza nello spazio degli scaffali delle biblioteche, ad esempio, a cui le riviste vengono mandate; o dell’assoluta mancanza delle medesime riviste nelle librerie) sono fondamentali, e non solo per il dibattito contemporaneo sulla poesia, ma anche (e penso ad Hebenon e a In forma di parole, ad es.) per l’importantissima diffusione della poesia straniera non ancora tradotta, ma anche per la conoscenza del dibattito critico internazionale e della storia della letteratura e del pensiero (senza la quale – scusate la pesantezza pedantesca di una maestrina mancata – non può nascere alcun serio dibattito sulla contemporaneità). Insomma, signor Cucchi (visto che le osservazioni devono essere rivolte a Lei, convitato di pietra…), vi sono, come vi sono sempre state, riviste che si occupano di poesia irrilevanti e riviste che si occupano (anche) di poesia più che rilevanti, ma rese innocue per la mancanza di diffusione che subiscono (e direi che di questo non possono essere accusati i loro direttori, che già faticano non poco a metterle insieme, senza fondi e con il tempo che gli rimane da tutte le altre attività – e che si preoccupano comunque della diffusione). Quanto al dibattito sulla poesia contemporanea – e tanto per consolare Giorgio Linguaglossa, che coraggiosamente e testardamente tenta ancora di suscitare tale dibattito, e in parte ci riesce… – è evidente che il medesimo non interessa REALMENTE a nessuno, perché la poesia, quando è tale, implica un impegno – anche di vita – che va al di là del proprio ombelico, cosa che, di questi tempi, crea problemi a quasi tutti. Il problema che va affrontato, ormai, deve essere più ampio, e riguarda il senso dell’impegno dell’intellettuale ora, nel 2011 (quasi ’12), nella deriva più totale (in Italia, e a livello visibile e quindi diffuso) di ogni forma di impegno, che non sia quello a favore dei propri soldi e del proprio meschino potere (oltre che della ‘vanità’ sopra citata – ma essa rientra pur sempre nella questione del potere). Banalità? Molto probabile. Ma, signor Cucchi, c’è ancora gente affezionata a certe banalità non più di moda (cfr. impegno, per l’appunto), e ad esse sacrifica tempo, denaro e certezze future (nel caso dei precari della cultura), perché la passione per la creazione (altrui e propria) è come la gramigna che neanche i pesticidi riescono a distruggere. E questa gente scrive, talvolta insegna (soprattutto non nelle università), crea e dirige o collabora a riviste, tanto rilevanti quanto invisibili. D’altro canto, la talpa (e i filosofi ben lo sanno…) sembrerebbe irrilevante, tanto è invisibile, eppure….e i contadini lo sanno bene…
Premetto di introdurmi in un discorso che, viste le mie modeste attitudini di studioso, forse non ho le capacità di affrontare.
Chi dice che, in un mondo fluido, com’è il nostro, dove le idee stesse di struttura, sistema, coerenza, armonia si sono liquefatte, o sono state liquidate, abbia ancora senso discutere di poesia come opera d’arte? Cos’è un’«opera» (radice indoeuropea –AP), in un mondo che non ha direzioni, che non ha mete? Cos’è «arte» (radice indoeuropea –AR), in un mondo che non ha comunità, se non comunità “guardaroba”, comunità da sciami? Cos’è un’opera d’arte, se non esiste nessun andare verso un obiettivo? Chi avrà mai l’immodestia di stabilire cosa sia opera d’arte e cosa non sia opera d’arte, se lo stesso contesto del krìno si è destabilizzato a tal punto da non lasciare criteri di giudizio, punti fermi di verità, che non siano mero arbitrio individuale? Come nei sistemi giuridici, quando ci troviamo in un momento di crisi dell’idea stessa di struttura istituzionale, avviene una trasformazione delle corti di giustizia (istituzionali) in forme d’arbitrato, così, oggi, in un momento di crisi (liquefazione, fluidificazione, flessibilizzazione) dell’idea stessa di struttura sociale, in che modo saremo capaci di legittimare la non arbitrarietà della critica? Che senso ha la critica in un mondo fluido?
Non rischiamo, coi nostri discorsi, di essere come il Vecchio Oligarca della Costituzione degli ateniesi che, in piena guerra del Peloponneso, ricordava con nostalgia i tratti aristocratici dei bei vecchi tempi andati ai fini di «abbattere la democrazia in Atene»?
Perché il fatto che tutti scrivano «andando a capo», è da considerarsi una cosa negativa? In un mondo, come dicevamo, senza fondamenta, delegittimata ogni forma di etica, non potrebbe essere lo scrivere «andando a capo» una delle ancore di salvezza della democrazia in crisi? Lo scrivere «andando a capo» di tutti, accessibile a tutti, stimolando la “poiesis” (fantasia, inventiva, costruttiva), non potrebbe essere uno dei modi di riedificare l’idea stessa di comunità? Di fare (ex-)etica? Di fare (ex-)politica?
Che senso ha, la critica? Cos’è, la critica? Stabilire ciò che sia opera d’arte (?!), come se fossimo ancora intellettuali organici (al servizio della classe dei grandi poeti), o organizzare, incitare, sollecitare ogni scrivere «andando a capo» (e, anche, non andando a capo) di tutti?
La rivista stessa è museo, collezione di quadri d’autore di fama internazionale, o mezzo indispensabile a organizzare, incitare, sollecitare lo scrivere «andando a capo» di tutti?
Che senso ha una critica intesa come “faro” (gettare luce sull’opera d’arte), in un mondo in cui mare, terra, cielo siano tutto acqua?
Ivan Pozzoni
a proposito di recensioni: “Blanc de ta nuque”, il mio blog, ne presenta 2 o 3 al mese. Lì ci sono più di 150 poeti recensiti, tutti italiani e quasi tutti viventi. Ma la poesia senza critica, senza un lavoro serio sul senso della poesia, non diventa né “tradizione” né “forma del contemporaneo”.
Benvenga dunque qualsiasi progetto serio di riflessione sulla parola: Pensare spaventa chi teme l’avventura (e dunque la poesia).
un saluto agli interlocutori.
Argomentazioni stucchevoli e novecentesche, cara Giuliana, di conseguenza inutili.
Il “discorso poetico” è oggi distante anni luce da tutto ciò che descrivi, la poesia continua il suo percorso anche se si tratta di un percorso underground, da fiume carsico, come ho scritto altre volte. E lo continua trattando il materiale che c’è, umano, emotivo, sociale, economico e tecnologico, con linguaggi che rispecchiano il XXI° secolo che viviamo.
Per il resto: la spazzatura poetica (o letteraria) rimane tale indipendentemente dal fatto che i mezzi di comunicazioni social di cui oggi disponiamo l’abbiano fatta uscire da migliaia di cassetti.
A presto (e saluti a tutti)
Lorenzo Pezzato
la spazzatura poetica rimane tale, punto. Non c’entra che sia uscita allo scoperto sui blog. anzi: per quanto mi riguarda, la selezione è rigorosa.
Carissimi Sigg.,
mi sono inoltrato in questa “interessante” discussione grazie ad un messaggio dell’amico Giorgio Linguaglossa.
Che dire? E’ impressionante come in una discussione sul ruolo della poesia nulla attragga la voglia di un verso, il piacere semplice di leggere poesia (oltre a tentare di scriverla), la bellezza di conoscere uno sconosciuto attraverso la sua ricerca poetica.
Andare a capo spesso aiuta a prendere tempo per pensare e per riflettere su quello che succederà domani, a lasciare che le cose reali (la poesia) prevalga sulle discussioni, anneghi i discorsi danzando sulla potenza dei versi e nella semplicità dei suoi significati significanti.
Ho avuto il piacere di ricevere un libro di Amedeo Anelli da una persona che conosce la mia passione per la poesia (anche quella di chi la scrive), non ho scritto una recensione ma ho semplicemente letto e riletto il poemetto, che ho molto gradito, e ne ho solo verbalizzato un commento in cui i versi raccoglievano il dovuto spazio. Ecco a volte amerei tanto che alcuni giudizi fossero forieri di “oggetti” e non di “semplici parole”.
Con una provocazione voglio pubblicare dei versi brevi e semplici, sperando possano in qualche modo ospitarvi in discussioni meno teoriche…
NEL TEMPO
L’acqua
scorre lenta.
Rosse
gocce
d’autunno
salutano
la vita.
p.s. Per chi volesse smentirmi, Il poemetto di Amedeo Anelli si intitola “Contrapunctus”
…prego i lettori-autori di risparmiarci le poesie da rubinetto aperto e di limitarsi alle questioni tematiche.
Per tornare alle questioni poste da Massimiliano Testa, credo che l’autore sardo abbia messo il dito nella piaga se i direttori di riviste (tranne Roberto Bertoldo di “Hebenon”) hanno storto il naso dinanzi a questo signore importuno che ha osato porre la questione, così nuda e cruda. Ma la questione l’aveva già posta (e risolta) Cucchi dichiarando la “irrilevanza” delle riviste.
In fin dei conti basta fare una conta numerica:
1) quanti sono i poeti scoperti e formati dalle Vostre riviste? Scrivete i nomi e i cognomi.
Alla fine, la verità è che lasciando da parte testate storiche prodotte da grandi editori come “Nuovi Argomenti”, che non servono a nulla perché sono filiazione di una Istituzione Letteraria con la “L” maiuscola (e quindi luogo del massimo conformismo), quali e quanti poeti avete tenuto a battesimo?
2) chiedo (credo di avere il diritto come lettrice) di sapere quali problematiche “generali” del Novecento avete affrontato.
3) Sorge il sospetto (anzi, l’opinione diffusa) che riviste come Testuale, Ante rem, Kamen, l’Almanacco Punto, l’Annuario di Manacorda e altre testate minori siano dei luoghi di autocelebrazione e di autopromozione, di visibilità e nient’altro dei redattori e dei direttori.. i quali sono in attesa (ventennale, trentennale, quarantennale…) di essere promossi al rango degli Ammessi alle pubblicazioni presso Mondadori e Einaudi. Ovviamente dopo aver fornito prova autenticata della propria fedeltà alla Corona.
Insomma, uno spettacolo un po’ squallido quello della poesia, non credete?
In realtà, non leggo più da anni le riviste di poesia perché, come giustamente dice Cucchi: sono “irrilevanti”.
Ma, aggiungo io, è invece “rilevante” che ci sia questo cuscinetto di conformismo intorno a quello che accade nella Reggia…
La verità che Voi vi guardate bene dal dire, ve la dico io: conta soltanto il curriculum delle opere di conformismo e di silenzio, gli anni di attesa in anticamera, gli scambi di recensioni e di favori…
Scusatemi, ma alla mia età posso parlare liberamente e senza perifrasi: so per certo che nelle Vostre illustri Riviste non ci sarà un rigo sul libro “Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010)di Giorgio Linguaglossa. Il perché è molto semplice: per conformismo, per invidia, per viltà, per avversione nei confronti di chi va per la propria strada senza curarsi né dei nemici né degli amici, delle alchimie e degli opportunismi.
Voi usate la “poesia” ma in verità vi occupate di voi stessi e di quella dei Vostri amici e clientes. Noto che su questo sito dei letterati prendono posizione sulla politica internazionale. Che strano, vedono la festuca nell’occhio altrui e non il palo che hanno nell’occhio proprio! È uno spettacolo davvero indecoroso!
Dimenticavo, un doveroso omaggio alla Rivista “Il Segnale” e al coraggio che il suo direttore Elio Scanavini ha invece dimostrato. Complimenti a lui.
Laura Canciani
Alla supponenza di Laura Canciani ho già risposto nei commenti a poeti della stagnazione, dato che non si conoscono neanche i codici elementari del dialogo e che la convinzione nella vita è tutto non posso che augurare anche a Lei Buona Fortuna e dare mandato al mio legale per eventuali nuove calunnie ed insulti e tutelare così l’immagine della rivista…
Siccome non si vuole fare neanche la fatica di andare in biblioteca e leggere, allego gli indici della rivista
scusandomi per i rifusi dei nomi stranieri che si creeranno
Cordialità
Amedeo Anelli
Sommari dei numeri precedenti
N. 0 – maggio 1991- Nota per i lettori ed i collaboratori. – Poetiche / Edgardo Abbozzo: Aforismi – Sull’arte. – Poesia / Alen Carraro: Poesie – Traduzioni poetiche. – Critica / Guido Oldani: Luigi Commissari, Oldani: conciso stile e poetica pienezza di vero etico – Rinaldo Caddeo, «Stilnostro»: negli scarti infinitesimali – Marisa Ferrario Denna, «Stilnostro» di Guido Oldani – Poesie di Guido Oldani da «Stilnostro» – Antologia della critica – Bibliografia.
N. 1 – febbraio 1992- Poesia / Canti d’amore nell’antico Israele: Avvertenza – Luigi Commissari, Giuseppe Barbaglio, Introduzione – Cantico dei Cantici, traduzione poetica di Luigi Commissari e di Giuseppe Barbaglio – Filosofia / Carlo Michelstaedter: Francesco Fratta, Il senso del comunicare – Francesco Fratta, Premessa – Carlo Michelstaedter, Parmenide – Carlo Michelstaedter, Zenone lo stoico – Carlo Michelstaedter, Questione centrale.
N. 2 – ottobre 1992- Filosofia / Gustav G. Špet: « Frammenti di estetica ». I. Ripetizioni al momento giusto. Miscellanea. – Critica / Giampiero Neri: Daniela Marcheschi, La memoria e l’orrore della storia. Tre interventi per Giampiero Neri – Massimo Raffaeli, Ricordo e ricompensa – Amedeo Anelli, Amplificazioni ed analogie – «Dallo stesso luogo». Par lui même. Giampiero Neri, scelta di versi – Bibliografia.
N. 3 – maggio 1993- Filosofia / Gustav G. Špet: «Frammenti di estetica». II. Ammonimenti al momento giusto. La struttura della parola in usum aestheticae – Exempla sunt odiosa. – Poesia / Robert Walser: Antonio Barbi, Robert Walser: «La dolce voluttà dell’oblio» – Poesie di Robert Walser. Traduzione di Antonio Barbi.
N. 4 – dicembre 1993- Filosofia / Gustav G. Špet: « Frammenti di estetica ». III. Momenti estetici nella struttura della parola. – Ol’ga Vladimirskaja, Postfazione a «Frammenti di estetica ». – Critica / Remo Pagnanelli: Rinaldo Caddeo, Le acque, i sogni, l’inconscio e gli archetipi nella poesia di Remo Pagnanelli – Daniela Marcheschi, Per Remo Pagnanelli – Remo Pagnanelli, Lettere scelte a Daniela Marcheschi – Remo Pagnanelli, Gilberto Finzi, « L’oscura verdità del nero » – Remo Pagnanelli, Poesie – Cenni biografici – Bibliografia.
N. 5 – luglio 1994- Poetiche / Dante Filippucci: « Un anno di quantità » – Tre lettere a Italo Tomassoni – Edgardo Abbozzo, Dante Filippucci: maestro e amico – Poesia / Karin Boye: Poesie – Il linguaggio oltre la logica – Daniela Marcheschi, Il corpo della poesia: ancora su Karin Boye.
N. 6/7 – dicembre 1994 – giugno 1995- Filosofia / Grigorij Skovoroda: «Dialogo chiamato l’alfabeto o l’abbecedario del mondo». – Lettere a Michail Kovalins’kij – Erica Klein, Skovoroda: tematica, simboli e tradizione. – Critica / George Steiner: Daniela Marcheschi, Contro Steiner. – Materiali / Galleria «Il Gelso»: Amedeo Anelli, Giovanni Bellinzoni, gallerista in Lodi. «Il Gelso» 1970 – 1992.
N. 8 – febbraio 1996- Filosofia / Grigorij Skovoroda: «Narciso» (Parte I). – Poesia / Pier Luigi Bacchini: Poesie – Roberto Deidier, Libro, discorso, natura -Daniela Marcheschi, Ancora per la poesia di Pier Luigi Bacchini – Bibliografia.
N. 9 – novembre 1996- Filosofia / Grigorij Skovoroda: «Narciso» (Parte II). – Poesia / Birgitta Trotzig: Poesie – Daniela Marcheschi, «Il pianto della terra. La gioia della terra». Sulla poesia di Birgitta Trotzig – Bibliografia.
N. 10 – giugno 1997- Critica / Giacomo Noventa: Daniela Marcheschi, «Perché non possiamo non dirci poeti» – Massimo Raffaeli, Una poesia di Noventa e un’idea della poesia – Poesia / Francisco Brines: Poesie – La certezza della poesia – David Fiesoli, Il rigore sensuale dei versi di Brines: poesia da toccare, per conoscere – Bibliografia essenziale – Poetiche / Staffan Nihlén: Sull’Arte – Amedeo Anelli, Stele: la maturazione del tempo. Natura, arte e verità nell’opera di Staffan Nihlén.
N. 11- dicembre 1997- Critica / Giacomo Noventa: Luigi Commissari, «Perché sono cattolico» – Leonardo Lattarulo, Appunti su Noventa e Croce – Poesia / Carlos Contramaestre: Poesie – Martha L. Canfield, Parola del silenzio: la poesia di Carlos Contramaestre – Daniela Marcheschi, Testimonianza per Carlos Contramaestre – Bibliografia essenziale.
N. 12- giugno 1998- Critica / Giacomo Noventa: Leonardo Lattarulo, Del Noce interprete di Noventa- Remo Pagnanelli, Postilla per Noventa e Fortini- Poesia / Christine Koschel: Poesie – «Questo il più innocente di tutti gli affari…» -Maura Del Serra, Christine Koschel: la purezza armata della parola – Silvio Aman, Altre versioni – Bibliografia essenziale.
N. 13- dicembre 1998- Critica / Giacomo Noventa: Giancarlo Buzzi, Se di Dio e con Dio s’abbia parlare in dialetto Poesia / Elio Pecora Poesie e racconti brevi – Achille Tartaro, Il nuovo libro di Elio Pecora -Paolo Febbraro, L’infinito elencare. Una lettura della poesia di Elio Pecora, – Roberto Deidier, La prosa verso la poesia. L’occhio corto – Bibliografia essenziale
N. 14- giugno 1999- Critica / Giacomo Noventa: Leonardo Lattarulo, Ancora su Fortini e Noventa Poesia / Lidija Vukcević: Poesie – Sulla poesia e sulla realtà- Bibliografia essenziale Materiali / Staffan Nihlén, Dialog med Leonardo / Dialogo con Leonardo – Bibliografia essenziale.
N. 15- gennaio 2000- Filosofia / Michail M. Bachtin: Appunti degli anni 1940-60 – Margherita De Michiel, M. M. Bachtin: nel laboratorio di un pensatore- Stefania Sini, I diversi scorci della distanza Poesia / Anna Cascella: L’intelletto delle erbe – Simone Zafferani, Il peso della leggerezza. Sulla poesia di Anna Cascella- Paolo Febbraro, Le poesie di Anna Cascella. Una lettura in forma di discorso – Bibliografia essenziale Materiali / N. Scott Momaday, An American Land Ethic- Bibliografia essenziale.
N. 16- giugno 2000- Critica / Giacomo Noventa: Enrico Capodaglio, Leopardi con gli occhi di Noventa- Poesia /Urszula Kozio\: Poesie (a cura di Giovanna Spendel).Bibliografia essenziale. – Materiali / David Fiesoli, I Il segreto di Talete, II Da «Le streghe»- Bibliografia essenziale.
N. 17- gennaio 2001- Filosofia / Richard H. Weisberg: Il fallimento della parola. Prefazione e Introduzione – Poesia / Guido Oldani: Sapone – Amedeo Anelli, Alla rovescia del mondo: Sapone di G. Oldani. Bibliografia essenziale. – Materiali / Darko Suvin, Centennial Politics: On Jameson on Brecht on Method.
N. 18- giugno 2001- Filosofia / Rodolfo Quadrelli: Selezione da Il linguaggio della poesia – Giuseppe Pontiggia, Ricordo di Rodolfo Quadrelli – Poesia / Cristina Annino: Polaroid con dedica – Walter Siti, Gli organi sopra i tessuti -Amedeo Anelli, Nota per Cristina Annino. Bibliografia essenziale. – Materiali / Giuseppe Pontiggia, Scrivere: modi, problemi, aspetti. Bibliografia essenziale.
N. 19- gennaio 2002- Poetiche / Edgardo Abbozzo: Dire – Amedeo Anelli, E dove la lingua. Aforismi, frammenti, massime e brevi pensieri di Edgardo Abbozzo – Poesia / Roberto Piumini: Poesie- Daniela Marcheschi, La felicità della poesia -Caterina Verbaro, “L’amore morale di Piumini. Bibliografia essenziale. – Materiali / Giampiero Neri, Invenzione e mimetismo. Bibliografia.
N. 20- giugno 2002- Critica /Alfonso Gatto: Silvio Aman, I paesaggi spirituali di Alfonso Gatto; Giancarlo Buzzi, Problemi non notarili di eredità; Mario Lunetta, Verso un parlare di una storia morta; Anna Modena, Se l’uomo è stato offeso; Daniele Pieroni, Mare e città; Enrica Salvaneschi, La carta non intestata del poeta; – Poesia / Maria Lainà: Poesie- Sofia Gavriilidis, Sulla Poesia di Maria Lainà – Bibliografia essenziale.
N. 21- gennaio 2003- Critica /Giuseppe Pontiggia: La tecnica narrativa di Italo Svevo (Parte I) – Capitoli I-II-III; – Poesia / Herberto Helder: Poesie- Herberto Helder, Il mestiere del poeta, Luísa Marinho Antunes, Luminosità, allegria e altro. Note sulla poesia di Herberto Helder- Bibliografia essenziale. Materiali / Staffan Nihlén, Sculture nel paesaggio; Amedeo Anelli, Staffan Nihlén: sulle idee di paesaggio, di scultura, di natura.
N. 22- giugno 2003- Critica /Giuseppe Pontiggia: La tecnica narrativa di Italo Svevo (Parte II) – Capitoli IV-V-VI – Bibliografia; – Poesia / Inger Christensen: Poesie- Bruno Berni, Tradurre l’infinito: la poesia di Inger Christensen- Bibliografia essenziale. Materiali / Viktor Maksimovic Zirmunskij, La versificazione di Majakovskij [parte I]; Eridano Bazzarelli, Breve Nota.
N. 23- gennaio 2004- Critica /Viktor Maksimovic Zirmunskij, La versificazione di Majakovskij [parte II]- Poesia/Rodolfo Quadrelli: Poesie- Amedeo Anelli, Nota sulla poesia di Rodolfo Quadrelli. Materiali /Edoarda Masi, Intervista.
N. 24- giugno 2004- Filosofia / Dino Formaggio: La tecnica artistica; La ceramica: un problema di funzionalità artistica; Storia di un uomo in cammino col suo carro. Una autobiografia- Poesia / Sandro Boccardi: Poesie – Guido Oldani, Il segreto di Boccardi -Piccola antologia della critica (Pietro Gibellini. Giuliano Gramigna, Giorgio Luzzi) – Materiali / Sergio Serapioni, La meccanica del tempo -Angelo Genovesi, Considerazioni preliminari a proposito de La Meccanica del tempo.
N. 25/26- gennaio 2005- Filosofia / Dino Formaggio: Formazione e forma in Paul Klee. Una fenomenologia del visibile e dell’Arte; Estetica,critica d’arte, opera d’arte; Estetica della città e immaginario del caos; Chi è l’incisore? Cos’è una incisione?- Poesia / António Ramos Rosa: Poesie – Luísa Marinho Antunes, Per non vivere senza spazio-la poesia di António Ramos Rosa – Critica/Giancarlo Buzzi, Milva Marisa Cappellini, Tensione a una semantica totale; Luigi Commissari, Esistenza umana e mistero; Silvio Curletto, Figure dell’incesto: l’ammessa eccezione; Gio Ferri, Amore e morte come vita; Mario Lunetta, Scrittura come pensiero-forma; Fabrizio Ottaviani, Rammendi invisibili.
N. 27- giugno 2005- Poetiche / Edgardo Abbozzo: Interviste del 10 e del 28 marzo 2002 rilasciate ad Amedeo Anelli; Aforismi inediti ed ultimi aforismi – Poesia / Nanni Cagnone: Poesie – Amedeo Anelli, Nota in re- Materiali / Angelo Genovesi – Albert Einstein, Messaggio alla Società Italiana per il Progresso delle Scienze in occasione della XLIII Riunione. Lucca 1-4 Ottobre 1950. Trascrizione integrale dal manoscritto originale tedesco e traduzione italiana di Giuseppe Sgherri-Angelo Genovesi, Libertà, natura e cultura nel pensiero di Albert Einstein.
N. 28- gennaio 2006- Filosofia / Dino Formaggio: Piero della Francesca. Capitolo I: La Prospettiva come unità di scienza e vita nel Quattrocento; XXIV Biennale a Venezia (1948) come lezione critica e storica; Il mondo dei sensi e l’Estetica.- Poesia / Innokentij F. Annenskij: Poesie – Eridano Bazzarelli, Annenskij: profilo e scelta di liriche- Materiali / Pier Luigi Bacchini – Il bambino solo -Daniela Marcheschi, Bacchini tra fiaba e poesia; Amedeo Anelli, L’ultimo Bacchini di Contemplazioni meccaniche e pneumatiche. Sopralluoghi ed investigazioni.
N. 29- giugno 2006- Filosofia / Dino Formaggio: Goya; L’Estetica.- Poesia / Aleksandar Ristović: Poesie – Aleksandar Ristović, Poesia sempre e dappertutto – Lidija Vukcević, Lospirito d’oro oppure la speranza nella poesia di Aleksandar Ristović- Materiali / Edgardo Abbozzo: Edgardo Abbozzo, Dante Filippucci: Maestro e Amico – Edgardo Abbozzo, Intervista rilasciata ad Amedeo Anelli il 25/5/02 – Amedeo Anelli, Edgardo Abbozzo: un’arte di pensiero – Giulio Busti, Edgardo Abbozzo a Deruta tra il 1962 e il 1972 – Guido Oldani, Il lazzo di Abbozzo – Antonio Carlo Ponti, Più passano i giorni – Italo Tomassoni, I labirinti di Edgardo Abbozzo.
N. 30- gennaio 2007- Filosofia / Dino Formaggio: Mutazioni paradigmatiche. Il primato del divenire del tempo, del corpo; La temporalità e i corpi; morfogenesi e pregnanza; Le forme e il tempo. L’Architettura delle Temporalità; La nullificazione creatrice e il progetto; Il senso universale della Resistenza .- Poesia / Vitorino Nemésio: Poesie – Luísa Marinho Antunes,Conoscenza della poesia – dell’arte di scrivere di Vitorino Nemésio; Bibliografia essenziale. Materiali / Vincenzo Gioberti: Amedeo Anelli, Studiamo Gioberti – Vincenzo Gioberti, Del Primato morale e civile degli Italiani da “L’Italia è la sintesi e lo specchio d’Europa” a “Napoli e la Sicilia”; Vincenzo Gioberti, Del Rinnovamento civile d’Italia da “Degli scrittori” [parteI].
N. 31 – giugno 2007- Filosofia / Vincenzo Gioberti: Amedeo Anelli, Studiamo Gioberti (II), Vincenzo Gioberti: dal “Gesuita Moderno” “Discorso preliminare” Vol. I; da “Del Primato civile e morale degli italiani,” La letteratura italiana è la più antica fra quella dei popoli moderni e insieme la più giovane”; d a “Del Primato civile e morale degli Italiani” “Del Furioso: divario di esso dal poema di Dante. Della storia e geografia dell’Ariosto entrambe cosmopolitiche” – Poesia / Maria Polidouri: Maria Polidouri, Poesie; Sofia Gavriilidis, Maria Polidouri: Solo perché mi hai amata canto; Bibliografia essenziale
– Poetiche / Edgardo Abbozzo: Edgardo Abbozzo, Pensieri; Mie; Mie [Ricordi]; Viktor Permjakov, Edgardo Abbozzo: sguardo dalla Russia; Amedeo Anelli, Fuochi – Materiali / Paolo Rossi: Paolo Rossi, Un aspetto inedito del Guicciardini (Parte I); Graziano Lori, Paolo Rossi, un intellettuale democratico; Bibliografia.
N. 32 – gennaio 2008- Filosofia / Adelchi Baratono: Adelchi Baratono: da “Arte e Poesia”; da “Il mondo sensibile”; da “Sociologia estetica”; Dino Formaggio”Arte e Poesia in Adelchi Baratono” – Poesia / Jurgis Baltrušajtis: Poesie; Eridano Bazzarelli, Parole su Jurgis Baltrušajtis. Materiali / Paolo Rossi: Paolo Rossi, Il Guicciardini criminalista (Parte II).
N. 33 – giugno 2008- Filosofia / Dino Formaggio: Dino Formaggio: Arte e lingua ovvero comunicazione e informazione; Una sintesi: il corpo e l’arte. – Poesia / Luís Carlos Patraquim: Poesie; Luísa Marinho Antunes,«Lingua e poesia, quasi corpo». Bibliografia essenziale. Poetiche/ Edgardo Abbozzo: Edgardo Abbozzo, L’Arte è Alchimia. Alchimia è Arte; [Quattro elementi]; Umbro Apollonio, [Materia e segno]; Amedeo Anelli, Il medesimo dell’immagine. Volti e ritratti. Materiali / Claudio Iozzo: Claudio Iozzo, Spazio e scrittura; Il mancinismo speculare di Leonardo da Vinci: sincretismo fra uomo e scrittura. Bibliografia essenziale.
N. 34 – gennaio 2009- Filosofia / Vincenzo Gioberti: Amedeo Anelli: Studiamo Gioberti (III); Vincenzo Gioberti, Da “Del Rinnovamento civile d’Italia” Degli Scrittori- Ultima parte; Da “Studi Filologici”, Il Petrarca- Poesia / Assunta Finiguerra: Poesie; Daniela Marcheschi,Il sale di pietra: la poesia di Assunta Finiguerra. Bibliografia essenziale. Materiali/ Giovanni Sias: Giovanni Sias, Logos. Il ritorno della sapienza antica nell’esperienza della Psicoanalisi. Bibliografia essenziale.
N. 35 – giugno 2009 – Filosofia/Scritti sull’Umorismo dal 1860 al 1930 (Prima selezione): Daniela Marcheschi, Nota introduttiva; Léon Dumont, Le risible da “Théorie Scientifique de la Sensibilité” (1875); Gaetano Trezza, L’Umorismo (1885); Giorgio Arcoleo, Da “L’Umorismo nell’Arte moderna” (1885); Filippo Masci,[Psicologia del Comico] da “Elementi di Filosofia” (1904); Ferdinand Baldensperger Les définitions de l’Humour (1907) [Parte I] – Poesia / Romeo Giovannini : Romeo Giovannini , Anacreontiche e altre imitazioni dalla lirica greca [Una scelta]; Amedeo Anelli, Nota in minore; Bibliografia essenziale – Poetiche / Edgardo Abbozzo (a cura di Amedeo Anelli): Edgardo Abbozzo [Aforismi altri]; [Quando ho Toccato l’argilla]; Marcello Venturoli, L’Arte è Alchimia.
N. 36 – gennaio 2010 – Dino Formaggio/ Un ricordo; Dino Formaggio, Da “Arte”, Introduzione; Dino Formaggio, Giudizio storico e Teoria dell’Arte; Dino Formaggio, La pittura, la storia e il sacro- Poesia / Arménio Vieira : Arménio Vieira, Poesie; Luísa Marinho Antunes, L’inondazione delle acque: L’ironia e il canto in Arménio Vieira; Bibliografia essenziale – Filosofia/Scritti sull’Umorismo dal 1860 al 1930 (Seconda selezione): Daniela Marcheschi, Nota introduttiva; Léon Dumont, Da “Les causes du rire” (1862); Marc-Monnier, Da “Humoriste italien. Salvatore Farina” (1882); Paolo Bellezza, Da “Humor” (1900).
N. 37 – giugno 2010 – Luigi Commissari/ Un ricordo (a cura di Amedeo Anelli); Amedeo Anelli, Nota ai testi; Luigi Commissari, Dell’interrogarsi sull’anima; Luigi Commissari Poesie scelte; Guido Oldani , Il Micelio – Filosofia / Scritti sull’Umorismo dal 1860 al 1930 (Terza selezione): Daniela Marcheschi, Nota introduttiva; Vincenzo Reforgiato, Da “L’Umorismo nei Promessi Sposi”; Alice Werner, Da “The Humour of Italy” -Materiali / Darko Suvin (Traduzione e cura di Elisabetta Stacchiotti Binni) : Darko Suvin L’immigrazione in Europa oggi: Apartheid o civile coabitazione
N. 38 – gennaio 2011 – Edgardo Abbozzo/ Annuario (a cura di Amedeo Anelli); Edgardo Abbozzo, Omaggio a Dioniso; Amedeo Anelli, Maestro e maestri (I); Amedeo Anelli, Chiralità. Percorsi nel medesimo dell’immagine – Poesia/ Magnus William-Olsson (a cura di Daniela Marcheschi) : Magnus William-Olsson, Poesie; Daniela Marcheschi, Antico e moderno nella poesia di Magnus William-Olsson – Filosofia / Scritti sull’Umorismo dal 1860 al 1930 (quarta selezione): Daniela Marcheschi, Nota introduttiva; Amédée Pichot, Notice da “Histoire de la Caricature et du Grotesque dans la Littérature et dans l’Art par Thomas Wright”; Champfleury, Préface da “Histoire de la Caricature Moderne”; Otto Cima, Da “Mezzo secolo di caricatura milanese 1860-1910”
N. 39 – giugno 2011 – Critica/ Vincenzo Gioberti : Amedeo Anelli, Nota; Vincenzo Gioberti ,[Sulla lingua]; Poesia/ Luigi Commissari: Luigi Commissari, Poesie; Giancarlo Buzzi, Oltre il muro della morte – Filosofia / Scritti sull’Umorismo dal 1860 al 1930 (quinta selezione): Daniela Marcheschi, Nota introduttiva; Enrico Nencioni,’Umorismo e gli Umoristi ; Alessandro Amfitheatrov Le vie e le sorti dell’umorismo russo .
Alla Divina e “intoccabile” Laura Canciani…
I rubinetti purtroppo si aprono sempre, a volte senza mai chiudersi. Il mio intervento era un tentativo di ricondurre la discussione a toni e contenuti anche poetici (dal momento che sembra le interessino solo le tematiche…). Il mio invito liquido significa “passare oltre” ma lei ha preferito il fumo all’arrosto…
Da buon amico di Giorgio Linguaglossa posso confermarle che tutte le persone che stanno leggendo questo post hanno scambiato commenti o discutono in varie sedi sull’ultima fatica di Giorgio. Ne approfitto inoltre per darle due buone notizie: la prima è che eviterò di disturbarla ancora con la mia presenza in questo blog, la seconda è che può risparmiarsi la fatica di sezionare la mia risposta in quanto mi occupo di comunicazione e ho ben scelto tutte le parole ed il tono della mia risposta…
Ah, dimenticavo… Si legga qualche buon libro di poesia…
Maurizio Alberto Molinari
Rispondo, gentile poetessa Laura Canciani, alle domande che pone, domande giuste anche se, ammettendo di non leggere più da anni le riviste, ammette di conseguenza la parzialità delle sue critiche.
1. In questo sito http://www.hebenon.com troverà l’indice dei numeri della rivista, dei quaderni e dei libri con il nome dei poeti italiani e stranieri “trattati” dall’Associazione Culturale Hebenon. Non direi “lanciati” perché sarebbe stato un lancio ben misero vista l’irrilevanza effettiva delle riviste di letteratura. Vorrei però fare notare, di passaggio, che “irrilevante” significa che non è stata “rilevata” e la colpa di ciò è quindi dei fruitori più che delle riviste.
2. Anche di questo noterà l’indice (bisognerebbe in più leggere tutti i vari editoriali per capire la posizione di Hebenon, che, come molte altre riviste, è sempre stata critica con il mondo culturale e che ha sempre avuto l’onestà di fare pure autocritica).
Mi viene da rivolgere una domanda ai poeti che criticano le riviste: poiché anche noi direttori siamo poeti, a parte le vostre congetture sul perché abbiamo creato delle riviste (ma riguardo a questo vedremo il punto 3), voi cosa avete fatto per dare voce ad altri oltre a voi stessi? Non mi risulta che in Kamen, Hebenon, Testuale (perché qui nominate) e in diverse altre riviste i direttori abbiano mai pubblicato propri testi creativi, come invece hanno fatto “Nuovi Argomenti” o addirittura “Tuttolibri” della Stampa con Nico Orengo, che lui vivo ebbi modo di biasimare anche pubblicamente.
Vorrei segnalare, oltre a Kamen (diretta da Amedeo Anelli), Testuale (diretta da Giò Ferri) e Hebenon, altre riviste che hanno lavorato e lavorano, pur sicuramente con errori (chi si mette in gioco ne commette), per la poesia e non solo: La clessidra (diretta da Sandro Montalto), Punto (diretta da Mauro Ferrari), Atelier (diretta da Giuliano Ladolfi e Marco Merlin), Confini (purtroppo chiusa, diretta da Paolo Lezziero), La Mosca di Milano (diretta da Gabriela Fantato), Poiesis (purtroppo chiusa, diretta da Giorgio Linguaglossa), Polimnia (diretta da Dante Maffia), Altroverso (diretta da Valentino Campo), Il Segnale (diretta da Elio Scanavini), Arenaria (diretta da Lucio Zinna), e ancora L’Ortica, Capoverso, Grafie, e molte altre che in questo momento non mi vengono in mente. Uno scenario ampio di piccole riviste che forse, come dice Cucchi, da sole sono irrilevanti ma che certamente insieme possono risultare fastidiose, a chi vorrebbe l’altare, e allo stesso tempo rigeneranti, grazie soprattutto agli studiosi che vi collaborano (cfr. in questo dibattito l’intervento di Francesca Tuscano) per vera passione.
3. Ho lavorato per anni dietro alle quinte e le assicuro che fondare una rivista non è assolutamente il modo giusto per autopromuoversi (del resto avete appena ‘rilevato’ la loro “irrilevanza”). Ci sono altre strade, in genere massoniche, politiche, finanziarie, ecc. E poi crede davvero così eccitante ambire di trovarsi in collane con Cucchi, Lamarque, Riccardi? Non critico autori di questo ‘calibro’ per prevenzione e ho fiducia che un bel giorno smettano di sentirsi dei padreterni e scendano “in terra a miracol mostrare”, ma per ora non vedo miracoli poetici nei loro libri e professionalità nei loro atteggiamenti. Io credo che i direttori di rivista – in particolare loro, in quanto hanno già dimostrato, perlomeno, di non essere invidiosi degli altri poeti – sarebbero ben felici di vedere un giorno poeti veri, come Laura Canciani, sulle pagine che contano, almeno per sopportare il fastidio che si prova a veder lodare i mediocri. Ci sarebbe poi da chiedersi a cosa servirebbe comunque questo, vista l’ormai enorme lontananza del pubblico dalla vera scrittura, ma questo è un altro discorso.
Infine, non parliamo di “coraggio” nel dare visibilità ad un libro importante come quello di Giorgio Linguaglossa, il coraggio lo si dimostra in ben altre attività. E’ anzi sempre un onore dare luce a chi è serio, bisogna però considerare che ci sono alcune remore a parlare, sulle riviste che si dirigono, di un libro che tratta anche del direttore o dei suoi più stretti collaboratori.
Io capisco la rabbia dei nostri interlocutori e la condivido, ma capisco anche il fastidio di direttori/scrittori come Amedeo Anelli, perché so bene quanto sacrificio ci sia dietro alla loro attività. Non si tratta di “storcere” o meno “il naso” alle critiche, ma al modo di porle. E non è che chi non storce il naso acconsenta in toto, semplicemente pensa che ci sono questioni più gravi per le quali impegnare le proprie forze.
Se invece di combatterci l’un l’altro, così come facciamo ahinoi anche in altri ambiti sociali per esempio scannandoci autonomi e dipendenti, juventini e interisti, cattolici e islamici, ecc. ecc., facessimo fronte comune contro il classismo che domina ogni ambiente non sarebbe meglio? E ‘fare fronte comune’ non significa “mettiamoci insieme a marciare su Roma o a scrivere libri e quant’altro” ma significa semplicemente andare nella stessa direzione. Bisogna rieducare e rieducarci alla cultura e questo lo si può fare solo con l’esempio, comune, di scrittori seri e di uomini corretti. Senza un humus culturale sensibile e profondo qualunque lotta per i valori estetici e umani risulterebbe infeconda.
Roberto Bertoldo
Snobismi del genere esposto da Giuliana sono da sempre emersi contro la poesia e a detrimento sia del genere sia dei loro autori, e non bisogna scomodare per la milionesima volta Aristotele del Libro X di Repubblica, “Teoria dell’Arte”. La poesia è una delle più elementari forme espressive (Vico) dunque nulla da meravigliarsi che vi sia in ciascuno un poeta a vari gradi di talento ed impegno, o che la si insegni a scuola, con il naturale esito che il bambino appena in grado di scrivere si provi a scriverla ella ed egli stessa/o, perchè ciò che si impara è modello e si imiterà un giorno o l’altro a qualche punto della propria vita: dunque dico a Giuliana.
Un rimedio paradossale per evitare che spuntino fuori tutti questi sedicenti ”poeti” come gramigna, potrebbe essere quello di eliminare l’insegnamento della poesia dai programmi delle scuole dell’obbligo?
A 4 anni, figlia di insegnanti, e alunna di una scuola statale, laica, conoscevo già a memoria, e per esteso, vuoi per pressione esercitata da mia madre, vuoi per mio primo moto narcisistico, che poi è la stessa cosa, un numero pari a 10 poesie del repertorio classico, oltre a sapere a memoria le 10 preghiere della catechesi d’obbligo per potere poi fare a 7 anni la prima comunione.
Eliminiamo sia l’istituzione poetica sia la Chiesa cattolica ed elimineremo la sconvenienza di tutti questi aspirati poeti in marcia verso quello che Giuliana sembra ritenere un nocivo narcisismo che si scrive addosso.
Ricapitolando: si scrive poesia perchè la si insegna a scuola e in chiesa e la si impara e la si esperimenta, così come si esperimenta la prassi di qualsiasi altra materia con riscontri nella vita reale: come fare calcoli, correre i 100 mr, viaggiare per il mondo della geografia che era solo sulla carta colorata della mappa. Si scrive poesia perchè si acqwuisisce conoscenza ed intimità emotiva ed intellettuale con un linguaggio, dei generi, delle espressività, e forme di comunicazione sociale, politica, che hanno strette relazioni anche con le logiche, oneste o corrotte che siano, prassi del mercato: come per ogni attività umana.
Mi si perdoni la provocazione, volta solo a suscitare un sorriso, ma così come non si è tutti bravi poeti, deputati ad esserlo, così anche non si è bravi genitori, o impiegati, ect ect. Nessuno deve passare esami preliminari per accedere a queste categorie professionali, ambiti artistici, funzioni e ruoli: non ancora. Se poi si partorisce un mostriciattolo, solo a Sparta lo si butterebbe giù dalla rupe: qui da noi si osserva, accogli e magari inserisce in della valutazioni a carattere qualitativo.
Ma non è mica vietato dalla legge fare i poeti e scrivere poesia.
Gent.mi Amedeo Anelli,Roberto Bertoldo, Lelio Scanavini, Dante Maffìa etc…
Con il rispetto dovuto a Voi e agli operai della poesia, non voglio coinvolgere nel mio discorso riviste monadiche e monodiche come “Testuale” e “Ante rem” le quali vanno da 20 anni per la loro strada in assoluta e splendida solitudine, come vasi incomunicanti, che parlano un loro individualissimo idioletto…
“Kamen” di Anelli è stata una rivista che storicamente si è impegnata su un piano “alto”, ha visto le cose “da lontano”, con uno sguardo non proprio “italiano” ma multidisciplinare, e questo è stato il suo punto di diversità… (di forza e forse anche di debolezza). Un lavoro lungo e faticoso quello di Anelli che io ammiro per la forza, la tenacia e la dedizione costanti… anche se, a lungo andare, la rivista ha scontato una certa uniformità di indirizzo e, detto fra noi, certe scelte di poeti da promuovere non erano proprio le migliori (è mancata la capacità ad es, di incidere con riflessioni sulla contemporaneità).
Ma analoghe considerazioni posso autorivolgermele per quanto riguarda “Poiesis” che ho diretto dal 1993 al 2005.
Voglio dire che a un certo punto del percorso delle nostre riviste forse sarebbe stato preferibile modificare un po’ il motore, la formula del veicolo, insomma, adeguare il veicolo alla situazione della strada sconnessa e non asfaltata del Dopo il Moderno.
Forse abbiamo sbagliato (e lo dico senza remore) dobbiamo riflettere su che cosa oggi c’è bisogno (e se un bisogno c’è di rivista fra i più giovani) Internet ha modificato la geografia della situazione, inutile negarlo! In verità, conosco molti giovani che fanno poesia ma vedo in loro soltanto un forsennato arrivismo, divismo, narcisismo spietato e dispiegato, poca cultura, pochissima apertura, ognuno pensa ai fatti propri, ma è inquietante che anche la politica
redazionale avviata da Cucchi tenda a premiare i poeti di vent’anni e poi quelli di trenta, e poi quelli recentemetne pubblicati in plaquettes sono povera cosa… io li ho recensiti (anche benevolmente) in modo soft perché sono giovani (ma non troppo). Ma perché una «portaerei» come la Mondadori fa questa politica culturale? credo che la
domanda sia meritevole di una risposta. Forse ritiene di guarire la penuria di lettori promuovendo indiscriminatametne i giovani? ma se vai a vedere quello che scrivono questi giovani non possiamo non metterci le mani nei capelli! Fanno il coro alle canzonette!!
Per farla breve, ritengo, cari interlocutori, che
dobbiamo guardarci negli occhi e che occorra fare un bilancio dell’era delle riviste fatte da gente come te Amedeo Anelli e me e Bertoldo e Scanavini e Maffìa (tutti in veste di singoli) che si sono mosse con buoni propositi ma individualmente, che non sono
riuscite a fare un discorso “comune”, (l’ora comune di
Serra!), a respirare l’aria dello stesso cortile, insomma, non abbiamo (forse) saputo respirare la stessa aria del cortile (che intanto si faceva
sempre più irrespirabile)… Insomma, è avvenuto che ci hanno guadagnato in visibilità e in investiture i furbi e i camaleonti e quelli di potere (Nuovi Argomenti) e chi ha tirato la carretta della ricerca spassionata è stato lasciato a tirare la carretta…
Forse (e qui faccio il mea culpa) dovremmo fare una riflessione comune, io te Bertoldo di Hebenon, Maffìa di Polimnia e non so chi altro per redigere un bilancio e mettere a fuoco una nuova “formula”,
non dico Formula 1 ma almeno una 500 in grado di correre su una strada così sconnessa.
Davvero bella la frase di Renato Serra! « Oggi c’è due tipi di riviste possibili: il tipo cinematografico, “magazine”,bazar di curiosità senza firma, da una parte: dall’altra la rivista
“persona”, che esprime solo e sempre un uomo; o un gruppo, una famiglia di spiriti ben definita.
(Renato Serra, da una lettera a Luigi Ambrosini, datata Cesena, marzo 1910)
Giorgio Linguaglossa
Premesso che mi sento di condividere quanto dicono Linguaglossa e Bertoldo , vorrei soffermarmi su alcuni lacerti ( ! ) della riflessione Lucchiniana , partendo dal ” Tenendo d’occhio il possibile gradimento del lettore ( se non vuole scrivere soltanto per sé ) “.
A questo proposito l’attenzione ( l’opzione ) volta a capitalizzare la creatività in funzione del consenso mi sembra fuorviante , infantile , tristemente banale / strumentale . Fuorviante inispecie , perché compromissoria dell’autonomia ( della specificità ) stessa dell’opera d’arte , se partiamo dall’assunto ( credo sacrosanto ) che essa deriva la sua bellezza dal fatto che l’autore è ciò che è , e non ha niente in comune col fatto che altri vogliono ciò di cui han bisogno . Credo che non appena l’artista tiene conto di ciò che gli altri chiedono , e cerca di soddisfare la domanda , egli cessa di essere un artista e diventa uno sciocco o un divertente artigiano , un onesto o disonesto negoziante …
Il pubblico è stato sempre e in ogni tempo educato male . Ha sempre domandato all’Arte di essere popolare , di compiacere la povertà del suo gusto , di lusingare la sua assurda vanità , di ripetergli ciò che già sapeva , di mostrargli ancora ciò che dovrebbe essere stanco di vedere , di divertirlo con ciò che è pesante fino all’indigestione , di distrarre il suo pensiero quando è affaticato dalla propria stupidità …
Ma l’Arte non può mai cercare di essere popolare . E’ il pubblico che deve cercare di diventare artistico .
Poi c’è il passaggio , molto significativo : ” Il gusto moderno rifugge dalla qualità “lirica”, emblema aristocratico della Tradizione …” ; al che mi permetto di rassicurare la Lucchini , eccependo che la modalità lirica ( anche variamente camuffata ) è saldamente in sella – basta guardarsi in giro , anche tra i giovani – perché presuntuosamente estensiva della istituzionalità stessa della poesia : è sufficiente dare un’occhiata ai bandi dei concorsi letterari : ” Sono ammesse fino a tot “liriche” ecc.”, laddove dire “testi” o “poesie” procurerebbero devastanti mal di pancia o itterizie lacaniane …
Ciò non toglie , a mio avviso , che vi siano spazi e consensi per l’ipotetico talento che domani rivisitasse in chiave moderna un Vittorio Sereni immettendovi ex novo le tempeste neuronali slogate e stranianti di questa nostra ineffabile modernità , possibilmente oggettivando il discorso e innervandolo di ironia e autoironia …
Ringraziando per l’ospitalità
leopoldo attolico
Non è che l’arte non deve o non può essere popolare, sicché l’arte è anche fatta dal popolo, ma è che si divide in produttori e fruitori, per fasi troppo lunghe, prima che i fruitori, la gente del popolo, diventino loro stessi produttori. Da cui la la dimensione non propriamente popolare, connaturata all'”arte”, che, tuttavia, sempre al popolo si rivolge (se non ad esso, a chi?), specie l’arte che si sperimenta e muta a passo più veloce del passo scandito dai mezzi di diffusione del prodotto artistico. Il teatro essendo tra i più efficaci, carnali e simultanei. Per cui tra il pubblico variegato del Globe, che assisteva alle commedie e tragedie di Shakespeare, solo due o tre individui umani avevano le potenzialità di rinnovare o seguire quel genere. Il resto degli spettatori poteva certo farlo, sì, ma non subito, e non necessariamente, per ragioni di gusto, disposizione, occasioni, etc etc. ma mica Shakespeare non era uno del popolo, figlio com’era di un guantaio, che aveva frequentato senza troppa gloria il ginnasio in una cittadina semisconosciuta e di ceto medio-basso, come Stratford upon Avon? Era un commediante, no? Che innanzitutto scaltramente scriveva per ogni rango sociale, coinvolgendoli tutti.
emica quello che scriveva non era comprensibile al popolo? era proprio arte popolare, anche quando parlava dei re, perché parlando dei Re, si rivolgeva appunto ai sudditi, e li istruiva, e li illuminava sui pregi e difetti da cui dovevano tenersi in guardia rispetto alle monarchie che li schiacciavano. La la sua arte, i suoi testi, tutto delle sue scritture (fatta eccezione per i sonetti,che erano uno sfogo intellettuale, intimo, alle pene d’amore, rivolto al voyeurismo dei cortigiani) era proprio concepita come arte popolare, come quella di Brecht.
…insomma, basta che chiariamo che ci si muove in paradigmi metaforici e politici, egemonici e patriarcali, di speculazione e potere, e non in quelli letterali, scientifici.
Per Erminia:
Ma esistono davvero, metafisicamente, distinti paradigmi, in grado di suddividere ogni nostra azione in settori? Scrivere è sempre arte, in senso etimologico, etica e/o politica, insieme. La distinzione tra «popolo» e «artista» implica il riconoscimento di categorie paradigmatiche, come tu stessa scrivi, che, di norma, sono “fabbricate” dall’artista stesso a posteriori. Perché l’artista produttore e popolo fruitore? Il rapporto tra «popolo» e artista è feedback, se ancora desideriamo dare legittimità teoretica alla nozione di «popolo»; o, addirittura, non esiste, se cade ogni distinzione «popolo» / «artista». Certo che non tutti, del «popolo», avranno occasione di diventare grandi artisti. Ma l’artista ha il dovere (molte volte è definito come dovere morale) di arrogarsi il diritto di diventare magistrato artistico dell’iniziativa artistica del «popolo»? Ivan
Ivan, se leggi tutti i miei post, vedrai che dico la stessa cosa: il popolo è l’artista nel suo orizzonte fututo: ciascuno del popolo è ootenziale futuro artista. il popolo guarda all’artista come modello, e quando lo diventa, la dialettica ricomincia: io sono assolutamente con te. inoltre da dove altro nasce ogni artista se non dal popolo? non ho mai creduto all’artista del tipo della Martian school inglese. Philip Larkin e altri invece hanno proposto l’artista come il vicino di casa (next door neighbour). e infatti là proprio così è. nemmeno credo alla storia dei cavoli.
🙂 ma dimmi di te… Ma c’è un modo di corrispondere anche fuori lista?
scusatemi ma ho una presbiopia ormai a 3.50. non vedo quello che scrivo e ho il carattere allargato al massimo possibile- chiedo venia per i typos. che sempre troverete quando io posto i miei commenti, vi anticipo.
nemmeno troppo accetto l’accezione di critico-legislatore, critico-pedagogo delle masse. sono definizioni che fanno ingiustizia sia a Fortini sia a Pasolini.
Per Erminia:
scrivimi a kiripoz@tin.it . ciao
Ricevo una nota che mi consiglia di leggere un articolo sulla critica nel sito lietocolle; siccome navigo male nell’internet ed essendo tre quarti orbo per sbaglio arrivo in questo sito. Chissà se l’articolo che cerco si trova anche qui. No. Me ne trovo davanti altri che criticano la critica e le riviste letterarie. Mi soffermo sulla affermazione, “le riviste che si occupano di poesia sono irrilevanti”, di Maurizio Cucchi.
Indubbiamente lo sono in questa era digitale. Senza
scuse e con semplicità, è difficile portare avanti una rivista aperta ad autori fuori delle cinta redazionali e avere abbonati; si figuri quanto sia facile dirigerla invece se lo spazio è coperto soltanto da scritti dei redattori e raramente dell’amico di un amico. Per una rivista così non ci dovrebbero essere abbonati, ma quelli che lo sono sono anche stupidi. “Officina” era così. ripetente di idiozie. Certi direttori non avranno rimorsi nel sentirsi accusati che una rivista letteraria chiusa in sé stessa, se esiste ancora, è realmente risibile e ultra irrilevante, caccia riservata per le redazioni. Non avendo bazzicato realmente con redazioni italiane e americane, preferisco offrire la mia particolare esperienza della loro irrilevanza che non sarà quella a cui si riferisce Cucchi. Lascio agli “editors” più interessati di me a discutere difendere negare oltraggiare il senso di Cucchi che io comunque condivido.
Per cinquant’anni ho redatto, diretto, come eminence grise, “Chelsea”. Distribuita da tre distributori la
rivista americana si trovava tra le migliori. Dicevano e scrivevano. Infatti, “Chelsea”, che non commissionava e non raccomandava, riceveva annualmente chilometri di scritti di autori e traduttori noti, meno noti, e sconosciuti da ogni angolo degli Stati Uniti. Si leggeva e si sceglieva. Io decidevo. E non ci pubblicavamo, legge stabilita da me per evitare vanità e possibili intrallazzi. Eppure si è rivelata irrilevante tramite autori lettori e internet. Ciascun autore si presentava invariabile, si comportava da cafone, ruffiano, e alla pubblicazione si scopriva banale, volgare, e in possesso, credeva, della gloria. Dopo aver ricevuto copia della rivista e un assegno non ne acquistava una a metà prezzo da mostrare alla nonna e alle amicizie. Non era obbligato, ma neanche gli veniva da pensare come si mantengano le riviste indipendenti: “Chelsea”, “Hebenon”, “La MOsca di Milano”, etc. etc. Ammettere che gli autori se ne fregano è pura irrilevanza.
L’internet ha rovinato le riviste stampate. Autori e lettori le sfogliano e le leggono in piedi nelle librerie. Perché abbonarsi, perché acquistarle. Le trovano gratis nei siti delle stesse riviste stampate. A un certo momento terminano gli abbonamenti privati e istituzionali. Perché seguitare la pubblicazione della rivista che non ha più neanche un minimo ritorno per le spese. E così
spariscono le riviste indipendenti. Rimangono quelle finanziate dalle università, per prestigio, ma il prestigio va più al direttore (professore). Il tempo
dà irrilevanza anche maggiore a queste riviste.
Vedendo la mia “Chelsea” diventare irrilevante per finanze sperperate nel nulla, la chiusi senza lacrime nell’autunno del 2007 per continuare invece a finanziare “Chelsea Editions”. Subito due professori mi contattarono per acquistare “Chelsea” a nome della loro università. Risposi che non era in vendita, che rimaneva con l’aspetto che io le avevo dato. Un lettore, allora a me sconosciuto, Louis Bourgeois, americano della Louisiana, mi scrisse: “come ti permetti di terminare “Chelsea””. Altrettanto laconico risposi: “perché è mia, e perché sono stufo di fare la carità ai poeti”. Capì,
o finse di capire chiedendomi se poteva intervistarmi. Infatti. . .
Di rilevante rimane l’archivio “Chelsea” nella importante Beinecke Rare Book and Manuscript Library della Università Yale.
Quanto triste l’irrilevanza delle riviste letterarie dovunque.
Alfredo de Palchi
New York City, 24 settembre 2011
A Alfredo
Rispetto alle questioni prima discusse, rispetto a Sanguineti Junior, Alfredo, devo darti oggi ragione.
:/
Avevi assolutamente ragione.
siccome presso di noi (occidentali descritti nel nostro contaminato milieu virtuale, digitale, etc) la poesia ha trovato altri canali (che li si condiderino validi o non validi poco importa a questo ambiente, dinanzi alla valanga dei mezzi del suo stesso dilagare) per raggiungere il pubblico dei lettori, crediamo nella buona fede del poeta che non si vuole arricchire e sa che non si potrebbe mai arricchire, e che sa che nemmeno potrà mai – data la democraticità, e disponibilità, e autonomia di tali mezzi, che sorpassano i canali ufficiali della critica, nel senso dei luoghi tradizionali suoi deputati, quali riviste, antologie, accademia, ect – acquisire fama incondizionata, sancita, ect, o consenso unanime di un qualche valore: ciascuno dei poeti che si autoingannano con il virtuale deve in cuor suo avere una minima consapevolezza di questa marginalità, travestita da protagonismo.
insomma, volevo dire, che i poeti attuali formano un magma incandescente che erutta da un vulcano, da molti vulcani, in cui tutto scorre arroventato, ma tutto appare già potenzialmete pietrificato, divenuto solido composto.
… Alfonso Berardinelli afferma di nutrire stima soltanto verso 10 poeti del Novecento ma omette di farne i nomi per non crearsi antipatie e inimicizie tra coloro che non sono segnalati… a sua volta Andrea Cortellessa afferma perentoriamene che la poesia oggi è qualitativametne superiore alla narrativa (ma anche lui omette di indicare chi siano i beneficiari della sua stima in poesia)…
di questo passo si rischia di andare avanti all’infinito a parlare, tra censure e autocensure, di un bel nulla…
io invece ritengo che la poesia la si trovi nei libri di poesia e questi ultimi vengano scritti da persone in carne ed ossa…
A scanso di battute e di facili effetti giornalistici, mi piacerebbe conoscere l’opinione di Cortellessa e di Berardinelli sul libro di Giorgio Linguaglossa «Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010), recentemente uscito per EdiLet di Roma.
Sarei curiosa di conoscere la loro opinione sulle questioni sollevate da Linguaglossa che qui riassumo:
1)sul concetto di “Bellezza” che negli anni Ottanta e Novanta ne hanno dato i mitomodernisti;
2) il loro pensiero su concetti quali: “l’esistenzialismo milanese”, il “minimalismo” il “modernismo”; le categorie storico-temporali: “gli anni Settanta”, “gli anni Ottanta”, “gli anni Novanta”, “verso gli anni Dieci”, etc.;
3)è fondata la tesi dei nodi irrisolti della poesia italiana del secondo Novecento, affrontati nel capitolo “gli anni Sessanta”?
4) è fondata la tesi del nodo fondamentale che né Pasolini, né Montale, né la neoavanguardia né nessun altro aveva affrontato (la deriva verso la narratività)?; e che quel nodo irrisolto sarà destinato a ripresentarsi, come un bubbone, ingrossato, ad ogni generazione, in attesa di una soluzione?;
5)è fondata la tesi di Linguaglossa che parla esplicitamente di “modello maggioritario” che si è imposto dopo la “sconfitta” di Fortini e di Ripellino, con conseguente instradamento della poesia italiana nell’alveo del “riformismo moderato” della riforma sereniana?;
6) è fondata la tesi di Linguaglossa secondo il quale che il più grande poeta degli anni Cinquanta è un certo Ennio Flaiano (il quale si opponeva allo sperimentalismo e al linguaggio poetico postquasimodiano)?;
7) è fondata la tesi di Linguaglossa il quale cita un giudizio del tardo Giovanni Raboni, il quale mette in rilievo che forse la riforma sereniana, a fronte della ipotesi di riforma indicata da Franco Fortini, era una piccola riforma e che la poesia italiana che seguirà la strada aperta da Sereni si avvierà verso una poesia più facile e leggibile (e quindi più conformista)?;
8) mi sembra che nel libro Linguaglossa abbia messo molta carne al fuoco… l’autore dice che sono state combattute delle battaglie, ci sono stati degli sconfitti e dei vincitori, Chi sono gli sconfitti? Chi sono i vincitori? vogliamo dirlo?
9)e poi, la domanda più pressante al quale il libro tenta di dare una risposta, che ne è rimasto del minimalismo romano-milanese?
10) c’è per la poesia italiana contemporanea un futuro? C’è concretamente la possibilità che qualcuno dei balbettanti autori di oggi buchi la cortina fumogena di un conformismo acritico e tetragono quale si è instaurato in Italia (anche grazie ai silenzi dei critici)?
grazie, attendo una risposta.
Laura Canciani
NECROLOGIO PER STEVE JOBS.
STEVE JOBS: E’ MORTA UNA GROSSA PEDINA DEL REALISMO TERMINALE.
CON I SUOI OGGETTI, LARGAMENTE DIFFUSI, HA CONSENTITO ALLE POPOLAZIONI DI CONOSCERE MEGLIO ALTRI OGGETTI, INCENTIVANDO COSI’ LA MOBILITA’ MONDIALE DEI POPOLI DESIDERANTI, CHE HANNO POTUTO DI CONSEGUENZA’ ACCAVALLARSI MEGLIO TRA DI LORO E SUGLI OGGETTI STESSI, LORO EGEMONI. CIO’ NELLE MEGALOPOLI O PANDEMIE ABITATIVE.
CONFERIREMO LUI UN OGGETTO AL MERITO.
EGLI INFATTI E’ UN UOMO DEVOTO ALL’ERA DEL REALISMO TERMINALE IN CUI UOMINI E OGGETTI HANNO FINALMENTE RAGGIUNTO TERMINALMENTE , FRA DI LORO, L’IDEALE DISTANZA ZERO.
Guido Oldani
Si scrive e si pubblica. Perché si ritiene di avere da dire qualcosa a qualcuno.
Ho come la impressione che si confonda la critica quale genere associato a date professioni, in cui entra in gioco l’esercizio di un dato tipo di analisi, con la condizione* – ahi, questa sì, psicologica spesso – di essere “critici” di qualcuno e di qualcosa;
la critica di cui si interessa il critico letterario, o cinematografico o teatrale, ovvero la materia di cui si interessa l’esperto che si attenga all’analisi del testo – sia questa un’opera letteraria, o opera destinata al cinema o al teatro – è pratica ben lontana dall’esercizio connesso al verbo “criticare”, così come lo si intende nel linmguaggio quotidiano, ovvero come lo si assume quale abitudine sociale che, in genere, si accompagna al preconcetto, alla manipolazione, perfino alla malizia.
Es di criticA DEL PRIMO TIPO, ovvero una critica di tipo pololare che si spaccia per critica del testo letterario: “Chi scrive ama i propri testi e guai a chi glieli tocca.” – “Pubblicato il libro, il poeta vuole naturalmente essere letto. Da chi? – Ebbé, dal lettore. E dove lo trova? Se non sei uscito per sortilegio dalle mani di pochissime Case Editrici di potere (diciamo del Nord), nessuno ti conosce, nessuno ti fila. Ed ecco il poeta si dà un gran daffare per acquisire ‘visibilità’ (così poco, tirate le somme!). Prima cosa distribuisce da sé il libro fra amici, poeti, persone che trovano tempo per la poesia. Si organizza in letture pubbliche, su siti, su blog, e-book e quant’altro: un lavorìo di recensioni, di presentazioni, con l’aiuto di compiacenti poeti che si improvvisano critici (dato che in effetti sono specialisti della materia), i quali a loro volta riceveranno attenzione da altri consimili. Gentilezze di scambio? Tutto con serietà”
Es di critica potenzialmente del secondo tipo: “qualcosa di nuovo – e di artistico – in poesia si è visto fare da nuove presenze di questi ultimi anni, che hanno dato una svolta al concetto di poesia. Per lo più, donne: Irene Ester Leo, Bianca Madeccia, Mariagrazia Calandrone, esperte anche nella nuova forma d’arte audio-visiva, la video-poesia. Struttura poetica solida, compatta, verso lungo. Una forza emozionale sospinge la loro scrittura, cui si concedono senza riserve, un ardore spirituale, di quasi mistica infatuazione, in scoppiettanti terminologie, un’energia di parola che scalcia e scalpita, saltando in correnti di direzione contraddittoria. Un fiume scorre in acqua trasparente con detriti sotterranei tenuti tuttavia celati. I loro encomiabili approdi dovrebbero ora essere incanalati in un progetto di durata produttiva che non generi sazietà a lungo andare.
Se qui si tratta, come spero, di un tentativo di critica testuale, vorrei sapere esattamente, ovvero con un margine relativo di puntualità, quali sono le qualità che rendono le poetesse citate le sole su cui si basa la speranza della poesia futura. Si potrebbero per favore compendiare? Una decina di aggettivi basteranno a capire. Infatti, “ardore”, “forza emozionale”, “incomiabili approdi”….non descrivono nulla sul piano della critica al testo letterario. Senza polemica, ma costruttivamente, chiedo: potrebbe Giuliana espandere sulle qualità letterarie dei testi delle suddette autrici per fare luce sui loro speciali linguaggi e soprattutto sui motivi di Giuliana per citarli?
Possibile che tra le centinaia di forme e centinaia di generi della poesia, elencabili, con un poco di pazienza, volendo, siano, le 3 poetesse citate, davvero dedite alle stesse tenciche-supporto alla loro poetica (cito Giuliana: “struttura, verso lungo, audio-video, fiume, acqua trasparente, detriti, sotterranei”) :
Ricito: “Irene Ester Leo, Bianca Madeccia, Mariagrazia Calandrone, esperte anche nella nuova forma d’arte audio-visiva, la video-poesia. Struttura poetica solida, compatta, verso lungo. Una forza emozionale sospinge la loro scrittura, cui si concedono senza riserve, un ardore spirituale, di quasi mistica infatuazione, in scoppiettanti terminologie, un’energia di parola che scalcia e scalpita, saltando in correnti di direzione contraddittoria. Un fiume scorre in acqua trasparente con detriti sotterranei tenuti tuttavia celati. I loro encomiabili approdi dovrebbero ora essere incanalati in un progetto di durata produttiva che non generi sazietà a lungo andare.?”
Queste parole citate dall’articolo di “critica” poetica di Giuliana non appartengono alla termonologia espressiva del critico professionista, che studia il testo/i testi, e comunica date realtà rilevabili nel loro tessuto linguistico e nella loro forma espressiva rispetto a questioni di tradizione, canone, ect. Sono, appunto, dei giudizi che toccano ambiti generici, del tutto alieni da quelli di cui si interessano la fiolologia, l’ermeneutica, etc…
Io, sinceramente, non so cosa fare di queste definizioni sulla poesia delle tre poetesse citate: non dicono nulla sulla loro poetica, nulla che possa essere loro minimanente utile, oltre a un poco di pubblicità – pubblicità che è perfino “controproducente”, sicchè viene fatta in un ambito contaminante, come questo articolo, in cui Giuliana critica e deride gli sforzi di poeti e critici non suoi “affamiliati” , evidentemente, ad avere/procurare visibilità . Inoltre questa pubblicità viene qui fatta presso un pubblico di partecipanti al dibattito a cui, ne sono molto certa, non è facile passare nulla, men che mai giudizi che avvallino il valore di un dato poeta e di una data forma di poesia, come “buono e conveniente” , ovvero, non a così poco sforzo e a così basso prezzo.
Potremmo avere un esempio del secondo tipo di crtitica, invece? ovvero un articolo di analisi specialistica del testo poetico, la sola analisi che rende affidabile ciò che dice un dato individuo X su un dato altro individuo (Y, Z, J) in ambito letterario?
correggo il typo> @filologia@
@filologia@
Erminia! Cosa si deve intendere per ‘analisi specialistica’ di un testo poetico? Le scuole critiche sono molte – a chi fare riferimento? Forse, in questo, ha ragione Giorgio Linguaglossa (del quale non ho ancora letto il libro, e perciò non mi addentro nelle questioni poste da Laura Canciani, che sono troppo rilevanti per essere affrontate senza lettura diretta del testo ‘di partenza’). Ognuno di noi, se vuole fare critica, pur non dimenticando filologia, ermeneutica (ma anche critica storica, strutturalistica, formalistica, comparatistica ecc. ecc.) deve costruirsi un proprio, autonomo percorso critico. Certo, fondato, e fondato, se possibile, non su ‘simpatie’ ma su studio (di letterature, critiche, teorie) e letture (non intendo certo dire che questo manchi alla Lucchini – anche in questo caso non mi permetto di dare giudizi senza conoscenze dirette). E in questo, senza dubbio, va encomiato Giorgio, che legge davvero molto. Però, non è possibile leggere tutto, perché si pubblica in continuazione e non si possono conoscere tutti gli autori. In questo senso, inevitabilmente, si finisce quasi sempre per recensire solo ciò che si riceve…
Certo, troppo spesso (ma non è difetto solo del nostro presente) quando si recensisce poesia si finisce o per essere epigoni della critica ‘delle parole’ (cioè quella che sovrappone le sue parole a quelle del poeta, senza aggiungere ermeneuticamente nulla, e manifestandosi solo come un vuoto ‘esercizio di stile’ da parte del critico), o per essere epigoni – e, per me, questo è, ahimé, anche peggio… – della critica ‘specialistica’ (nel senso delle scuole di critica – penso, ad es., agli orridi epigoni del grandissimo Jakobson), facendo del testo che si esamina un povero cadavere che, come ogni cadavere, non ha più nulla da trasmettere, se non, nella migliore delle ipotesi, pietà per il suo squartamento… Dunque, e tornando a quanto detto prima, quando si fa critica della poesia (come di ogni arte, peraltro) si dovrebbe, a mio avviso, non avere paura di esprimere ciò che emozionalmente trasmette il testo (paura attualmente diffusissima!), facendolo però passare ‘dal cervello’, ossia da quanto lì accumulato come riflessione meta-critica e meta-letteraria (in fondo, è così che sono nate tutte le teorie letterarie, estetiche e filosofiche – basti pensare che le teorie più produttive sono nate dallo scambio umano, oltre che intellettuale, tra artisti e teorici, dunque tra ‘emozione’ e ‘riflessione’). E ci si deve lanciare fuori e contro il recinto della ‘specializzazione’ come viene intesa nelle università e in ciò che ruota loro intorno (all’accademia, insomma) – discutere di poesia con un musicista o un pittore, ad esempio, è certamente più produttivo che farlo con la gran parte dei critici accademici attuali (a partire, ahimé, dai più giovani, precocemente invecchiati..), perché un musicista sa perfettamente cosa si intende per ‘forma’, ‘ritmo’, ‘metrica’ ecc., e sa altrettanto perfettamente in che modo si evochino immagini e contenuti attraverso i suoni, e un pittore sa cosa significa ‘colore’ (parola altamente abusata nella critica ‘delle parole’) e il carico simbolico ed espressivo ad esso legato (cfr. Kandinskij, il suo rapporto con Schoenberg, ma anche la pittura di Majakovskij, o le conoscenze musicali di Campana o di Michelstaedter…e di esempi ce ne sono moltissimi, tra i grandi – non ultimo, Pasolini, poeta, critico, filologo, ma anche pittore e musicista, che non ha mai smesso di dialogare con tutte le arti, approdando, non a caso, al cinema; ma tu sai benissimo queste cose…). Insomma, un approccio ‘fondato’ (mi piace più di ‘specialistico’) alla poesia è più che mai necessario, sono d’accordo. Ma tanto fondato quanto libero e non accademico…
Si Francesca, tutte le critiche che tu hai menzionato (infatti ho scritto filologica, ermeneutica, ect)- ma, siccome mi piace essere pratica, se chiamo un idraulico, non voglio certo che mi dica “il lavandino non funziona perché ce ne sono altri migliori in commercio, e questo qui è otturato. Gli tributo riconoscimento per il tipo di specialismo con cui mi ripara il rubinetto e mi commenta il lavoro ed il problema… da specialista qual egli è, o/e è supposto di essere. Ecco perché Linguaglossa fa infatti il suo dovere di specialista. Essere critici non vuol dire spettegolare sui percorsi letterari, promuovere o bocciare senza argomenti dati campi autori poetiche , bla bla bla. —- ma analizzarli con competenza,cognizione professionale. Se io mettessi mano agli strumenti per aggiustarmi da sola il lavandino, farei 1. torto allo specialista, 2. danno a me e al mio palazzo di condomini.
Si Francesca, tutte le critiche che tu hai menzionato (infatti ho scritto filologica, ermeneutica, ect)- ma, siccome mi piace essere pratica, se chiamo un idraulico, non voglio certo che mi dica “il lavandino non funziona perché ce ne sono altri migliori in commercio, e questo qui è otturato. Gli tributo riconoscimento per il tipo di specialismo con cui mi ripara il rubinetto e mi commenta il lavoro ed il problema… da specialista qual egli è, o/e è supposto di essere. Ecco perché Linguaglossa fa infatti il suo dovere di specialista. Essere critici non vuol dire spettegolare sui percorsi letterari, promuovere o bocciare senza argomenti dati campi autori poetiche , bla bla bla. —- ma analizzarli con competenza,cognizione professionale. Se io mettessi mano agli strumenti per aggiustarmi da sola il lavandino, farei 1. torto allo specialista, 2. danno a me e al mio palazzo di condomini.
Non è degli accademici, o degli idraulici, la colpa dei vari errati prestigi o difetti che si attribuiscono loro, nella scala sociale. Laddove essi/esse svolgono solo una professione, o un mestiere, bene o male. Ecco perché ogni prestigio e ogni preconcetto contro l’accademia parte da un eccessivo apprezzamento, una stima eccessiva, e dunque preconcetta, di essa. Ma di questo, bisognerebbe parlarne a parte.
Non intendevo io “specialismo” come sinonimo di “accademia” nel senso istituzionale, ma di competenza acquisita studiando, o lavorando. Competenza che uno/una, avendo studiato o praticato una data cosa, è in grado di riconoscere. Per cui, all’esperto non si vende facilmente per oro quello che è di “bassa lega”, (nel senso buono, non snobistico, del termine).
Francesca, specifico, si può invitare a casa una ragazza per presentarla al proprio migliore giovane amico, e stabilire domesticamente, da umani a umani, una relazione, che i tecnici del match-making definiscono oggi ”blind date”: domestica o computerizzata, questa pratica cerca di combinare qualcuno a con qualcun altro, sulla base di osservazioni e giudizi di compatibilità, i quali, per quanto accorati, emozionali, sono propri e non riflettono l’effettiva compatibilità dei due individui in questione.
Altra cosa è creare un ambiente ideale perché le affinità elettive si sviluppino tra giovani, nel quale i ragazzi compatibili possano infine incontrasi, senza la forzatura ruffiana del match-making, pratica che , per quanto di intenti positivi, non funziona mai, tranne che in casi disperati. Lo stesso vale negli ambienti poetici. 🙂
Io chiedo perdono, ma non credo che il sentimento sia il metro per misurare il valore di una poesia: piango per Silvia, appena giungo al verso “quel vago avvenir che in mente avevi”, e non riesco da quel punto in poi ad esercitare il diritto alla critica, quale analisi dei mezzi espressivi impiegati dal poeta, a torto o a ragione, sicché il mio cuore, per trascorso trauma, è dilaniato dall’emozione che mi causa il pensiero che a Silvia, giovinetta, la crudele natura non concesse il realizzarsi di quel sogno di futuro. ma non è, ovviamente, la poesia a farmi piangere, ma il trascorso mio esistenziale, e la testimonianza che nella vita ho avuto di vite e di destini simili al suo. Dinanzi alla cui tragicità, ogni giudizio si congela, e solo 2piange” il cuore.
Sindaco Bernardino de Rubeis
C/O Municipio
Via Vittorio Emanuele
92010 Lampedusa
Gentile Sindaco,
Già ben oltre la metà delle genti del mondo , si accavalla a vicenda e sugli oggetti, che sono diventati egemoni: è il “realismo terminale”.
Lampedusa ne è un evidente esempio. Mi creda, non serve ballare e cantare. Coraggio.
Guido Oldani, poeta
direttore collana Poesia Argani-Mursia
direttore festival internazionale Traghetti di Poesia
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